4
esigenze dell’intero territorio. Di fatto il vero porto di Roma, tra la tarda
repubblica e il primo secolo dell’impero, era situato nell’allora grande città di
Pozzuoli
2
. Qui si sviluppavano la maggior parte dei commerci provenienti dalle
province orientali del Mediterraneo e dalla Sicilia; in particolare, era questo il
porto d’arrivo della flotta granaria
3
inviata annualmente a Roma da Alessandria
d’Egitto, fra i principali granai dell’impero da quando Augusto rese l’Egitto una
2
Pozzuoli, anche dopo la costruzione del porto imperiale ostiense, rimarrà ancora per un bel
po’ di tempo la vera “porta d’oriente” del commercio di Roma – “[…] in particolare, dei
diversi rapporti che Roma ed Ostia sembrano intrattenere con l’Oriente – anche se per ora
indagati da un unico punto di vista, quello dell’approvvigionamento vinario – possono essere
ricostruite con precisione le cause storiche. Sappiamo che, sia per motivi legati alla
conformazione naturale della foce del Tevere e ai conseguenti limiti di ricettività che il porto
fluviale di Ostia non riuscì mai a superare, sia per i problemi di insabbiamento che afflissero
fin dalla sua costruzione il nuovo bacino di Claudio, ancora alla fine del I secolo d.C. la
“porta dell’Oriente” per Roma non era certamente Ostia, bensì Pozzuoli. Qui approdavano
la flotta granaria di Alessandria e, con ogni probabilità, il grosso delle altre merci che
dall’Oriente mediterraneo si riversavano su Roma, compresi quei contenitori vinari che già
sotto i Flavi, si è visto vi risultano attestati già in quantità notevoli” – cfr. Carlo Pavolini
“Mercato ostiense e mercato romano” in “Roman Ostia revisited”, edited by Anna Gallina
Zevi and Amanda Claridge, 1996, pag 229 ss.
3
“Non esisteva una marina mercantile pubblica; anche le flotte granarie di Alessandria e
Cartagine, e quella istituita più tardi da Settimio Severo per il trasporto dell’olio spagnolo,
erano convogli composti da navi di proprietà privata, cui lo Stato si limitava ad assicurare la
scorta militare. I bastimenti viaggiavano insieme per motivi di sicurezza e di eventuale mutuo
soccorso, e forse anche perché il poter disporre subito dell’insieme del prodotto annuale
facilitava le operazioni di controllo e di smistamento delle derrate in vista delle distribuzioni”
[…] “Se il grano veniva comprato dallo Stato direttamente nei centri di produzione il
contratto [con questi privati] concerneva solo il trasporto a Roma, e veniva perciò stipulato
con armatori e proprietari di navi (navicularii). Più spesso l’appalto riguardava l’intera
operazione, cioè l’acquisto del prodotto e il trasporto, e coinvolgeva perciò figure diverse,
mercanti (negotiatores, mercatores) e navicularii. Ma bisogna aggiungere che nella maggior
parte dei casi gli armatori erano anche commercianti, anzitutto in proprio, e per conto dello
Stato ogni volta che se ne dava l’occasione: non era escluso che gli stessi personaggi fossero,
al contempo, anche proprietari terrieri e produttori di frumento. Queste categorie assunsero
un’importanza decisiva, e soprattutto a partire dall’età di Claudio e Nerone si tese a legarle
in modo sempre più stretto allo Stato con vantaggiosi contratti pluriennali e con agevolazioni
fiscali, economiche e politiche di ogni tipo.” Cfr. Carlo Pavolini, Op. Cit., Bari, 1986 pag. 77
ss.
5
provincia romana; “il delicato compito del trasporto era affidato ad una flotta
appositamente istituita, con sede ad Alessandria, dove confluivano i raccolti.
Ben organizzata ed efficiente essa era in grado di muovere ogni anno quasi un
migliaio di navi che, isolate o in convoglio, coprivano il percorso diretto tra
l’Egitto e Roma nel minor tempo possibile per approfittare al massimo della
stagione estiva e dei venti favorevoli alla navigazione. […] Sappiamo infatti che
“la navigazione mercantile si svolgeva in un periodo obbligato dell’anno: fra
l’inizio di novembre e l’inizio di marzo si considerava infatti pericoloso
affrontare il mare, che veniva dichiarato chiuso (mare clausum). Anche a causa
di queste disposizioni l’arrivo del grosso dei rifornimenti di grano era un evento
che si ripeteva ogni anno ad una data più o meno fissa, che alcuni documenti
permettono di situare fra la fine di maggio e gli inizi di giugno
4
[…]”.“Dalla
velocità e dal buon esito della navigazione della flotta granaria dipendevano,
infatti, la regolarità dell’approvvigionamento e la tranquillità alimentare […]
della capitale dell’Impero, messa a dura prova quando carestie o situazioni
4
Cfr. Carlo Pavolini, Op. Cit., Bari, 1986 pag. 92 ss. – […] Ed era [l’arrivo della flotta] un
evento certo atteso con ansia, che mobilitava tutte le energie della città. In una lettera scritta
attorno al 65 d.C. Seneca descrive la generale eccitazione che si produceva a Pozzuoli, e
l’accorrere di tutta la popolazione sulle banchine quando le veloci imbarcazioni di scorta
incaricate dei collegamenti (tabellariae naves) annunciavano la flotta granaria di
Alessandria; senza dubbio, le stesse parole avrebbero potuto adattarsi benissimo alla Ostia
del II secolo.”
6
climatiche avverse di eccezionale durata impedivano l’arrivo delle navi
alessandrine, provocando speculazioni ed aumento dei prezzi
5
.
Il frumento veniva stivato nei capaci magazzini della città campana e quindi
gradualmente trasferito a Roma, su navi più piccole
6
in grado di risalire il
Tevere
7
, che costituiva una notevolissima eccezione in quanto a volume di
traffico rispetto agli altri fiumi navigabili dell’antichità, appunto per il suo ruolo
di collegamento con l’Urbe. A questo compito assolvevano vere e proprie
flottiglie con un numero elevatissimo di imbarcazioni e battelli di vario genere e
funzioni
8
, da quelli mossi per alaggio
9
, cioè trainati dalle rive da uomini e/o
5
Cfr. Piero Gianfrotta “Navi, flotte, porti e il viaggio per mare” in “Civiltà dei Romani. La
città, il territorio, l’impero” a cura di S.Settis, Electa, Milano, 1991, pag. 222
6
“[…] contenitori [vinari] a quel che sembra di poter dire dai dati stratigrafici quantitativi su
citati, in attesa di ulteriori conferme, non si fermavano se non in piccola misura ad Ostia, ma
da Pozzuoli raggiungevano direttamente l’ urbs, in parte certamente via terra, ma soprattutto
per mare, lungo la costa e il basso corso del Tevere. Ci è noto che per tale funzione si
utilizzavano imbarcazioni leggere, sulle quali veniva trasferito il carico delle grandi navi
onerarie, e che, a differenza di queste, erano in grado di risalire il fiume fino a Roma”. - cfr.
Carlo Pavolini “Mercato ostiense e mercato romano” in “Roman Ostia revisited”, edited by
Anna Gallina Zevi and Amanda Claridge, 1996, pag 229 ss.
7
Cfr. Piero Gianfrotta “Navi, flotte, porti e il viaggio per mare” in “Civiltà dei Romani. La
città, il territorio, l’impero” a cura di S.Settis, Electa, Milano, 1991, pp. 215-229
8
“La quantità di battelli impegnati nel trasporto del grano era impressionante. Se la città
assorbiva, come si è visto, una quantità media annua di 30.000.000 di modii (o 200.000 mila
tonnellate), era necessario, stimando in 250 tonnellate la portata media, il carico di più o
meno 800 navi; il numero, poi, delle naves caudicariae, dei battelli che risalivano con il
sistema dell’alaggio, il Tevere per portare a Roma il grano, doveva essere ovviamente ancora
più elevato.” Cfr.
Elio Lo Cascio “L’organizzazione annonaria” in “Civiltà dei Romani. La
città, il territorio, l’impero” a cura di S.Settispag. 244 ss.
9
Il sistema più usato , di conseguenza, era l’alaggio, cioè la trazione dei battelli sulle rive
mediante gomene azionate dalla forza umana (gli addetti si chiamavano helciarii) o da quella
animale. Il tragitto da Porto a Roma, con questo sistema, durava tre giorni. Gli studiosi
sostengono (ma senza prove precise) che nella piena età imperiale si utilizzassero soprattutto
7
animali, alle naves caudicariae di discrete dimensioni, ai lenunculi, alle lintres,
ai semplici traghetti
10
. Per il grosso dei traffici la via di terra era esclusa: nel
mondo antico i trasporti terrestri costavano incomparabilmente di più di quelli
marittimi tanto che “si è […] osservato come fosse più economico trasferire a
Roma il grano […] dalla Sicilia o dall’Africa, che, ad esempio, dalla Pianura
Padana.”
11
Per capire quanto fosse assolutamente concorrenziale il trasporto
marittimo rispetto a quello terrestre basterà notare come, al tempo
dell’imperatore Claudio, occorressero circa 375 carri (ogni carro poteva
trasportare un carico massimo di 400 kg) per trasportare il carico di una sola
nave di media stazza (nella quale si potevano caricare fino a 3000 anfore).
“Anche per la velocità il trasporto marittimo sopravanzava quello terrestre,
poiché un carro trainato da buoi si spostava ad una velocità media di circa 3 km
orari, mentre un’imbarcazione viaggiava spesso a velocità tre volte maggiori.
Plinio ad esempio ci narra (Naturalis Historia, XIX., 3-4) di una traversata da
schiavi, di cui c’era ampia disponibilità, e che solo nella tarda antichità – entrato in crisi il
sistema schiavistico – si sostituissero i buoi agli uomini. In effetti una descrizione dettagliata
dell’alaggio con buoi tra Porto e Roma, e dei motivi che sconsigliavano l’adozione di altre
tecniche di navigazione fluviale, si trova per la prima volta in Procopio, un autore dl IV
secolo d.C. che descrive la presa di Porto da parte dei Goti in guerra con Bisanzio. Cfr. Carlo
Pavolini, Op. Cit., Bari, 1986, pag. 106
10
“Alcuni scafi di imbarcazioni fluviali di varia grandezza sono stati trovati, all’inizio degli
anni Sessanta, durante gli sterri per la costruzione dell’Aeroporto di Fiumicino, nell’area
interrata del porto di Claudio”. Cfr. Piero Gianfrotta “Navi, flotte, porti e il viaggio per
mare” in “Civiltà dei Romani. La città, il territorio, l’impero” a cura di S.Settis, Electa,
Milano, 1991, pag. 222
11
Cfr. Elio Lo Cascio “L’organizzazione annonaria” in “Civiltà dei Romani. La città, il
territorio, l’impero” a cura di S.Settis, Electa, Milano, 1991, pag. 233 ss.
8
Ostia all’Africa compiuta in soli due giorni, con una velocità media quindi di
circa 6 nodi”.
12
I problemi del trasporto marittimo rimanevano comunque notevoli: a parte la
considerevole distanza, anche il cabotaggio lungo le coste del Lazio meridionale
non era privo di pericoli, dovuti alle frequenti tempeste e all’assenza di scali
intermedi. Insomma, è facile rendersi conto di come l’intero sistema fosse poco
affidabile, macchinoso e costoso e di come le esigenze dell’Urbe richiedessero
soluzione.
In età augustea Strabone scriveva: “Ostia è senza porto a causa
dell’insabbiamento operato dal Tevere […] Benché sia pericoloso per le navi
mercantili
13
ancorarsi al largo col mare agitato, tuttavia prevale la prospettiva
del profitto: infatti l’abbondante quantità di navi-appoggio che ricevono i
carichi e ne portano altri in cambio rende possibile alle navi di salpare in fretta
prima di avvicinarsi al fiume
14
; oppure, dopo esser state in parte alleggerite dei
12
Cfr. Maurizio Silenzi, “Il porto di Roma”, Newton, Roma, 1998, pag. 66 ss.
13
“La grande maggioranza delle navi mercantili, in ossequio ad una fondamentale ed ovvia
regola del commercio, organizzando i propri viaggi in base alle mutevoli opportunità del
mercato e delle stagioni, trasportava prodotti assai diversi e su percorsi che variavano di
volta in volta. Preoccupazione non trascurabile era sempre quella – che Plutarco fa
enunciare a Solone (22,1) – di assicurarsi preventivamente un carico di ritorno per rendere
più vantaggioso il viaggio. Di conseguenza, le caratteristiche delle navi dovevano essere tali
che lo spazio a bordo risultasse facilmente adattabile ad ogni tipo di mercanzia.” Cfr. Piero
Gianfrotta “Navi, flotte, porti e il viaggio per mare” in “Civiltà dei Romani. La città, il
territorio, l’impero” a cura di S.Settis, Electa, Milano, 1991 pag. 218
14
“Nei mesi in cui la navigazione era possibile il tratto di mare di fronte al lido ostiense
doveva offrire uno spettacolo di grande animazione. Un incessante andirivieni si svolgeva fra
9
loro carichi, esse fanno vela inoltrandosi nel Tevere e lo risalgono fino a
Roma”.
15
Il senso della recisa affermazione iniziale è chiarito dalla descrizione
che ne segue. Ostia non era priva di un porto in assoluto: era priva di un porto in
grado di accogliere navi di grande stazza che, da ogni parte del Mediterraneo,
convergevano verso Roma per rifornirla delle mercanzie più varie. Inoltre va
anche detto in aggiunta alle affermazioni di Strabone che anche nel caso in cui la
navi, alleggerite del carico, si fossero inoltrate lungo il Tevere “[… non è che la
navigazione fluviale fosse priva di pericoli. [questi erano] dovuti non solo ai
bassi fondali, all’insabbiamento o alle piene (che stando a Cicerone
costringevano ad interrompere i traffici a primavera), ma anche ad altri fattori,
tutti connessi con le caratteristiche naturali del corso del Tevere. La tortuosità
il porto fluviale e il mare aperto, dove le imbarcazioni minori erano impegnate non solo a
scaricare la merce delle navi onerarie, ma anche a rifornire queste ultime di viveri per il
viaggio di ritorno e di mercanzie da rivendere nei porti di destinazione. La descrizione
straboniana parla con chiarezza di navi-appoggio che ricevono i carichi e ne portano altri in
cambio, anche se tra l’età di Augusto – cui risale la stesura di questo passo – e il II secolo
d.C. molte cose erano cambiate […] e i carichi di ritorno che Ostia era in grado di fornire
alle navi che lasciavano il porto non riempivano ormai che una quota molto modesta dello
spazio disponibile nelle stive. Ma poiché i bastimenti non potevano viaggiare a vuoto, si
ricorreva alla zavorra, costituita da sabbia, pietre, ghiaia: gli zavorratori (saburrarii) erano
riuniti in un apposita corporazione, documentata a Porto.” Cfr. Carlo Pavolini, Op. Cit. ,
Bari, 1986, pag. 92 ss.
15
Cfr. Strabone, Geografia, V, 2, 5
10
di questo impediva alle navi di sfruttare una direzione costante del vento, che
sarebbe stata richiesta dalle vele quadrate allora in uso; e quanto ai remi, la
loro spinta era gravemente ostacolata dalla corrente contraria (se le
imbarcazioni , risalivano il fiume), e dai mulinelli improvvisi che hanno reso
pericolose le acque del Tevere in ogni tempo, fino ad oggi.”
16
A più riprese il potere centrale tentò di trovare soluzioni radicali e di ampio
respiro al problema
17
. Il progetto di un grande porto artificiale sul litorale
Tiberino sembra essere stato ideato per la prima volta già da Giulio Cesare
18
, al
quale però non sfuggirono le grandi difficoltà che incontrava il suo ardito
progetto; anzi Svetonio ci dice che: “… perfecit (Claudius)… portumque
16
Cfr. Carlo Pavolini, Op.Cit., Bari, 1986, pag. 106
17
“Per meglio capire l’importanza del porto di Roma, nonché le ragioni della sua
progettazione e realizzazione, occorrerà sviluppare una descrizione panoramica della storia
di Roma in relazione ai suoi scambi marittimi.
Inizieremo subito premettendo che, se è vero che la potenza militare marittima di Roma ebbe
origine dalla necessità di affrontare la potenza militare di Cartagine, è anche probabile che
la sua proiezione verso i traffici marittimi si dovette evidenziare già nei primi anni della sua
fondazione (ipotesi che assumiamo completamente).
Il Porto di Roma rappresenterebbe quindi l’elemento finale e più perfezionato a servizio di un
esigenza culturale e commerciale che sarebbe sempre stata presente, e avrebbe sempre
rivestito una grande importanza, nella civiltà romana.” Cfr. Maurizio Silenzi, Op.Cit.,
Newton, Roma, 1998, pag. 22 ss.
18
“a quanto sembra Giulio Cesare aveva fatto progettare radicali sistemazioni dell’alveo e
delle rive [del Tevere e dello scalo fluviale di Ostia],che però non vennero effettuate” cfr.
Mannucci – Verduchi, “Il parco archeologico naturalistico del porto di Traiano”, Metodo e
progetto, Roma, 1993, pag. 10
11
ostiensem, quamquam scirem … a divo Iulio saepius destinatum ac propter
difficultatem omissum.”
19
.
Molti studiosi ritennero di poter sostenere che quello stesso progetto venisse
studiato ed inizialmente attuato da Augusto, ma le tesi da essi addotte non sono
da considerarsi accettabili
20
.
Sappiamo con certezza però che Augusto iniziò una politica volta al
miglioramento delle strutture portuali dell’impero
21
; in quest’ottica approntò
miglioramenti al porto di Pozzuoli, fece impiantare porti militari a Misero e a
Ravenna e fece potenziare quello del Frèjus in Gallia. In questo piano rientrava
lo spostamento della flotta militare, che era di stanza alla foce del Tevere,
(importante avamposto militare durante la guerra con Cartagine) che fu collocata
appunto nel nuovo scalo militare di Capo Miseno. “Con la pax Augusta,
19
SUET., Claud., 20
20
Il Dessau (CIL.,XIV, p. 6, n 2) osserva che le parole che si leggono tra gli scolia ad Horat.,
Art. poet. 65: apud Ostiam civitatem Augustus mare irrumpens interclusit et aggere terrae et
lipidibus obstruxit portumque ibi fecit poggiano su quelle di Porfirio e non si debbono ritenere
per antiche: esse sono ritenute generalmente delle interpolazioni posteriori. Né può riferirsi a
Cesare Augusto l’appellativo “Augusti” aggiunto a Portus, nel quale appellativo ci imbattiamo
per la prima volta nelle monete di Nerone. Infine da quanto si legge presso il cronografo
dell’anno 354 (ed. MOMMSEN, p. 646): hoc (Ottaviano Augusto) imperatore navis
alexandrina primum in Portu Romano introivit, non deriva che quel Porto, che nel IV sec. d.C.
per lo più si chiamava Romanus, esistesse già sotto Augusto.
21
Cfr. Francesca Pasini, Insule e classi sociali ad Ostia tra I e II secolo”, Multigrafica
Editrice, Roma, 1978, pag. 29 – “[…] Il suo merito [di Augusto] sta nell’aver intuito la
necessità di dotare la capitale di un complesso portuale efficiente e nell’aver posto le
premesse per l’attuazione di questo piano. La scelta di separare in modo preciso Ostia da
Roma corrisponde anche alla necessità di poter attuare scelte più confacenti alla emergente
situazione economica senza che questo venisse ad intaccare i rapporti di equilibrio con la
classe aristocratica adottati a Roma.”
12
insomma, e con l’assunzione delle responsabilità del governo cittadino da parte
di una capace classe dirigente locale, Ostia era pronta ad assumere in pieno il
suo ruolo di città di traffici e di sobborgo portuale di Roma, frenata in questo
solo dai problemi tecnico-navali che la morfologia della foce del Tevere poneva
allo scalo fluviale”
22
come abbiamo visto.
Il vecchio progetto di Cesare incontrò dopo oltre un secolo i favori
dell’imperatore Claudio
23
, “il quale pare si compiacesse di affrontare le opere
più difficoltose lasciate intentate dai suoi predecessori
24
.” L’imperatore credeva
nella necessità di costruire un nuovo porto spinto sia dall’inadeguatezza di
quello alla foce del Tevere sia dall’esigenza pressante di rifornire di grano la
capitale, stretta da una carestia
25
. Claudio infatti: “… nihil non excogitavit ad
22
Cfr. Carlo Pavolini, Op.Cit., Bari, 1986 pag. 11 ss.
23
Il progetto di costruzione del porto di Ostia da parte di Claudio va, sicuramente, ad inserirsi
all’interno di un piano generale di lavori pubblici che vide aumentare in maniera notevole le
costruzioni. Gabriella Bodei Giglioni ci dice che : “Diminuite le costruzioni con Tiberio,
specialmente dopo il suo ritiro a Capri, scarse con Caligola, l’attività edilizia pubblica
riprende in grande stile con Claudio e, in particolare, con Nerone. Claudio concentra
migliaia di lavoratori per la costruzione del porto di Ostia (completato da Nerone e ampliato
da Traiano) in un’impresa tanto disperata, quanto necessaria, perché esso si insabbia
continuamente e Roma è costretta a dipendere per i suoi approvvigionamenti, soprattutto in
grano, dalla lontana Pozzuoli (canali navigabili a integrazione del complesso portuale
vengono realizzati da Claudio stesso e poi da Traiano, mentre Nerone inizia, senza portarlo a
termine, il grandioso progetto dello scavo di un canale navigabile dal lago di Averno ad
Ostia). Claudio realizza anche l’aqua Claudia e procede al prosciugamento del Fucino.”
Cfr. Gabriella Giglioli Bodei “Lavori pubblici ed evergetismo privato” in “Civiltà dei
Romani. La città, il territorio, l’impero” a cura di S.Settis, Electa, Milano, 1991, pag. 103
24
Cfr. Otello Testaguzza “Portus. Illustrazione dei porti di Claudio e Traiano”, Ed. Julia
Editrice, Roma, 1971, pag. 23
25
[…] è interessante sapere che tale progetto incontrò una forte opposizione da parte dei
tecnici che volevano dissuaderlo dall’impresa, esagerandone le difficoltà e le spese.
13
invehendos etiam tempore iberno commeatus. Nam et negotiatoribus certa lucra
proposuit suscepto in se damno, si cui quid per tempestates accidisset, et naves
mercaturae causa fabricantibus magna comoda constituit pro condizione
cuiusque.”
26
; ma consapevole del fatto che non avrebbe potuto risolvere il
problema degli approvvigionamenti soltanto con misure di tipo economico
27
in
un momento in cui una forte penuria di grano incombeva su Roma, propose al
Senato la creazione di un porto presso Ostia e ne decise l’apertura nonostante
avesse incontrato il parere decisamente contrario degli architetti
28
che tentarono
Malgrado ciò le considerazioni di carattere politico prevalsero, poiché l’imperatore, contro il
quale si era indirizzata l’ostilità popolare per il mancato approvvigionamento di cereali in un
momento di carestia, decise che qualunque sacrificio e qualunque difficoltà non dovevano
impedire il lavoro di costruzione di un porto che rendesse sicuro il vettovagliamento della
capitale in qualsiasi stagione dell’anno.” Cfr. Francesca Pasini, Op. Cit., Roma, 1978, pag.
29
26
SUET., Claud., 18
27
“Il grosso del grano importato per essere distribuito aveva, come abbiamo visto, lo status di
tassa di natura. Nella tarda età repubblicana, il grano proveniente da tasse e affitti era
raccolto da associazioni di agricoltori-esattori (publicani), cui lo Stato affidava per contratto
tale compito. Questo sistema di raccolta delle tasse venne meno gradualmente durante il
principato, e in ogni caso non fu mai adottato in Egitto, una delle principali province
esportatrici di grano. Ma le autorità statali non incrementarono la loro partecipazione attiva
alla raccolta del grano come tassa. Questa veniva lasciata a funzionari locali che la
effettuavano in ogni provincia come servizio pubblico gratuito, sotto la supervisione generale
del governatore della provincia. Non c’era poi una flotta mercantile statale che portasse a
destinazione il grano delle tasse e degli affitti. Questo compito era svolto da armatori privati
pagati dal governo. Era questa un’impresa proficua, resa più attraente dai termini
contrattuali favorevoli fissati dallo Stato: Claudio, per esempio, accordò l’esenzione della lex
Papia Poppaea (una legge augustea che penalizzava gli scapoli e le coppie senza figli) agli
armatori impegnati nel trasporto del frumento statale a Roma. Anzi, concesse loro la
cittadinanza romana e agevolazioni normalmente riservate ai genitori con tre figli. Cfr. P.
Garnsey - R. Saller, “Storia Sociale dell’Impero romano”, Laterza, Bari, 1989, pag. 106
28
La percezione della difficoltà dell’impresa doveva essere ampiamente diffusa se anche
Quintiliano afferma in Quintil., I. o., III, 8, 16: saepe enim accidet ut prius dicamus, ne si
possit quidam fieri, esse faciendum, deinde, fieri non posse. Cum autem de hoc quaeritur