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L’omosessualità, come attrazione erotica predominante nei confronti di individui dello
stesso sesso, è stata, da molti studi, considerata un fattore di rischio per lo sviluppo di
disturbi alimentari (Beren, Hayden, Wilfley, & Grilo, 1996; cit. in Lakkis, Ricciardelli
and Williams, 1999). Diverse ricerche hanno enfatizzato, tra gli uomini omosessuali e le
donne eterosessuali, una maggiore preoccupazione per il peso corporeo e la forma
fisica, e un alto livello di comportamenti restrittivi nei confronti del cibo (Conner et al.,
2004; cit. in Grogan, Conner and Smithson, 2006); diversi autori evidenziano come gli
uomini omosessuali siano particolarmente vulnerabili all’insoddisfazione corporea,
perché membri di una subcultura che veicola valori legati all’apparenza estetica,
all’oggettivazione sessuale, e all’essere magri e muscolosi (Morrison et al., 2004; cit. in
Sharon Gil, 2007).
Per le lesbiche, invece, l’orientamento sessuale sembra essere un fattore protettivo:
esse, infatti, risultano più soddisfatte dei loro corpi, rispetto alle donne eterosessuali
(Strong, Williamson, Netemeyer, and Geer, 2000), sebbene altre ricerche hanno
evidenziato come esse abbiano gli stessi livelli di preoccupazione per il proprio corpo
delle donne eterosessuali, pur essendo meno interessate all’apparenza fisica, a causa
delle comuni pressioni sociali di cui sono oggetto (Fawkner & McMurray, 2002);
inoltre, diversi autori sottolineano come l’appartenenza a comunità, diversamente che
per i gay, sia per le lesbiche un fattore protettivo nei confronti dell’insoddisfazione
corporea e dell’insorgenze di disturbi alimentari (DCA), dato che in tali comunità si
tende a de-enfatizzare l’importanza dell’attraenza fisica e dell’ideale di magrezza
(Grogan, Conner, and Smithson, 2006).
Diversi studi (Meyer, Blisset, & Oldfield, 2001) hanno evidenziato un aspetto
importante, correlato al ruolo di genere: l’orientamento del ruolo di genere, nelle due
dimensioni di Femminilità e Mascolinità. Alti livelli di femminilità sono stati spesso
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associati ai disturbi alimentari, dove invece alti livelli di mascolinità diventano un
fattore protettivo; dunque, l’identificazione a ruoli di genere tipicamente femminili è
associato all’insoddisfazione corporea, e questo spiegherebbe la maggiore
preoccupazione per il proprio corpo dei gay (Picot, 2006), rispetto all’identificazione a
ruoli di genere mascolini o androgini (ossia con comportamenti in ugual misura
mascolini e femminili), che veicola una minore probabilità di esperire vissuti di
insoddisfazione corporea.
E’ importante, infine, sottolineare che diversi autori hanno recentemente focalizzato
l’attenzione sull’incremento di sentimenti di insoddisfazione corporea, oltre che nelle
donne eterosessuali, anche nei maschi eterosessuali, per cui si parla di “dismorfia
muscolare”( Adams, Turner & Bucks, 2005), con conseguente abuso di steroidi: questo
perché è cambiato l’ideale di bellezza maschile veicolato dai media, raggiungendo ideali
di muscolosità impossibili da imitare per molti uomini (Tiggemann, Martins and
Kirkbride, 2007).
In sintesi, la letteratura ha identificato nell’adesione a ruoli di genere tipicamente
femminili e nell’omosessualità maschile fattori di rischio specifici per la sintomatologia
dei DCA. Nel mio elaborato cercherò di verificare tali ipotesi, esaminando le
conclusioni raggiunte dai diversi studi sull’argomento, effettuati dal 2002 al 2008.
Nel primo capitolo tratterò gli aspetti relativi all’omosessualità e alla sua
“depatologizzazione”, all’identità sessuale e alle sue componenti, e ai concetti di
mascolinità e femminilità, in relazione allo sviluppo dell’omofobia.
Nel secondo capitolo mi occuperò del rapporto tra orientamento sessuale e immagine
corporea, delineando le teorie sull’immagine corporea e sul disturbo da dimorfismo
corporeo, nonché sull’insoddisfazione corporea, come fenomeno non solo femminile,
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ma anche presente nel mondo maschile eterosessuale, oltre che nel mondo maschile
omosessuale.
Nel terzo capitolo mi focalizzerò sul rapporto tra orientamento sessuale e
comportamenti alimentari, esaminando la correlazione tra insoddisfazione corporea e
disturbi alimentari (DCA), passando in rassegna i principali disturbi del comportamento
alimentare conclamati: anoressia, bulimia, e disturbi alimentari atipici; infine, cercherò
di analizzare la letteratura riguardante la correlazione della sintomatologia dei DCA con
l’omosessualità maschile e, viceversa, il ruolo protettivo dell’omosessualità femminile
nei confronti di tali disturbi.
Il quarto capitolo è dedicato alla ricerca empirica vera e propria, che cercherà di
valutare se l’orientamento omosessuale, soprattutto per gli uomini, può essere
considerato un fattore di rischio specifico per i DCA, insieme al ruolo di genere
femminile, e se esiste una correlazione tra l’insoddisfazione corporea e la
sintomatologia dei DCA e gli stati negativi dell’umore.
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CAPITOLO 1. L’OMOSESSUALITA’
1.1 Che cos’è l’omosessualità
L’omosessualità si definisce come un’attrazione erotica predominante verso individui
dello stesso sesso: essa non sempre è agita, tanto che si considerano omosessuali anche
gli individui che non praticano attività omosessuali, a causa di un conflitto
intrapsichico, o a causa delle pressioni sociali (Isay, Oliverio Ferraris, Lingiardi, 1998).
L’inquadramento nosologico dell’omosessualità ha suscitato da sempre controversie
(Galimberti, Dizionario di Psicologia, 1999), e la sua “depatologizzazione”, è stata
scandita proprio dalle modificazioni nosografiche del Manuale Diagnostico e Statistico
dei Disordini Mentali (DSM) (Donadi, 2000).
Nella prima versione del DSM del 1952, l’omosessualità viene inserita nella categoria
disturbi sociopatici di personalità, che evidenzia la volontà degli omosessuali di opporsi
alla morale convenzionale. Nel DSM-II del 1968, l’omosessualità viene considerata
deviazione sessuale e inserita nella categoria disturbi mentali non psicotici, insieme alla
pedofilia, alla necrofilia, al travestitismo e al transessualismo.
Nel 1973, l’APA (Associazione Psichiatrica Americana) distingue ed elimina dalla
lista dei disturbi psicosessuali, l’omosessualità egosintonica, specifica del soggetto che
vive il suo orientamento sessuale in modo psicologicamente non traumatico:
l’omosessualità non è più un deterioramento della motivazione, del giudizio e delle
abilità sociali dell’individuo.
Nel DSM-III del 1974, rimane presente la definizione di omosessualità egodistonica
(in distonia col proprio Io), specifica del soggetto che vive in modo conflittuale il
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proprio orientamento sessuale: l’omosessualità, dunque, è patologica nella sola forma
egodistonica.
Nel DSM-III-R e nel DSM-IV del 1994, anche quest’ultima definizione viene
eliminata, con un’interpretazione del disagio egodistonico in termini di processo
evolutivo, e non come sindrome vera e propria (Donadi, 2000).
Nonostante l’eliminazione dell’omosessualità dal DSM-IV, esiste ancora oggi un
modello patologico dell’omosessualità, che prevede una modificazione
dell’orientamento omosessuale, attraverso un’analisi delle dinamiche pre-edipiche
secondo la terapia psicoanalitica, o attraverso una forma di condizionamento, secondo la
terapia comportamentale (Donadi, 2000).
Alcuni studi sociologici hanno evidenziato che le lesbiche e i gay, aderendo a modelli
di orientamento sessuale delle persone di sesso opposto, sembrano tradire la propria
identità di genere, che è dualisticamente definita, rigida e complementare, ponendo le
basi per la creazione della propria Alterità (Abbatecola, Stagi, Todella, 2008).
Sia le lesbiche che i gay esperiscono, dunque, una non conformità di genere, che si
presenta fin dall’infanzia.
Un filone di ricerche empiriche ha esaminato gli effetti negativi di ciò sulla salute
psicologica: individui che violano le norme sociali di comportamento relative al genere,
soffrono una stigmatizzazione che produce alti livelli di stress psicologico (Skidmore,
Linsenmeier, 2006).
Alcuni autori (Cabaj, 2008 & Zijadeh, Prokop, Fisher, Rosario, Field, Camargo,
Austin, 2007), suggeriscono che sia i gay che le lesbiche presentano alti livelli di
utilizzo di alcool e di droghe (soprattutto anfetamine) rispetto alla popolazione generale;
la ricerca di Zijadeh, Prokop, Fisher, Rosario, Field, Camargo, Austin (2007), su
adolescenti maschi e femmine, ha riscontrato, invece, differenze maggiori tra le lesbiche
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o bisessuali, o le ragazze che si definivano “per lo più eterosessuali”, e il rispettivo
campione di ragazze eterosessuali, piuttosto che tra i gay o bisessuali, e i ragazzi
eterosessuali. Altri studi hanno evidenziato come gay e lesbiche siano maggiormente
vulnerabili a problemi sia fisici che mentali, nonché al suicidio (Razzano, Cook,
Hamilton, Hughes and Matthews, 2006; Silenzio, Pena, Duberstein, Cerel, Knox, 2007),
causati probabilmente dalla stigmatizzazione, dall’isolamento sociale e dalla
discriminazione eterosessista, o da altri fattori di rischio, identificati attraverso studi
empirici, quali disfunzioni familiari, o reazioni negative in famiglia alla notizia del
proprio orientamento sessuale alternativo, esperienze scolastiche e religiose negative,
coming-out precoce, abusi e violenze, gruppi di sostegno inappropriati, e interazioni
negative con i centri di Salute Mentale (Coffey, 2008 & Eisenberg, Resnick, 2006).
Recenti studi (Cabaj, 2008) hanno ulteriormente evidenziato che i gay sono più soggetti
all’abuso di droghe e più esposti all’HIV e all’AIDS, a causa di comportamenti sessuali
a rischio, spesso conseguenza proprio di questi abusi di sostanze.
Le lesbiche, invece, in modo molto simile alle donne eterosessuali, soffrono
maggiormente di disturbi legati all’ansia, alla depressione e tentativi di suicidio e
all’uso di psicotropi per il trattamento di questi sintomi; una ricerca su un campione di
63 lesbiche e 57 donne eterosessuali, che ha utilizzato interviste faccia a faccia e test
specifici per lo studio della salute e delle esperienze di vita (NSHLEW e CHLEW), ha
riscontrato che le maggiori componenti che influenzano la salute mentale sono le
questioni relazionali e l’umore depresso, nonché la vittimizzazione e i traumi per gli
abusi sessuali subiti (Razzano, Cook, Hamilton, Hughes and Matthews, 2006): secondo
Cochran et al. (2003), le lesbiche fanno un maggiore uso di servizi di salute mentale
rispetto alle donne con altri orientamenti sessuali.