Prefazione
Quella del consulente finanziario indipendente è una figura professionale di elevato
standing sviluppatasi a partire dagli anni ‘70 negli Stati Uniti, paese in cui l’attività è
correntemente svolta da decine di migliaia di persone fisiche, iscritte ad associazioni di
categoria, provviste di certificazioni anche di notevole spessore, come quella del
Certified Financial Planner (CFP).
Tale modello di consulenza in assenza di conflitto d’interessi è detto anche “fee-
only” in virtù del suo principale tratto distintivo, ovvero che la remunerazione del
professionista avviene esclusivamente a cura del cliente-investitore e non dalle società
da cui sono promossi i prodotti e servizi finanziari consigliati.
In particolare, esso rappresenta lo stadio finale dell’evoluzione dal modello
tradizionale di consulenza strumentale al collocamento (tipico degli intermediari e delle
reti di promotori) a quello della pianificazione finanziaria personale (proprio dei
consulenti indipendenti): l’approccio proposto da questi ultimi è dunque “integrato”
piuttosto che “particolare”, mentre al carattere di indipendenza si accompagna un
maggior orientamento al cliente, piuttosto che alla vendita.
Con il recepimento della Direttiva MiFID, avvenuto nel novembre del 2007, la
consulenza in materia di investimenti in Italia è tornata ad essere sottoposta a
regolamentazione, e la figura delle “persone fisiche consulenti finanziari” è stata per la
prima volta avviata verso l’istituzionalizzazione. In Italia è possibile svolgere la
professione del consulente se si posseggono determinati requisiti, se si è iscritti
all’apposito Albo di categoria, ed essendo sottoposti alle norme dell’apposito
Regolamento Consob, emanato di recente (gennaio 2010).
Le fonti normative, che prevedono norme specifiche a protezione degli investitori
non professionali (c.d. “clienti al dettaglio”), regolano con precisione alcune fasi del
processo di erogazione del servizio, e perciò vanno ad integrarsi all’approccio
emergente dalla prassi (mutuato dall’esperienza americana) ed agli standard di qualità,
emanati nel 2008 dalla ISO. Dall’integrazione di questi tre contributi emerge, peraltro,
Prefazione
VI
che il consulente debba disporre, durante tutte le fasi della pianificazione, di elevate
competenze relazionali, oltreché tecniche.
Nell’attesa di valutare i dati ufficiali riguardo la diffusione dei consulenti in Italia
(l’Albo non è stato ancora istituito), si può certo affermare che nel nostro contesto il
fenomeno appare tuttora limitato, nonostante l’offerta del servizio sia rivolta anche a
clienti con patrimoni modesti rispetto alla fascia di clientela usualmente denominata con
il termine di “private”.
L’influenza di tale servizio nelle scelte di investimento della massa di risparmiatori
italiani è pertanto ridotta, mentre i comportamenti messi in atto negli anni riflettono
piuttosto l’effetto congiunto di vari fattori, tra cui la sempre maggiore avversione al
rischio in seguito alle crisi dei mercati ed ai casi “eclatanti” dei default di Parmalat e
Cirio, ed i cambiamenti nella politica dell’offerta degli intermediari.
Nel nostro paese, in particolare, si è parlato a lungo della c.d. “crisi dei fondi
comuni”: tali alternative d’investimento, introdotte negli anni ’80 e considerate
potenzialmente adeguate ed efficienti (grazie alle economie di scala tipiche della
gestione collettiva del risparmio) nell’ultimo decennio hanno subito un incessante calo
nella raccolta, motivato a sua volta da diversi fattori interrelati, tra cui l’assetto
proprietario delle società di gestione, gli scarsi risultati in termini di performance, e la
qualità della consulenza strumentale.
In poche parole, il settore dei fondi comuni in Italia non ha saputo adeguatamente
sviluppare le effettive potenzialità del prodotto, a causa principalmente della sostanziale
mancanza di concorrenza tra “produttori”, poiché l’approccio comune degli intermediari
è quello orientato alla vendita dei prodotti del brand di cui il gruppo stesso è
proprietario; nel contempo, è aumentata negli anni la pressione competitiva esercitata
dal collocamento di prodotti alternativi (obbligazioni bancarie e conti di deposito,
assicurazioni del ramo vita).
Dal punto di vista della consulenza indipendente, nell’analisi dei prodotti del
risparmio gestito acquisisce notevole importanza il legame esistente tra commissioni
applicate (e comunicate più o meno esplicitamente) agli investitori al dettaglio e
performance netta a favore di questi ultimi, poiché i costi della gestione dovrebbero in
larga parte remunerare il valore aggiunto conferito dagli asset manager, in una filosofia
Prefazione
VII
di gestione “attiva”, ovvero che non si limiti alla mera replica di un paniere di attività
finanziarie scambiate in un determinato settore/mercato di riferimento.
Dal momento che ciò molto spesso non avviene, stanno acquisendo sempre maggiore
interesse gli Exchange Traded Funds, fondi comuni a gestione “passiva” che presentano
costi di gestione limitati rispetto a quelli dei fondi, e che sono quotati su mercati
regolamentati. In Italia, le quote di ETF sono state ammesse alla negoziazione nel corso
dell’ultimo decennio, in un apposito segmento dedicato di Borsa Italiana (il segmento
ETFPlus).
Dal momento che gli ETF sono organismi di investimento collettivo del risparmio,
essi sono soggetti alla normativa di riferimento (direttive UCITS), in particolare per
quanto concerne le regole sulla diversificazione, la trasparenza e l’accesso per gli
investitori al dettaglio.
Gli ETF si legano inscindibilmente ad un determinato indice di mercato,
replicandone l’andamento lordo a meno dei costi annui totali imputabili al patrimonio,
sintetizzati nella misura del Total Expense Ratio (TER). Negli ultimi anni la crescente
concorrenza, dovuta in particolare all’ingresso di diverse SGR estere, ha favorito
l’estensione della copertura su molteplici mercati e asset class di riferimento, ampliando
notevolmente la gamma dei “prodotti” offerti agli investitori e riducendone nel
contempo i costi.
Nel modello di business degli ETF non è previsto il collocamento diretto dei
prodotti, per cui gli investitori normalmente non ricevono alcun tipo di consulenza al
riguardo, al di fuori delle attività di comunicazione e di education (comunque non
personalizzate) messe in atto direttamente dalle società di gestione.
Pertanto, dal punto di vista degli investitori, la complessità di tutti gli aspetti legati
all’investimento in ETF, e non ultimo quello dei rischi associati, rende particolarmente
utile l’assistenza di un consulente indipendente che affianchi l’investitore nella scelta
delle alternative a lui più adeguate.
Gli ETF non rappresentano inoltre delle soluzioni “pronte” direttamente accessibili
dagli investitori, ma piuttosto delle “materie prime” che vanno opportunamente
combinate sulla base delle caratteristiche e delle necessità degli investitori, nel rispetto
dei criteri definiti dalla MiFID.
Prefazione
VIII
Il compito del consulente, nell’approccio integrato di pianificazione personale, può
essere quindi sintetizzato nella risoluzione di un problema di ottimizzazione di
portafoglio, tenuto conto delle caratteristiche del cliente soprattutto in termini di
capacità e di tolleranza al rischio, nonché dell’orizzonte temporale dell’investimento,
nel pieno rispetto del principio di “adeguatezza” introdotto dal legislatore.
Le fondamenta teoriche della moderna gestione di portafoglio si devono al modello
di ottimizzazione parametrica di Markowitz, modello uniperiodale in cui il rendimento
atteso di un portafoglio (così come di una qualunque attività) è definito dalla media
della distribuzione dei rendimenti a scadenza dello stesso, ed il rischio è misurato dalla
loro varianza. Mentre il rendimento atteso di un portafoglio è la media ponderata dei
rendimenti attesi delle singole attività che lo compongono, la varianza corrisponde alla
media ponderata delle varianze solamente nell’ipotesi in cui tutte le attività siano
perfettamente correlate. Se tale ipotesi non è soddisfatta, entra in gioco l’effetto
diversificazione, che risulta ulteriormente marcato quando i pesi delle componenti del
portafoglio vengono ottimizzati.
L’evoluzione della teoria del portafoglio e i numerosi contributi provenienti dalla
letteratura (non solamente dalle discipline strettamente legate alla finanza dei mercati)
hanno messo tuttavia in discussione il concetto di rischio “simmetrico” espresso dalla
varianza, che considera alla pari sia i “pericoli” associati ad un investimento, che le
“opportunità” che ne derivano. Sulla base del concetto di “downside risk”, strettamente
legato alla parte negativa di una distribuzione dei rendimenti, e di maggior intensità
emotiva per gli investitori come dimostrato nella teoria del prospetto di Kahnemann e
Tversky, si sono proposte misure di rischio specifiche, tese a catturare taluni aspetti
associati.
Per la verifica ex-post dell’efficienza dei portafogli attraverso l’analisi delle serie
storiche vengono inoltre utilizzati particolari indicatori, detti di risk-adjusted
performance, che sintetizzano in un unico indice una misura di rendimento ed una di
rischiosità. Tali misure sono utilizzate in particolar modo nella valutazione dei fondi
comuni ed in generale delle gestioni patrimoniali, e si differenziano l’una dall’altra in
particolare per la misura di rischio considerata.
Prefazione
IX
In generale, ci si aspetta che un qualunque indice di risk-adjusted performance,
calcolato per qualunque coppia di portafogli distinti, assuma un valore maggiore per
quello che tra i due risulta preferibile.
Il modello di Markowitz, oltre che sul concetto di rischio “simmetrico”, si fonda su
alcune rilevanti semplificazioni del problema come quella che gli investitori non
sostengono dei costi nel momento in cui essi debbono concludere le transazioni di
acquisto e di vendita delle attività incluse nel portafoglio.
Nel problema specifico introdotto in questa ricerca, la presenza dei costi di
transazione di vario genere può influire negativamente sull’efficienza gestionale del
portafoglio, producendo effetti indesiderati e determinando la potenziale irrazionalità
delle soluzioni. In particolare, all’investimento in ETF si devono associare i costi di
negoziazione degli ordini (nella pratica spesso variabili con dei limiti minimi e
massimi) e gli spread denaro/lettera (costi lineari rispetto al controvalore negoziato), che
come per tutti i titoli quotati variano sia nello “spazio” (da ETF ad ETF) che nel
“tempo” (in funzione soprattutto della volatilità degli indici sottostanti).
Il problema si complica ulteriormente con l’introduzione di alcuni vincoli, per
esempio sulla cardinalità e sulla composizione del portafoglio, che riflettono
primariamente le esigenze specifiche dell’investitore.
A questo punto l’ottimizzazione del portafoglio non può essere risolta dalle tecniche
tradizionali (quali l’MPT di Markowitz), ed è necessario ricorrere a metodi alternativi.
Nel corso degli ultimi decenni si sono sviluppate ed hanno assunto sempre maggior
rilevanza le tecniche di ottimizzazione euristica, metodi di ricerca (con scopi generali)
che derivano le soluzioni ricercando iterativamente e testando le soluzioni migliorate,
finché non viene soddisfatto un determinato criterio di convergenza.
Gli algoritmi di ottimizzazione euristica si differenziano per una determinata serie di
aspetti, ma un tratto comune frequentemente riscontrato è che essi traggono ispirazione
da processi riscontrabili in natura, legati ad esempio alla fisica ed alla biologia (in
particolare all’evoluzione degli esseri viventi, oppure al comportamento di gruppi di
animali alla ricerca di nutrizione).
In questa tesi si è scelto di fare particolare riferimento al metodo Particle Swarm
Optimization, tecnica basata sulle popolazioni largamente utilizzata, che si ispira al
comportamento degli stormi di uccelli o dei banchi di pesci. Questi gruppi di animali
Prefazione
X
rappresentano organizzazioni sociali il cui comportamento complessivo si fonda su una
sorta di comunicazione e di cooperazione tra i propri membri.
La scelta del PSO è stata effettuata anche in base al fatto che in letteratura
l’applicazione di questa tecnica ai problemi di ottimizzazione del portafoglio è limitata a
pochi contributi di recente divulgazione.
La sintesi di tutte le considerazioni sinora espresse ha portato alla definizione precisa
del problema di ottimizzazione, quale parte integrante della fase di definizione tecnica
del piano finanziario che il consulente deve predisporre e comunicare al cliente, sulla
base dell’approccio indipendente (“fee-only”).
L’algoritmo utilizzato per la conduzione dei test empirici, oltre all’adeguamento al
problema specifico introdotto da questa tesi, introduce una variante riferita alle
equazioni di aggiornamento delle velocità proposta in (Kaucic, 2010), ed è stato
sviluppato con il contributo del dott. Kaucic sotto il profilo della formulazione
matematica e della componente software.
Si è definita la funzione obiettivo, in particolare, come funzione di risk-adjusted
performance basata su una misura di downside risk, da massimizzare tenuto conto anche
dei costi di transazione (a diminuzione dei rendimenti attesi).
I test sono stati eseguiti sulla base di ipotesi realistiche e con l’utilizzo delle serie
storiche ricostruite di 89 ETF quotati su Borsa Italiana, ai fini della valutazione:
- della coerenza delle soluzioni rispetto alle condizioni poste;
- dell’impatto dei costi di transazione ed il trade-off con la frequenza di revisione
del portafoglio;
- della performance ex-post corretta per il rischio (in particolar modo al confronto
di investimenti alternativi);
- dell’applicabilità a portafogli di dimensioni ridotte e con vincoli stringenti;
- della coerenza rispetto alla soglia di rischiosità e all’orizzonte temporale definiti.
Nel Capitolo 1 è descritta la professione del consulente finanziario indipendente ed
il processo di pianificazione, sulla base dell’approccio integrato tra normativa, standard
di qualità e prassi corrente.
Nel Capitolo 2 si analizzano le scelte di investimento effettuate dalle famiglie
italiane, con riguardo alla composizione delle diverse classi di attività (c.d. “asset
Prefazione
XI
allocation”) ed alla tipologia di prodotti utilizzati, soffermandosi in particolare sulle
cause dell’evoluzione negativa della raccolta dei fondi comuni.
Nel Capitolo 3 vengono descritte le caratteristiche proprie dell’investimento in
Exchange Traded Funds, con particolare riferimento agli elementi che incidono sulla
performance netta per gli investitori, ed il confronto con la principale alternativa
d’investimento, rappresentata dai fondi comuni.
Nel Capitolo 4 si descrive l’approccio classico al problema di ottimizzazione di
portafoglio, e si propone un excursus sulle principali misure di rischio alternative alla
varianza, e di risk-adjusted performance, proposte in letteratura.
Nel Capitolo 5 vengono presentate le modalità di introduzione dei vincoli e dei costi
di transazione nell’ambito di uno specifico problema di ottimizzazione di portafoglio, e
vengono descritte le caratteristiche principali delle tecniche euristiche, con particolare
riferimento al Particle Swarm Optimization.
Nel Capitolo 6 viene riassunto l’approccio proposto in questa tesi alla definizione
del problema, sulla base del quale è stata sviluppata l’applicazione pratica (descritta
successivamente). Vengono inoltre presentati i risultati dei test empirici e le
considerazioni emerse.
Capitolo 1
L’approccio della consulenza finanziaria
indipendente
1. La professione del consulente finanziario indipendente
1.1 L’evoluzione dalla consulenza “strumentale” al modello di
pianificazione fee-only negli Stati Uniti
La nascita della figura professionale del consulente finanziario indipendente va
collocata negli Stati Uniti, nella prima metà del secolo scorso. Risale al 1940 infatti
l’Investment Advisers Act emanato dalla Securities and Exchange Commission al fine di
regolamentare i mercati finanziari statunitensi, nel quale viene definito l’“investment
adviser”, “consulente di investimento”, come la persona fisica o giuridica che, a fronte
di una remunerazione, si occupa di fornire consigli, direttamente o attraverso articoli e
pubblicazioni, in merito al valore dei titoli o all’opportunità o convenienza di un
1
investimento.
La definizione formulata originariamente nell’Investment Advisers Act non operava
la distinzione oggi rilevante tra soggetti preposti alla vendita di prodotti e strumenti
finanziari, normalmente remunerati dagli intermediari finanziari, e soggetti operanti a
titolo “professionale”, remunerati, al contrario, esclusivamente dall’investitore (c.d.
modello fee-only).
Probabilmente fu la richiesta di una maggiore completezza dei servizi offerti, nonché
la maggiore consapevolezza degli investitori rispetto all’esigenza di una pianificazione
integrata della propria situazione finanziaria e patrimoniale, rispetto alla mera ricerca
delle migliori opportunità di investimento sui mercati finanziari, a spingere nel 1969
alcuni professionisti del settore a dar vita alla certificazione di CFP (Certified Financial
1
Vedi Armellini et al. (2008): p. 4-5.
Capitolo 1
2
Planners), la certificazione ancor oggi più accreditata, a livello globale, per coloro che
esercitano questo tipo di professione.
Lo sviluppo del modello fee-only si colloca nel decennio successivo, quando alcuni
consulenti di investimento iniziarono a sperimentare nuovi modelli di business nel
tentativo di migliorare il proprio servizio a vantaggio dei clienti, slegandosi dai modelli
di remunerazione tradizionali basati sulle commissioni di vendita dei prodotti. Nel 1983
2
venne fondata la National Association of Personal Financial Advisors (NAFPA), la più
autorevole associazione americana di consulenti fee-only.
3
I modelli sperimentati in quegli anni dai “pionieri” della consulenza fee-only di fatto
costituiscono, oggi, il panorama dei modelli di business di consulenza finanziaria, in
prima istanza caratterizzati dalla tipologia di remunerazioni ricevute: quelle collegate
alla vendita di prodotti finanziari (commission) e quelle percepite direttamente dagli
4
investitori finali (fee):
- Modello fee-only: la remunerazione del consulente avviene esclusivamente “a
parcella”, sulla base di quanto pattuito con il cliente finale (investitore);
- Modello fee-offset: la remunerazione è mista, ed in particolare la parcella per il
cliente risulta decurtata da tutte le commissioni ricevute dal consulente per la
vendita dei prodotti sottoscritti dal cliente;
- Modello fee-and-commission: il consulente riceve sia la remunerazione
“classica” dagli intermediari (commissione per la vendita) che dai propri clienti
(parcella);
2
Il tentativo di differenziazione rispetto ai modelli tradizionali di consulenza (quelli legati alla vendita di
prodotti o strumenti finanziari) è evidente anche dal payoff comunicativo ancor oggi utilizzato dalla
NAFPA: “Truly Comprehensive, Strictly Fee-Only”. (Il payoff è visibile anche sul sito ufficiale
www.nafpa.org).
3
L’evoluzione dei modelli di business legati alla consulenza d’investimento verso il modello fee-only è
ben descritto, in prima persona, da John Sestina, professionista che nel 1965 decise di slegarsi dal
modello tradizionale (commission only), in Sestina, J. (2000), Fee-Only Financial Planning: How To
Make It Work For You, John Wiley & Sons, New York: p. 97. “In the beginning I charged commissions
only. It was logical for the time. Gradually, I attempted charging a small fee for writing the plan. The
commissions earned through the recommendations paid for the cost of implementation. From there […] I
charged a total fee that could be offset by any commissions generated […] When I made the
determination to be fee-only, I first went to the hourly charge. […] Next, I tried to bill a flat fee for each
part of the service. […] At a meeting with Bob Underwood, he explained a billing system that seemed to
make sense. Bill on the only measurable tangibles the client and you could identify – earned income and
investments.”
4
Sono i modelli ora diffusi nella pratica statunitense: vedasi ad es. Kapoor, J., Dlabay, L., Hughes, R.
(2004), Personal Finance, Seventh Edition, McGraw-Hill, New York. Ma anche Eldeman, R. (2005), The
Truth About Money, HarperBusiness, New York. La scelta tra i vari modelli è argomento di notevole
interesse per i professionisti: cfr. Lamontagne, M. (2007), To Fee Or Not To Fee: How to design a fee
financial advisory practice, Art Bookbindery, Canada.
L’approccio della consulenza finanziaria indipendente
3
- Modello commission-only: la remunerazione del consulente avviene
esclusivamente sulla base delle commissioni ricevute dagli intermediari.
Solamente il primo di questi quattro modelli garantisce il carattere di indipendenza
nella prestazione del servizio di consulenza, dal momento che ogni sua forma di
remunerazione è slegata dai compensi che gli intermediari offrono per il collocamento
dei loro prodotti.
Il carattere di indipendenza non è quindi proprio di tutta la categoria di consulenti
finanziari, come del resto emerge anche dalla definizione che dà il Bureau of Labor
Statistics statunitense di Personal Financial Advisors:
“Personal financial advisors assess the financial needs of individuals and assist
them with investments, tax laws, and insurance decisions. Advisors help their
clients identify and plan for short-term and long-term goals. Advisors help clients
plan for retirement, education expenses, and general investment choices. Many
also provide tax advice or sell insurance. Although most planners offer advice on a
wide range of topics, some specialize in areas such as retirement and estate
planning or risk management.”
Bureau of Labor Statistics, U.S. Department of Labor, Occupational Outlook
Handbook, 2010-11 Edition, http://www.bls.gov/
La definizione include quindi anche i private bankers e i wealth managers,
professionisti che di norma operano per una clientela con patrimoni significativamente
elevati. Nel ben noto modello del private banking, i professionisti gestiscono portafogli
per conto dei clienti, di norma in maniera diretta, utilizzando le risorse messe a
disposizione dall’intermediario (specie i team di analisi finanziaria, legale, fiscale ed
altri professionisti).
Sulla base di queste premesse, il numero di Personal Financial Advisors attivi negli
Stati Uniti al maggio 2008 era di oltre 200.000, il 63% dei quali impiegati presso
broker, banche, agenzie assicurative ed altre società d’investimento. Il 29%, invece,
5
risultava autonomo (self-employed). La crescita nel numero di persone occupate in
5
La condizione di autonomia professionale, naturalmente, non equivale all’assunzione di un modello di
consulenza indipendente (fee-only). Da considerare anche quanto osservato in (Sestina, 2000): “As of July
2000, the N.A.P.F.A. had 690 members and the College of Financial Planning had certified almost
36,000 financial planners. There are probably thousands more in the United States today who call
Capitolo 1
4
questo settore prevista per il 2018 è del 30% (si prevede che il numero di consulenti
6
finanziari salga a 271.000, 77.000 dei quali autonomi).
1.2 Il ruolo della MiFID nell’istituzionalizzazione dei consulenti fee-
only in Italia
In Italia il recepimento della direttiva 2004/39/CE (c.d. direttiva MiFID: Markets in
Financial Instruments Directive), avvenuto con il D.Lgs. n. 164 del 17 settembre 2007,
ha costituito il più importante passo in avanti verso la regolamentazione del servizio di
consulenza finanziaria, ed in particolare verso l’istituzionalizzazione della figura dei
consulenti indipendenti.
Solamente nel periodo intercorso tra il 1991 (legge del 2 gennaio 1991, n.1) ed il
recepimento della direttiva 93/22/CEE, avvenuto con D.Lgs. n. 415 del 23 luglio 1996,
l’attività di “consulenza in materia di valori mobiliari” (art. 1 legge 1/1991) era
regolamentata quale “servizio di intermediazione mobiliare” e l’esercizio professionale
era limitato a SIM, banche, agenti di cambio e società fiduciarie (art. 2).
A partire dal 1996, e fino all’entrata in vigore della MiFID (1 novembre 2007), il
servizio di consulenza veniva ricompreso tra i “servizi accessori” e, pertanto, poteva
essere svolto liberamente ed in qualsiasi forma (individuale o societaria) anche da
soggetti diversi dagli intermediari autorizzati e senza che trovasse applicazione la
disciplina delineata dal Testo Unico sulla Finanza (D.Lgs. n. 58 del 24 febbraio 1998).
La nuova direttiva inquadra invece il servizio di “consulenza in materia di
investimenti” quale uno dei “servizi e attività di investimento” (art. 1 comma 1 del Tuf
aggiornato), sottoponendo ad autorizzazione il suo svolgimento abituale a titolo
professionale. Il servizio è specificamente individuato come “la prestazione di
raccomandazioni personalizzate ad un cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa
dell’intermediario, riguardo ad una o più operazioni relative a strumenti finanziari”.
Se tale definizione ed inquadramento si applica a tutti i servizi di consulenza relativi
agli strumenti finanziari, pertanto forniti da qualsiasi intermediario e non
themselves financial planners, but no one can tell how many of them would meet the required
qualifications, if there were any”, ed in (Kapoor et al., 2004): “A study by the Consumer Federation of
America revealed that more than half of financial planners who told “mystery shoppers” that they offer
“fee-only” services actually earned commissions or other financial rewards for implementing the
recommendations made to their clients”.
6
Fonte: Bureau of Labor Statistics (www.bls.org)
L’approccio della consulenza finanziaria indipendente
5
necessariamente dai consulenti personali, la direttiva prevede la possibilità che a
svolgere tale servizio possano essere anche persone fisiche non aventi lo status di
intermediari, a condizione che non detengano somme di denaro o strumenti finanziari di
pertinenza della clientela.
Il nuovo art. 18-bis del Tuf ha introdotto la figura delle “persone fisiche consulenti
finanziari” che debbono possedere i requisiti di professionalità, onorabilità,
indipendenza e patrimoniali stabiliti con regolamento del Ministero dell’economia e
delle finanze, sentite la Banca d’Italia e la Consob; debbono essere iscritte in un albo
tenuto da un organismo avente natura associativa, i cui rappresentanti sono nominati
con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentite la Banca d’Italia e la
Consob; si attengono ai principi e ai criteri determinati con apposito regolamento dalla
Consob, in materia, fra l’altro, di cause di incompatibilità e di regole di condotta; sono
sottoposte alla vigilanza di detto organismo, il quale è a sua volta sottoposto alla
vigilanza della Consob.
Mentre quindi, da un lato, il servizio di consulenza può essere svolto da tutti gli
intermediari autorizzati, è possibile che anche le persone fisiche possano svolgere la
professione, a condizione di essere iscritte nell’Albo dei consulenti finanziari, tra i cui
requisiti vi è quello dell’indipendenza (modello fee-only).
Nell’attesa dell’istituzione dell’Albo (prevista per il 2010), non esistono ancora dati
ufficiali sul numero di consulenti fee-only in Italia, però la crescita dell’interesse verso
la professione è testimoniata dalla nascita di alcune associazioni di categoria, tra cui la
NAFOP (“The National Association of Fee Only Planners”), che vanta tra i soci circa
7
250 professionisti, e Assofinance (Associazione Nazionale dei Consulenti Finanziari
Indipendenti).
1.3 L’approccio ISO 22222:2008; il quadro riassuntivo
Di pianificazione finanziaria, economica e patrimoniale personale si è occupata
recentemente anche la International Organization for Standardization (ISO), con
l’emanazione degli standard ISO 22222:2008 (aggiornamento della prima versione del
2005), adottata il 28 maggio del 2008 anche in Italia dall’UNI.
7
Fonte: www.nafop.org.
Capitolo 1
6
Tabella 1 – Forma di remunerazione e ampiezza dell’attività svolta nelle varie
configurazioni di business emerse nella pratica della consulenza
finanziaria; il contributo della MiFID e della ISO 22222:2008
Forma di Commission only Fee and commission Fee offset Fee only
remunerazione
Attività svolta
Consulenza Attività del promotore
strumentale finanziario (tied
agent); consulenza
strumentale alla
vendita di prodotti
finanziari
… La parcella al cliente è
giustificata da un
servizio di consulenza
di più ampio respiro
rispetto a quello della
"mera" consulenza
strumentale
Il servizio è
…
maggiormente
orientato al cliente, e
prevede la
retrocessione delle
commissioni ricevute
dal professionista (o
dall'intermediario)
Pianificazione E' la vera e propria
attività di "consulenza
finanziaria
indipendente", cui
risulta comunque più
adatta la definizione
di "fee only financial
planning", ovvero di
"pianificazione
finanziaria remunerata
esclusivamente a
parcella"
La consulenza in materia di investimenti è un servizio di investimento E' l'unica forma di
Approccio
MiFID ed è riservata agli intermediari autorizzati. In sostanza, nel caso il consulenza in materia
servizio offerto sia strumentale alla vendita di particolari strumenti di investimenti che
finanziari, o comunque che sia prevista una forma di remunerazione da può essere condotta da
soggetti diversi dal cliente, esso può essere svolto solamente da persone fisiche, con
intermediari autorizzati. Nel caso del servizio di gestione di patrimoni, particolari requisiti tra
la MiFID introduce una nuova disciplina sulle retrocessioni di cui l'indipendenza
commissioni.
Approccio ISO Indipendentemente dalla forma di remunerazione del servizio, la specifica tecnica emanata
22222:2008 dall'ISO intende definire gli standard di qualità nell'erogazione del servizio di pianificazione
personale. La ISO 22222:2008 è quindi applicabile anche a promotori finanziari, mediatori
creditizi, nonché a tutti gli intermediari finanziari (banche, società assicurative, sim)