INTRODUZIONE
7
possano venire degli spunti utili per la comprensione delle più urgenti problematiche
aziendali.
Prima di procedere con la ricerca vera e propria, abbiamo cercato di inquadrare la realtà
delle performing arts dal punto di vista storico, giuridico ed economico generale. Come
sempre, infatti, l’economia politica ha preceduto con le sue indagini l’economia
aziendale, e i suoi risultati non possono essere taciuti essendo stati il punto di partenza
di tutte le ricerche sul settore teatrale.
Per capire, poi, la realtà dell’organizzazione dei teatri, abbiamo cercato di selezionare
un campione adeguato su cui svolgere le analisi empiriche. Siamo stati favoriti dal fatto
che Genova costituisce una delle realtà principali della scena italiana, seconda sola a
Milano e Roma.
1
Per mantenere una certa omogeneità delle problematiche da affrontare,
sono stati scelti solo i teatri che svolgono sia l’attività di produzione sia quella di
distribuzione. Sempre per avere la garanzia della confrontabilità, sono state selezionate
solo quelle realtà dalle dimensioni operative medie, o medio – alte. La scelta è ricaduta
dunque sui teatri di prosa, riconosciuti come teatri stabili dal Ministero per i Beni e le
Attività Culturali. La ricerca, quindi, è stata svolta sui tre teatri stabili con sede a
Genova: il Teatro di Genova, il Teatro della Tosse e il Teatro dell’Archivolto. A questo
scopo sono stati intervistati i direttori con le deleghe organizzative dei tre teatri,
seguendo una traccia di circa quaranta domande (disponibile in Appendice).
La base di partenza scientifica, invece, è costituita dalla letteratura specifica in tema di
organizzazioni delle performing arts, dai grandi classici della letteratura organizzativa,
da Barnard a Weber, e da tutti quegli studi di economia aziendale – e non solo – legati
dalle tematiche della conoscenza e dell’uso di analogie, metafore, modelli e archetipi
(soprattutto legati al mondo del teatro) sia ex post, per offrire una griglia di significati
con cui interpretare la realtà, sia ex ante, per trovare nuove vie per la gestione delle
organizzazioni e la risoluzione dei problemi; ci riferiamo, in particolare, alle
pubblicazioni di Nonaka e Takeuchi, Charles Handy, Gareth Morgan e, soprattutto, Karl
Weick.
1
Vedi infra il capitolo 4, paragrafo 1, dove sono anche riprese e approfondite le scelte alla base della
ricerca empirica.
INTRODUZIONE
8
In questa ricerca l’analisi non seguirà, quindi, un’unica intelaiatura teorica, ma cercherà
piuttosto di rappresentare al meglio i singoli particolari, e da questi trarre una propria
prospettiva. Come i maestri fiamminghi del Rinascimento raggiunsero l’illusione del
vero sommando pazientemente un particolare all’altro, affinché l’intero quadro
apparisse come uno specchio del mondo visibile, mentre i loro contemporanei italiani
rappresentavano la realtà con esattezza quasi scientifica, partendo dall’intelaiatura di
linee di linee prospettiche e costruendo il corpo umano basandosi sull’anatomia e sulle
leggi della prospettiva,
2
così noi abbiamo cercato di rappresentare la realtà
(organizzativa) del teatro discutendo le questioni aperte e approfondendo i singoli
problemi.
Per concludere, desidero ringraziare tutte le persone che hanno reso possibile questo
lavoro. In primo luogo tutti quelli che hanno avuto la disponibilità e la gentilezza di
aiutarmi nella mia ricerca empirica: Carlo Repetti e Barbara Lesina al Teatro di Genova,
Sergio Maifredi, Giusi Penco e Pietro Fabbri al Teatro della Tosse, Pina Rando e
Valentina Mossetti al Teatro dell’Archivolto. Un ringraziamento speciale va a Riccardo
Soliani, docente di Economia Politica e Storia del Pensiero Economico, una persona che
di teatro si intende davvero, e che con qualche conversazione al momento opportuno mi
ha permesso di capire al meglio la realtà che mi accingevo a studiare. Infine, questa tesi
non avrebbe mai visto la luce senza l’appoggio continuo, la pazienza infinita e le
osservazioni puntuali della mia relatrice, la professoressa Teresina Torre.
2
Ernst H. GOMBRICH, La storia dell’arte raccontata da Ernst H. Gombrich, Leonardo Arte, Milano,
1995.
1. IL TEATRO
SOMMARIO: 1.1 Una realtà in continuo movimento; 1.2 Le origini: il teatro greco;
1.3.1 Il teatro in Italia: compagnie di giro e teatri stabili; 1.3.2 In principio era la
compagnia (compagnie, capocomici, impresari); 1.3.3 L’Ottocento; 1.3.4 Il Novecento;
1.3.5 Gli Stabili.
1.1 Una realtà in continuo movimento
Cos’è il teatro? Rispondere a questa domanda è meno facile di quanto possa sembrare di
primo acchito. La parola “teatro” possiede infatti una pluralità di significati. Il “teatro” è
di volta in volta uno spettacolo, un luogo o un insieme di persone. Sembra mancare,
dunque, una definizione di che cos’è il teatro in generale. Forse perché il teatro esiste e
funziona, senza aver bisogno di una definizione, e tanto basta, sia a chi vi si affaccia di
sfuggita che a chi vive per esso. Forse perché è troppo mutevole la realtà del fare teatro.
In tre millenni di teatro in Occidente niente è rimasto fermo. Di epoca in epoca sono
cambiati i valori artistici, i mezzi tecnici, le forme organizzative e anche la percezione
di quello che avviene in palcoscenico da parte degli spettatori. I cambiamenti di queste
quattro variabili sono continui, anche perché esse sono interdipendenti, e così ogni
cambiamento di ognuna di esse si ripercuote su tutte le altre. E queste sono solo le
variabili interne al fare teatro, a loro volta collegate alle modificazioni dell’ambiente
esterno.
1
A questo punto bisogna porsi il problema di capire come si è arrivati all’attuale sistema
teatrale italiano. A questo scopo è sufficiente ripassare in breve la storia delle
compagnie di giro e dei teatri stabili, che del nostro sistema sono i cardini, come faremo
nel terzo paragrafo. Ma questa scelta non è soddisfacente, se si vuole porre in risalto
1
E anche all’ambiente sociale deve guardare chi vuole riformare il teatro: “Non è affatto possibile
produrre l’effetto più alto e più puro dell’arte teatrale senza innovare dappertutto, nel costume e nello
Stato, nell’educazione e nei rapporti sociali” (Friedrich NIETZSCHE, “Richard Wagner a Bayreuth”, in
Scritti su Wagner, Adelphi, Milano, 1979, pag. 96).
IL TEATRO
10
proprio quel continuo cambiamento delle variabili teatrali, di cui si diceva sopra. Inoltre
si può correre il rischio di trovarsi impreparati di fronte alla necessità di innovare.
Nel campo teatrale, se si vuole primeggiare, bisogna innovare
2
. Ma il cambiamento si
trova sempre di fronte degli ostacoli. Il primo è che le persone, guidate dall’inconscio,
fanno sempre ciò che conoscono già bene. L’inconscio è esattamente quello che dice la
parola: ciò che è meno conscio perché è più usuale, più familiare, più quotidiano.
Poiché diamo per scontate le nostre idee, le idee (come poteri sovrasensibili), senza che
ce ne accorgiamo, ci possiedono.
3
Se vogliamo evitare che ciò accada, dobbiamo
scuoterci e allargare le nostre prospettive, nello spazio o nel tempo. Ecco perché può
essere importante ricordare qualcosa di più della storia del teatro, così come nei
prossimi capitoli sarà fondamentale confrontare l’esperienza organizzativa italiana con
quella di altri paesi.
Ma un altro ostacolo all’innovazione è la memoria. Se si ricordano troppe cose, per
troppo tempo, si continua ad agire nello stesso modo in cui si è agito nel passato.
4
Allora è necessario trovare un equilibrio, e questo equilibrio passa necessariamente
attraverso una selezione di ciò che si vuole ricordare. In questo capitolo abbiamo deciso
di tralasciare una “storia del teatro”, che certo non compete a un testo di organizzazione
aziendale, ma non di meno abbiamo dedicato un paragrafo alla prima forma di teatro in
Occidente, il teatro greco, proprio per consentire quel confronto e quello “scuotimento”
di cui parlavamo sopra. La nostra non sarà una analisi storica, ma semplicemente lo
studio di elementi del passato utili per una consapevole analisi organizzativa del
presente
5
.
2
Confronta, ad esempio, l’attenzione continua rivolta agli autori e ai registi da Ivo Chiesa, direttore per
quasi cinquant’anni dello Stabile di Genova, nella costante ricerca di forze teatrali nuove (vedi Maurizio
GIAMMUSSO, Il Teatro di Genova una biografia, Leonardo Arte, Milano, 2001).
3
James HILLMAN, Il Potere, Rizzoli, Milano, 2002.
4
Karl WEICK, Organizzare. La psicologia sociale dei processi organizzativi, ISEDI, Torino, 1993 (ed.
orig.: The social psychology of organizing, seconda edizione, Reading, Addison-Wesley, 1979).
5
Un approfondimento delle argomentazioni di questa scelta si trova nel paragrafo dedicato al tema della
memoria, nell’analisi organizzativa.
IL TEATRO
11
1.2 Le origini: il teatro greco
“In realtà si ha solo un mezzo per convincersi in breve di quanto siano volgari, e
precisamente quanto stranamente e bizzarramente volgari, i nostri istituti teatrali: basta
confrontare con essi la realtà dell’antico teatro greco!”
6
Non sappiamo se una breve comparazione della realtà attuale con il teatro greco può
portare a un giudizio drastico come quello di Nietzsche sul teatro contemporaneo, ma di
certo può convincere chiunque delle differenze abissali che possono sussistere tra modi
diversi di fare teatro.
Il teatro greco nasce e si sviluppa in Atene
7
. Qui, fin dai sui primordi, la
rappresentazione teatrale fu un fenomeno anzitutto religioso, che aveva luogo nel
contesto delle celebrazioni festive in onore del dio Dioniso. In origine, i Greci a teatro
sentivano non soltanto di assistere a uno spettacolo, quanto soprattutto di partecipare a
un rito. Con l’arrivo della primavera le strade della città si riempivano di un gioioso
tumulto per giorni; poi iniziava la gara: all’alba
8
i cittadini affluivano in teatro per
assistere alla trilogia tragica, e la rappresentazione durava tutto il giorno, fino a
concludersi al crepuscolo con il dramma satiresco.
In quell’autentica democrazia che era Atene, il teatro aveva anche una valenza politica;
costituiva una vera e propria assemblea dei cittadini liberi, tutti solidalmente
responsabili del governo della città, ed era per essi una grande occasione di
apprendimento. Questa educazione del popolo attraverso il dramma avveniva nella
forma di una gara tra i più grandi artisti musicali e drammatici. Questo risulta
comprensibile per noi solo ricordando che il carattere agonistico era potentemente
connaturato alla mentalità greca (basti pensare agli agoni sportivi, come le gare
6
Friedrich NIETZSCHE, “Richard Wagner a Bayreuth”, (op. cit.), pag. 97.
7
Per un quadro di sintesi sul teatro delle origini vedi: Dario DEL CORNO, Letteratura greca, Principato,
Milano, 1988.
8
Questa distribuzione delle rappresentazioni nell’arco della giornata ha avuto un’influenza sugli autori e
le opere, che dovevano adeguarsi alle luci naturali: basti ricordare l’affascinante prologo
dell’Agamennone di Eschilo, con la vedetta che scruta l’orizzonte ancora immerso nell’oscurità della
notte morente.
IL TEATRO
12
olimpiche). Così, mentre l’uomo moderno trova sconveniente nell’artista l’impulso
personale alla competizione, il Greco conosce l’artista soltanto nella lotta personale.
Sotto tutti gli aspetti è ovvio che i cicli di rappresentazioni in onore di Dioniso
occupassero nella vita di Atene un posto assai diverso da quello di qualsiasi opera
teatrale dei nostri giorni.
9
Possiamo precisare questo punto considerando più
dettagliatamente due aspetti delle Dionisie cittadine: il numero degli spettatori e le
somme di danaro impegnate.
In primo luogo si può stimare in 1500 il numero delle persone coinvolte attivamente
ogni anno nelle rappresentazioni, per la maggior parte non professionisti. Ad ogni
spettacolo, poi, assistevano decine di migliaia di persone e non erano rare le lotte per
accedere ai posti. A favorire una presenza così elevata vi era l’inesistenza di un
“cartellone” che garantisse le repliche in città. A partire poi dall’epoca di Pericle era la
tesoreria dello stato che pagava i posti per i cittadini.
Ieri come oggi la messa in scena di un dramma implicava una spesa, e nell’antica
Grecia nessuno immaginava che il teatro potesse o dovesse essere economicamente
autosufficiente
10
. Il finanziamento avveniva attraverso una sorta di patronato
obbligatorio: ad ogni drammaturgo veniva, infatti, trovato un corego o promotore.
Provvedere alle spese di una rappresentazione alle Dionisie, come mantenere una
trireme per una anno o pagare una delegazione da inviare in un altro stato, era
considerata una prestazione per il vantaggio comune che era lecito attendersi dai
cittadini facoltosi. Non tutti la consideravano una fastidiosa sovraimposta: per alcuni era
la via sicura alla popolarità.
La struttura delle spese era molto diversa da quella del teatro dei nostri giorni: non c’era
illuminazione, lo scenario era primitivo o inesistente, scarse le attrezzature necessarie.
La maggior parte delle funzioni ora distribuite fra diverse persone – autore, regista,
compositore, coreografo – era riunita nella persona del poeta. Il corego doveva, invece,
pagare i componenti del coro e il suonatore di flauto. Talvolta era necessario un secondo
coro, e per tutti si dovevano procurare maschere e costumi (su questa voce si poteva
risparmiare qualcosa, noleggiandoli di seconda mano), senza parlare di un ricevimento
9
H.C. BALDRY, I Greci a teatro, Editori Laterza, Bari, 1972.
10
BALDRY, (op. cit.).
IL TEATRO
13
al termine della gara. Una voce che variava molto nel bilancio era la presenza di
comparse mute, dato che alcuni “divi” chiedevano un seguito imponente.
La spesa pubblica e privata per il teatro era notevole. Le gare venivano a costare più di
dieci talenti. La spesa complessiva, sostenuta ogni anno per le feste dalle casse della
città di Atene, doveva aggirarsi sui trenta talenti.
11
Al di là degli aspetti sociali e organizzativi, va notata una cultura teatrale straordinaria e
irripetibile. Incominciamo considerando la maschera. Tutti gli attori recitavano
mascherati; non vi erano espressioni del volto da osservare in un teatro da diecimila
posti. Ciò che più conta è che la maschera assume un potente significato simbolico:
attraverso di essa si rende presente qualcosa che va oltre l’umano, si recita un dramma
più elevato e vengono evocati poteri più grandi.
12
Gli spettatori greci non sono paragonabili a quelli moderni. Ciò che spingeva questi
uomini al teatro non era un’ansia di sfuggire alla noia, non era la volontà di liberarsi a
ogni costo, per alcune ore, da se stessi e dalle proprie miserie. I Greci abbandonavano la
loro vita pubblica, nelle piazze e nelle strade, per trovare autentico conforto nella
solennità della rappresentazione teatrale. Non si trattava di un pubblico pigro e stanco,
abbonato a tutti gli spettacoli, che viene a teatro con i sensi finiti sfiniti e stracchi, per
procurarsi qui delle emozioni. Lo spettatore ateniese aveva ancora i sensi freschi,
mattutini, festosamente eccitati dal tumultuoso e folle impulso dionisiaco primaverile
13
;
egli, inoltre, sorbiva la bevanda della tragedia così raramente, da poterla gustare ogni
volta come per la prima volta.
11
Per dare un termine di paragone, un talento (pari a 60 mine e a 6000 dracme) sarebbe stata una cifra
sufficiente per il mantenimento annuo di quindici o più famiglie con quattro componenti, al livello di
sussistenza al quale viveva la maggior parte degli ateniesi; oppure si sarebbero potuti comprare trenta
schiavi (BALDRY, I Greci a teatro, op. cit.).
12
HILLMAN, (op. cit.).
13
Per i concetti di apollineo e dionisiaco è d’obbligo rinviare a Friedrich NIETZSCHE, La nascita della
tragedia, Adelphi, Milano, 1977, nonché Friedrich NIETZSCHE, La filosofia nell’epoca tragica dei greci
e scritti 1870-1873, Adelphi, Milano, 1991.
IL TEATRO
14
Non è solo l’atteggiamento degli spettatori ad essere diverso da oggi, ma anche la loro
percezione di ciò che viene rappresentato. Nel teatro greco alla realtà della vita e
dell’esperienza quotidiana si sostituisce una realtà alternativa, che ingloba nella propria
dimensione chiunque ne sia partecipe. Attore e spettatore vivono l’evento teatrale come
una realtà distinta da quella in cui si svolge la loro normale esistenza: ma – a differenza
della disposizione con cui i moderni affrontano lo spettacolo teatrale – non se ne
distanziano come da una realtà fittizia. Per i Greci tutto quanto si svolge a teatro esiste
come una realtà dotata di autonome leggi spaziali e temporali, logiche, psicologiche, e
dunque provvista di una concretezza altrettanto effettiva quanto quella della realtà
abbandonata provvisoriamente all’atto di partecipare alla festa teatrale.
In quest’abbandono a una nuova dimensione sta il nucleo del rapporto fra il pubblico
greco e il teatro. Il pubblico del teatro arcaico non considerava la rappresentazione come
una realtà immaginaria, che richiedesse la complicità dello spettatore per imporsi
14
.
Nell’eccitazione dionisiaca, la metafora non è una figura retorica, bensì un’immagine
sostitutiva che si presenta concretamente, in luogo di un concetto. Il carattere non è
affatto un tutto composto da singoli tratti cercati qua e là e messi insieme, bensì una
persona insistentemente viva davanti agli occhi.
Questo è il fenomeno drammatico originario, che nasce dal coro tragico: vedere se stessi
trasformati davanti a sé e agire poi come se si fosse davvero entrati in un altro corpo, in
un altro carattere. Questo processo sta all’inizio dello sviluppo del dramma.
La sensazione moderna “questo è soltanto uno spettacolo” è l’inverso dell’emozione
della tragedia greca, che faceva dire “questa è soltanto la realtà quotidiana”. L’uomo di
oggi va a teatro per rilassarsi, per scaricarsi dal peso di tutti i giorni, perché ha bisogno
di qualcosa che sia soltanto spettacolo, perché viene dal di fuori e sa cos’è reale. Lo
spettatore della tragedia greca veniva e conosceva qualcosa di più sulla natura della vita,
perché veniva contagiato dall’interno, investito da una contemplazione – cioè da una
14
Il tragico Frinico fu punito con l’enorme somma di mille dracme perché, mettendo in scena un evento
contemporaneo, la conquista di Mileto da parte dei Persiani, aveva suscitato la disperazione del pubblico
ateniese. “Tale reazione poteva darsi soltanto in una società che non distinguesse il piano del teatro da
quello della propria biografia, bensì fosse avvezza a dimenticare quest’ultima durante la rappresentazione,
lasciandosi assorbire in una realtà sentita come attuale e totale” (DEL CORNO, (op. cit.), pag. 154).
IL TEATRO
15
conoscenza – che già esisteva prima di lui, che saliva dall’orchestra e suscitava la sua
contemplazione, si confondeva con essa.
L’effetto principale e complessivo della tragedia antica, ancora nella sua epoca
migliore, si fondò sempre sul coro, un’entità sostanzialmente incomprensibile per lo
spettatore moderno. Oltre il coro vi era la scena, molto stretta, con la parete di fondo
assai avanzata, che presentava le poche figure che si muovevano misuratamente, come
bassorilievi viventi o animate figure marmoree; anche questa caratteristica risulta
difficile da comprendere oggi.
Se non riusciamo a capire tante cose della tragedia greca, è soprattutto per il semplice
fatto che di fronte ad essa noi siamo incompetenti, poiché la sua azione principale si
basa in buona parte su un elemento che è andato perduto, cioè sulla musica. Noi non
possiamo neppure intendere il rapporto musica – poesia come lo intendevano i Greci:
essi non imparavano una poesia se non attraverso il canto, così anche nell’ascoltare essi
sentivano la profondissima unità di parola e suono. Per loro la prima esigenza era di far
comprendere il contenuto della poesia recitata, con un’arte straordinaria dell’esporre,
che coinvolgeva musica, danza e regia, tutte sotto la guida unica del poeta. Una realtà
del tutto incommensurabile per noi, abituati, se necessario, a tollerare anche il testo più
assurdo, purché la musica sia bella.
Per quanto riguarda gli attori, bisogna ricordare, per prima cosa, che non vi erano
attrici. Tutti i ruoli femminili erano recitati da attori uomini, e non si simulavano voci
femminili, come accadeva, invece, nel teatro elisabettiano con l’uso di ragazzi. Il primo
attore aveva una preminenza intangibile: di lui solo si poteva dire che “recitava” nel
dramma, a lui solo spettava il premio per la recitazione. Il protagonista era l’erede
riconosciuto del posto originariamente occupato dal poeta medesimo; il
“deuteragonista” e il “tritagonista” dovevano stare al proprio posto, e non farsi mai
troppo avanti. Dato il limite dei tre attori, ognuno di essi doveva recitare più parti nella
stessa opera. Ciascuno di questi attori – cantanti doveva recitare, nel suo sforzo che
durava dieci ore, all’incirca 1600 versi, fra cui almeno sei pezzi cantati, più o meno
estesi. E ciò di fronte a un pubblico che puniva spietatamente ogni eccesso di voce e
IL TEATRO
16
ogni accento errato; e ciò ad Atene, dove persino la plebe aveva un giudizio fine e
delicato.
Infine, pensiamo anche al poeta, inteso nel senso più vasto, come lo intendevano i
Greci. Egli doveva eccellere in cinque gare, ossia doveva essere munito di doti artistiche
sia come scrittore che come musicista, sia come attore che
come danzatore, sia infine come regista della sua opera.
Il suo lavoro era pieno di vincoli: il numero ristretto di attori, l’impiego del coro, la
necessità di ambientare ogni azione in una piazza aperta. Vincoli che a noi appaiono
ingiustificati; ma forse ai Greci sarebbe parsa un’ingiustificata mancanza di disciplina
quella libertà, che a noi sembra naturale garantire all’artista.
Egli, inoltre, non poteva attirare l’attenzione sulla sua opera per l’originalità della
materia trattata; il tenere avvinto lo spettatore fino alla fine con lo stimolo di una trama
interessante, sarebbe stato qualcosa di inaudito per i tragici greci. La tragedia greca non
si ridusse mai a una specie di gioco degli scacchi. L’effetto della tragedia antica non era
basato mai sulla tensione, sull’eccitante incertezza circa quello che sarebbe avvenuto
poi, ma piuttosto su quelle grandi scene di pathos, ampiamente costruite, in cui giocava
un ruolo fondamentale la possente musicalità del ditirambo dionisiaco.
La trama era conosciuta fin dall’inizio dallo spettatore (si trattava quasi sempre di miti,
a volte rielaborati rispetto alla tradizione, ma pur sempre conosciutissimi). Quanto è
distante tutto questo dai sentimenti del pubblico moderno, dove la prima critica che
viene mossa a qualsiasi spettacolo, in qualsiasi gruppo di spettatori, è: “era scontato”.
Nel teatro greco le cose non staranno sempre così. La commedia nuova, che fiorisce
quando l’antica arte tragica è ormai appassita, svilupperà il gioco degli scacchi teatrale;
questo comporterà una radicale trasformazione della percezione della realtà drammatica
da parte degli spettatori, avvicinandola di molto a quella attuale.
IL TEATRO
17
1.3.1 Il teatro in Italia: compagnie di giro e teatri stabili
Per comprendere appieno il sistema teatrale italiano e i suoi meccanismi, è necessario
conoscere la storia, che ha lasciato infiniti retaggi, dei suoi cardini attuali: le compagnie
di giro e i teatri stabili. Ci si renderà conto allora che molte delle forme organizzative
del teatro non sono sostanzialmente cambiate negli ultimi secoli. Quindi è ancora più
delicato il loro studio, ed è cruciale capire appieno le logiche che, attraverso gli usi,
sono giunte fino a noi, se vogliamo intervenire in maniera efficace sull’organizzazione.
Cerchiamo, dunque, di soffermarci sugli elementi storici legati alle più rilevanti
consuetudini attuali del fare teatro.
1.3.2 In principio era la compagnia (compagnie, capocomici,
impresari)
15
La nascita in Italia, alla fine del Quattrocento delle compagnie dell’arte,
professionistiche nel senso che raccoglievano un gruppo di persone che del teatro
avevano fatto il proprio mestiere e di teatro vivevano, è all’origine del teatro europeo
contemporaneo dal punto di vista artistico ed organizzativo.
La compagnia si raccoglieva intorno ad un capocomico, che alla direzione artistica –
come diremmo oggi – sommava la responsabilità organizzativa ed economica, in alcuni
casi condivisa con altri, e legale. Intorno a lui si organizzava la compagnia: strutturata
di solito intorno ad un nucleo forte – spesso familiare – ma in modo da garantire la
copertura dei ruoli. La compagnia era quindi da un lato un’entità
giuridico/imprenditoriale/organizzativa, dall’altro artistica, ed era ed è rimasta per molti
aspetti una particolarissima entità antropologica. La pluralità di significato sottesa alla
parola “compagnia” la riscontriamo ancora adesso; utilizziamo, infatti, tuttora il termine
compagnia per intendere tanto l’impresa che il nucleo artistico: le persone che lo
compongono e quello che il loro lavorare assieme ha determinato e significa.
15
Su compagnia, tournée e teatro “all’italiana” vedi Mimma GALLINA, Organizzare teatro, Franco
Angeli, Milano, 2001.
IL TEATRO
18
Nel Settecento nacque la figura dell’impresario: organizzatore in grado di trovare e
gestire i mezzi finanziari per produrre spettacoli, affidabile e credibile sul mercato,
capace di orientarsi fra pubblico e privato, la cui abilità manageriale non andava
disgiunta dal fiuto (per gli attori, i testi, i titoli – e il loro abbinamento – la capacità di
cogliere i gusti e i momenti); per tutto questo è stato ed è, a suo modo, anche autore
degli spettacoli.
1.3.3 L’Ottocento
Nell’Ottocento le cose cambiarono: l’evoluzione della drammaturgia, il superamento
dei caratteri, le nuove scuole interpretative, e, soprattutto, la nascita di un moderno
teatro di regia, e della scenografia contemporanea, compromisero la concezione della
compagnia sopra descritta, la sua centralità e soprattutto il sistema dei ruoli. Il teatro di
regia, infatti, costruiva gli spettacoli intorno ad un’idea unitaria, ad un nucleo di senso
che guidava tutte le scelte, incluse, ovviamente, quelle relative agli attori.
In Italia, tuttavia, la compagnia tradizionale rimase relativamente solida, e fu ancora
protagonista nel XIX secolo, l’epoca in cui i teatri costituivano il cuore pulsante della
vita sociale e culturale italiana, come comprova la traiettoria quasi esponenziale
descritta dalla loro crescita numerica nell’arco di poco più di un secolo: 200 nel 1785,
400 nel 1835, 957 nel 1870, 1055 nel 1890, 3000 nel 1907
16
. La metà del secolo
rappresentò certamente un momento di grande fulgore per queste organizzazioni e
tuttavia, come spesso accade, proprio allora si manifestarono i prodromi del suo declino.
La fine del secolo dei Lumi costituì, in effetti, la prima tappa di un percorso che, da un
teatro, per così dire, di antico regime, carico di forti valenze simboliche e ideologiche e
calamita di molteplici interessi e pulsioni sociali, avrebbe condotto verso una realtà in
cui gli spazi di catalizzazione degli interessi di larga parte del coevo tessuto sociale si
sarebbe progressivamente erosi. Tale fenomeno fu l’esito naturale dell’azione di una
serie di concause nel cui ambito occupavano un posto importante l’abnorme crescita del
16
Guido GUERZONI e Marina ROMANI, “Breve storia dell’intervento pubblico in campo teatrale
nell’Italia dell’Ottocento. Ovvero della natura ereditaria e congenita del morbo di Baumol”, in
SANTAGATA W. (a cura di), Economia dell’Arte, UTET, Torino, 1998.
IL TEATRO
19
numero di sale teatrali e il prevalere, per alcuni generi di spettacolo, delle compagnie
girovaghe in rapporto a quelle stabili e, nell’ambito delle prime, di quelle “a mattatore”.
L’attività delle compagnie “a mattatore” era incentrata sul primo attore, di norma un
nome famoso, che era contemporaneamente direttore, imprenditore, e primattore. Gli
attori più noti non si riunirono più in un’unica compagnia (come era avvenuto, ad
esempio, per la Reale Sarda di Torino), ma optarono piuttosto per la direzione di un
complesso proprio, circondandosi di artisti di scarso rilievo con la conseguenza,
facilmente intuibile, dello scadere del repertorio tagliato esclusivamente in vista della
prima parte.
Egualmente, la proliferazione di sale teatrali in ogni piccolo centro della sconfinata
provincia italica, fenomeno innescato sul finire del Settecento, condusse seco il diffuso
allestimento delle stagioni e di spettacoli di scadente qualità. Così, all’inizio
dell’Ottocento, solo realtà isolate come la Scala di Milano, il Regio di Torino, la Fenice
di Venezia o il San Carlo di Napoli disponevano di mezzi economici idonei alla
conservazione di un elevato grado di specializzazione, che privilegiava l’allestimento
degli spettacoli più prestigiosi (opera lirica, balletto, tragedie) a discapito di quelli di
matrice più marcatamente popolare (prosa leggera, teatro comico e dialettale ecc.). Al
contrario, le sale di seconda, e ancor più, quelle di terza categoria, strette da esigenze di
bilancio, si arrabattavano per ospitare ogni immaginabile occasione di incontro
collettivo a pagamento: ai locali adibiti alle manifestazioni della più svariata natura si
affiancavano caffetterie, trattorie, emeroteche, profumerie, spazi affittati ad associazioni
di vario genere e, naturalmente, sale da gioco.
La rosa delle proposte ludiche e di intrattenimento culturale offerte al pubblico
risultava, analogamente, sorprendentemente variegata. Vi si rappresentavano l’opera
lirica, l’operetta, l’opera buffa, i balletti e i grandi balli, la prosa (commedie e tragedie),
i concerti sinfonici e da camera, le esibizioni di solisti, corali e bande musicali, gli
spettacoli marionettistici, equestri e circensi, i numeri di prestigiatori, fachiri,
equilibristi, forzuti, giocolieri, le grandi tombole, i veglioni mascherati e le feste da
ballo, i tornei di scherma, le esibizioni ginniche e le prove di forza, gli esperimenti
scientifici, i dibattiti politici e i comizi.