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consapevolezza del passato vissuto e del futuro previsto e con una
profonda conoscenza del mondo circostante. La prima è un
fenomeno biologico semplice, con un unico livello
d’organizzazione stabile in tutto l’arco della vita dell’organismo;
non è una caratteristica esclusiva degli esseri umani, e non dipende
né dalla memoria convenzionale, né tanto meno da quella operativa,
dal ragionamento o dal linguaggio. Per contro, la coscienza estesa è
un fenomeno biologico complesso, con vari livelli
d’organizzazione, che si evolve nel corso della vita dell’organismo;
come vedremo potrebbe essere presente anche in altri animali,
socialmente complessi, ma in ogni modo raggiunge i suoi massimi
solo negli esseri umani, poiché dipende sia dalla memoria
operativa, che da quella convenzionale.
Questi due generi di coscienza corrispondono a due generi di sé. Il
senso di sé che emerge nella coscienza nucleare è il “sé nucleare”,
un’entità transitoria, ricreata incessantemente per ognuno degli
oggetti con i quali il cervello interagisce. Il concetto tradizionale del
sé è però collegato all’identità, e corrisponde ad una collezione non
transitoria di fatti e modi d’essere unici che caratterizzano una
persona. Damasio chiama tale entità “sé autobiografico”. E’
importante però sottolineare fin da adesso che quest’ultimo, insieme
alla coscienza estesa non rappresenta una varietà di sé indipendente;
al contrario si erge sulle fondamenta della coscienza e quindi del sé
nucleare. Evidenze cliniche come vedremo ci dimostrano che
menomazioni della coscienza estesa non impediscono alla
coscienza nucleare di rimanere intatta (ne sono un esempio i casi
d’Amnesia Globale Transitoria, Alzheimer, Anosognosia,
Asomatognosia e una vasta gamma di disturbi di natura psichica
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come mania, depressione e qualche forma di schizofrenia). Di
contro i deterioramenti che iniziano a livello della coscienza
nucleare demoliscono l’intero edificio di questa, facendo crollare
anche quella estesa ( vedi ad esempio pazienti affetti da crisi
d’assenza, automatismi epilettici, mutismo acinetico, o da stati
vegetativi persistenti).
Il sé autobiografico, infatti, dipende da ricordi sistematizzati di
situazioni in cui la coscienza nucleare ha preso parte alla
conoscenza delle caratteristiche della vita di un organismo, meno
soggette a variazioni – da chi siamo nati, dove, quando, le nostre
preferenze e avversioni, il nostro modo usuale di reagire ad un
problema o ad un conflitto, il nostro nome, e come vedremo anche
le caratteristiche del nostro volto.
Le radici profonde del sé, vanno ricercate nell’insieme di dispositivi
cerebrali che mantengono continuamente e non consciamente lo
stato del corpo entro il ristretto intervallo e la relativa stabilità
necessari alla sopravvivenza. Tali dispositivi rappresentano lo stato
del corpo vivente nelle sue molteplici dimensioni. Damasio chiama
questo livello base di regolazione e coordinazione interna “proto-
sé”, la piattaforma neurobiologica inconscia precursore degli alti
livelli della rappresentazione del sé. Nei vertebrati, il luogo di
convergenza di tali informazioni, è localizzato nell'asse ipotalamo –
tronco encefalico a cui convergono informazioni provenienti dai
visceri, dall’ambiente interno, e dal sistema sensoriale e somatico.
Sono localizzati nel tronco encefalo anche i nuclei che regolano
funzioni vitali, come cicli sonno-veglia, l’attenzione e le emozioni.
La coscienza, infatti, consiste nella costruzione della conoscenza
riguardo al coinvolgimento dell’organismo in una relazione con
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qualche oggetto, e al cambiamento, all’interno dell’organismo,
causato dalla relazione con questo oggetto. Nel cervello dunque
alcuni circuiti saranno coinvolti nella rappresentazione di questo
oggetto, altri nella rappresentazione dello stato interno del corpo, e
altri ancora saranno deputati alla rappresentazione della relazione
tra loro. Così, tale sistema potrebbe rappresentare la relazione tra
l’oggetto e se stesso come «che cosa (esterno) mi provoca il dolore
(interno) ».
La distinzione tra sé e non sé sebbene originalmente progettata per
sostenere coerenza, è in ultima analisi responsabile dell’emergere
della coscienza (Damasio, 1999). Secondo questa ipotesi, un
cervello che possiede la capacità di distinguere tra rappresentazioni
del mondo interno e rappresentazioni del mondo esterno e che è in
grado di costruire un modello meta-rappresentativo della relazione
tra le entità esterne ed interne, è un cervello che possiede un certo
grado di coscienza.
E’ presente una coscienza nucleare, infatti, quando i dispositivi
cerebrali di rappresentazione dell’organismo generano una
descrizione non verbale, per immagini, del modo in cui lo stato
dell’organismo viene modificato dall’elaborazione di un oggetto da
parte dell’organismo stesso e quando tale processo intensifica
l’immagine dell’oggetto causativo, mettendolo in posizione saliente
in un contesto spaziale e temporale. L’organismo dunque si
rappresenta i mutamenti del proprio stato mentre è occupato a
rappresentare qualcos’altro. Se la coscienza nucleare ci permette di
sapere per un fugace momento che siamo noi ad avere ad esempio
una sensazione di dolore, la coscienza estesa, dal canto suo, pone
questa stessa esperienza su uno sfondo più ampio e in un intervallo
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di tempo più lungo. La gamma di conoscenze che diventano
accessibili grazie alla coscienza estesa abbraccia un vasto
panorama. Il sé dal quale si contempla questo ampio paesaggio è un
concetto robusto nel vero senso della parola; è un sé autobiografico,
dipendente dalla costante riattivazione e presentazione d’insiemi
selezionati di ricordi autobiografici. Anche questi sono degli
oggetti, e il cervello li tratta come tali, permettendo ad ogni ricordo
di essere in relazione con l’organismo nel modo descritto per la
coscienza nucleare, quindi permettendo ad ogni ricordo di generare
un impulso di coscienza nucleare, «un senso di sé che conosce». La
coscienza estesa è dunque la capacità di essere consapevoli di una
vasta estensione di entità ed eventi, vale a dire la capacità di
generare un senso di prospettiva, possesso, e azione individuale, in
un ambito di conoscenze più ampio di quello che viene abbracciato
nella coscienza nucleare. L’esibizione protratta del sé
autobiografico è la chiave della coscienza estesa. Vi è dunque
coscienza estesa quando la memoria operativa tiene
simultaneamente attivi sia un oggetto particolare, sia gli oggetti
della propria autobiografia ossia quando essi generano
simultaneamente coscienza nucleare.
Per poter sopravvivere, occorre trovare e incorporare fonti
d’energia e impedire ogni genere di situazione che minacci
l’integrità dei tessuti viventi. Occorre dunque un’azione giusta. Le
immagini ci consentono di scegliere tra diversi repertori di schemi
d’azione già disponibili e di ottimizzare l’esecuzione dell’azione
scelta. Possiamo dunque cercare e scegliere gli elementi più
appropriati, e scartare quelli che non vanno bene. Possiamo anche
elaborare piani per azioni future. Se le azioni sono alla base della
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sopravvivenza, e se il loro potere è legato alla disponibilità
d’immagini guida, ne segue che un dispositivo capace di
massimizzare l’efficacia della manipolazione delle immagini, al
servizio degli interessi di un particolare organismo, fornisce
vantaggi enormi e probabilmente prevale nell’evoluzione. Un tale
dispositivo è proprio la coscienza, e cioè la possibilità di mettere in
gioco il sistema di regolazione della vita nell’elaborazione
d’immagini che rappresentano le cose e gli eventi all’interno e
all’esterno dell’organismo. La coscienza quindi ha reso possibile il
collegamento di due aspetti distinti del processo: la regolazione
interna della vita e la produzione d’immagini.
In tale contesto l’emergere del senso del sé, come vedremo nel
prossimo paragrafo, è la prima risposta ad una domanda che
l’organismo non si è mai posto: a chi appartengono le
configurazioni mentali che si stanno dispiegando in questo istante?
Riconoscimento del sé e discriminazione dell’altro
nell’infanzia
Vedere se stessi allo specchio è un’esperienza psicologica assai
rilevante e significativamente intima.
Il modo in cui gli infanti, i bambini e anche gli adulti reagiscono e
si comportano mentre contemplano la propria immagine speculare,
rivela non solo come costruiscano il loro schema corporeo, ma
anche come comprendano gli altri in relazione a se stessi.
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Il riconoscimento di sé, in un’immagine speculare, rappresenta più
di un’improvvisa esperienza di dislocazione spaziale tra la
sensazione propriocettiva e visiva del proprio corpo. Comporta una
sintesi della “coesistenza con altri” (Merleau-Ponty, 1964). In altre
parole comporta la realizzazione che l’immagine speculare
identifica o concettualizza il sé, e non qualcun altro
(Rochat&Striano, 2002).
Il riconoscimento del sé è dunque la realizzazione che la propria
immagine speculare non è nient’altro che il proprio corpo: il sé
come visto da altri. Ciò fa supporre, e conferma, l’importanza del
rapporto di reciprocità nella conoscenza di sé e il ruolo
fondamentale degli altri nel fungere da “specchio”. Cooley (1902)
utilizza a riguardo il concetto di “rispecchiamento” per formulare
un’ipotesi sulla formazione del sé.
Quando noi vediamo il nostro volto, la nostra figura e i nostri abiti in uno
specchio e siamo interessati ad essi in quanto nostri e compiaciuti o meno di
questi a seconda che rispondano o meno a ciò che vorremmo essere, allo
stesso modo, nell’immaginazione, noi percepiamo nella mente altrui alcuni
pensieri sulla nostra apparenza, sui nostri modi, sui nostri ricordi, sulla
nostra realtà, sul nostro carattere, sui nostri amici e così via e ne siamo
variamente influenzati. Un ideale di sé di questo tipo consta di tre aspetti
principali: l’immaginazione della nostra apparenza per le altre persone;
l’immaginazione del loro giudizio di questa apparenza e una sorta di
sentimento del proprio sé quale l’orgoglio e l’umiliazione […]. Quel che ci
fa provare orgoglio o vergogna non è il mero riflesso meccanico di noi
stessi, ma un sentimento imputato a qualcun’ altro, l’effetto che si immagina
questo riflesso abbia nella mente altrui (Cooley, 1902).