2
Tra il 1866 ed il 1890 lo stato italiano emanò leggi che miravano a
confiscare i patrimoni di diversi ordini e congregazioni religiose, obbligando
inoltre le Opere Pie a sottomettersi al controllo pubblico. Gli edifici
espropriati furono assegnati alle autorità locali per ospitarvi scuole, ospedali
ed istituzioni assistenziali; i libri e le opere d’arte andarono a biblioteche e
musei pubblici.
Una legge che ebbe l’effetto di ridurre l’influenza cattolica sulla società
italiana e di creare un sistema assistenziale controllato dallo Stato, fu
approvata nel 1890 e divenne nota come legge Crispi dal nome del Presidente
allora in carica. La legge Crispi sottometteva al controllo pubblico le Opere
Pie che fornivano servizi di tipo assistenziali, sanitario, educativo e di
formazione professionale ed imponeva ad ogni istituzione di assistenza che
avesse una qualche rilevanza economica di assumere la natura giuridica
pubblica; inoltre costituì il primo passo verso la trasformazione in IPAB
(Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza) delle Opere Pie,
trasformazione che completò nel 1923 sotto il Regime Fascista.
Il settore non profit di matrice cattolica cessò di operare come settore
autonomo, ed iniziò una storia centenaria di relazioni peculiari con l’ente
pubblico. Lo sforzo di secolarizzazione della società italiana intrapreso con
queste leggi, fu assai lontano dall’essere completo; in effetti, nel corso dei
decennio successivi, le èlite religiose ed i servizi assistenziali che esse
gestivano, conservarono un consistente grado di autonomia.
Quest’autonomia si accrebbe ulteriormente nel corso del ventennio fascista
(1922-1943) quando, con la firma del concordato del 1929, cessarono le
ostilità tra lo Stato e la Chiesa Cattolica.
Dopo l’approvazione della costituzione repubblicana, avvenuta nel 1948, la
legge Crispi restò a lungo immutata, nonostantel’articolo 38 della stessa
3
costituzione stabilisse che “l’assistenza privata è libera”, consentendo con ciò
ai privati di fornire servizi assistenziali senza dover assumere la veste
giuridica dell’ente pubblico.
Durante l’Ottocento, gli effetti distruttivi dello statalismo liberale nei confronti
degli istituti della “società civile” sono evidenti e rilevanti anche in Italia: dal
campo dell’istruzione
2
al campo degli enti ecclesiastici (leggi Siccardi), a
quello degli enti benefici ed assistenziali (legge 17 luglio 1890, n.6972)
3
.
I primi del Novecento vedono il sorgere dello “Stato sociale”: esso si
sviluppa facendo un uso strumentale delle istituzioni create dalla società
civile.
Come risultato di questo duplice conflitto (tra Stato unitario e Chiesa
Cattolica e tra nuova elite nazionale e classe operaia), lo Stato Italiano ha
assunto su di sé la responsabilità di soddisfare i bisogni collettivi dei cittadini
e di aumentare il loro benessere o il benessere generale della collettività.
In tutti i paesi industrializzati alla relativa stasi degli anni Ottanta è seguito
un decennio contrassegnato da una rapida accelerazione degli studi e
dell’applicazione della rendicontazione sociale.
Questo è dovuto a vari fattori, tra i quali lo sviluppo concettuale di alcuni
temi fondamentali nell’evoluzione della teoria d’azienda degli ultimi trenta
anni (in particolare della corporate governance e dell’accountability) e la
variabilità di elementi contestuali, quali la struttura dei sistemi produttivi e la
funzione delle istituzioni pubbliche con cui le entità economiche
interagiscono: in sintesi, tutti aspetti cui la dottrina attribuisce un ruolo
rilevante nell’evoluzione del concetto di “responsabilità sociale” a livello
aziendale.
2
legge Buoncompagni, riforma del conte Gabrio Casati
3
Con la legge citata vennero ricondotte sotto il controllo e la tutela pubblica opere pie ed enti
morali, ai quali veniva attribuita la nuova qualificazione di Ipab, a prescindere dalla
appartenenza e titolarità del patrimonio
4
Gli anni più recenti sembrano però mostrare un’inversione di questa
tendenza; la cosiddetta “crisi fiscale dello Stato” ha spesso indotto la
Pubblica Amministrazione ad affidare ad organizzazioni non profit la
gestione di alcuni servizi, principalmente nell’area dei servizi sociali, e, in
misura crescente, anche in quella sanitaria. Molte delle organizzazioni alle
quali sono appaltati i servizi hanno una matrice cattolica; altre, tuttavia,
soprattutto quelle nate in epoca a noi più vicine, sono l’espressione di una
nuova consapevolezza laica della necessità di promuovere i valori
dell’altruismo e della solidarietà.
Enti non profit: natura e tipologie.
Il termine non profit deriva dall’americano “not for profit” che può essere
tradotto in italiano con l’espressione senza scopo di lucro.
Mentre negli Stati Uniti il non profit rappresenta una specifica e determinata
categoria giuridica, ossia quella delle tax exempt organization, in Italia il
termine indica concettualmente l'insieme di enti, fondazioni, enti di tipo
cooperativo o associativo, enti di diritto ecclesiastico che non operano
secondo una logica di profitto.
La nostra Costituzione, infatti, prevede, tra i diritti dei cittadini, quello di
associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non siano vietati
dalla legge penale (art.18 Cost.), nonché quello di professare liberamente la
propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, ricavando in
questo modo uno spazio autonomo, rispetto all’azione dello Stato, che
permetta a tali enti di perseguire gli scopi che si sono prefissati.
5
Gli enti non profit presenti nella realtà Italiana si possono classificare in
funzione: a) della categoria civilistica alla quale appartengono o, b) più
efficacemente, in funzione dello scopo che perseguono.
Secondo il primo criterio enunciato possiamo distinguere: le fondazioni, i
comitati, le società cooperative, le Ipab (istituzioni pubbliche di assistenza e
beneficenza) e le associazioni, queste ultime a loro volta classificabili in
riconosciute e non riconosciute. Appare evidente come possa essere arduo
dettare una normativa organica di incentivazione per una realtà tanto
complessa e polimorfica.
Una classificazione in base allo scopo permette di evidenziare le
caratteristiche importanti dell’ente che dovrebbero condizionarne la
disciplina. Secondo questo profilo gli enti non profit si differenziano, infatti,
in assistenziali e mutualistici. I primi operano per fini pubblici o caritatevoli
nei confronti di tutta la collettività; i secondi perpetuano, quale scopo sociale,
la creazione di benefici diretti esclusivamente ai propri membri o a gruppi
per il cui servizio sorgono o che rappresentano. La meritorietà dei secondi,
differentemente da quella dei primi, risulta dipendente dalla necessarietà di
protezione espressa dai gruppi tutelati o rappresentati.
In passato, Stato e imprese hanno coperto quasi interamente la produzione di
beni e servizi, di cui ogni società necessitava, in proporzione variabile sia nel
tempo che nello spazio, ma comunque, nel complesso, in misura quasi
esaustiva. Dallo stato liberista a quello comunista, da quello liberale a quello
sociale hanno, di fatto, consentito al primo ed al secondo settore,
rispettivamente l’impresa e lo Stato, di mantenere un ruolo egemone rispetto
agli altri settori della società; si è verificata una sorta di colonizzazione del
terzo settore da parte del primo e del secondo.
6
Lo stesso nome: “terzo settore”, ne sottolinea l’aspetto residuale, esso delinea
infatti tutto ciò che non è né Stato né impresa
4
.
La presenza e la crescita del terzo settore ha creato l’aspettativa diffusa che
possa rappresentare la risoluzione di molti dei problemi della nostra società:
uno dei più accreditati studiosi del settore
5
ha potuto affermare che l’avvento
di tale settore della vita sociale potrebbe costituire uno sviluppo paragonabile
per importanza all’avvento degli Stati nazionali alla fine del secolo
6
.
“Il privato sociale è per così dire il sintomo e l’anticipazione della
riorganizzazione complessiva della società, cioè della società civile post-
moderna
7
”.
Classificazione aziendalistica
Una classificazione Aziendalistica
8
importante del settore non profit distingue:
1) aziende autoproduttrici;
2) aziende erogatrici;
3) imprese sociali.
La prima classe comprende le aziende che destinano la produzione a soggetti
predeterminati ovvero a coloro che hanno costituito l’azienda e la mantengono
4
DE CARLI, Lezioni, cit., pag.281
5
SALAMON E ANHEIER, Il settore emergente: il settore non profit in una prospettiva
comparata. Una prospettiva panoramica, in quaderni occasionali n.6 ( novembre 1994) del
progetto internazionale di ricerca “Il settore non profit: un’analisi comparata”.
6
FASANELLI, Gli organismi non profit nella società italiana, un caso di solidarietà
efficiente: L’Elis, il fisco, 1995, pag. 42.
7
FASANELLI, Gli organismi, cit, pag.42.
8
In un convegno organizzato dall’Accademia di Economia Aziendale (Aidea) sul tema “Le
aziende non profit tra Stato e mercato” prof.Pellegrino Capaldo
7
in vita e la gestiscono. Si tratta dunque di un’impresa che nasce ed è
espressione di soggetti portatori di comuni bisogni e produce solo per
soddisfare questi bisogni .
La seconda classe comprende imprese la cui produzione è destinata a terzi o
alla collettività senza ricevere alcuna controprestazione, quindi aziende che
cedono gratuitamente,o quasi,i loro prodotti e i loro servizi per far fronte ai
bisogni di persone disagiate al fine di contribuire al miglioramento in parte
delle condizioni di vita dell’intera comunità.
Ciò che caratterizza l’azienda è il fatto che la sua produzione viene ceduta
attraverso atti di liberalità ; di conseguenza la copertura delle spese non può
che avvenire attraverso atti di liberalità di segno opposto da parte di soggetti
che –condividendo i suoi fini –ne sostengono spontaneamente l’attività.
La terza classe comprende le aziende che destinano al mercato e dunque allo
scambio la loro produzione ,ma lo fanno per finalità ben diverse dal profitto ,e,
conseguentemente, la loro logica il loro meccanismo economico è ben diverso
da quello della tipica impresa .In tali imprese la produzione non è strumentale
al profitto,ma ad altre finalità come ad esempio dare lavoro a persone che per
ragioni diverse non riescono ad inserirsi in un normale circuito
produttivo;offrire beni e servizi che né Stato né impresa producono e la cui
mancanza lascerebbe insoddisfatta una domanda proveniente in generale da
ceti economicamente deboli.Questa categoria di imprese prenta il nome di
imprese sociali ,con ciò si sottolinea ,da un lato il fatto che producono per il
mercato;dall’altro che lo fanno per finalità diverse dal profitto,genericamente
riconducibili all’ ”interesse generale” o al “sociale”.