9
Premessa.
In materia di diritti fondamentali dell’uomo la compiuta integrazione fra
ordinamento nazionale e sistema giuridico internazionale rappresenta la nuova frontiera
della giustizia penale italiana.
Ciò a cui si aspira oggi è, per l’appunto, un ordinamento giuridico fortemente
integrato e biunivoco, ove gli organi statali nazionali si confrontino con quelli
sovranazionali, comunitari e convenzionali (in particolare), contribuendo in tal modo
alla salvaguardia nonché allo sviluppo delle garanzie e dei diritti fondamentali
dell’uomo.
Nel presente lavoro si è analizzato un particolare aspetto del predetto percorso di
integrazione intrapreso dagli interpreti italiani del diritto, identificabile nella
problematica concernente l’ottemperanza alle decisioni definitive della Corte di
Strasburgo che accertino la violazione dei diritti dell’uomo da parte delle autorità statali
in un procedimento penale, conclusosi con una sentenza o un decreto irrevocabile di
condanna.
Dapprima, adottando principalmente un punto di vista sovranazionale, si sono
messe in luce le principali caratteristiche della più imponente organizzazione
internazionale regionale del mondo, il Consiglio d’Europa, nonché del più noto e
rilevante dei trattati adottati in seno ad essa: la Convenzione Europea per la
salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, ponendo l’accento, in
particolare, sul meccanismo di protezione dei diritti umani ivi operante.
Successivamente, l’angolo di osservazione si è spostato sull’ordinamento
nazionale, focalizzando l’attenzione sulle iniziative normative introdotte dal legislatore
allo scopo di adempiere alle richieste provenienti dagli organi della Convenzione di
Roma, nonché sui diversi tentativi interpretativi messi in atto dalle autorità
giurisdizionali – di merito e di legittimità – al fine di garantire primariamente, in
assenza di un istituto processuale ad hoc, il ristoro del pregiudizio subito dall’individuo
le cui garanzie convenzionali sono state violate.
In assenza di un intervento legislativo, tali espedienti dei giudici interni di
effettuare un bilanciamento fra valori di rango costituzionale, quali la certezza del
diritto espressa nel giudicato ed il rispetto dei diritti umani così come discendente dagli
10
obblighi internazionali, si sono rivelati – a giudizio di chi scrive – in contrasto con il
principio di legalità processuale e, quindi, di tassatività dei casi e dei mezzi di
impugnazione.
Ad un primo soddisfacente approdo, seppur dal carattere temporaneo, si è giunti
nell’aprile del 2011, quando la Corte costituzionale, con la sentenza n. 113, ha
dichiarato incostituzionale l’art. 630 c.p.p. nella parte in cui non consente la revisione
del processo quando sia necessaria per conformarsi, ex art. 46, par. 1 CEDU, ad una
sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Il giudice interno può finalmente riportare allo status quo ante la violazione il
ricorrente vittorioso a Strasburgo. Il procedimento di riapertura, però, non rimarrà senza
difficoltà, in quanto la mancanza di una regolamentazione normativa dell’istituto
potrebbe comportare tanto un atteggiamento di self restraint da parte delle corti
nazionali – data la materia oggetto d’interpretazione, dominata dal principio di legalità –
con il conseguente rischio di non raggiungere la restitutio in integrum dell’individuo
leso, quanto l’evenienza opposta, in cui i giudici interni disapplicano le norme
codicistiche perché non compatibili con la ratio della “revisione europea”, andando
anche oltre quanto basterebbe per ottemperare alla pronuncia della Corte EDU.
Una siffatta regolamentazione deve assolutamente discendere da un intervento
sistematico ed organico del Parlamento; in proposito, nell’ultimo decennio sono stati
presentati numerosi progetti di legge, rivelatisi però tutti fallimentari.
Senza alcun dubbio tale decisione costituzionale rappresenta un notevole passo
in avanti dell’ordinamento italiano in direzione di un pieno rispetto dei diritti
fondamentali dell’uomo nonché, in un ottica di più ampio respiro, verso quella
auspicata integrazione fra ordinamento nazionale e sovranazionale. Ciononostante,
l’intervento del legislatore in tale àmbito resta pur sempre necessario ed urgente, in
quanto in tema di tutela di garanzie e di diritti fondamentali nulla può essere lasciato al
caso.
12
CAPITOLO I
LA CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
E DELLE LIBERTÀ FONDAMENTALI
SEZIONE I
LA CEDU NELL’ORDINAMENTO ITALIANO E SOVRANAZIONALE
1. Il Consiglio d’Europa.
L’idea di costituire, al termine della seconda guerra mondiale,
un’organizzazione sovranazionale volta ad unire i Paesi dell’area europea è da
individuare nella proposta francese formulata nel luglio del 1948 in seno
all’Organizzazione del Patto di Bruxelles del 17 marzo 1948, la quale vedeva come
aderenti la Francia, la Gran Bretagna e i tre Paesi del Benelux (ossia il Belgio, i Paesi
Bassi e il Lussemburgo).
La miccia è stata accesa: in poco meno di un anno, il Comitato di studio per
l’Unione europea – istituito dal Consiglio consultivo dell’Unione Europea Occidentale
(di seguito UEO), e che dal 1954 si sostituirà all’Organizzazione del Patto di Bruxelles
– e la Commissione permanente dell’UEO elaborarono le proposte esaminate negli
ultimi giorni del gennaio ’49, a Londra, in una riunione che vide presenti i Ministri
degli esteri dei cinque Paesi suddetti. È in questo importante summit che si decise di
creare un “Consiglio d’Europa” con sede a Strasburgo, oltre a convocare una successiva
Conferenza degli ambasciatori alla quale parteciparono anche la Danimarca, l’Irlanda,
l’Italia, la Norvegia e la Svezia.
Il 28 marzo 1949 i rappresentanti dei dieci Stati lavorarono a un progetto di
“Statuto del Consiglio d’Europa”, il quale fu firmato, sempre nella città londinese, il 5
maggio seguente
1
.
Vi è da notare che ai dieci Stati membri fondatori del Consiglio si aggiunsero,
fin dalla prima sessione dell’Assemblea, anche la Grecia e la Turchia (che per ragioni
procedurali non furono ammesse a partecipare alla Conferenza di Londra); dopo un
1
Cfr. V. GREMENTIERI, voce Consiglio d’Europa, in Digesto delle discipline pubblicistiche, IV
a
edizione,
Utet, Torino, 1989, p. 415 ss. Cfr. anche A. SACCUCCI, voce Consiglio d’Europa, in Dizionario di diritto
pubblico, diretto da S. Cassese, Giuffrè, Milano, 2006, p. 1310 ss.
13
anno, a seguito di approvazione parlamentare interna, anche l’Islanda aderì al
Consiglio
2
.
Lo Statute of the Council of Europe
3
, entrato in vigore il 3 agosto 1949, ha
permesso al Consiglio d’Europa di cominciare ad operare già dal successivo 8 agosto,
giorno in cui ebbe luogo la prima riunione del Comitato dei Ministri.
Numerosi sarebbero i temi da trattare – in maniera approfondita – per dare una
non banale configurazione dell’istituzione “Consiglio d’Europa” ma, purtroppo, in
questa sede si dovrà sorvolare su molti punti.
Cercando di essere il più sintetico ma, allo stesso tempo, il più esauriente
possibile sui temi che ci aiuteranno a comprendere il nucleo principale di questo lavoro,
non ci si può sottrarre dal trattare degli scopi statutari o, se vogliamo, “costituzionali”
del Consiglio d’Europa, degli strumenti atti a raggiungere tali scopi e, in particolare, del
più noto e rilevante dei più di 200 trattati adottati in seno all’organizzazione
internazionale de qua: la Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti
dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (d’ora in poi CEDU, Convenzione europea o di
Roma, ovvero solo Convenzione); per finire, sarà analizzata la Corte europea dei diritti
dell’uomo (in seguito Corte EDU, Corte di Strasburgo o Corte europea), organo
“principe” del Consiglio.
Lo Statuto
4
, grundnorm del Consiglio d’Europa, nel capitolo 1, all’art. 1, si
occupa dei fini dell’organizzazione.
Nella lett. a) di tale articolo è sancito che «The aim of the Council of Europe is
to achieve a greater unity between its members for the purpose of safeguarding and
realising the ideals and principles which are their common heritage and facilitating
2
Basti qui ricordare che, al gennaio 2012, i paesi membri del Consiglio d’Europa sono ben 47.
Grande impulso all’adesione al Consiglio d’Europa diede la caduta del muro di Berlino nel 1989,
simbolo del crollo dei regimi comunisti nell’Europa centro-orientale oltre che della dissoluzione
dell’Unione Sovietica e della Jugoslavia. Obiettivo principale di tale nuova ondata d’integrazione fra gli
Stati fu quello di consolidare i principî democratici sui quali i Paesi dell’ex blocco socialista
cominciavano ad affacciarsi. Riportando quest’evento si vuole soprattutto evidenziare, come si vedrà
infra, la funzione di democratizzazione del Consiglio.
Ad oggi, gli unici Paesi europei non facenti parte della più importante organizzazione
internazionale regionale europea sono la Repubblica di Belarus e la Santa Sede (quest’ultima, però, ha lo
status di osservatore dal 1970).
3
L’Italia ha dato «piena ed intera esecuzione» allo Statuto del Consiglio d’Europa con la l. 23 luglio
1949, n. 433.
4
Lo Statuto del Consiglio d’Europa è disponibile presso il sito internet: http://www.conventions.coe.int.
14
their economic and social progress». Qui si specifica quello che può definirsi il fine
primario del Consiglio, in parte anche accessorio agli altri obiettivi e consistente nel
conseguimento di una più stretta unione fra i membri stessi dell’Organizzazione. Esso è
configurabile come un primo tentativo politico (avente alla base un ampio movimento
di opinione pubblica) d’integrazione europea, nel quadro delle relazioni internazionali
scaturenti dalla devastante esperienza della seconda guerra mondiale
5
.
Successivamente, sono riscontrabili due fini secondari, identificabili nella
salvaguardia e nel promovimento degli ideali e dei principî costituenti il comune
patrimonio degli Stati membri nonché nell’agevolazione del loro sviluppo economico e
sociale.
Costituenti le basi di tutte le autentiche democrazie, i principî supra richiamati
sono racchiusi nel preambolo del testo statutario del Consiglio. Essi riflettono, oltre alle
preoccupazioni, anche l’oggetto dell’organizzazione medesima (e in seguito della stessa
CEDU)
6
e sono sintetizzati in tre concetti fondamentali: libertà personale (individual
freedom), libertà di espressione politica (political liberty) e Stato di diritto (rule of law).
Quest’unione di Stati richiamata nell’art. 1 dello Statuto e “figlia minore”
dell’idea degli United States of Europe – preconizzata da Winston Churchill nel suo
discorso al Politecnico di Zurigo il 21 settembre 1946 – è oggi formata da più di 800
milioni di persone e una delle sue caratteristiche principali è quella della valorizzazione
dell’identità e della diversità culturale in Europa. In tale contesto si ragiona non in
un’ottica di eliminazione delle differenze ma di valorizzazione di quest’ultime,
tendendo alla realizzazione di quella “casa comune europea” alla quale si riferì il poi
premio Nobel per la pace Michail Gorbačëv, nel luglio del 1989, in un suo noto discorso
pronunciato dinanzi all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa
7
.
Alla lett. b) – sempre dell’art. 1 dello Statuto – è subito evidenziato chi ha il
compito di dare impulso all’azione dell’organizzazione al fine di raggiungere gli
obiettivi poco sopra esposti. Tale dovere è assegnato agli organi del Consiglio e quindi,
in breve, al Comitato dei Ministri
8
(di seguito, Comitato), all’Assemblea consultiva (la
5
Cfr. V. GREMENTIERI, voce Consiglio d’Europa, cit., p. 416.
6
Cfr. F.J. JACOBS, R.C.A. WHITE, The European Convention on Human Rights, II edition, Clarendon
Press, Oxford, 1996, pp. 3-4.
7
V. M. GORBACIOV, La casa comune europea, Milano, 1989, pp. 210-215.
8
Il Comitato dei Ministri è uno dei tre organi del Consiglio – insieme all’Assemblea consultiva e al
Segretariato generale – previsto direttamente dallo Statuto (art. 10). La sua disciplina risiede
15
quale dal febbraio 1994 è chiamata “parlamentare”)
9
, al Segretariato generale
10
e ad altri
numerosi organi non previsti dallo Statuto quali il Commissario per i diritti umani
11
, il
Congresso dei poteri locali e regionali
12
e la Corte EDU
13
.
Continuando nell’analisi della disposizione statutaria in commento, si constata
che tali organi operano mediante la discussione di argomenti d’interesse collettivo, di
accordi e di azioni comuni concernenti la materia economica, sociale, culturale,
scientifica, giuridica e amministrativa, e tramite la tutela e l’ulteriore sviluppo dei diritti
umani e delle libertà fondamentali. Com’è specificato nella lett. d), non rientrano nel
raggio d’azione del Consiglio le questioni concernenti la difesa nazionale, da intendersi
in senso restrittivo con riferimento agli aspetti strettamente militari
14
.
Tracciati per sommi capi i confini della vasta competenza ratione materiae del
Consiglio d’Europa, è rilevante notare come quest’ultimo non ha il potere di adottare
atti aventi effetti vincolanti nei confronti degli Stati membri, diversamente dall’Unione
Europea (almeno per quanto riguarda i regolamenti e, in una certa misura, le direttive,
principalmente nel capitolo IV dello Statuto, dall’art. 13 all’art. 21. Oltre ad essere dotato di un notevole
peso politico-decisionale, essendo composto da un rappresentante per ciascuno Stato membro (il Ministro
degli affari esteri o un suo sostituto, in caso d’inadempimento del primo), il Comitato ha anche un ruolo
rilevante ai fini dell’esecuzione delle sentenze della Corte EDU. V. infra cap. I, sez. II.
9
L’Assemblea è disciplinata nel capitolo V dello Statuto, dall’art. 22 all’art. 35.
Essa si compone dei rappresentanti di ogni Stato membro eletti fra (o da) i membri dei
Parlamenti interni, in base ad una procedura da questi stabilita. Per l’Italia, l’art. 3 della l. 23 luglio 1949,
n. 433 stabilisce che i 18 membri ordinari (e i 18 supplenti) sono eletti dalle due Camere fra i propri
componenti. L’art. 23 dello Statuto prevede che l’Assemblea può trattare ed elaborare raccomandazioni
riguardanti tutte le materie incluse nel fine e nell’àmbito del Consiglio, o che comunque si riferiscano alla
stessa Organizzazione ma, in quest’ultimo caso, solo in presenza di una specifica richiesta del Comitato.
10
Il Segretariato generale è regolato dal capitolo VI dello Statuto (artt. 36 e 37); il suo compito è di
assistere il Comitato e l’Assemblea nell’esercizio delle loro funzioni. Esso è composto dal Segretario
generale e dal Segretario generale aggiunto, oltre ai membri dello staff che viene designato dal Segretario
generale medesimo. Il loro mandato dura cinque anni e sono eletti dall’Assemblea su raccomandazione
del Comitato.
11
Il Commissario per i diritti umani è stato istituito dalla Res (1999) 50 del Comitato dei Ministri.
Inizialmente inteso come «un’istanza non giudiziaria incaricata di promuovere l’educazione, la
sensibilizzazione ai diritti umani e il loro rispetto», con l’entrata in vigore nel giugno del 2010 del
Protocollo n. 14 alla CEDU – per il quale l’Italia ha autorizzato la ratifica ed ordinato l’esecuzione con la
l. 15 dicembre 2005, n. 280 in tema, per l’appunto, di «ratifica ed esecuzione del Protocollo n. 14 alla
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali emendante il sistema di
controllo della Convenzione, fatto a Strasburgo il 13 maggio 2004» – la figura di tale organo ha subito un
notevole rafforzamento. Su tutti, gli è stato attribuito, ex art. 36, par. 3 CEDU, un vero e proprio diritto
d’intervento «alle udienze in tutte le cause all’esame di una Camera o della Grande Camera».
Tutte le risoluzioni del Comitato dei Ministri sono consultabili al sito internet ufficiale del detto
organo: http://www.coe.int/t/cm/home_en.asp, oppure sul database della pronunce della Corte EDU:
http://www.echr.coe.int/echr/en/hudoc/.
12
Il Congresso dei poteri regionali e locali è stato istituito dalla Res (94) 3 del Comitato dei Ministri.
13
La Corte EDU è stata istituita dall’art. 19 della CEDU. V. più ampiamente infra.
14
In questo senso A. SACCUCCI, voce Consiglio d’Europa, cit., pp. 1312-1313.
16
fonti del diritto dell’Unione europea previste entrambe dal nuovo art. 288 del Trattato
sul funzionamento dell’Unione europea)
15
; il Consiglio d’Europa può adottare
solamente atti c.d. di soft law, come risoluzioni o raccomandazioni, che tendono per la
maggior parte ad un’opera di armonizzazione del diritto interno degli Stati membri
16
.
Oltre all’adozione di quest’ultimi, una fondamentale funzione del Consiglio
d’Europa è quella riguardante la predisposizione e il promovimento di convenzioni,
soprattutto in materia di diritti umani e di procedura penale (per citare solo le più
recenti, la Convenzione per la protezione dei bambini contro lo sfruttamento e gli abusi
sessuali del 2010 e la Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca
dei proventi di reato e sul finanziamento del terrorismo del 2008)
17
.
Ed è proprio tale ultima funzione del Consiglio d’Europa che costituisce l’intero
banco di prova del sistema sovranazionale venutosi a creare in Europa nel secondo
dopoguerra. In particolare, ci si riferisce ad una delle convenzioni adottate in seno al
Consiglio d’Europa, la CEDU, costituente una delle più avanzate forme di tutela
giuridica a livello internazionale
18
, e attraverso cui si è potuto creare il sistema di
protezione dei diritti umani avente maggiore successo nel mondo intero (tant’è che
all’esperienza europea si è direttamente ispirata, per esempio, la Convenzione
americana sui diritti dell’uomo – nota anche come Patto di San José – entrata in vigore
nel 1978 .
2. Lineamenti sul sistema di tutela dei diritti fondamentali istituito dalla CEDU.
Con la l. 4 agosto 1955, n. 848
19
si è autorizzato il Presidente della Repubblica a
ratificare la Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle
15
I testi normativi dell’Unione europea sono reperibili al sito:
http://europa.eu/documentation/legislation/index_it.htm.
16
Così A. SACCUCCI, voce Consiglio d’Europa, cit., pp. 1312-1313.
17
Tutte le Convenzioni elaborate nell’àmbito del Consiglio d’Europa sono reperibili al sito internet:
http://www.conventions.coe.int.
18
In questi termini M. JANIS, R. KAY, A. BRADLEY, European human rights law, Text and Materials,
Clarendon press, Oxford, 1995, p. 3.
19
L’art. 1 della suddetta legge dispone che il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare la
CEDU; nell’art. 2 è presente il rispettivo ordine di esecuzione, come d’uso nei procedimenti speciali di
adattamento (anche detti procedimenti mediante rinvio), qual è utilizzato in questo caso.
È da rilevare che secondo B. CONFORTI, Diritto internazionale, VIII
a
edizione, Es, Napoli, 2010,
p. 309, tale procedimento di adattamento del diritto interno al diritto internazionale, dal punto di vista di
quest’ultimo, «è di gran lunga quello preferibile» in quanto si evitano interpretazioni erronee con
efficacia erga omnes e, in ogni caso, sarà in miglior modo assicurata l’esatta interpretazione della norma
17
Libertà fondamentali
20
, adottata a Roma il 4 novembre 1950 ed entrata in vigore per
l’Italia il 26 ottobre 1955, giorno in cui è stato effettuato il deposito degli strumenti di
ratifica presso il Segretario generale del Consiglio d’Europa.
Il sistema integrato di protezione dei diritti fondamentali operativo nel sistema
europeo è articolato su tre livelli
21
ed è configurabile come una “rete” o, meglio, come
più “reti” sovrapponibili, nelle quali la protezione dalla violazione di un diritto che non
trova soddisfazione ad un livello viene cercata, sussidiariamente, nella “rete”
sottostante. La CEDU e la Corte EDU formano solo uno di questi tre livelli; i restanti
due, quello comunitario e quello nazionale, sono costituiti rispettivamente dalla Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione europea oltre che dalla giurisprudenza della Corte
di giustizia dell’Unione europea e dal dettato normativo domestico di ciascuno Stato
22
.
convenzionale. Per l’Autore è da preferire, invece, il procedimento ordinario di adattamento quando la
norma internazionale non è self-executing.
A proposito del procedimento ordinario, e quindi d’incorporazione nell’ordinamento interno
(con o senza riformulazione) del testo convenzionale tout court, v. F.J. JACOBS, R.C.A. WHITE, The
European Convention, cit., pp. 15-16, i quali rilevano che alcuni Autori hanno sostenuto la presenza di un
dovere – da parte degli Stati membri – di incorporare nel diritto interno la CEDU.
Diversamente da queste opinioni, nel suo intervento romano del 2 novembre 1990, l’allora
presidente della Corte di Strasburgo Rovl Ryssdal parlò dell’incorporazione nei seguenti termini:
«Incorporation of the Convention into domestic law, as known in many States, is one of the most effective
means of reducing the need for recours to Strasbourg»; quindi, la riduzione dei ricorsi a Strasburgo è qui
considerata come conseguenza dell’atto interno statale d’incorporazione del testo convenzionale. Ciò in
quanto, come specificherà il presidente Ryssdal in altri suoi successivi interventi, da un lato si fornisce
un’opportunità alle corti nazionali di tener conto della Convenzione e del case-law della Corte EDU
prima che questa si pronunci sullo stesso caso e, dall’altro, si permette di dare agli stessi organi europei la
possibilità di conoscere l’opinione e l’interpretazione che le corti nazionali danno della CEDU nel
risolvere i casi concreti che si presentano dinanzi ad esse. Il tutto in una prospettiva di dialogo, strumento
necessario in questo cruciale contesto.
20
Come si legge nella nota d’apertura ad A. SACCUCCI, Revisione dei processi in ottemperanza alle
sentenze della Corte europea: riflessioni dei iure condendo, in Dir. pen. proc., 2002, p. 247, il Consiglio
d’Europa ha disposto, accogliendo una raccomandazione dell’Assemblea parlamentare del 1998, che il
titolo del testo italiano della CEDU si sarebbe dovuto riferire ai «diritti umani» («human rights» della
versione anglosassone) e non ai «diritti dell’uomo», superando così, definitivamente, la concezione
originariamente maschilista di una tematica piuttosto legata alla natura umana. Come afferma l’Autore, di
certo non si tratta di un’innovazione epocale; ciononostante, si pone in un’ottica di ammodernamento
formale, esigenza, quest’ultima, non meno sussistente di quella sostanziale.
Al gennaio 2012 tale richiesta dell’Assemblea del Consiglio non risulta esser stata soddisfatta
dallo Stato italiano.
21
Cfr. D. TEGA, L’ordinamento costituzionale italiano e il “sistema” CEDU: accordi e disaccordi, in La
Convenzione europea dei diritti dell’uomo nell’ordinamento penale italiano, a cura di V. Manes e V.
Zagrebelsky, Giuffrè, Milano, 2011, pp. 193-194.
22
Come scritto, la metafora della rete è quella utilizzata generalmente dagli interpreti per descrivere il
sistema europeo contemporaneo di protezione dei diritti fondamentali dell’uomo, meglio noto come
“sistema di protezione multilivello”.
Si vuole in questa sede cominciare ad “abbozzare” l’idea di un “piramide”, da sostituire a quella
della “rete”, come metafora raffigurante tale sistema: alla base di tale piramide si pongono le
Costituzioni, le legislazioni e le Corti nazionali che tutelano i diritti dell’individuo; al “piano” centrale,
quello comunitario, è presente il sistema di protezione dei diritti fondamentali dell’uomo costituito dalla
18
Con l’apertura alla firma degli allora tredici Stati membri del Consiglio
d’Europa il 4 novembre 1950 presso l’antico Palazzo Barberini in Roma ed il deposito
del decimo strumento di ratifica
23
, la CEDU è entrata in vigore sul piano internazionale
il 3 settembre 1953.
Può mettersi in luce come in materia sia presente un filo rosso che collega l’art.
3 dello Statuto del Consiglio d’Europa, il preambolo della CEDU e l’art. 1 di
quest’ultima. Iniziando dalla prima delle disposizioni qui richiamate, può notarsi come
già in questa sede venga specificato che ogni membro dell’Organizzazione deve
accettare i principî dello stato di diritto e del godimento dei diritti umani e delle libertà
fondamentali da parte di tutte le persone sottoposte alla propria giurisdizione. Questo
passaggio altro non è che un’ulteriore indicazione di come gli Stati debbano adoperarsi
per ottemperare al proprio onere di Alta parte del Consiglio d’Europa, i cui scopi sono
indicati – oltre che nell’art. 1 dello Statuto – anche, in parte, nel preambolo della
CEDU.
Venendo al preambolo, si vogliono preliminarmente dedicare poche righe alla
questione (ormai pacifica) della sua rilevanza ermeneutica per l’intero sistema
convenzionale
24
. Ciò si evince sia dalla prima giurisprudenza della Corte EDU
25
sia da
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dalla Corte di giustizia dell’Unione europea mentre
nel terzo ed ultimo livello opera la protezione giurisdizionale dei diritti e delle libertà fondamentali
offerta dalla CEDU. Distintivo di tale struttura è piuttosto il suo interno, nel quale una miriade di scale (le
opportunità di ricorso alle istanze nazionali o sovranazionali) permettono di “scendere e/o salire” dai
diversi livelli. Così com’è la situazione oggi, post-trattato di Lisbona, può affermarsi che alcune di queste
scale sono ancora inaccessibili (v. infra).
Ricorrere alla struttura piramidale per rappresentare il sistema europeo multilivello dei diritti
fondamentali ha due pregi: il primo consiste nel tenere conto di quali possano essere presumibili effetti
che l’adesione dell’Unione europea alla CEDU porterà in questa materia; in secondo luogo, la struttura
verticistica tende a conferire la parvenza di un maggior grado di certezza (quindi anche di efficacia ed
effettività) alla tutela dei diritti fondamentali. Potrà in prima istanza obiettarsi riguardo alla “chiusura”
della piramide e quindi ad un minor grado di protezione che essa può fornire rispetto ad un sistema
“aperto” come può essere quello delle “reti”. Ciò non deve spaventare, poiché la presenza delle “scale” al
suo interno garantisce comunque un non (apparente) inferiore grado di protezione.
23
Cfr. art. 59, par. 3 CEDU, che prevede l’entrata in vigore della Convenzione a seguito del deposito del
decimo strumento di ratifica.
24
V. G. CONSO, commento al Preambolo, in Commentario alla Convenzione europea per la tutela dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, a cura di S. Bartole, B. Conforti, G. Raimondi, Cedam,
Padova, 2001, p. 5.
25
Cfr. Corte EDU, 14 novembre 1960, Lawless c. Irlanda: «[…]in any democratic society, within the
meaning of the Preamble and the other clauses of the Convention, proceedings before the judiciary
should be conducted in the presence of the parties and in public […]».
Tutte le pronunce della Corte EDU sono disponibili presso il database:
http://www.echr.coe.int/echr/en/hudoc/.
19
quella successiva
26
ma anche, e soprattutto, dalla Convenzione sul diritto dei trattati,
adottata a Vienna nel 1969
27
. Se nei suoi due consideranda iniziali vengono richiamati
la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (proclamata dall’Assemblea generale
delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948) e i suoi fini, e nelle due osservazioni finali è
riaffermata l’importanza delle «libertà fondamentali che costituiscono le basi stesse
della giustizia e della pace nel mondo», è nella parte centrale del preambolo che vi sono
riportati il fine del Consiglio d’Europa
28
nonché uno dei mezzi per raggiungere detto
scopo: la salvaguardia e lo sviluppo dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
Con riguardo all’art. 1 della CEDU, esso è di vitale importanza per l’intero
sistema convenzionale. Nella sua formulazione garantisce – prevendendo che «le Alte
Parti contraenti riconoscono a ogni persona sottoposta alla loro giurisdizione i diritti e le
libertà enunciati nel Titolo primo della presente Convenzione» – che il catalogo di diritti
contenuto negli articoli costituenti il Titolo I, nonché quello previsto dai protocolli
addizionali, simile alla (e in parte modellata sulla) Dichiarazione Universale dei Diritti
dell’Uomo, non resti una mera dichiarazione d’intenti ma si trasformi in una serie di
obblighi per gli Stati che hanno ratificato la Convenzione
29
.
Occorre soffermarsi sul verbo usato nell’articolo in esame: «riconoscere»
30
. Tale
scelta prevalse al termine dei lavori preparatori rispetto all’alternativa originaria dell’
«undertake to secure», impegnando così gli Stati parte a garantire immediatamente i
diritti enunciati e non, semplicemente, ad adoperarsi per garantirli. La detta
formulazione non richiede soltanto che non sia ostacolata, da parte dello Stato e da un
26
Innumerevoli sono le sentenze della Corte di Strasburgo nelle quali si fa riferimento direttamente al
preambolo della Convenzione europea a fini ermeneutici. In particolare, rinvia al par. 3 del preambolo, la
sentenza della Corte EDU, 23 marzo 1995, Loizidou c. Turchia, par. 77.
27
La l. 12 febbraio 1974, n. 112 autorizza la ratifica e dà esecuzione alla Convenzione sul diritto dei
trattati adottata a Vienna il 23 maggio 1969.
La versione ufficiale del testo della Convenzione è disponibile in G.U. n. 111 del 30-4-1974 –
Suppl. Ordinario, p. 3 ss.
Nello specifico, l’art. 31 della presente Convenzione si dedica alla regola generale per
l’interpretazione specificando espressamente, al par. 2, l’importanza del preambolo in sede interpretativa
del diritto convenzionale internazionale.
A fini generali, per l’interpretazione delle norme convenzionali, la Corte EDU applica i criteri
ermeneutici previsti dall’ordinamento internazionale e codificati dalla Convenzione di Vienna del 1969,
in particolare nei suoi artt. 31-33. Cfr. Corte EDU, 21 febbraio 1975, Golder c. Regno Unito, par. 29,
Corte EDU, 6 febbraio 2003, Mamatkoulov e Abdurasulovic c. Turchia, par. 99.
28
Fine che s’identifica, come abbiamo appurato analizzando l’art. 1 dello Statuto, nel raggiungimento di
una più grande unione fra i suoi membri.
29
Cfr. F.J. JACOBS, R.C.A. WHITE, The European Convention, cit., p. 15.
30
«Shall secure» nella versione ufficiale del testo convenzionale in lingua inglese e «reconnaissent» in
quella francese.
20
punto di vista individuale, la possibilità effettiva di ogni persona
31
– senza alcuna
discriminazione
32
– d’invocare i diritti tutelati dalla CEDU dinanzi ad un’istanza
nazionale
33
, ma per giunta obbliga lo Stato stesso ad un comportamento positivo
consistente nella prevenzione e nella repressione dell’attività di individui che incidano
sul godimento dei diritti da parte di altri individui
34
. Altresì, l’enunciato in commento
comporta che (sia o no incorporato il testo convenzionale nel diritto interno statale
35
, a
rilevare è soltanto il fatto che i diritti siano pienamente e sostanzialmente tutelati
secondo le modalità previste dalla Convenzione
36
) lo Stato sia responsabile – da un
punto di vista che, differentemente dall’ipotesi precedente, si potrebbe definire pubblico
– per le violazioni della CEDU come queste possano concretarsi non solo a seguito di
una legislazione incompatibile con la stessa, ma anche attraverso atti contrastanti ad
essa realizzati da tutte le autorità pubbliche statali (comprese quelle governative e le
corti)
37
.
Riassumendo, sullo Stato incombe l’obbligo di assicurare che la sua legislazione
domestica sia compatibile con la Convenzione (e, diversamente, dovrà adoperarsi per
raggiungere tale scopo)
38
oltre a quello di adottare ogni comportamento attivo volto a
raggiungere gli obiettivi della medesima.
31
È da rilevare che con la suddetta espressione la Convenzione vuole tutelare non solo i cittadini dello
stesso Stato membro (v. però alcune disposizioni in tal senso come, ad esempio, l’art. 3, par. 2, del
Protocollo aggiuntivo n. 4), ma anche tutti coloro che “entrano in rapporto” col medesimo.
Sotto un altro profilo, l’art. 1 CEDU, in combinato disposto con l’art. 34 CEDU, permette di
considerare come “persona” sia quella fisica che quella giuridica.
32
Come richiede l’art. 14 CEDU, il quale statuisce che: «Il godimento dei diritti e delle libertà
riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in
particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle
di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la
nascita od ogni altra condizione».
33
Cfr. art. 13 CEDU.
34
V. in questo senso G. DI GAJA, commento all’art. 1, in Commentario alla Convenzione europea, cit.,
pp. 23-24. Cfr. anche Corte EDU, 18 gennaio 1978, Irlanda c. Regno Unito, par. 239.
35
Ex multis, Corte EDU, 27 settembre 1995, McCann e altri c. Regno Unito, par. 153.
36
In questi termini, Corte EDU, 28 ottobre 1994, Margaret Murray c. Regno Unito, par. 68.
37
V. più dettagliatamente F.J. JACOBS, R.C.A. WHITE, The European Convention, cit., p. 17.
38
V. Commissione, D 214/56, De Becker c. Belgio, in Yearbook HR, 1958-1959, p. 214 ss. La
Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo sarà esaminata più approfonditamente quando si tratterà il
tema della tutela giurisdizionale in àmbito CEDU (e quindi anche delle istituzioni ad essa preposte).
Basti qui ricordare che detto organo era previsto dall’art. 19 CEDU nella sua versione originaria,
insieme alla Corte EDU (tale versione è consultabile in G.U. n. 221 del 24-9-1955, p. 3372 ss.). La sua
funzione principale consisteva nel “filtrare” i ricorsi, sia interstatali che individuali; inoltre, poteva
adottare un rapporto sul merito della controversia, poi trasmesso automaticamente al Comitato, facendo
scattare così il termine di tre mesi per adire la Corte.
Nel novembre 1998, con l’entrata in vigore del Protocollo n. 11 alla CEDU, la Commissione e la
Corte EDU (così come fino ad allora esistente) sono state sostituite da una Corte EDU permanente.
21
Posto che gli Stati membri hanno il dovere ex art. 1 di riconoscere ad ogni
persona i diritti elencati nella CEDU, e che i meccanismi di enforcement della
Convenzione sono sussidiari a quelli di protezione dei diritti fondamentali nazionali
(cfr. art. 35 CEDU, v. infra), ne consegue che – al fine di avere un sistema di tutela dei
diritti fondamentali che aspiri ad essere effettivo – dovrà configurarsi un dovere da parte
dello Stato di fornire un rimedio, per l’appunto effettivo, all’interno del proprio
ordinamento
39
. Ed è bene precisare fin da ora che la sussidiarietà implica una maggiore
responsabilità in materia degli Stati membri (e dei loro giudici in modo particolare), e
non un indebolimento del sistema giuridico europeo
40
.
Venendo all’esame del corpo della Convenzione, il Titolo I (artt. 2-18) può
essere suddiviso, in ragione del contenuto dei suoi articoli, in due parti: la prima (artt. 2-
12) contenente i diritti e le libertà “sostanziali” oggetti di tutela da parte della
Convenzione e la seconda (artt. 13-18) contenente, invece, disposizioni funzionali – ma
non secondarie – alle prime.
Il diritto ad un ricorso effettivo
41
è uno dei diritti (processuali)
42
che devono
essere garantiti dagli Stati contraenti ad ogni persona
43
. Esso fornisce non una garanzia
generale circa l’effettività del ricorso per violazione dei diritti tout court, ma si riferisce
– esplicitamente – solo a quelli «riconosciuti nella presente Convenzione»
44
.
39
Cfr. F.J. JACOBS, R.C.A. WHITE, The European Convention, cit., p. 335.
40
In questo senso, V. ZAGREBELSKY, Corte, convenzione europea dei diritti dell’uomo e sistema europeo
di protezione dei diritti fondamentali, in Foro it., V, 2006, c. 357.
41
La richiesta effettività può anche essere intesa come efficacia, ossia come idoneità a raggiungere lo
scopo. V. amplius A. PERTICI, R. ROMBOLI, commento all’art. 13, in Commentario alla Convenzione
europea, cit., p. 395.
42
Per un’interessante trattazione sulla stretta interdipendenza fra diritti sostanziali e diritti processuali e,
in particolar modo, sul rapporto di necessaria esistenza dei secondi per garantire l’attuazione dei primi
cfr. A. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Jovene, Napoli, 1994, p. 4 ss.
Cfr. ex multis Corte cost., sent. 11 febbraio 1999, n. 26, par. 3.1, in Giur. cost., 1999, p. 176 ss.
43
Avendo presente che l’art. 13 è una disposizione destinata ad essere completata da una (o più) delle
altre disposizioni convenzionali aventi carattere sostanziale, bisogna notare come il suo campo d’azione
ratione personae risulti ristretto rispetto a quello dell’art. 1 CEDU. Infatti, la violazione dell’art. 13 non
potrà essere oggetto di denuncia da parte di una persona giuridica per tutte quelle violazioni di diritti che
sono oggettivamente riconoscibili solo in capo ad una persona fisica (come, ad esempio, relativamente
all’art. 4, par. 1 CEDU secondo il quale «nessuno può essere tenuto in condizioni di schiavitù o di
servitù»).
44
Senza troppo soffermarsi sulla semantica delle diverse disposizioni, da una parte in lingua inglese e
francese e, dall’altra, in italiano, rileva osservare che l’art. 13 opera in quei casi dove la denuncia
concerne una violazione di uno dei diritti e delle libertà della Convenzione non ricompresi nell’epressione
«civil rights» o «droits […] de caractér civil» dell’art. 6, par. 1 CEDU, o anche dell’art. 5, par. 4 CEDU.
Peraltro, come specificato dalla giurisprudenza di Strasburgo in riferimento all’art. 5, par. 4 (v.
Corte EDU, 29 novembre 1988, Brogan e Altri c. Regno Unito, par. 68) o in riferimento all’art. 6, par. 1
(v. Corte EDU, 22 settembre 1994, Hentrich c. Francia, par. 65), una volta accertata la violazione di una