INTRODUZIONE
"As currently understood and implemented, drug policy attempts to
isolate a phenomenon that can’t be taken in isolation. Economic policy
is drug policy. Healthcare policy is drug policy. Foreign policy, too, is
drug policy. When approached in isolation, drug policy almost always
leads to unfortunate and unintended consequences."
Ryan Grim
Lʼimportanza di una politica di corretta gestione del fenomeno del
consumo delle sostanze stupefacenti si è tradotta in questi ultimi decenni in
una semplificazione inaccettabile: la convinzione che, agendo sul desiderio
dellʼutente finale, si possa intraprendere un cammino di riduzione della
domanda globale. Tale impostazione rischia di portare ad unʼenorme
semplificazione dei processi decisionali che si sviluppano allʼinterno del
mercato delle droghe. Essa, inoltre, sembra sottovalutare lʼimportanza che
tale traffico ha assunto nellʼepoca attuale: economia, politica estera, sanità e
rapporti sociali sono tutte tematiche profondamente influenzate anche dal
rapporto che gli agenti istituzionali e sociali coinvolti assumono nei confronti
delle droghe. La convinzione dellʼimportanza di un reale dibattito aperto a
tutti i segmenti della società italiana ha ispirato lavoro qui presentato, mentre
lʼosservazione del contesto economico e politico internazionale nel quale lo
scambio di questi beni si muove ne ha dettato i contenuti.
Eʼ stata scelta unʼimpostazione economica per svolgere al meglio la
ricerca proposta. Lʼeconomia è, difatti, lʼunità di misura nella quale lʼintera
comunità globale ha fondato le sue radici più profonde: sottovalutare questo
aspetto nella comprensione del fenomeno droga e nellʼideazione di politiche
di gestione e di contenimento dello stesso risulta, quantomeno,
anacronistico.
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Gli studi accademici più interessanti rivolti ai meccanismi che
muovono le curve di domanda e di offerta, nonché delle valutazioni in ambito
di politica economica, sono stati svolti dalla letteratura universitaria
americana: per questa motivazione, la realtà degli U.S.A e, nello specifico,
della California, assumeranno un ruolo determinante nei processi di
confronto e di elaborazione dati in questo testo proposti.
Le argomentazioni esposte sono suddivise in tre sezioni principali,
relativamente ai capitoli complessivi del lavoro.
Il primo capitolo è principalmente una descrizione di tutte le variabili
che ruotano attorno al commercio delle sostanze stupefacenti. Vi sono delle
breve presentazioni delle droghe di maggior successo commerciale, delle
quali verrà riproposta in sintesi la loro storia, i principali paesi produttori, le
rotte di traffico e le destinazioni di utenza finali. Si tenterà anche
unʼidentificazione dei fattori sociali più comuni nella domanda, suddivisa per
uso delle diverse sostanze, e delle caratteristiche odierne del consumo,
unitamente allʼelenco delle moderne organizzazioni promosse a livello
internazionale per la repressione di questi scambi. Infine, unʼanalisi
maggiormente approfondita riguardo alle peculiarità delle curve di domanda
e di offerta, influenzate sia da alcuni elementi insiti nel bene commerciato
quali lʼeffetto dipendenza, sia dalla condizione dʼillegalità stessa che provoca
delle distorsioni nelle interazioni tra i vari elementi considerati.
Il secondo capitolo tenta di evidenziare i rapporti economico-sociali
che intercorrono tra i segmenti della società, per comprendere se il
proibizionismo sia avvalorato da effettive basi teoriche. Verrà poi analizzato il
costo/beneficio dellʼattuazione del modello proibizionista, portando ad
esempio il caso della California, della sua evoluzione legislativa in corso e di
come il contrasto con le leggi federali stia causando tangibili danni economici
alla popolazione. Per ultimi, due studi accademici: il primo è un esperimento
svoltosi nel 1980 e condotto da Kagel, Battalio e Miles, volto ad analizzare il
collegamento tra produttività ed utilizzo di marijuana. Il secondo, invece, è
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una valutazione sullʼefficienza del proibizionismo alcolico degli U.S.A. negli
anni ʼ30, scritto da Miron e Zwiebel nel 1991.
Il terzo capito, infine, descrive la realtà italiana, e come il commercio
degli stupefacenti si stia evolvendo dalla vendita al dettaglio ad una più
ramificata distribuzione, con tutte le conseguenze collegate al mercato nero
che questo comporta. Si cercherà dʼindividuare lo stato attuale del
gradimento delle singole tipologie di droghe per tentare una previsione
rispetto al futuro, basandoci sul modello del ciclo di vita del prodotto. In
secondo luogo, verrà svolto un approfondimento sulla legislazione italiana:
lʼevoluzione della stessa in rapporto alle misure repressive ed assistenziali
messe in pratica dallo Stato, ed il livello di coinvolgimento della popolazione
in merito. Lʼultima parte della tesi vuole essere, invece, una simulazione
contabile volta ad evidenziare i costi complessivi dellʼapplicazione del Testo
Unico sugli stupefacenti negli anni di riferimento 2004 e 2008.
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PRIMO CAPITOLO
IL MERCATO DELLE SOSTANZE STUPEFACENTI
• Contesto internazionale e consumatore tipo
Nonostante la nascita di unʼenorme rete mondiale antidroga, i profitti
che ruotano attorno a questa realtà sono ancora esorbitanti: si stima che
nello scorso anno vi siano stati scambi che potrebbero toccare quasi 350
miliardi di dollari (Unodc; 2009). Come tutti i traffici illegali, poi, anche in
questo caso i cosiddetti “soldi sporchi” sono stati riciclati ed investiti nei più
svariati ambiti economici, generando nuova ricchezza. Antonio Maria Costa,
direttore dello United Nations Office on Drugs and Crime, in unʼintervista
dello scorso dicembre ad un noto quotidiano britannico, ha lasciato delle
dichiarazioni allarmanti: a seguito della crisi economica globale che ha
colpito la finanza internazionale nel 2008, vi sono delle serie evidenze che
portano a sospettare un attivo riciclaggio da parte delle banche della
maggioranza degli introiti derivati dal commercio degli stupefacenti. “In molte
situazioni, i soldi provenienti dalle droghe sono stati gli unici capitali
dʼinvestimento liquidi. Nella seconda metà del 2008, la liquidità è stata il
maggior problema del sistema bancario”. E ancora: “Cʼè stato un momento in
cui il sistema era letteralmente paralizzato a causa della mancata difficoltà ad
effettuare crediti interbancari. In seguito, la progressiva liquidità del sistema e
la crescente disponibilità di alcune banche a condividere le proprie
disponibilità finanziarie significò che il problema dei soldi illegali era diventato
molto meno importante di quanto fosse in precedenza.” (The Observer/The
Guardian; dicembre 2009). Evidentemente, vi sono delle fondate ragioni per
ipotizzare che la trasversalità del fenomeno non comprenda solamente la
malavita organizzata nelle diverse nazioni, ma interessi anche una larga
fetta della popolazione mondiale, divisa tra consumatori, spacciatori,
produttori ed ignari beneficiari di questa illegalità.
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Le sostanze già interessate da questo commercio sono molteplici,
come anche innumerevoli sono i nuovi prodotti che vengono periodicamente
lanciati nel mercato sommerso. Enumerarle tutte sarebbe un lavoro
mastodontico e probabilmente inutile, giacché completamente superato nel
momento stesso della sua elaborazione, viste le incessanti sperimentazioni
che vengono messe a punto nei tanti laboratori illegali di produzione,
proliferanti oramai in tutto il mondo. In questo capitolo, pertanto, tratteremo
brevemente solo i prodotti più largamente consumati dalla popolazione
mondiale e del commercio internazionale sviluppatosi su di essi.
Lʼoppio
Il XX secolo è stato caratterizzato dalla predominanza assoluta del
ruolo dellʼoppio come droga a più alto consumo nel mondo. Questa sostanza
è estratta dal papavero bianco, ed ha tra i suoi derivati sia lʼeroina che la
morfina.
Nel 2007 il consumo di oppio nel mondo ha riguardato dai 15.160.000
ai 21.130.000 individui (Unodc, 2009). I maggiori paesi produttori sono
lʼAfghanistan, il Myanmar ed il Laos (vedi grafico 1.1), anche se in passato
molte altre nazioni hanno svolto il ruolo di fornitori di detta sostanza ad
esempio la Cina, lʼIran, la Turchia ed il Pakistan.
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Grafico n. 1.1 : Produzione di oppio (t) nei tre maggiori paesi esportatori
1994-2008
fonte: Unodc; 2009
Il grafico evidenzia la produzione totale di oppio in Afghanistan, Myanmar e Laos, i quali
sopperiscono quasi interamente alla domanda globale. Si noti la regolarità delle tonnellate
prodotte dal 1994 al 2000 ad eccezione del 1997, anno in cui vi è stato un sensibile
aumento. Il 2001 è connotato, invece, per unʼassenza quasi completa dellʼoppio afghano nel
mercato, dovuta presumibilmente alla guerra internazionale in quellʼanno in atto nel Paese. Il
Myanmar, invece, dal 2002 al 2008 ha fornito regolarmente questo bene, nonostante le
tonnellate finite si siano dimezzate a partire dal 2004, anno che vede anche terminare la
produzione del Laos. Per concludere lʼAfghanistan, nonostante la guerra occidentale in
corso nei suoi confini motivata in parte come lotta al consumo ed alla produzione di oppio,
ricomincia significativamente a coltivare questa pianta a partire dal 2002, fino a che nel 2007
raddoppia addirittura le tonnellate utili andando a predominare nettamente sui concorrenti di
questo mercato.
Afghanistan Myanmar Laos
0
2250
4500
6750
9000
94
95
96
97
98
99
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02
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06
07
08
6
Come evidenziato nel grafico 1.1, mentre il ruolo del Laos in questi
traffici si sta decisamente assottigliando, lʼAfghanistan invece sembra abbia
ritrovato una nuova e vigorosa spinta commerciale a partire dal 2002. In
questa nazione la produzione dʼoppio viene tassata da una specifica aliquota
chiamata “usher”, la quale impone una trattenuta del 10% sul rendimento del
bene. Considerando la prosperità di tale commercio, si stima che questa
imposta abbia fatto guadagnare nellʼultimo anno dai 200 ai 400 mln $ ai
gestori del traffico della droga, nella maggior parte dei casi identificati nelle
figure dei signori locali delle frammentate tribù afgane.
Una volta estratta la sostanza dal papavero bianco questa, grazie a
differenti processi lavorativi eseguiti nelle raffinerie specializzate, può essere
utilizzata per creare diverse tipologie di stupefacenti. Nel 2008 solo il 40% del
prodotto è stato esportato come oppio, il restante 60% ha soddisfatto la
richiesta di eroina o morfina del mercato. Le raffinerie non necessariamente
sono localizzate nei luoghi di coltivazione: una pratica molto comune è,
difatti, esportare lʼoppio grezzo verso un paese terzo nel quale compiere il
processo di lavorazione, visti i contenuti costi di riproduzione e di
mantenimento degli impianti e la loro adattabilità a qualsiasi contesto
geografico (DCSA; 2008). Una volta ottenuto il prodotto finito, esso segue
delle rotte di commercio ben definite:
• DallʼAfghanistan verso i paesi vicini, ossia Africa, Russia, Medio Oriente e,
infine, in Europa. Il passaggio obbligato per raggiungere i paesi occidentali,
però, è rappresentato dai Balcani, fondamentale collegamento tra il
produttore ed i compratori europei: ogni anno vengono stimate circa 100
tonnellate di eroina gestite interamente dalle mafie locali tra cui si
evidenzia la partecipazione di quella italo-albanese.
• Dal Myanmar e dal Laos verso le nazioni del sud-est Asiatico
(principalmente la Cina), e verso lʼOceania (con particolare riguardo
allʼAustralia).
• DallʼAmerica Latina (Messico, Colombia, Guatemala e Perù) verso il Nord
America (USA e secondariamente il Canada).
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Le autorità competenti riportano inoltre la nascita di nuove rotte
commerciali in grado di eludere i controlli internazionali grazie anche a
investimenti in tecnologia atti ad aumentare le probabilità di successo di
questi scambi (Unodc; 2009).
La coca
Mentre i consumatori per gran parte del XX secolo hanno prediletto
lʼassunzione di oppio, in questi ultimi decenni assistiamo ad un forte
incremento della cocaina sul mercato delle droghe. Questo stupefacente si
ottiene principalmente dalle foglie della coca, una pianta originaria del Sud
America. Ragionevolmente, è proprio questa parte del continente americano
che ospita i suoi maggiori produttori: Bolivia, Perù e Colombia (vedi grafico
1.2). Il grafico 1.2 mostra una sostanziale regolarità nella produzione di
cocaina, ad eccezione di un leggero decremento nellʼanno 2008, influenzato
da una diminuzione delle aree coltivabili pari al 8% che ha portato ad una
variazione negativa del 15% sullʼoutput totale (DCSA; 2008).
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