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INTRODUZIONE
Il commercio di materie prime energetiche sta diventando uno dei termini più
rilevanti nel quadro degli scambi internazionali di merci. La bilancia energetica
mostra saldi negativi che condizionano fortemente le bilance commerciali di gran
parte dei paesi del mondo e di tutti i paesi europei, ad eccezione della Danimarca.
In un clima in cui i rifornimenti di energia sono sempre più incerti a causa del
continuo incremento della domanda a fronte di inefficienze delle infrastrutture
energetiche globali, c’è un rischio sempre più sentito che le crisi economiche e
politiche mondiali possano tradursi in pressioni che compromettono la stabilità
europea.
Lo scenario internazionale energetico è in continua evoluzione e, soprattutto
negli ultimi anni, si è assistito ad una profonda trasformazione del settore che mira
a una completa liberalizzazione dei mercati nazionali. La netta separazione fra
politiche economiche estere e interne va sempre più sfumando – conseguenza
della globalizzazione – e qualsiasi politica che ignori una dettagliata analisi dei
fattori di stabilità nazionali e regionali si rivelerà estremamente miope e subirà
oneri finanziari, economici e politici molto alti, sia a danno dei governi che delle
imprese energetiche.
Una politica energetica efficace deve rispettare il criterio delle “3 A”
(accessible, available, acceptable) ossia mirare a garantire a tutti gli utenti la
completa accessibilità ai servizi energetici, vegliare sul rischio di interruzioni
improvvise, e, infine, garantire la fornitura del servizio ai consumatori finali a un
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prezzo accettabile. Per raggiungere tali obiettivi non è più sufficiente un approccio
orientato al mercato che riservi ai governi un ruolo minimo e di secondo piano.
L’evidenza empirica ha dimostrato che non basta più aspettare che le forze di
mercato autonomamente raggiungano la migliore allocazione delle risorse e
realizzino soluzioni “win- win”. Si rende necessario, invece, uno sforzo congiunto
e cooperativo tra il settore pubblico e quello privato, sia a livello nazionale che
internazionale.
Nel quadro mondiale, l'Unione Europea deve adoperarsi per garantire il
proprio futuro energetico – la sua sicurezza - e per tutelare gli essenziali interessi
dei paesi membri in materia di energia. E’ suo compito intensificare gli sforzi per
mettere a punto una vera e propria strategia di politica esterna dell'energia capace
contestualmente di esplicare un'azione coerente di rafforzamento dei partenariati
con i principali fornitori di energia, con i paesi di transito e con i consumatori.
Partendo, dunque, dallo scenario mondiale dell’energia, la tesi analizza la
domanda e l’offerta di energia, gli scambi internazionali, gli interventi di
regolamentazione, il ruolo dell’Unione Europea e le sue potenzialità. Il lavoro è
stato condotto partendo dall’individuazione delle figure che più svolgono un ruolo
attivo nella trasformazioni del settore energetico: le Organizzazioni Internazionali.
Esse sono state oggetto dell’analisi del primo capitolo. Tra quelle più rilevanti
anche rispetto al tema degli scambi di energia vi è l’Unione Europea e di questa
sono state evidenziate le competenze in materia di energia e gli strumenti
normativi messi in atto per gestire il settore.
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Il secondo capitolo offre una panoramica sulla situazione attuale e sui futuri
trend del quadro energetico mondiale e, più dettagliatamente, sulla situazione
europea. Tenuto conto della produzione interna di energia e del fabbisogno di
tutta la regione europea, si è cercato di approfondirne il grado di dipendenza
energetica e l’urgenza di tessere una politica che garantisca la sua sicurezza
energetica.
Proprio sulla questione della sicurezza energetica prosegue il terzo capitolo.
Vengono suggerite delle soluzioni al problema della dipendenza dai paesi fornitori
di energia. In particolare si propone una devrsificazione delle rotte di
approvvigionamento e il parallelo rafforzamento del sistema infrastrutturale,
interno all’Unione e i collegamenti esterni.
Il quarto capitolo affronta il tema della liberalizzazione del mercato
energetico europeo, conducendo separatamente l’analisi rispetto al mercato
elettrico e a quello del gas. Segnatamente, si traccia il quadro degli interventi
normativi e regolamentari in materia di energia che si sono succeduti fino alla più
recente normativa. Il capitolo si conclude con i risultati di una consultazione
pubblica avviata dalla Commissione Europea tradotti poi in linee guida dettate
nelle successive decisioni e comunicazioni.
La trattazione termina con il quinto capitolo nel quale viene esaminata la rete
relazionale dell’Unione Europea con i partner energetici. Tra i paesi con i quali
l’Unione intesse rapporti di fornitura, sono stati approfonditi i riferimenti alla
Russia.
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1. LE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI
La comparse di organizzazioni internazionali può essere fatta risalire alla
seconda metà del XIX secolo, quando furono istituite le Unioni amministrative
internazionali. A seguito della Conferenza di Washington del 1889-90 fu creata la
prima organizzazione internazionale regionale, ossia l’ Unione internazionale
delle Repubbliche americane. Dopo l’esperienza della Società delle Nazioni e
dell’Organizzazione internazionale del lavoro, create dai Trattati di pace di
Versailles del 1919, il fenomeno delle organizzazioni internazionali si è
sviluppato a partire dal secondo conflitto mondiale. Tra il 1942 e il 1945, le
potenze alleate convocarono numerose conferenze allo scopo di creare nuove
organizzazioni internazionali
1
.
Le Organizzazioni internazionali oggi si configurano come enti costituiti
mediante accordi multilaterali fra gli Stati
2
che, di comune iniziativa, decidono di
delegare a detti enti la gestione di alcuni specifici interessi
3
. Una volta creati con
apposito accordo internazionale, esse vengono dotate di una soggettività giuridica
1
Alcune di esse divennero successivamente istituti specializzati delle Nazioni Unite. Tra
queste, l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura, la Banca mondiale e il Fondo
monetario internazionale. Il 26 giugno 1945, la Conferenza di San Francisco adottò lo Statuto
dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Oggi si contano circa 300 organizzazioni internazionali,
la maggior parte delle quali ha carattere regionale o sub-regionale.
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Gli accordi multilaterali sono stipulati da una molteplicità di Stati che perseguono un
comune interesse. Il ricorso agli accordi multilaterali rappresenta un significativo percorso verso
un più oggettivo rispetto del diritto internazionale. Infatti, da essi derivano obblighi per ciascun
Paese sottoscrittore verso ogni altro Paese aderente.
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In base alla definizione contenuta nell’art. 2 della Convenzione di Vienna del 1986 sul
diritto dei trattati conclusi tra organizzazioni internazionali e tra organizzazioni internazionali e
Stati, l’espressione organizzazione internazionale indica «un’organizzazione tra governi», a
prescindere dalla sua denominazione. Il suo fondamento giuridico è l’accordo internazionale tra
Stati.
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distinta da quella dei singoli Stati che addivengono all’accordo. L’attività che
l’Organizzazione pone in essere è svincolata dai singoli ordinamenti degli Stati
che l’hanno creata e viene disciplinata dalle norme di diritto internazionale.
Le organizzazioni internazionali si distinguono in base ai diversi livelli di
obbligatorietà degli atti emanati che, in ogni caso, rientrano tra le fonti del diritto
internazionale di terzo grado
4
. Gli atti emanati possono essere vincolanti, per
materie specifiche regolate, ad esempio, attraverso regolamenti e direttive
europee, oppure non vincolanti; nel secondo caso si tratta di soft law
5
.
Tra le manifestazioni più evidenti della soggettività internazionale delle
organizzazioni internazionali figura la conclusione di accordi, il cui regime
giuridico è codificato nella Convenzione di Vienna del 1986. In base ad accordi
internazionali e alla legislazione nazionale, inoltre, le organizzazioni sono
frequentemente dotate anche della personalità giuridica e della capacità di agire
negli ordinamenti interni degli Stati membri.
I soggetti di diritto internazionale, per essere classificati tali devono
rispondere ad alcune caratteristiche. In primo luogo, l’ente deve assicurare un
adeguato grado di rappresentatività delle forze che partecipano all’attività
comune. Affinché l’Organizzazione possa interpretare i reali interessi della
4
Per un ulteriore approfondimento si veda CICIRIELLO M. C. (2007), La Comunità
Europea e i suoi principi giuridici. Lezioni di diritto comunitario pp. 118- 131.
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Per soft law si intende l’insieme di misure che si collocano a metà strada tra il vuoto
regolamentare e le fonti tradizionali.
10
comunità degli Stati, è anche necessario che la sua composizione rifletta i pesi di
ciascuno Stato all’interno dello scenario internazionale
6
.
Altra caratteristica peculiare è che gli interessi tutelati mediante la sua attività
siano comuni a tutti i partecipanti.
Ultimo requisito, ma non meno importante, è il carattere di multilateralità
dell’Organizzazione che, nell’espletamento dei suoi compiti, deve mantenersi
indipendente dalla volontà delle singole parti. È proprio quest’ultima qualità a
garantire all’Organizzazione una personalità giuridica autonoma
7
.
Tra i compiti di un’organizzazione internazionale vi possono essere quelli di
natura normativa. Quando questa funzione è espletata si contribuisce alla
formazione di norme per disciplinare determinati settori. In questo senso le
organizzazioni ricoprono un ruolo attivo nell’evoluzione del diritto internazionale.
Oltre alla funzione normativa, tra le loro funzioni più importanti vi è quella di
“gestione” perché hanno il compito di amministrare gli interessi contrapposti dei
paesi nel caso in cui non ci sia una specifica regolamentazione. Rispondono al
cosiddetto need for a rule, cioè alla necessità di colmare un vuoto normativo con
il loro intervento. Dal loro intervento non scaturisce una vera e propria norma, ma
il contributo a sanare il contenzioso sorto al momento o a regolare un ambito non
coperto da alcuna disposizione.
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Non sempre, però, le modalità di voto rispecchiano il peso di ciascun partecipante. Per
alcune organizzazioni internazionali, infatti, è valido il principio “una testa un voto”, come per
esempio per l’ONU.
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La tipica struttura delle organizzazioni internazionali prevede: un organo collegiale
plenario, in cui sono rappresentati tutti gli Stati membri; un organo a composizione ristretta, con
funzioni esecutive; un organo amministrativo, il segretariato, e al cui vertice si colloca un organo
individuale.
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È quest’ultimo caso quello più comune nella pratica e, probabilmente, quello
che rende tali apparati così preziosi per la soluzione di eventuali contenziosi. Le
organizzazioni non godono di competenze generali, ma sono dotate di poteri
limitatamente alle attribuzioni stabilite nel trattato istitutivo (cosiddetto principio
di attribuzione o di specialità). Sovente, però, le organizzazioni esulano da quanto
conferito dai Trattati istitutivi per rispondere alle situazioni contingenti in
continua evoluzione
8
.
1.1 L’organizzazione “Unione Europea”
Le strutture tradizionali di organizzazioni internazionali sono basate su
logiche di cooperazione o di coordinamento con poteri delegati dagli Stati
membri. Entro i limiti delle competenze attribuite, le organizzazioni internazionali
“tradizionali” fungono per la maggior parte dei casi da sede di dialogo tra le parti
e non sono investite di ampi poteri regolamentari. Si limitano a enunciare
raccomandazioni e pareri che non si traducono immediatamente in norme di
diritto interno, ma devono essere accolte nei vari ordinamenti nazionali con
appositi iter legislativi. Secondo tali condizioni, quindi, l’autonomia dei governi
non è intaccata nella sua sfera decisionale.
In questi canoni non sembra rientrare la realtà dell’Unione Europea che ha
cambiato le caratteristiche delle organizzazioni internazionali “tradizionali”
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È questo il caso della “condizionalità dell’aiuto” prevista dal Fondo Monetario
Internazionale. Non è previsto dal relativo Trattato istitutivo, ma il FMI richiede allo Stato che
beneficia dell’aiuto di provvedere, con opportuni piani, al più efficace utilizzo dei fondi elargiti.
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passando dal sistema di coordinamento ad un nuovo modello di organizzazione
internazionale impostata sull’integrazione. I primi segnali dell’adozione di questo
nuovo metodo di integrazione si ebbero già con la Conferenza di Messina
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del
1955 e furono poi tradotte operativamente nelle disposizioni contenute nel
Trattato istitutivo della CEE
10
.
Sebbene sia stata ideata come un’organizzazione internazionale a tutti gli
effetti, l’Ue se ne discosta sotto molteplici profili. Anzitutto gli Stati membri
dell’Unione non hanno intrapreso un percorso di completa delega di poteri alle
istituzioni sovranazionali che, ancora oggi, restano vincolate in schemi giuridici e
campi di manovra ancora troppo ristretti. Le attività dell’Unione si sviluppano
parallelamente a quanto previsto e attribuito dai Trattati istitutivi (principio di
attribuzione), e restano inquadrate nelle sole competenze concorrenti, sono
minimi i campi in cui l’Unione ha competenze esclusive. Ogni azione comunitaria
è intrapresa secondo la logica della teoria “funzionalista”, ossia sulla sostituzione
dei classici modelli di collaborazione tra gli Stati a favore di una graduale, anche
se lenta, integrazione dei rispettivi sistemi nazionali. Si tratta di un’integrazione
progressiva in specifici settori o materie in cui vengono delegati ad organismi
indipendenti poteri e competenze per gestire autonomamente le risorse e le
politiche comuni. L’idea di base è che l’integrazione settoriale, passo dopo passo,
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Alla Conferenza, svoltasi dal 1° al 3 giugno del ’55, parteciparono solo sei Stati membri
appartenenti alla CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) rappresentati dai rispettivi
ministri degli esteri. I paesi erano: Italia, Olanda, Francia, Lussemburgo, Repubblica Federale
Tedesca, Belgio.
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Il Trattato che istituisce la CEE è meglio noto come “Trattato di Roma”, la città in cui fu
siglato il 25 marzo del 1957.