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PARTE PRIMA
1. ORGANIZZAZIONI E CAMBIAMENTO
1.1 Organizzazioni e cultura
Se prendiamo come inizio degli studi sulle Organizzazioni e sul loro funzionamento
gli ultimi decenni del XIX sec., possiamo dire che c‟è voluto quasi un secolo prima di
mettere a fuoco con chiarezza che le attività organizzative sono regolate da fenomeni
apparentemente astratti che muovono i comportamenti delle persone.
La cultura è un concetto mutuato dall‟antropologia
1
e trasferito nell‟ambito degli
studi organizzativi insieme a tutto il patrimonio di conoscenze elaborate in decenni di
ricerche sulle culture delle società di paesi lontani e sulle subculture delle comunità
metropolitane. Quando si parla di cultura si fa riferimento al modello di sviluppo che
si rispecchia nel sistema di conoscenze di una società, nelle sue ideologie, nei suoi
valori, nel suo diritto,nei suoi riti quotidiani.
La cultura è per la società quello che la memoria è per gli individui( Kluckhon,1954).
Nella letteratura organizzativa il tema della cultura è stato più volte suggerito a
partire dagli anni trenta da alcuni degli autori del movimento HUMAN
RELATIONS, ma solo in seguito gli studi sulla cultura sono giunti ad occupare un
posto di primo piano nella pubblicistica e nel management, quando verso la metà
degli anni ‟70 gli stessi studiosi, sia negli Stati Uniti che in Europa hanno cercato di
capire come mai l‟individuo giapponese fosse in grado di portare una concorrenza
spietata agli occidentali in molti settori produttivi. Vennero formulate molte ipotesi,
ma ad ottenere maggiore credito fu l‟ipotesi della cultura: il modo di pensare dei
giapponesi, di rapportarsi tra loro e con l‟azienda in cui lavoravano. Secondo questi
lavoratori,il progresso e lo sviluppo possono essere realizzati solo attraverso gli sforzi
combinati e la cooperazione di tutti i membri dell‟azienda. Lo spirito collaborativo,
proprio di un villaggio o di una comunità, pervade tutta l‟esperienza lavorativa. A
questi modi di pensare e di applicare le procedure organizzative è stato dato il nome
di cultura organizzativa.
1
Man(agement pubblico-ed. Simone 2010 p.93
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Fra la fine degli anni „70 ed i primi degli anni ‟80 è fiorita una letteratura su questo
argomento. Nelle società più avanzate esiste una stretta correlazione tra il concetto di
organizzazione e quello di cultura: formata quest‟ultima dall‟insieme di strutture
fondamentali di pensiero, di norme, di miti; dal grado di condivisione dei valori stessi
tra i membri di una organizzazione: alcuni teorici, a tal proposito formulano l‟ipotesi
che le organizzazioni possono definirsi,nel loro complesso,come “culture”.
I legami sociali e simbolici fanno parte dell‟organizzazione che è focalizzata sempre
più sulla collettività, su ciò che un dato gruppo ha inventato,scoperto o sviluppato
imparando ad affrontare i suoi problemi di adattamento esterno e di integrazione
interna. Viene così superata la frammentarietà dei fenomeni che prima caratterizzava
l‟organizzazione (teoria tayloristica).
Hedgar Schein, studioso che si è occupato del tema della cultura organizzativa, nel
1985 ha affermato:” la cultura organizzativa è l‟insieme delle ipotesi di base che un
certo gruppo ha inventato, scoperto o elaborato nel corso del suo processo di
apprendimento sul come affrontare i suoi problemi di adattamento esterno e di
integrazione interna”.
Gli aspetti della cultura che interessano particolarmente la vita organizzativa sono
certamente le abilità delle singole persone, ma in modo particolare i loro
comportamenti, dai quali dipende l‟utilizzo in chiave organizzativa delle stesse
conoscenze ed abilità.
I comportamenti organizzativi, in quanto comportamenti sociali, sono regolati da
codici di condotta, vale a dire criteri in base ai quali le persone decidono quali azioni
svolgere ed in che modo, in base ai margini di discrezionalità che il controllo
organizzativo consente. Naturalmente, come insegna da tempo la psicologia, le azioni
individuali sono legate alle caratteristiche personali, il carattere,la personalità, le
motivazioni di ciascuno; tuttavia, poiché ogni azione è anche un‟interazione con le
azioni di altre persone, gli aspetti sociali e culturali entrano in gioco in maniera
rilevante
2
.
2
rif. I quaderni di Gelso n.6 pp.27-28
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Secondo Francesco Avallone, ciascuna organizzazione è dominata da una cultura,
che si manifesta più o meno apertamente in tre livelli:gli artefatti che comprendono
gli elementi visibili dell‟organizzazione, i valori cioè l‟ideologia divulgata all‟interno
dell‟azienda e gli assunti di base , cioè gli assunti impliciti,inconsapevoli che
orientano il comportamento.
L‟aspetto della cultura che si rivela particolarmente interessante per il funzionamento
di una organizzazione è il modo in cui essa influisce sui comportamenti delle
persone
3
.
Le conoscenze che sono presenti nell‟organizzazione di cui i singoli individui sono
depositari, come le abilità, manuali, relazionali,ecc.,per quanto essenziali,devono
essere integrate, vale a dire messe in condizione di interagire fra loro in modo da
produrre risultati.
In questo approssimarsi ad analizzare più compiutamente l‟analisi dei bisogni e le
motivazioni che caratterizzano ogni lavoratore all‟interno di una organizzazione, si
deve fare un breve cenno sul concetto di “ambiente” in cui l‟organizzazione opera.
1,2 L’ambiente organizzativo:
E‟ della teoria funzionalista degli anni „50 l‟idea di considerare l‟ambiente come
qualcosa che si trova fuori dai confini fisici di un‟organizzazione ma che ne influenza
gli esiti tramite l‟imposizione di vincoli come quello dell‟adattamento per la
sopravvivenza.
In realtà quando parliamo di ambiente non possiamo fare una distinzione così netta
come volevano i funzionalisti: non esistono ambienti separati o diversi; ma un unico
ambiente complesso che ingloba anche le stesse organizzazioni e i diversi settori.
3
F.Avallone Psicologia del lavoro,Storia,Modelli,applicazioni. Carocci-2000
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Le organizzazioni sono considerate come organismi, come sistemi viventi collocati in
un più vasto ambiente dal quale dipendono per tutta una serie di bisogni.
L‟universo organizzativo è formato da diverse specie di organizzazioni; le teorie
classiche, come quella di Taylor, di Weber, di Fayol considerano l‟organizzazione
come sistema “chiuso” dove l‟attenzione analitica primaria è riservata alle forze che
determinano l‟equilibrio funzionale ed il grado di integrazione del sistema
organizzativo.
A partire dagli anni ‟60 del secolo scorso, con l‟avvento della teoria generale dei
sistemi di cui il maggiore rappresentante è stato Hatch, si è fatta spazio l‟idea di
considerare l‟ambiente come un “sistema aperto”,come qualcosa che si trova fuori dai
confini fisici di un‟organizzazione ma che ne influenza gli esiti tramite l‟imposizione
di vincoli come quello dell‟adattamento per la sopravvivenza e scambiando con esso
risorse materiali e simboliche.
Grazie a questa prospettiva, sorge la consapevolezza che la sopravvivenza, l‟equi-
librio e lo sviluppo dell‟organizzazione non dipendono soltanto dall‟efficacia e
dall‟efficienza del suo funzionamento interno, ma anche dal bilancio degli scambi
con il proprio ambiente,ovvero dalla qualità del suo adattamento.
Bisogna pensare ai casi non infrequenti di imprese che si trovano in forti difficoltà,
pur in presenza di buone performance di produttività e qualità del prodotto, perchè il
bene o servizio erogato non viene adeguatamente assorbito dal mercato, oppure
perchè sussistono difficoltà di ordine finanziario.
La prospettiva dell‟organizzazione come sistema aperto conduce pertanto il nostro
sguardo sui molteplici scambi che l‟organizzazione effettua con il proprio ambiente.
La dimensione semplicità-complessità riguarda la complessità ambientale che riflette
l‟eterogeneità, rappresenta il numero e la diversità degli elementi esterni, rilevanti per
l‟attività di una organizzazione. La dimensione stabilità-instabilità riguarda il grado
di dinamicità degli elementi all‟interno dell‟ambiente.
Le organizzazioni devono affrontare e gestire l‟incertezza per essere efficaci.
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Negli ambienti incerti, la pianificazione e la previsione ambientale sono importanti
per tenere pronta l‟organizzazione ad una risposta coordinata e rapida.
Quando l‟ambiente è stabile,invece, l‟organizzazione può concentrarsi sui problemi
riguardanti le attività correnti e sull‟efficacia giornaliera.
Le organizzazioni sono considerate così come organismi,come sistemi viventi col-
locati in un più vasto ambiente dal quale dipendono per tutta una serie di bisogni.
L‟avvicinamento della prospettiva di analisi a quella propria della biologia ha
rappresentato una importante fonte di ispirazione per gli studi organizzativi. Proprio
dall‟adattamento all‟ambiente derivano alcune considerazioni importanti sulla riuscita
di una organizzazione; infatti il successo di questa non dipende solo dall‟efficienza.
Ciò che conta maggiormente è l‟efficacia intesa come capacità di produrre ed erogare
il proprio output rendendo positivo il bilancio dei propri scambi con l‟ambiente..
La metafora dell‟organismo si attaglia perfettamente a tali prerogative e requisiti. Il
successo di ogni organismo vivente dipende dalla misura in cui esso è capace di
adattarsi all‟ambiente da cui trae le risorse vitali dei diversi tipi di ambiente.
L‟avvicinamento della prospettiva di analisi a quella propria della biologia ha
rappresentato una importante fonte di ispirazione per gli studi organizzativi.
1.3 I bisogni e la motivazione
La metafora organicistica ha consentito di concepire le organizzazioni come dei
sistemi aperti, a capire i processi con cui le organizzazioni si adeguano all‟ambiente,
ad evidenziare i fattori che sono rilevanti per il benessere e per lo sviluppo delle
stesse (tra tutti si è già detto dei concetti di cultura e di ambiente).
Questa impostazione del problema ha consentito in pratica di enucleare la moderna
concezione organizzativa che ha superato quella metafora della macchina che
dominava la teoria organizzativa classica.
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La prospettiva organica dell‟analisi delle organizzazioni sviluppa anche il concetto di
bisogni complessi: sono questi i bisogni alla cui soddisfazione le organizzazioni
devono provvedere per far si che gli individui siano in grado di operare efficacemente
nel loro lavoro. Viene messo allora in evidenza il concetto di motivazione .
Essere pienamente convinti e fortemente motivati è sempre stato considerato un
fattore fondamentale per portare a termine con successo, di qualsiasi grado o forma
esso sia, le svariate scelte che la vita stessa pone davanti all‟individuo.
All‟origine di ogni comportamento vi è un bisogno che genera disequilibrio,
tensione,vale a dire una motivazione.
Questa motivazione libera una certa energia che si mette in azione, che ci spinge ad
agire per sopprimere o ridare l‟insoddisfazione del bisogno e la tensione che ne
deriva (la motivazione al compito deve essere favorita dalla certezza che il proprio
lavoro sarà riconosciuto e gratificato attraverso un determinato sistema di
ricompense).
Motivazione è un termine, utilizzato in primis in ambito psico-socio-educativo e di
recente utilizzato anche in ambito manageriale, che descrive il processo che spinge un
organismo verso una determinata meta; motivazione è, quindi, “l‟esposizione dei
motivi per cui si fa una determinata cosa” oppure motivo è “ciò per cui si fa o non si
fa qualcosa”
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Etimologicamente (dal latino motus) indica un movimento, quindi il dirigersi di un
soggetto verso un oggetto desiderato, verso uno scopo. Essa richiama quindi il
movimento che porta all‟azione.
La motivazione è un costrutto teorico utilizzato per spiegare l‟inizio, la direzione,
l‟intensità e la persistenza del comportamento, specialmente del comportamento
orientato all‟obiettivo. Per quel che riguarda la motivazione al lavoro, si tratta di
analizzare il campo delle variabili che sono in grado di spiegare il dispiegamento
delle energie psico-fisiche nell‟attività professionale e dell‟intensità e della
persistenza di questi investimenti. Variabili organizzative del compito, soggettive e
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tratto da Il Nuovo Dizionario Italiano Garzanti ,Garzanti Editore Milano 1992 pag.564