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Ospedali psichiatrici giudiziari:
prospettive di un cambiamento
Introduzione
“ Chi non sente il suo mal, è tanto più malato”.
Pierre Corneille
La tematica degli ospedali psichiatrici giudiziari ha assunto, sin dalla
loro nascita, dei risvolti quasi polemici circa la loro esistenza e la loro
organizzazione. Il passaggio dai manicomi civili, o meglio, la chiusura
“ex lege” degli stessi che ha reso obbligato questo passaggio, ha creato
non pochi problemi non solo dal punto di vista meramente sociale,
organizzativo o politico, ma soprattutto dal punto di vista etico.
Problematiche e critiche che ancora oggi permangono senza nessun
effettivo cambiamento a distanza di decenni e che, probabilmente,
sono destinate ad accompagnare l‟intera esistenza di questi ospedali.
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Questa ricerca si pone il pretenzioso obiettivo di trovare una giusta
dimensione all‟istituto e, perché no, di suggerire una diversa
collocazione giuridica e sociale dei soggetti che, loro malgrado, sono
costretti a farne parte.
Si cercherà, inoltre, di andare a fondo alle critiche mosse dall‟opinione
pubblica agli ospedali psichiatrici giudiziari, attraverso un‟inchiesta
sugli scandali emersi recentemente in merito alle condizioni degli
internati e alla mancanza dei requisiti necessari per una vita dignitosa
che, in alcuni casi, sono del tutto assenti.
Infine, dopo un‟attenta analisi del progetto di legge e delle proposte di
riforma, si tenterà di individuare il punto di crisi nel sistema e gli
auspicabili e positivi cambiamenti che potrebbero discendere da una
corretta correzione dello stesso.
Probabilmente il progetto sembrerà troppo ambizioso, o peggio,
inverosimile, ma nasce da una precisa idea di svolta che ho potuto
maturare nel corso delle ricerche effettuate per redigere questa tesi: ho
scelto io stessa l‟argomento, spinta da una consapevole ignoranza sul
tema.
Durante il corso di studi da me frequentato, gli ospedali psichiatrici
giudiziari sono sempre rimasti una grande incognita che non andava al
di la della classificazione degli stessi all‟interno della categoria delle
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misure di sicurezza personali. Nessun libro ne approfondisce il tema e
questo, prima di sapere che uno dei sei ospedali della nazione si
trovasse proprio in provincia di Messina, non sollevava in me nessun
dubbio particolare.
La scoperta della vicinanza dell‟ospedale psichiatrico giudiziario di
Barcellona mi ha spinto a volerne sapere di più. Tuttavia, con grande
sorpresa (proprio perché si trattava di un argomento a me quasi del
tutto sconosciuto) ho scoperto che la situazione nella quale versano
questi istituti è tutt‟altro che positiva e comunque oggetto di molte
polemiche.
Non si vuole certo avere la pretesa di svolgere un lavoro di statistica o
di psichiatria: si vuole solo dare un punto di vista di non addetto ai
lavori, ovvero non professionale, per far luce su una problematica che
tutt‟oggi necessiterebbe di una riforma.
Da qui, la ricerca di una prospettiva diversa da cui possa generare una
realtà diversa: da qui, la voglia di conoscere e, utopicamente, di
cambiare.
“ Un corpo sano è per l’anima una camera
degli ospiti, un corpo malato, la sua prigione”.
Francis Bacon
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Capitolo I
La nascita e l’evoluzione degli
Ospedali Psichiatrici Giudiziari
Sommario: 1. L‟origine dei manicomi; 2. La svolta ottocentesca; 3. Il caso italiano; 4.
L‟esperienza codicistica; 5. Gli anni cinquanta e la scoperta degli psicofarmaci; 6. La
legge Basaglia e la sua “rivoluzione”; 7. La voglia di cambiare una triste realtà sociale; 8.
Legge Basaglia: attuazione reale o fittizia?; 9. La legge finanziaria del 2008; 10. La
situazione europea; 11. Gli ospedali psichiatrici giudiziari presenti in Italia.
“ Solo noi malati sappiamo qualcosa di noi stessi”
Italo Svevo
L‟intenzione che anima questo primo capitolo è quella di ripercorrere
la storia evolutiva degli Ospedali psichiatrici giudiziari, al principale
fine di comprendere se esistano alternative migliori o se sia possibile
attuare eventuali modifiche. Sono assolutamente convinta che uno
studio approfondito sulle singole strutture, che evidenzi quindi anche i
pro ed i contro delle stesse, sia il giusto punto di partenza di cui
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un‟attenta analisi sulle prospettive di modifica debba tener conto. È
infatti quasi impossibile suggerire nuovi spunti, seppur modesti, in
un‟ottica de iure condendo, se non si ha chiara la situazione evolutiva
di un fenomeno, come quello degli Opg, che ha creato molte discrasie
e ha generato i progetti di legge più disparati ma, purtroppo, mai
risolutivi.
Per questo, e solo per questo, si procederà a questo studio: per una
maggiore completezza di contenuti e di visuale.
L’origine dei manicomi
La nascita dei manicomi incontra come punto di passaggio obbligato
le teorie illuministiche sulla dignità umana che presero piede durante
il XIII secolo. Si fece strada l‟idea positivistica per eccellenza, ossia
che i diritti umani dovessero essere assicurati a tutti e non solo alle
classi più abbienti o al clero, ma soprattutto si sviluppò l‟idea che gli
ospedali dovessero essere un luogo di cura in cui il malato potesse
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trovare una sua dimensione ed in cui si potessero incontrare due
concetti chiave della medicina: la sperimentazione e l‟osservazione
1
.
La medicina diventa così la “scienza” per eccellenza: le pratiche
autoptiche svolte sui cadaveri, i sempre più frequenti viaggi di ricerca
e lo scambio di informazioni tra medici e farmacisti danno una spinta
notevole al settore della medicina e rendono meno gravosa la cura dei
malati.
È proprio durante il „700 che tutto ciò avviene: si verifica, cioè, uno
stravolgimento del concetto di malattia, che non viene più intesa, sic
et simpliciter, come un processo patologico che colpisce il corpo, ma
anche come un vero e proprio disturbo psicologico.
Prima di questo sconvolgimento di concetti, la follia, perché folle si
definiva un soggetto che soffriva di malattie mentali, si identificava
con lo scandalo e con il peccato morale: si trattava quasi di un “errore
etico” che veniva risolto internando i soggetti folli, a prescindere dalla
violazione o meno di un principio giuridico (o morale), quasi alla
stregua di una esorcizzazione.
Siamo, per intenderci, in un periodo storico in cui l‟intolleranza e la
discriminazione la fanno da padrone. In cui gli stolti e i pazzi,
vengono “assoldati” nei circhi itineranti come veri e propri fenomeni
1
Joseph Guillaume DESMAISON DUPALLANS, Archivio, www.fupress-com
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da baraccone che attirano clienti e nulla più, alla stregua dei nani o dei
deformi.
La follia era vista come una colpa, non come una malattia.
La svolta vera e propria si ebbe con la diffusione dell‟Illuminismo e
dei principi che lo caratterizzavano: uguaglianza sociale, libertà e
diritti umani rappresentavano gli antesignani della nostra società
moderna.
Gli Illuministi favorirono la scienza e le ricerche scientifiche e
dedicarono molta attenzione allo studio della malattia mentale.
La scienza medica incontrò però non poche difficoltà nello definire la
follia: in bilico tra l‟ipotesi che si trattasse di una malattia organica, e
che quindi ci si dovesse muovere ancora nell‟ambito della medicina, o
che invece fosse qualcosa che atteneva ad altri campi, magari
metafisici o religiosi.
La definizione che Voltaire, nel “Dizionario Filosofico” del 1764,
diede della follia è emblematica:
“Noi chiamiamo follia quella malattia degli organi del cervello che
impedisce di necessità ad un uomo di pensare e di agire come gli
altri. Non potendo amministrare i suoi beni, quest'uomo viene
interdetto; non potendo avere idee consone alla vita sociale, ne viene
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escluso; se è pericoloso, lo si rinchiude; se è furioso, gli si mette la
camicia di forza.
Qualche volta si riesce anche a guarirlo, con docce, o salassi, o diete
appropriate”
2
.
Da queste parole emerge chiaramente un pensiero quasi dispotico che
considera il malato come privo di qualunque potere, perfino su se
stesso, come incapace di partecipare attivamente alle cure, non perché
non voglia ma perché non si crede che sia in grado di farlo. Siamo in
un sistema in cui vige la convinzione che il folle sia totalmente
incapace di intendere la realtà e le sue conseguenze, convinzione che
si dimostra più forte della volontà di guarire. Il malato è solo un
residuo della società e come tale va “smaltito” in appositi istituti.
La svolta ottocentesca
Già nei primi decenni dell‟Ottocento si assiste alla nascita di una
scienza medica che costituisce, ad oggi, ancora la base terapeutica
della malattia di mente: la psichiatria.
2
www.roberto-vincenzi.com
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La medicina cambia, e la svolta è rappresentata dall‟ormai assunta
consapevolezza che la malattia mentale si può curare e che non si
tratta di un fenomeno né metafisico, né morale né tanto meno
religioso.
Si tenta di individuare le cause della follia e si arriva rapidamente alla
certezza che questa può essere provocata dalle ragioni più disparate:
l‟amore, l‟odio, la passione, il fanatismo religioso, un evento
sconvolgente o terrificante, l‟abbandono, e così senza sosta.
L‟individuazione di così tante cause non poteva che complicare i
termini della cura, tuttavia, tra gli specialisti, una certezza esisteva: la
necessità che questi soggetti dovessero essere “trattati” in luoghi di
cura peculiari, quindi non in semplici ospedali pubblici, ma in luoghi
ad hoc che, prima, vennero denominati ospizi e, successivamente,
frenocomi o manicomi.
Philippe Pinel (1745-1826), psichiatra francese, fu il primo medico
che si decise a curare i malati di mente e non solo a custodirli come si
era soliti fare: nacque, così, il trattamento morale che si opponeva ai
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trattamenti fisici e “che si fondava su due postulati fondamentali:
isolamento ed ordine”
3
.
Pinel decise di applicare questo trattamento sui pazienti della casa di
reclusione di cui diventò direttore, il Salpêtrière: aprì le celle e
trasformò, letteralmente, questa prigione in ospedale. Liberò
moltissime persone che erano state recluse per motivi futili, etici,
morali, religiosi o per convenienza, ma che malati non erano, e si
dedicò interamente ai soggetti che avevano realmente bisogno di cure
e trattamenti.
Tuttavia questo suo orientamento fu fortemente criticato in tempi più
recenti da Foucault, il quale nel suo “Storia della Follia” scrive:
“Alla fine del XVIII secolo non si assiste ad una liberazione dei folli,
ma ad una oggettivazione del concetto della loro libertà” che ha
spinto il malato ad identificarsi gradualmente con le regole e lo
schema dell’istituto, ad istituzionalizzarsi. Spogliato di ogni elemento
personale, posseduto dagli altri, preda delle sue stesse paure, il
malato doveva essere isolato in un mondo chiuso dove, attraverso il
3
DESMAISONS DUPALLANS, Op. Cit.
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graduale annientamento di ogni sua possibilità personale, la sua
follia non avrebbe avuto più forza”
4
.
La critica di Foucault nasce dalla consapevolezza, postuma è chiaro,
che, nonostante Pinel abbia posto in essere un trattamento del tutto
innovativo per i suoi tempi, si tratti pur sempre di un metodo
restrittivo della libertà del malato. La possibilità di aprire le celle era
condizionata dalla necessità di circondare l‟ospedale con alte mura; la
volontà di eliminare le catene richiedeva necessariamente un altro
mezzo di contenzione, seppur meno oppressivo, che era la camicia di
forza. In sostanza, l‟ospedale di Pinel si traduce, fattivamente,
nell‟ennesimo luogo di prigionia, meno lesiva della dignità del malato
ma pur sempre forzata.
Siamo già sul finire del secolo quando questo modello alienista tipico
della Francia dell‟Ottocento, viene sostituito da quello clinico -
psichiatrico tedesco, sviluppato da Emil Kraepelin (1856-1926), che
consisteva in una minuziosa elencazione dei disturbi mentali che
furono poi riportati nel suo “Compendio di psichiatria per uso dei
medici e degli studenti”.
4
BASAGLIA F., La distruzione dell‟ospedale psichiatrico come luogo di istituzionalizzazione
(mortificazione e libertà dello “spazio chiuso”, considerazioni sul sistema “open door”), in
BASAGLIA, Scritti, a cura di F. Ongaro Basaglia, 2 vol., Torino, 1981, I vol. pp. 249-258, pp.
251-252.
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Tra le più importanti classificazioni effettuate dallo studioso, rientrano
quella tra psicosi maniaco – depressiva e demenza precoce e tra
malattie curabili ed incurabili. Tuttavia il cambio di rotta sperato non
avviene: Kraepelin, classificando i malati come incurabili, li condanna
a rimanere per sempre ai margini della società che, frattanto, si libera
dalla colpa e dalla conseguente responsabilità.
Il caso italiano
Agli albori dell‟unità d‟Italia, la situazione per i malati di mente non è,
quindi, delle migliori: gli Stati che costituiscono il territorio italiano si
servono ancora dei manicomi esistenti, come quello del Regno delle
Due Sicilie, ad Aversa, che fungeva da luogo di custodia per i rei folli
di tutto il meridione
5
, o quello presente proprio in Sicilia
6
. Tuttavia la
situazione necessitava di un cambiamento; cambiamento che si avrà,
più o meno, contemporaneamente in tutta Europa e che porterà
5
Nel 1876, con un atto amministrativo, una sezione del manicomio di Aversa fu adibito ad
accogliere i rei folli (ossia i soggetti che avevano sviluppato un‟infermità mentale in carcere) ma
non anche per i folli rei.
6
Nato, però, molto più tardi, ossia nel 1925.
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all‟emanazione di una legge sui malati di mente nel 1838 in Francia,
nel 1844 in Gran Bretagna e solo nel 1904 in Italia, ossia dopo più di
sessant‟anni dal primo “movimento legislativo”.
Verrebbe da chiedersi come sia possibile che in un paese civile come
l‟Italia, questa legge non abbia trovato terreno fertile in cui nascere,
prima del 1904; del resto, è noto ai più che sin dalla Rivoluzione
Francese si respirava in Europa un forte vento di cambiamento
favorevole per la razza umana. Abbiamo già richiamato i concetti di
uguaglianza sociale e pari diritti, tipici di questo periodo storico.
Nonostante tutto, i frenocomi – così venivano chiamati i manicomi -
tardarono ad essere sostituiti da quelli che poi vennero denominati
Ospedali Psichiatrici dalla legge di riforma del 1975.
La legge 36/1904 nacque dalla necessità di regolare tutti i manicomi
presenti nel Paese che, sino a quel momento, godevano di
un‟autonomia assoluta. Siamo in un periodo storico nel quale si
regista un forte aumento dei malati di mente e la volontà di una
regolamentazione unitaria del settore diventa una vera e propria
esigenza.
Prima dell‟avvento della suddetta legge, ogni manicomio, come
dicevamo, era del tutto autonomo: a Napoli, per esempio, per
ricoverare un malato era necessaria l‟autorizzazione del prefetto, come
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anche a Torino, Genova e Caserta; a Bergamo e Pavia, invece, era
richiesta quella del presidente della deputazione provinciale; ad
Ancona del sindaco; a Messina serviva solo un certificato medico, e
così via senza criterio
7
.
Solo nel 1902, Giolitti presentò un progetto di legge denominato
“Disposizioni intorno ai malati di mente e agli alienati” che constava
di quattro punti fondamentali:
1. Innanzitutto sanciva l‟obbligo di ricovero in manicomio solo
per i soggetti dementi che fossero giudicati scandalosi o
pericolosi;
2. Poi disciplinava che l‟ammissione in manicomio avvenisse
tramite una procedura giuridica determinata, salvo casi urgenti;
3. Inoltre prevedeva la creazione di un servizio speciale di
vigilanza sugli alienati,
4. Ed infine, stabiliva che le spese per il ricovero e il
procedimento giuridico fossero a carico delle singole province.
Al progetto furono aggiunte solo due condizioni in più: ossia che le
dimissioni del malato avvenissero con decreto del tribunale, previa
richiesta del direttore del manicomio e il c.d. “licenziamento di prova”
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www.wikipedia.it voce Manicomio