vi
La composizione del conflitto d’interessi fra privati oscilla tra il lasciare
al singolo la difesa del suo diritto soggettivo, attivando forme di autotutela,
oppure mettere a disposizione dello stesso l’autorità e la forza dello Stato
tramite suoi organi che imparzialmente compongano il conflitto insorto.
L’evoluzione storica della procedura civile romana ci mostra come da
un’originaria tutela dei diritti lasciata all’autotutela privata, si sia passati ad
un sempre più marcato intervento dello ordinamento statale nella
composizione dei conflitti fino a giungere, nell’ultimo periodo, alla difesa
puramente statale dei diritti (tanto che, nel diritto giustinianeo, si arriverà
persino a punire l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni). E, in effetti, man
mano che un ordinamento si civilizza, l’autodifesa privata diventa sempre più
inconciliabile con un ordinato vivere civile: se la norma delle XII Tavole che
contempla la sanzione del taglione (talio esto) in caso di mancata
composizione pecuniaria per il membrum ruptum si pone come un limite
all’indiscriminata vendetta dell’offeso realizzando una forma, seppur
rudimentale, di autodifesa privata (come pure i principi del vim vi repellere
licet e del qui suo iure utitur neminem laedit) ben diversa sarà la difesa statale
dei diritti soggettivi dei singoli ispirata al principio cardine secondo cui il farsi
giustizia da sé non può aver luogo in un ordinamento degno di tal nome.
Tuttavia, bisogna precisare, anche quando la difesa dei diritti
soggettivi dei privati sarà completamente statalizzata, l’attività del singolo
sarà sempre necessaria perché si abbia l’intervento degli organi giurisdizionali
dello Stato: ci si riferisce al principio dell’impulso di parte, fondamentale in
ogni tempo nel processo, oggi espresso dall’art. 99 c.p.c. dal quale, appunto,
si evince l’imprescindibilità della domanda quale atto d’impulso del
meccanismo processuale e onere della parte che vuole la tutela, corroborato
dall’art. 24 della Costituzione che assicura a tutti la possibilità di “ […] agire in
giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.”
vii
Lo Stato allora appresta al privato che si senta offeso in un suo diritto i
mezzi attraverso i quali venga accertata la fondatezza del diritto vantato e
che il medesimo possa essere fatto valere anche contro la volontà dell’altra
parte. Quando ciò accade, lo Stato non solo deve stabilire l’organo dal quale
ottenere la difesa ma, altresì, prescrivere il modo in cui il singolo può
ottenere la tutela dei suoi diritti: deve cioè esplicitare quali siano quella serie
di atti che devono compiersi e con quali formalità. Processus, secondo
l’etimologia, indica appunto una successione di atti tra loro connessi e lo
scopo del processo è, ancora oggi, quello di attuare la norma giuridica
allorché i destinatari non possano o non vogliano attuarla. Nel diritto romano
tale finalità si realizzerà pienamente proprio con la cognitio extra ordinem,
quando appunto il processo verrà completamente pubblicizzato, nel senso
che esso sarà esplicazione della funzione giurisdizionale dello Stato, intesa
come attività volta ad accertare e a far valere concretamente nei singoli casi
l’ordinamento giuridico statale. Tale attività si conchiuderà con l’emanazione
di una sentenza, la cui efficacia autoritativa le è insita quando ad emanarla è
un organo giurisdizionale: ecco perché alcuni autori non esitano ad affermare
che solo quella della cognitio extra ordinem è una sentenza che realizza una
giurisdizione piena, nel senso appunto che il potere giurisdizionale non è
limitato alla indicazione del diritto ma comprende anche la sentenza, mentre
nelle epoche precedenti il magistrato che aveva la giurisdizione doveva
tuttavia lasciare l’emanazione del provvedimento finale ad un iudex privatus.
La valutazione della cognitio extra ordinem, quale essa venne a
svilupparsi in età imperiale, s’inserisce nel vivo di questi problemi e proprio
per questo cattura l’attenzione degli studiosi romanisti. È cosa nota infatti
che sia divenuta sempre più accesa tra i moderni studiosi la disputa intorno
alla trasformazione del diritto romano, dal diritto quiritario al diritto
codificato da Giustiniano: dal confronto tra quest’ultimo e il diritto classico
viii
emerge una diversità sempre più profonda. S’impone quindi all’attenzione
degli studiosi il problema delle cause di questa trasformazione: seppure ebbe
qualche antecedente già in epoca repubblicana, la cognitio extra ordinem può
ben definirsi una creazione d’età imperiale che si collega all’opera
instauratrice di Augusto. Il passaggio dalla forma repubblicana di governo al
principato, infatti, non segnò in Roma solo l’epilogo di una vasta crisi
costituzionale dello Stato, che attraverso un lungo travaglio raggiungeva il
suo assestamento; alla crisi nel campo del diritto pubblico non poté non
corrispondere un’eguale crisi del diritto privato. Essa tuttavia, a prima vista,
appare meno, perché mentre nel diritto pubblico esteriormente la fase
culminante è raggiunta col passaggio al principato, nel diritto privato ha
luogo un movimento di trasformazione incessante e progressivo nei secoli. La
lenta evoluzione si manifesterà da un lato nella completa paralisi dei principi
fondamentali dell’antico ius quiritium che erano contrastanti con le nuove
esigenze socio‐economiche, dall’altro lato nella creazione di principi direttivi
nuovi e di nuovi istituti.
I termini extra ordinem o extraordinaria con cui questa nuova
procedura viene ad essere identificata nelle fonti antiche giuridiche e
letterarie sta proprio a rimarcare questo momento di passaggio, indicando
nella terminologia classica, il contrapporsi di essa al procedimento consueto
dell’ordo iudiciorum privatorum. Si introdussero con essa nuovi istituti quali
l’appello, la contumacia, la sentenza di condanna nell’oggetto della
controversia, la notificazione. In essa si elaborò il sistema della prova legale e
della esecuzione ufficiale della sentenza. Ancora più vasta la trasformazione
che essa ha portato nel diritto sostanziale: dal diritto di famiglia alle
successioni, alla proprietà, alle obbligazioni, non c’è ramo del diritto che non
sia stato profondamente influenzato dal mutamento degli antichi schemi. I
fedecommessi, il riconoscimento degli onorari, l’ammissione alla
ix
rappresentanza diretta, la protezione degli schiavi con i suoi riflessi nel diritto
privato, la stessa capacità di stare in giudizio in materia di tutela e di cura, di
libertà nei rapporti patrimoniali tra il pater familias e i figli…questi e molti
altri i ritocchi che testimoniano i mutamenti profondi che comportò il nuovo
sistema.
È dalla cognitio, insomma, che ha origine il processo giustinianeo, è
nella cognitio che si sono formati istituti e concetti procedurali sui quali
ancora oggi si fonda gran parte del diritto processuale moderno.
1
Capitolo I
Le origini della cognitio extra ordinem: cenni
sulle diverse teorie
1.1 Una premessa di metodo: l’analisi delle fonti.
“Les changements survenus dans le régime d’une institution se
répercutent souvent dans le sens attribué au terme qui la désigne”
1
: così
Lemosse, nel suo “étude sur le role du juge dans l’instruction du procès civil
antique”, introduce lo studio della cognitio extra ordinem, partendo proprio
dall’analisi delle fonti. Una tale attività è, come rileva l’autore, da considerarsi
prodromica alla piena comprensione dell’istituto e del suo mutevole sviluppo
nel tempo, dal momento che solo tramite una riflessione che verta in primis
sulla terminologia si possono acquisire le basi per uno studio attento alla
variabilità dei fattori ed ancor più all’incidenza che tali risvolti ebbero
nell’intero sistema processuale romano
2
.
Il nostro obiettivo è dunque quello di comprendere il senso originario
dell’espressione cognitio extra ordinem, seguire i passi del suo sviluppo,
cercando anche di capire se il concetto sorse nel processo e di lì si trasferì al
1
M. Lemosse, Etude sur le role du juge dans l’instruction du procès civil antique, Roma
(1971). Ivi leggiamo anche: “Il peut sembrer audacieux de placer une telle recherche avant la
description de notions qu’elle suppose peut-être connues; mais une méthode qui prétend avant tout
partir des sources justifie pleinement un tel procédé. Il convient en effet de s’adresser aux teste pour
savoir si l’action du juge sur l’administration des preuves fait l’objet d’une désignation précise.”
2
Così G.I.Luzzatto in Il problema dell’origine del processo extra ordinem, Bologna (1965):
“In tema di cognitio extra ordinem si pone infatti, più che altrove, la necessità di una premessa di
metodo che tenga conto, insieme, delle fonti più specificatamente riferitesi alla cognitio e del
problema, particolarmente delicato, della loro valutazione critica”
2
diritto sostanziale o se, invece, l’evoluzione fu inversa o, ancora, se dominò
contemporaneamente l’una e l’altra regione. Nel tentativo di trovare una
risposta a tali problematiche bisognerà però tener presente alcuni elementi,
primo fra tutti il fatto che la moderna antitesi fra diritto e processo non era così
viva nel diritto romano, in cui l’azione stessa crea il diritto soggettivo, ed anzi
i più frequenti problemi della giurisprudenza non cadevano sull’esistenza del
diritto quanto piuttosto sulla possibilità di attivare forme di tutela giudiziaria.
Se è sicuramente vero che, per la giurisprudenza classica, una pretesa
che si fa valere in forme processuali diverse da quelle tradizionali è, il più
delle volte, per ciò stesso extra ordinem o extra ordinaria rispetto alle fonti
giuridiche antiche, sarà anche indiscutibile la matrice processualistica del
concetto. Ma, ammesso che nel diritto classico la connessione inscindibile fra
la norma di diritto materiale ed il rimedio giudiziario apprestato per farla
valere sia una peculiarità del sistema, dovrà pure rilevarsi che con l’avvento
del nuovo schema procedimentale si è realizzato il distacco tra i due ordini di
norme. Ciò vuol dire, tra l’altro, che anche dopo l’abolizione del sistema
formulare il diritto materiale rimase pressoché invariato.
D’altra parte, lo vedremo, non è possibile ritenere che l’idea di un
nuovo assetto processualistico si sia formato nel diritto sostanziale, in primo
luogo poiché le fonti di produzione del diritto (cioè i senatoconsulti e gli editti
o in genere le costituzioni del Principe) non potevano essere considerati dai
giuristi classici extra ordinem senza che ciò non comportasse problematiche di
natura più strettamente politica; secondariamente, pare difficile poter ritenere
che la giurisprudenza classica avesse già intravisto i margini di quel grande
fenomeno evolutivo che essa stessa si accingeva a determinare e avesse già
compreso come dalla fusione di vari ordinamenti sorgesse quello che da taluni
3
è stato definito un ius novum
3
. Tale espressione è stata talvolta usata dagli
studiosi come generico riferimento a tutta quella serie di atti riformatori
adottati dagli imperatori
4
, novi in funzione di quel quid innovativo in essi
contenuto e, con richiamo alla fonte, extra ordinem, cioè fuori l’ordinamento
processuale vigente. In realtà tale giustificazione non è plausibile
5
poiché per i
Romani stessi il termine ius novum sarebbe stato a significare nient’altro che
una nuova legge, senza con ciò individuare una connessione specifica con
l’autorità imperiale
6
.
Quel che è certo è che le procedure tradizionali non mantennero la
propria integrità a confronto col nuovo assetto istituzionale e tali cambiamenti
sono da ascriversi tra le logiche conseguenze della nuova situazione politica:
la cognitio extra ordinem può, in tale ottica, essere vista come il segno
tangibile del nuovo ordine costituzionale e legale iniziato da Augusto, che per
primo si attivò a favore di una riforma radicale della procedura giurisdizionale
romana
7
.
3
S. Riccobono, Evoluzione del diritto romano, in Mélanges Cornil, II, pag. 376 e Atti I
Congresso St. Rom., II, pag. 232-235: “la giurisprudenza romana, se pur ne ebbe sensazione, non poté
mettere in evidenza quel terzo ordinamento giuridico”.
4
Cfr. v. ius novum in NNDI: “[…] si intende non il diritto recente, ma piuttosto il diritto, che
è certo sempre più recente, ma risulta da disposizioni imperiali, le quali intendono dare una nuova
impostazione ed un nuovo orientamento al diritto”. Successivamente si specifica che, proprio perché
novum, tale diritto non apparterrebbe né al ius civile né al ius honorarium, ma “rappresenterebbe un
nuovo orientamento del diritto, che in molti casi arieggia e prelude al diritto moderno”.
5
Cfr. M. Wlassak, Kritische Studien zur Theorie der Rechtsquellen, Graz (1884), in
particolare pag. 67. Sullo stesso punto si veda anche Wenger, Die Quellen des römische Rechts, Wien
(1953) pag. 553 ss.
6
Gaio, ad esempio, usa questo termine per richiamare l’attenzione a nuove norme di legge in
materia ereditaria in D.5.3.1 “hereditas ad nos pertinet aut vetere iure aut novo”. Ad ogni modo,
anche in altri brani del Digesto è possibile cogliere espressioni come leges novae o ius antiquum e ius
vetus, il tutto a dimostrazione dell’uso non pretenzioso del termine novum.
7
M. Kaser, Das Römische Zivilprozessrecht, II, Munchen (1966) ; si veda inoltre ID, The
changing face of Roman Jurisdiction:”In all its forms, the cognitio procedure belongs to the particular
sphere of activity of the princeps. It is infact an imperial law of actions, quite separate from the
traditional constitutional principles of the Republic and from the ordinary divided process, in the same
way that the fiscus was treasury under the exclusive authority of the Emperor or that the imperial
provinces were governed entirely by the Emperor”; I. Buti, La”cognitio extra ordinem”:da Augusto a
Diocleziano, ANRW II.14 (1982): “La nascita della procedura ‘straordinaria’ coincise, come è noto,
con l’affermarsi del principato ed apparve, nelle sue varie manifestazioni, come una delle espressioni
della tendenza del principe a far sentire sempre più la propria presenza con interventi ‘creativi’ anche
4
1.2 Le origini storiche: Augusto e la cognitio extra ordinem.
E’ noto come sempre più accesa sia la disputa intorno alla
trasformazione del diritto romano dal diritto quiritario al diritto codificato da
Giustiniano. Via via che la scienza romanistica procedeva nella ricostruzione
del diritto classico, specie nei suoi concetti fondamentali, dal confronto fra
questo diritto e il diritto giustinianeo emergeva una diversità sempre più
profonda, tale da suscitare la curiosità degli studiosi in merito alle cause di tale
trasformazione che, per taluni istituti, si risolse addirittura in un
capovolgimento degli schemi precedentemente vigenti. Le spiegazioni
riconducibili a tali fenomeni, alcune delle quali verranno esaminate di seguito,
si sono rivelate, ciascuna a suo modo, utili per comprendere se non l’intero
iter quanto meno taluni nuovi elementi che si rinvenivano in qualche istituto
singolo o secondario, sebbene nessuna, lo si ribadisce, sia stata in grado di
offrire un quadro chiaro e compiuto in merito all’oggetto dell’indagine.
Un più maturo esame ha dimostrato, invero, che la trasformazione del
diritto romano non è avvenuta soltanto dal principio dell’età postclassica, ma
era iniziata diversi secoli prima ad opera di vari potenti fattori, alcuni dei quali
hanno cominciato ad agire sul finire della Repubblica, altri dal sorgere
dell’Impero o durante i primi secoli di questo.
Uno di tali fattori di evoluzione fu la cognitio extra ordinem che, se
ebbe qualche antecedente già in epoca repubblicana, può nella sua più
organica struttura considerarsi una creazione dell’età imperiale. Essa si
nel campo del diritto”. Per completezza si rileva, contra, W. Turpin, Formula, Cognitio and
proceedings extra ordinem, Swarthmore, Pa., U.S.A.(1999), il quale, sebbene ammetta entro certi
limiti la rilevanza del nuovo assetto istituzionale ed amministrativo, tende a mitigare l’impatto degli
imperatori sull’attività normativa: “The emperors were personally involved in the legal business of the
empire, and they introduced important changes in both substance and procedure, but it is only modern
jurists who treat their innovations as a coherent whole”, cit. pag. 501. Ed andando oltre, “[…] the
emperor’s decision had been seen by modern scholars as the first step in the creation of an explicitly
imperial law. But the Romans would not have described the innovation in these terms.”cit. pag. 537.
5
ricollega appunto in queste sue prime applicazioni all’opera instauratrice di
Augusto
8
.
Bisogna tener presente il generale fenomeno di rafforzamento ed
accrescimento dei poteri dello Stato, momento focale che segna la distinzione
tra l’epoca repubblicana e quella imperiale
9
, di cui manifestazione è il
convincimento che la formazione e la tutela dei diritti privati debba provenire
da un sistema accentrato di controllo e regolamentazione degli stessi. Sebbene
tale ottica si realizzò pienamente solo dopo vari secoli, le prime applicazioni
di essa appaiono compiute già da Augusto: egli, servendosi di mezzi diretti
come le costitutiones, sia di mezzi indiretti, istituendo una giurisprudenza
ufficiale, attuò la tendenza ad assumere la direzione di tutto il processo di
formazione e modifica del diritto. Proprio alla luce di ciò si tende a ricollegare
in misura più o meno rilevante, a seconda dei casi, l’affermazione del processo
8
“[…] finita bella civilia, sepulta externa ,revocata pax, sopitus ubique armorum furor,
restituta vis legibus, iudiciis auctoritas, senatui maiestas[…]” In questo frammento di Orazio si
manifesta la pax animi che Augusto seppe ricondurre nello Stato. Lo stesso in Velleio Patercolo (2,
89) : “[…] pax Augusta omnis terram orbis angulos a latrociniorum metu immunes”.
9
Come ha modo di sottolineare Orestano, Augusto e la cognitio extra ordinem, in Studi
economico-giuridici, Milano (1938), pag 155-158, “Gli ultimi due secoli della Repubblica, che videro
mutare dapprima in forma latente e poi sempre più violenta la crisi costituzionale, sono i secoli delle
grandi evoluzione sociale e spirituale di Roma[…] Si era a una svolta decisiva nella storia di Roma e
del mondo antico e qualche storico non ha esitato a definire questa trasformazione come una delle più
vaste e complete che la società umana abbia conosciuto”. L’autore ci offre in queste pagine una
brillante ricostruzione dei mutamenti sociali che prepararono Roma al mutamento politico ed
istituzionale: dal rimpianto per gli antichi mores, per l’antica austerità e severità, per la vita semplice e
patriarcale alla fides dei maggiori…motivi che riaffioreranno nella letteratura dell’epoca seguente
“(…) sì da dare quasi l’impressione che l’avvenuta trasformazione anziché esser stata benefica, avesse
arrecato un peggioramento nelle condizioni generali della società romana”. Forse ancora più incisive
sono le parole di M. Kaser, Romische Rechtsgeschichte, Milano (1977), pag. 215: “ Secondo l’idea
costituzionale di Augusto, il Principato non doveva essere niente di più che la Repubblica restaurata,
nella quale, all’inizio, Augusto si inseriva solo con la sua persona come organo aggiunto. In verità,
tuttavia, già questa concezione era soltanto un modo per mascherare la reale situazione di potere,
poiché il peso politico che benne accumulato dal Princeps attirò a sé ogni potere statale e sottopose
completamente alla volontà del medesimo i precedenti organi della Repubblica.[…] se Augusto aveva
conservato ancora le apparenze e si era presentato, per lo meno davanti ai cittadini della capitale e in
Italia, solo come ‹‹primo fra eguali››, gli imperatori successivi si sentirono del resto sempre più dei
sovrani assoliti.”
6
cognitorio con la figura del Princeps che fu, come dice Tacito, potentiae
securus
10
.
Tale evoluzione non poteva del resto essere lasciata del tutto a se stessa
ma occorreva, al contrario, preordinarla e controllarla, schematizzandola pur
senza imbrigliarla in reti troppo strette da frenarne il procedere. Augusto seppe
intuire questa verità ed affrontò l’immane problema riformando la procedura
esistente ed aumentandone l’elasticità, creando accanto alle vecchie forme
istituti nuovi più duttili ed agili, liberi dalla tradizione giuridica vigente.
Già con la Lex Iulia iudiciorum privatorum e la Lex Iulia iudiciorum
publicorum
11
egli aveva riorganizzato, sul finire dell’epoca repubblicana,
l’amministrazione della giustizia, improntando tale nuovo schema a quel
principio che lo stesso oratore romano pocanzi citato riassume efficacemente
nel brocardo non mos, non ius
12
. Tale sistemazione del processo fissò
10
Tacito, Ann. 3,28. La legislazione augustea apparve di massima importanza già ai
contemporanei, i quali, non escluso Ovidio, tranne qualche immancabile motto di spirito, mai si
stancarono di esaltare la profonda attività legislativa del principe. Orazio volendo racchiudere in una
mirabile sintesi tutta la rinnovazione operata da Augusto e quei tanta negotia che solus gerit, mette in
prima linea la rinnovazione dei costumi e delle leggi: moribus ornes, legibus emendes (Ep., 2.1);
l’efficienza legislativa è ben presente al poeta quando afferma che lex maculo sum edomuit nefas
(Od., 4.5.22). Nella narrazione degli storici, poi, l’opera legislativa di Augusto è collocata in primo
piano. Velleio Patercolo parla di leges emendatae viriliter, latae salubriter (2.89). Svetonio ricorda
che leges retractavit et quasdam ex integro sanxit (Aug. 34), e non manca di ricordare accuratamente i
numerosi provvedimenti legislativi. La profondità di essi è rivelata da Floro, il quale afferma che
Augusto conversus ad pacem pronum in omnia mala et in luxuriem fluens speculum gravi bus
severisque legibus multis coercuit (4.12). Questi concetti si tramandano nella storiografia successiva,
da Dione Cassio ad Aurelio Vittore, a Sant’Agostino. Dell’importanza della funzione legislativa aveva
del resto coscienza lo stesso Augusto se nelle Res gestae, accanto a fatti d’armi ed imprese compiute,
non manca di ricordare le novae leges (2.12) e se, vantandosi di aver rifiutato consolato perpetuo
(1.35) e dittatura (1.31) ed in genere qualunque magistratura contra morem maiorum (gr. 3.2), accetta
invece solo la permetua cura legum morumque, che è qualche cosa di diverso dalla potestà censoria.
11
Cfr. Orestano, L’appello civile in diritto romano, Genova (1953), pag.6 e ss. Basti qui
ricordare che le leggi in questione riordinarono la procedura formale, imponendone la forma scritta, ed
introducendo legittimamente nel sistema i rimedi pretori. Incisive, per altro appaiono le parole del
brano 4.30 delle Istituzioni di Gaio: Sed istae omnes legis actiones paulatim in odium venerunt.
Namque ex nimia subtilitate veterum qui tunc iura condiderunt eo res perducta est, ut vel qui
minimum errasset litem perderent. Itaque per legem Aebutiam et duas leges Iulias sublatae sunt istae
legis actiones effectumque est ut per concepta verba, id est per formula, litigemus.
12
Tacito, Ann. 3, 28.
7
definitivamente il concetto di ordo, cioè di ordinamento dei giudizi
13
: “si ebbe
così un diritto ‘imperiale’- non solo processuale ma, naturalmente, anche
sostanziale- che si pose accanto allo ius civile ed allo ius honorarium in
posizione autonoma ed, al fine, dominante”
14
.
Quanto alla specifica portata della funzione giurisdizionale imperiale al
tempo di Augusto
15
riferisce Cassio Dione in 51.19.7:
“[…]kaì t`on Ka'isara t'hn te #exousìan t`hn t^wn
dhm`arcwn dià bìou #ecein, kaì to^ij ;epibowm'enoij a;ut`on
kaì ;entòj to^u pwmhr'iou kaì #exw mécrij ;ogd'oou
:hmistad'iou ;am'unein, d mhdenì t^wn dhmarco'untwn ;ex^hn,
#ekklht'on te dikàzein, kaì y^hf'on tina a;uto^u #en p^asi
to^ij dikasthr'ioij &wsper ;AJhn^aj féresJai […]”
Nel brano in questione si fa riferimento ad una specifica concessione
fatta ad Augusto nel 30 a.C. ed avente ad oggetto la potestà di 1κκλητον
δικάζειν
16
( cioè di giudicare in seconda istanza), mentre per la giurisdizione
in primo grado si dovrà arrivare al 27 a.C.: nel gennaio di quell’anno venne
infatti esteso al Princeps l’imperium maius et infinitus, vale a dire un potere
che ricalcava quello esercitato dai governatori nelle province senatorie anche
se qualitativamente superiore agli imperia proconsularia di questi ultimi. Le
limitazioni che fino a quel momento erano valse per lui come per gli altri
governatori (anzitutto l’obbligo di deporre il proprio imperium una volta
entrati nel pomerium) furono eliminate con emendamenti speciali. Fu
13
A tal proposito si veda la critica di De Martino, in La giurisdizione nel diritto romano,
Padova (1937), in particolar modo pag. 313 ss. “Tuttavia io credo che questa ipotesi non risolva tutti i
nostri dubbi. Perché il concetto di ordo si sarebbe formato in un tempo in cui non ancora esisteva un
sistema diverso da quello ordinario repubblicano,e mancava perciò la necessità di definire quel che
rientrava nell’ordo, dal momento che tutto vi rientrava?”. Per una ricostruzione dell’autore infra pag.
16.
14
Buti, La cognitio extra ordinem: da Augusti a Diocleziano, in ANRW II.14 (1982) cit.
pag.31.
15
Per approfondimenti si veda Talamanca, Istituzioni di diritto romano, Milano (1990) pag.
360 ss.
16
Infra cap. V
8
decretato che egli detenesse un proconsolare imperio (;aρχή ;ανθύπατος) in
via definitiva, da non doversi deporre quando si trovava all’interno del
pomerium o rinnovare al momento in cui rilasciava la città. Così Augusto
divenne l’autorità somma nell’impero
17
.
Sulla scia di tali sviluppi storici si collocano una serie di interventi
imperiali sull’attività giurisdizionale: già a partire dal I secolo, è stabilita
l’appellabilità dinanzi al Principe delle sentenze e degli atti giurisdizionali
tutti. Quanto alle vere e proprie modifiche del diritto sostanziale che ci è
possibile rinvenire dalle fonti, non può non menzionarsi tra tutti quello da cui
prende vita l’istituto del fedecommesso
18
dal quale è possibile cogliere
l’impronta fondamentale dello svolgimento della cognitio nei suoi aspetti
tipici: ci si riferisce all’intervento diretto dell’imperatore, alla concessione di
deleghe, alla creazione di nuovi organi, al riconoscimento della validità di
obblighi invalidi per lo ius civile, all’introduzione di principi nuovi con
17
Per una trattazione storica approfondita si veda tra tutti Cambridge University Press,
L’impero romano da Augusto agli Antonini, vol VIII, vol Il.
18
La storia dell’istituto è tracciata nelle Istituzioni di Giustiniano, Inst.1.2.23: […]Sciendum
itaque est, omnia fideicommissa primis temporibus infirma esse quia nemo invitus cogebatur
praestare id de quo rogatus erat: quibus enim non poterant hereditates vel legata relinquere, si
relinquebant, fidei committebant eorum qui capere ex testamento poterant: et ideo fideicommissa
appellata sunt, quia nullo vinculo iuris, sed tantum pudore eorum qui rogabantur, continebantur.
Postea primus divus Augustus semel iterumque gratia personarum motus, vel quia per ipsius salutem
rogatus quis diceretur, aut ob insignem quorundam perfidiam iussit consulibus auctoritatem suam
interponere.Quod, quia iustum videbatur et populare erat, paulatim conversum est in adsiduam
iurisdictionem: tantusque favor eorum factus est, ut paulatim etiam praetor proprius crearetur, qui
fideicommissis ius diceret, quem fideicommissarium appellabant[…]. Il brano ci informa di come
fosse invalso l’uso, quando il de cuius voleva far pervenire l’eredità o un lascito a una persona che
secondo lo ius civile non poteva ricevere né eredità né legati, di assegnare l’eredità ad un’altra persona
capace che veniva incaricata di eseguire poi la prestazione voluta a favore dell’incapace. Il punto
debole di tale espediente consisteva però nel fatto che il beneficiario non aveva alcuna azione per
costringere l’onerato, se inadempiente, ad eseguire la prestazione affidatagli. Infatti l’obbligo di
siffatte prestazioni era giuridicamente incoercibile. La facoltà di agire in giudizio ordinario in base ad
un fidecommesso avrebbe implicato il riconoscimento di un mandatum post mortem, che non era
ammessibile né per ius civile né per ius honorarium. Quindi tali prestazioni erano affidate solo al
sentore morale e sociale, all’onestà dell’onerato e da ciò proveniva appunto il nome fidei-commessum.
Augusto, probabilmente per consiglio di Trebazio Testa, ammise che, quando il venir meno alla
fiducia del disponente fosse particolarmente riprovevole, il fedecommissario potesse rivolgersi extra
ordinem al magistrato per ottenere una coazione all’esecuzione. Per la sua intrinseca giustizia l’istituto
divenne ben presto popolare, tanto che l’imperatore Claudio accordò la cognitio extra ordinem in ogni
ipotesi di fedecommesso, e la predilezione che i romani manifestarono per la disposizione in esame fu
fatta manifesta dalla creazione di appositi magistrati, i praetores fideicommissarii.
9
conseguente paralisi dei principi civili, alla crescente popolarità
dell’innovazione imperiale, delle riforme attuate non in via legislativa ma
partendo dal caso concreto sino al carattere equitativo della innovazione stessa
e al soddisfacimento di una esigenza morale e sociale universalmente sentita.
A partire da questo momento le cognizioni divennero sempre più numerose:
quando si era in presenza di un rapporto che non avesse altra sanzione che
quella del foro interno e delle convenienze sociali, quando l’applicazione
rigorosa del diritto conduceva ad una giustizia strettamente formale, ma non
umana, quando nuove esigenze si presentavano e nondimeno occorreva sia per
un principio di equità, sia per un interesse pubblico, che quel dato rapporto
conseguisse effetti giuridici, o quella data applicazione di una norma
imperante fosse attenuata ed addolcita, l’autorità dello Stato interveniva.
In tutte queste ipotesi, lo si vedrà meglio anche in seguito, la cognitio
extra ordinem è collegata ad un dato imprescindibile: essa è esplicazione
diretta ed evidentissima dei poteri contenuti nell’imperium
19
del Princeps. E’
lo stesso Augusto che per primo ammette la possibilità di provocare
all’imperatore, in virtù della supremazia di fatto, quell’auctoritas di cui egli è
titolare unico. La ripetizione di questi interventi, dapprima eccezionali e
sporadici, portò come conseguenza la creazione di una serie di ordinamenti
permanenti
20
. Le Istituzioni di Giustiniano (1.2.23) a proposito dei
19
Infra cap. II
20
Come si avrà modo di specificare in seguito, molti autori tendono a ricercare le fonti del
nuovo assetto processuale nel campo amministrativo. A tal proposito si veda per tutti V. Arangio Ruiz
il quale afferma che “movendo dal presupposto che in nessun rapporto la Città potesse trovarsi coi
privati in condizione di eguaglianza, i romani non consideravano, ad es., le locazioni dei fondi in
proprietà pubblica e agli appalti delle imposte come semplici contratti, in conseguenza dei quali un
magistrato potesse essere chiamato a rispondere davanti al tribunale del pretore urbano; ma li
concepivano come sottospecie di concessioni amministrative, nell’attuazione dei quali il privato
danneggiato poteva soltanto ricorrere a quello stesso magistrato che in nome della civitas aveva
concluso la locazione o l’appalto, perché modificasse un atteggiamento lesivo del suo interesse
legittimo. Il magistrato riceveva il discorso e, causa cognita, emanava la decisione, senza che si
facesse luogo né alla redazione in una formula né alla nomina di un iudex privatus” Cit. pag. 249-250
in Storia del diritto romano, VII ed., Napoli (2003).
10
fidecommessi mettono bene in evidenza questo processo di cristallizzazione
del caso sporadico in forma costante.
Esemplificativo della rapidità con cui questo processo ebbe a svolgersi
è ancor di più l’istituto dell’appello
21
che, come mezzo di controllo del potere
politico sulle competenze giuridico – costituzionali, si colloca perfettamente
nel nuovo clima istituzionale e politico inaugurato col Principato. Dal punto di
vista tecnico e formale tale intervento non può trovare spazio nel sistema
dell’ordo, ma esso si configura da subito come extra ordinem.
Un cenno deve farsi anche al processo penale che subì, già in epoca
repubblicana, l’influenza del cambiamento di regime. Fino ad Augusto la
legislazione, pur avendo isolato e tipizzato alcuni reati, organizzando per essi
la procedura delle quaestiones, conviveva con la competenza delle giurie dei
comizi, interpellati dal magistrato. Il sistema risultante non aveva nulla a che
fare con criteri oggettivi di individuazione dei reati e corresponsione ad essi di
una pena
22
. Con la Lex iudiciorum publicorum Augusto intese perciò regolare
la procedura per quaestiones, creando una competenza criminale del Senato,
riconosciuta dal Principe e dai suoi funzionari. Anche qui dunque all’ordo
iudiciorum si contrappose la cognitio extra ordinem: quel che accadde
successivamente fu che, per ridurre anche a Roma la stessa competenza delle
quaestiones si interpretarono restrittivamente le leggi iudiciorum publicorum,
creando attorno ad esse una minuziosa casistica di atti illeciti che, non potendo
essere perseguiti in base alla legge, esigevano una cognitio extra ordinem
23
.
Tornando al punto di partenza della nostra riflessione, dovrà dunque
concludersi che la ricerca dei precedenti repubblicani delle cognitiones ha,
senza dubbio, un valore incontestabile: ciò però non in quanto si pretenda di
21
Infra cap. V.
22
Nulla è meno romano del principio nullum crimen sine lege.
23
Il che generò la contrapposizione tra il sistema inquisitorio delle quaestiones e quello
accusatorio della cognitio, infra cap 3 par. 2.