Il marchio
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I. IL MARCHIO
SOMMARIO: 1. Nozione e tipologie. – 2. Le fonti legislative e la loro evoluzione nel tempo. – 3. Le
funzioni giuridicamente tutelate. – 4. I requisiti di validità del marchio.
1. Nozione e tipologie
Il marchio è considerato come il principale tra i segni distintivi tipici
1
. Può essere costituito da
un qualunque segno suscettibile di essere rappresentato graficamente, in particolare parole,
compresi i nomi di persone, disegni, lettere, cifre, suoni, forma di un prodotto o della
confezione di esso, combinazioni o tonalità cromatiche, purché siano idonee a distinguere i
prodotti o i servizi di un'impresa da quelli delle altre.
Più precisamente il marchio si può definire come il segno distintivo dei beni e dei servizi
prodotti e venduti dall’imprenditore
2
.
Distinguiamo, quindi, marchi di prodotto (marchi di fabbrica o di commercio che
contraddistinguono, rispettivamente, i prodotti fabbricati da un imprenditore e quelli
distribuiti da un intermediario) dai marchi di servizio
3
, che contraddistinguono attività di
produzione e /o commercializzazione che hanno ad oggetto entità immateriali, quali sono i
servizi (attività terziarie come imprese di trasporti, costruzioni, pubblicità ecc).
Esiste un’altra distinzione (in questo caso non di origine legislativa) all’interno della categoria
marchio: quella fra marchi generali e marchi speciali.
La prima tipologia contraddistingue la generalità della produzione dell’impresa e quindi dei
beni e dei servizi prodotti o venduti dall’imprenditore.
1
I segni distintivi sono gli strumenti che l’imprenditore usa per distinguere la propria attività d’impresa, i propri
prodotti e i propri locali da quelli dei concorrenti. Oltre al marchio, i segni distintivi disciplinati dalla legge sono
la ditta (segno distintivo dell’impresa) e l’insegna (segno distintivo degli esercizi aperti al pubblico in cui si
esercita l’impresa).
2
ABRIANI, COTTINO, 2001, Diritto Industriale, Padova: CEDAM, pag. 15.
3
Oggi i marchi di servizio, introdotti dalla legge 24 dicembre del 1995, n. 1178, sono del tutto equiparati ai
marchi di prodotto, ma nonostante ciò sollevano, tuttora, delicati problemi, in quanto la linea di confine tra
marchi di servizio e marchi di prodotto, in certi settori (moda e design), risulta precaria ed incerta.
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Il marchio speciale, invece, contraddistingue particolari tipologie di prodotti o servizi, aventi
determinate caratteristiche
4
. Quindi, mentre i marchi generali ricollegano direttamente i
prodotti all’impresa, segnalando l’unità della fonte di produzione e assolvendo una funzione
di indicazione di provenienza, i marchi speciali non si riferiscono direttamente ad un’impresa
determinata, ma attengono a specifiche caratteristiche dei prodotti da essi contraddistinti.
Finora si è parlato dei cosiddetti marchi individuali, ossia scelti dall’imprenditore per
contraddistinguere determinati prodotti o servizi da destinare al mercato. Essi si
contrappongono ai marchi collettivi che possono essere registrati da soggetti “che svolgono la
funzione di garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti e servizi” e che
“hanno la facoltà di concedere l’uso dei marchi stessi a produttori o commercianti” (artt. 2570
cod. civ e art 11. del Codice della proprietà industriale)
5
.
Il marchio collettivo può, dunque, “consistere in segni o indicazioni che nel commercio
possono servire per designare la provenienza geografica dei prodotti o servizi” (art.11 del
Codice della proprietà industriale).
4
Ad esempio “FIAT” è il marchio generale che contraddistingue tutte le vetture che sono prodotte dalla casa
automobilistica, mentre “PUNTO” e “BRAVA” sono i marchi speciali che contraddistinguono le singole vetture.
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I marchi collettivi sono marchi utilizzati da una pluralità di imprenditori diversi dal titolare, ma non da
quest’ultimo. La funzione di questi marchi è diversa da quella svolta dai marchi individuali: si tratta infatti di una
funzione principalmente di garanzia qualitativa, in quanto garantiscono che il prodotto/servizio contrassegnato
presenta una determinata origine, natura o qualità.
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2. Le fonti legislative e la loro evoluzione nel tempo
Le prime forme di protezione dei marchi si sono affermate, con una certa uniformità, nei paesi
occidentali: prima a livello nazionale (seconda metà dell’Ottocento) poi a livello
internazionale (Convenzione di Unione di Parigi del 1883 e l’Arrangement di Madrid del
1891).
Nel corso del Novecento si è provveduto al rinnovo della disciplina di protezione dei marchi,
sia in Italia che all’estero. Da un punto di vista nazionale, in Italia, sono state introdotte, nel
1942, alcune disposizioni del codice civile ed è stato emanato il r.d. 21 giugno 1942, n. 929
(la cosiddetta Legge marchi), anche se la vera e propria trasformazione dell’architettura del
sistema è avvenuta solamente nell’ultimo quarto di secolo.
In quest’ambito, un ruolo importante l’ha avuto anche l’Unione Europea con l’emanazione,
della direttiva 89/104 del 1988 e il reg. n. 40/1994.
L’Italia ha dato attuazione alla direttiva n. 89/104 con il d. lgs. 4 dicembre 1992, n. 480 ed in
seguito ha apportato pochi, ma significatici ritocchi alla legge marchi con il d. lgs, 19 marzo
1996, n.189, in attuazione degli accordi conclusivi del negoziato multilaterale, noto come
Uruguay Round, che hanno portato all’istituzione dell’Organizzazione Mondiale del
Commercio.
Infine, con il d.lgs. n. 30 del 10 febbraio 2005, è stato adottato il Codice della Proprietà
industriale (d’ora in poi C.p.i.).
Volendo quindi riassumere, si può affermare che, attualmente, esistono tre tipi di fonti che
disciplinano il diritto dei marchi
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:
1. Diritto interno
Le leggi di riferimento vigenti sono gli artt. 2569-2574 del codice civile e il Codice della
Proprietà industriale, definitivamente approvato il 23/12/2004 ed entrato in vigore 15 gg
dopo, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
L’ambito di applicazione della nostra disciplina in tema di marchi registrati è determinato
dalla regola della territorialità
7
. Ciò significa che un marchio, utilizzato, ad esempio, al di
fuori del territorio nazionale e dell’UE, anche se identico ad un altro registrato
6
RICOLFI, et al., 2005, Diritto Industriale, proprietà intellettuale e concorrenza, Torino: Giapichelli Editore,
pag. 56 e ss.
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V. art. 58 della legge di riforma del diritto internazionale privato 31 maggio 1995, n. 218.
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precedentemente, però in Italia, non può essere perseguito, a meno che non venga utilizzato
anch’esso all’interno del territorio dell’Unione Europea.
Le nostre imprese, però, hanno interesse ad ottenere la tutela per i marchi propri non solo in
Italia, ma su tutti i mercati nei quali possano introdurre i propri beni, come le imprese
straniere hanno la necessità di avvalersi dei marchi utilizzati nel paese d’origine per estendere
il proprio raggio d’azione anche nel nostro paese.
Per questo, a livello internazionale, è stata stipulata una serie di convenzioni perfezionate e
modificate nel tempo.
2. Le convenzioni internazionali
Le principali sono:
a. La Convenzione di Unione di Parigi del 1883 (CUP), che ha delineato le coordinate
fondamentali della protezione internazionale dei marchi.
Essa, in linea di principio, non impone agli appartenenti ad uno Stato di effettuare il primo
deposito nel proprio paese (art. 6.2 CUP). Se ciò avviene, è previsto alla lettera A) dell’art. 6-
quinquies che il marchio, regolarmente registrato nel paese d’origine, “sarà ammesso al
deposito e registrato tale e quale negli altri paesi dell’Unione, con le riserve del presente
articolo”. Inoltre la Convenzione prevede anche l’impegno, da parte dei Paesi dell’Unione, a
seguire alcuni standards comuni per quanto riguarda i profili essenziali della disciplina dei
marchi.
b. L’Arrangement di Madrid del 1891 ed il relativo Protocollo del 1989.
La CUP agevola le domande plurime in più Stati aderenti all’Unione, ma non toglie al
soggetto, che voglia ottenere la protezione in più Stati, l’onere di presentare una pluralità di
domande in ciascuno di essi. Ciò porta alla moltiplicazione dei costi monetari, ma anche
organizzativi.
Il vantaggio dell’Arrangement rispetto alla CUP sta nel fatto che esso sostituisce al deposito
plurimo una procedura di registrazione centralizzata. Per questo scopo è istituito un Registro
internazionale dei marchi presso l’Ufficio dell’organizzazione Mondiale per la Proprietà
Intellettuale, sito a Ginevra (OMPI in italiano e WIPO in inglese). Chi ha registrato un
marchio presso l’ufficio di uno Stato contraente può chiedere a quest’ultimo di inoltrare
all’Ufficio di Ginevra la richiesta di protezione per gli altri Stati contraenti. L’Ufficio
provvederà direttamente alla registrazione, con effetti negli ordinamenti di tutti gli altri Stati
contraenti. Il Protocollo aggiuntivo di Madrid del 1989, divenuto operante a partire dal 1°
Aprile 1996, permette di superare alcuni degli inconvenienti dell’Arrangement.
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Le innovazioni introdotte dal Protocollo hanno, infatti, lo scopo di rimuovere gli ostacoli che
impedivano ad alcuni paesi, tra cui alcuni Stati membri della Comunità europea, di aderire
all’Arrangement. Inoltre, diversamente da quanto prevedeva quest’ultimo, il Protocollo
consente alla organizzazioni intergovernative che hanno un proprio sistema regionale per i
marchi, di partecipare al sistema di registrazione internazionale. Questa eventualità è stata
prevista in seguito alla nascita del sistema del marchio comunitario, poiché si è ritenuto
opportuno collegarlo al sistema di registrazione internazionale dei marchi.
Il Protocollo prevede, dunque, che la registrazione internazionale possa avere luogo già al
momento del deposito della domanda nel paese di origine e contiene le seguenti innovazioni:
1. il richiedente la registrazione internazionale può basare la sua domanda non solo su un
marchio nazionale o regionale registrato, ma anche su una domanda di registrazione
nazionale o regionale, depositata presso un ufficio nazionale o regionale di origine
(articolo 2);
2. ciascuna parte contraente, in cui il richiedente domanda la protezione, può dichiarare,
con apposita notifica, nel termine di 18 mesi (anziché 12 mesi), che a tale marchio non
può essere accordata protezione nel proprio territorio. Questo periodo può essere
prorogato in caso di opposizione contro la registrazione internazionale (articolo 5);
3. l'Ufficio di ciascuna parte contraente può riscuotere tasse di designazione (indicazione
dei paesi per i quali si chiede la protezione) più elevate di quelle previste
dall'Arrangement di Madrid (articolo 8);
4. le registrazioni internazionali radiate, perché il marchio nazionale o regionale che ne
costituisce il fondamento non ha più efficacia (articolo 6), possono essere trasformate
in domande di registrazione nazionale o regionale, che beneficiano della stessa data di
deposito e, se applicabile, della stessa data di priorità (articolo 9 quinquies).
L’Italia ha adeguato la propria legislazione interna al Protocollo col d. lgs. 8 ottobre 1999, n.
447.
c. Il trattato sul diritto dei marchi di Ginevra 1994, ratificato dall’Italia con la legge 29 marzo
1999, n.102, che delega il Governo ad emanare un d. lgs. di attuazione, semplifica le formalità
di procedura di registrazione.
d. L’accordo TRIPs (Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights) firmato il 15
aprile 1994.
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Esso rappresenta una rottura rispetto al passato, a differenza degli altri accordi che si sono
evoluti, poco per volta, a mano a mano che si allargavano i punti di consenso tra gli Stati
contraenti. L’accordo TRIPs è stato accettato anche dai paesi più riluttanti (Paesi del terzo
mondo), poco entusiasti di un rafforzamento generalizzato delle esclusive, ma comunque
desiderosi di accedere ai vantaggi della partecipazione all’OMC, alla quale non si poteva,
però, partecipare senza avere ratificato anche i TRIPs.
L’art. 2 impone ai membri dell’accordo di conformarsi alla CUP e porta così un’espansione
del raggio di applicazione degli standards e delle regole da questa prevista, anche al di là
degli Stati contraenti della medesima.
Le disposizioni di diritto sostanziale, che concernono il marchio, sono contenute nella sezione
seconda della Parte II dell’accordo (artt. 15-20) e conferiscono al titolare del segno una tutela
particolarmente intensa, anche in riferimento ai marchi “notoriamente conosciuti”, ai sensi
dell’art. 6-bis della CUP. L’accordo TRIPs è stato attuato anche nel nostro paese.
3. Il Diritto comunitario
Negli ultimi tre decenni il diritto comunitario ha apportato al diritto dei marchi degli Stati
membri, e perciò anche a quello italiano, modifiche di portata più intensa, per certi aspetti,
rispetto a quelle apportate dalle convenzioni internazionali. L’attività della Corte di Giustizia
ha ridefinito le prerogative che spettano al titolare del marchio alla luce del diritto
comunitario, mentre gli organi legislativi della Comunità hanno armonizzato le discipline dei
vari Stati membri, allo specifico fine di renderle compatibili con lo scopo dell’integrazione
economica europea, ed hanno creato, inoltre, un diritto di marchio unitario per l’intero
territorio comunitario.
La Prima direttiva di ravvicinamento presuppone il permanere delle legislazioni nazionali, ma
elimina le disparità esistenti fra le diverse discipline interne che possano ostacolare la libera
circolazione dei prodotti o falsare le condizioni di concorrenza del mercato comune. A questa
finalità si è aggiunta un’ulteriore tendenza, non del tutto coerente con la precedente, rivolta al
rafforzamento delle prerogative del titolare del marchio. Il risultato della confluenza di queste
due diverse prospettive è costituito dalla I Direttiva 21 dicembre 1988, n. 89/104/CEE.
Il regolamento sul marchio comunitario (r.m.c.)
Il marchio comunitario è stato istituito col regolamento 20 dicembre 1993, n. 40/94/CE.
Tuttavia, affinché il marchio comunitario divenisse una realtà operativa, è stato necessario
attendere fino all’entrata in funzione dell’Ufficio dei marchi comunitari, istituito con la
denominazione di “Ufficio di armonizzazione a livello di mercato interno (marchi, disegni e
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modelli)”. Il regolamento, introducendo il nuovo istituto del marchio comunitario, che si
ottiene tramite un unico procedimento di registrazione ed il cui carattere unitario è scolpito
dall’art. 1, si allontana dal principio di territorialità in modo più deciso di quanto abbiano fatto
la Giurisprudenza Comunitaria e la prima Direttiva, le quali presupponevano il permanere del
carattere nazionale della disciplina dei marchi: dalle diverse registrazioni dei diversi paesi
nasce un fascio di diritti retti dai diversi ordinamenti nazionali. Secondo il regolamento,
invece, il marchio comunitario “produce gli stessi effetti in tutta la Comunità: esso può essere
registrato, trasferito, formare oggetto di rinuncia, di una decisione di decadenza dei diritti
del titolare o di nullità e il suo uso può essere vietato solo per la totalità della Comunità”
8
.
Alla base dell’emanazione del Regolamento c’è l’intento di creare un istituto giuridico
strutturato in modo tale da incoraggiare le imprese ad operare su scala europea, anziché
nazionale. Ciononostante il Regolamento prevede che il marchio comunitario possa coesistere
coi marchi nazionali, in modo da poter offrire alle imprese la possibilità di optare per la
struttura più idonea rispetto alle loro finalità: a seconda dei casi, un marchio nazionale, un
marchio comunitario od un fascio di marchi nazionali.
I lineamenti di diritto materiale del marchio comunitario presentano una stretta somiglianza
con le regole dettate dalla Prima Direttiva, con riferimento all’armonizzazione dei marchi
nazionali. La nostra legislazione interna, a sua volta, è stata emanata in attuazione della
medesima Direttiva.
Il marchio comunitario è amministrato in parte da istituzioni specificatamente comunitarie, in
parte da istituzioni che fanno capo agli Stati membri.
Tra le prime già si è detto dell’Ufficio, al quale è affidato il procedimento della registrazione.
La contraffazione del marchio comunitario può, invece, essere fatta valere solo di fronte ai
Tribunali dei marchi comunitari. Tale funzione è svolta dalle autorità giudiziarie di primo e di
secondo grado, designate dagli Stati membri nei rispettivi territori.
8
R.m.c. n°40/94, art. 1.2.
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3. Le funzioni giuridicamente tutelate
Per quanto riguarda le funzioni del marchio è necessario distinguerne due, teoricamente
conosciute fin dal suo primo apparire, ed un’ulteriore, che appare con chiarezza in sistemi
economici che danno largo spazio alle tecniche di pubblicità commerciale e che, quindi,
risulta fenomeno tipico dell’età contemporanea.
In primo luogo, la presenza del marchio assicura al potenziale acquirente che il prodotto, da
esso contrassegnato, corrisponda a determinati livelli qualitativi predeterminati dal produttore.
Sotto tale prospettiva il marchio ha quindi la funzione di garantire la qualità
9
dei prodotti e
servizi che contraddistingue. Ciò avviene a condizione che l’impresa disponga di un diritto
esclusivo del segno e sia vietato l’utilizzo di esso, da parte dei concorrenti, per prodotti
identici od affini. Quando tale condizione è soddisfatta, il marchio incentiva l’impresa titolare
ad offrire beni, non solo di qualità migliore, ma anche costante nel tempo, in quanto esso
viene effettivamente impiegato dagli acquirenti per collegare la loro scelta di acquisto con le
precedenti esperienze di consumo e per reperire agevolmente i prodotti desiderati.
Inoltre l’impresa, che effettua investimenti nella reputazione associata al suo segno, sarà
certamente riluttante a metterlo a repentaglio, abbassando il livello qualitativo dei beni così
contrassegnati.
Una funzione diversa da quella di garanzia qualitativa (individuata dall’analisi degli
economisti), è, invece, quella considerata come meritevole di tutela da parte dell’ordinamento
giuridico: la funzione distintiva.
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Secondo tale approccio, il marchio distingue la sottoclasse
dei beni, da esso contrassegnati, nell’ambito della classe costituita da tutti i beni dello stesso
genere, “indicando” la provenienza dei beni da un’impresa determinata. Negando l’utilizzo di
quel segno da parte di altre imprese concorrenti, si evita che l’acquirente possa incorrere in
confusione circa l’origine imprenditoriale dei beni contraddistinti dal marchio.
Dopo la riforma del 1992 il livello di protezione dei marchi è stato innalzato ed oggi non è
tutelata solamente la funzione distintiva così come è intesa tradizionalmente. Bisogna, infatti,
fare menzione della cosiddetta tutela rafforzata di una particolare tipologia di marchi,
chiamati “celebri” dalla nostra giurisprudenza e che, dopo la riforma del 1992, sono stati
qualificati come marchi che “godono di rinomanza” (art. 20.1, lett. C). C.p.i.).
9
DI CATALDO, 1993, I segni distintivi, Milano: Giuffrè, pag. 22.
10
RICOLFI, et al., 2005, Diritto Industriale, op. cit., pag. 61 e ss.
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La protezione di questi segni non è più circoscritta dal principio di specialità e può
prescindere dal rischio di confusione del pubblico quanto all’origine dei beni. La tutela è,
infatti, accordata sul solo presupposto che l’uso di un segno identico o simile da parte di un
terzo non autorizzato consenta di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o
dalla rinomanza del marchio.
Questo perché, oggi, la protezione è commisurata ad un nuovo fattore socio-economico, in
precedenza considerato irrilevante, ossia il capitale pubblicitario incorporato nel segno, e
quindi alla quantità ed alla qualità dell’investimento pubblicitario e promozionale di cui il
segno è fatto oggetto.
Nasce così una funzione del marchio diversa da quella distintiva o indicatrice d’origine: la
funzione pubblicitaria
11
.
4. I requisiti di validità del marchio
Stabilito cosa sia il marchio e quali siano le funzioni ad esso riconosciute, risulta necessario
definire quali siano i requisiti per la sua validità.
Per poter costituire oggetto di tutela, il marchio deve presentare i seguenti requisiti:
- la novità, (art. 12 C.p.i.) che ricorre nel quando, il marchio, al momento del deposito
della domanda di registrazione o al momento dell’avvio dell’uso per i marchi non
registrati, non risulta già noto al mercato;
- la capacità distintiva o originalità (art. 13 C.p.i.), che consiste nell’idoneità a
identificare i prodotti contrassegnati tra tutti i prodotti dello stesso genere, immessi sul
mercato.
- la liceità, (art. 14 C.p.i. lett. a) e c)), cioè il non essere contrario alla legge, all’ordine
pubblico o al buon costume o non essere già utilizzato o protetto da organismi
sopranazionali o nazionali; il requisito deve sussistere al momento del deposito della
domanda e continuare ad essere presente nel corso di tutta la vigenza del marchio,
pena la decadenza del marchio stesso;
- la verità, detto anche non decettività (art. 14 Codice della Proprietà Industriale lett.
b)), che esige che il marchio non induca in inganno il pubblico, in particolare sulla
provenienza geografica, sulla natura o sulla qualità dei prodotti o dei servizi. Esempi
11
RICOLFI, et al., 2005, Diritto Industriale, op. cit., pag. 61 ss.
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di marchio decettivo sono costituiti dal marchio che, evocando una certa natura del
prodotto (richiamando, per esempio, materiali come il cuoio, la seta,la lana), sia
registrato esclusivamente e specificamente per prodotti diversi; dal marchio che sia
descrittivo di caratteristiche (es: ipocaloriche, dietetiche) del tutto estranee al prodotto
per il quale è registrato; o da quello che, richiamando una data origine geografica, sia
registrato per contraddistinguere prodotti provenienti da altre zone. La decettività del
segno lo rende insuscettibile di valida registrazione come marchio (per quel genere di
prodotti o servizi per i quali la decettività si verifica) e ne determina la nullità, che
potrà essere eventualmente parziale, cioè limitata ad una parte dei prodotti o servizi
per i quali il marchio è registrato. È possibile, inoltre, avere la decadenza del marchio
per sopravvenuta decettività. La veridicità o decettività del marchio dipendono, come
è evidente, dalla relazione fra due elementi: significato del segno, da un lato, natura,
qualità, provenienza dei prodotti o servizi contraddistinti, dall’altro. La sopravvenuta
decettività presuppone, dunque, il mutamento dell’uno o dell’altro o anche di entrambi
gli elementi; esempi di decettività sopravvenuta si hanno nel caso di trasferimento
della produzione da uno stabilimento situato in una data zona geografica, qualificante
il prodotto ed indicata od evocata in un Paese, in altro stabilimento posto in una
regione od in un Paese che non garantisce quelle caratteristiche; nel caso di
modificazione della natura o qualità del prodotto o di estensione dell’utilizzazione del
marchio a prodotti diversi, così da perdersi la relazione fra questi e l’originario
contenuto descrittivo del marchio; nel caso di marchio costituito dal nome di un noto
stilista, ancora usato quando lo stilista o la sua collaborazione con l’azienda siano
venuti meno.
Oggetto di questo lavoro è l’analisi dei primi due requisiti sopraccitati (capacità distintiva e
novità), che andrò quindi ad approfondire nei successivi paragrafi.