Tra gli ordinamenti dei quindici Stati membri dell’Unione – nell’impossibilità pratica di
considerarli tutti insieme – si è scelto di concentrare l’attenzione in particolare su quelli di
Francia e Germania per molteplici ragioni. Non si tratta, infatti, soltanto di due dei più
importanti Paesi dell’Unione, ma anche di quelli che offrono maggiori spunti di analisi,
considerato l’ampio riscontro ivi avuto dai temi dell’integrazione europea, manifestatosi
concretamente in riforme costituzionali, sentenze dei Tribunali costituzionali, nonché in
ampi dibattiti sia a livello politico che di dottrina. Inoltre, Francia e Germania si prestano
più agevolmente di altri Paesi alla comparazione a causa della diversità dei loro
ordinamenti, che ha prodotto soluzioni differenti circa l’argomento in questione.
Nell’analisi degli ordinamenti nazionali si è cercato di cogliere gli aspetti segnalati
(modifiche costituzionali, sentenze, dottrina), senza però tralasciare l’osservazione dei
meccanismi parlamentari e di governo, sui quali ha maggiormente influito lo sviluppo
dell’integrazione europea.
Ma prima di entrare nel merito dell’analisi degli ordinamenti statali, si è ritenuto necessario
chiarire alcuni concetti preliminari, consistenti nella delineazione dell’ordinamento
dell’Unione Europea e nei tentativi di una sua definizione, che non si limitasse a
inquadrarlo entro schemi predeterminati, ma lo cogliesse – nel concreto dispiegamento dei
suoi effetti – come un “unicum” con quelli nazionali.
Lo stesso discorso vale per la nozione di “forma di governo”: per essa – che pure
richiederebbe un’analisi degna di una separata trattazione –, dopo aver brevemente dato
conto di alcune delle dottrine più seguite, si è volutamente lasciato aperto il problema
teorico generale, spostando piuttosto l’attenzione sull’esplicazione pratica degli effetti
dell’ordinamento dell’Unione sulle organizzazioni nazionali di governo.
Così procedendo, si sono considerati i tre poteri principali dello Stato moderno, ivi
compreso quello giudiziario che, pur non rientrando solitamente nella nozione di “forma di
governo”, ha avuto un’importanza assolutamente non trascurabile nell’affermazione
dell’ordinamento dell’Unione Europea, nel modellamento del suo sistema integrato di
governo e nella sua affermazione negli ambiti statali.
Anche nella prospettiva di un ulteriore rafforzamento dell’Unione e di una sua possibile
costituzionalizzazione – argomento ora quanto mai attuale – sono stati sottolineati i
3
problemi del suo funzionamento e gli elementi che impediscono di attribuire valore
costituzionale, come da molti indicato, ai Trattati che lo regolano, o almeno ad alcune loro
parti. Pertanto, un notevole accento è stato posto sulle questioni concernenti la
democraticità e la legittimazione delle istituzioni e degli atti dell’Unione Europea, e
sull’annoso problema della garanzia, nel suo ambito, dei diritti fondamentali. Pari
attenzione è stata rivolta alla considerazione della funzionalità del sistema complessivo,
appesantito dalla complessità dei meccanismi decisionali e affetto da carenza di
trasparenza e accessibilità.
Proprio questi sono stati gli elementi portanti della presente trattazione, dal momento che
essi costituiscono la principale sfida per il futuro di un’Unione finora troppo sospesa tra le
esigenze di legittimità formale e quelle di funzionalità sostanziale, nessuna delle quali essa
è, peraltro, riuscita a soddisfare compiutamente.
Se infatti la strada tracciata sembra condurre a una formale Costituzione europea, bisogna
considerare, oltre alla sua praticabilità e opportunità, il modo in cui essa debba raggiungersi
e soprattutto in quali termini debba essere posta, poiché, non potendo più essere sufficiente
il richiamo alle tradizioni costituzionali degli Stati, risulta necessaria l’elaborazione di
un’autonoma organizzazione “statale” e “di governo”.
Nell’analisi degli argomenti sopra elencati si è tenuto conto, oltre che del dato testuale
delle Costituzioni e dei Trattati, delle principali pronunce della giurisprudenza
costituzionale e anche degli indirizzi della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Non si è
tralasciata neppure una rassegna, quanto più vasta possibile, della dottrina che si è espressa
sugli argomenti via via presi in considerazione: essa è stata analizzata e sottoposta a critica,
anche nel caso in cui si è ritenuto opportuno seguire un’opinione in particolare.
Come per la dottrina, anche per i testi, la giurisprudenza e gli altri aspetti che sono stati
trattati, si è cercato di non fermarsi alla descrizione dell’esistente – se non per quanto
strettamente necessario per inquadrare l’argomento – ma di elaborare un’analisi critica
delle tematiche in esame, integrando eventualmente l’analisi con il commento.
A tale riguardo bisogna, da ultimo, avvertire che la ripartizione in capitoli e paragrafi
risponde soprattutto a esigenze di chiarezza e di facilità di consultazione, ma con essa non
si è inteso creare dei “compartimenti stagni”, poiché, data la fluidità dell’argomento, talora
4
non si è potuto fare a meno di richiamare concetti analizzati più diffusamente in altre parti
del lavoro: discorso analogo va fatto per le conclusioni, che, tranne laddove lasciate
volutamente “aperte”, rappresentano parte integrante e delle considerazioni personali e dei
commenti a margine delle tematiche trattate.
5
CAPITOLO I – L’UNIONE EUROPEA:
STORIA E ISTITUZIONI
I.1 – CENNI STORICI
L’Unione Europea, che si presenta all’alba del terzo millennio, come importante attore
della scena politico-istituzionale, affonda le sue radici storiche negli anni immediatamente
successivi alla seconda guerra mondiale. Da allora ha conosciuto una progressiva – e forse
per quei tempi imprevedibile – evoluzione che, sia nelle sue competenze sia nelle sue
strutture istituzionali, da semplice organizzazione di carattere economico, l’ha condotta a
diventare un punto di riferimento e di continuo confronto per gli Stati membri e per tutta la
comunità internazionale. La grave crisi economica, sociale e politica, seguita all’ultimo
conflitto mondiale, fu una delle maggiori spinte verso una più stretta integrazione tra i
Paesi dell’Europa occidentale, integrazione che trovò la sua prima concretizzazione
nell’“Organizza-zione europea per la cooperazione economica”, già prevista nel “Piano
Marshall” e attuata nel 1948 per favorire una forte cooperazione tra i Paesi rimasti al di
fuori dell’area di influenza sovietica. Inizialmente, queste organizzazioni internazionali,
sorte da accordi tra gli Stati, ebbero carattere prettamante economico-commerciale, come
la CECA (Comunità europea del carbone e dell’acciaio), istituita nel 1952, alla quale
aderirono solo sei Paesi. In seguito si abbandonò l’idea di una integrazione per settori,
sostenuta soprattutto dalla Francia, e si cominciò a lavorare alla costruzione di un mercato
comune di beni, lavoro e capitali. Così si giunse nel 1957 alla firma dei Trattati di Roma,
istituenti la CEE (Comunità Economica Europea) e l’EURATOM (Comunità europea per
l’energia atomica). Benché questi Trattati avessero come scopo specifico la creazione di
una zona doganale comune e l’intervento in aree economicamente depresse, fu con-
testualmente firmata una “Convenzione relativa a talune istituzioni comuni alle Comunità
Europee”, che regolava in particolare la Corte di Giustizia e l’Assem-blea parlamentare, il
cui funzionamento era valido per le tre Comunità. Le altre istituzioni, Consiglio e
Commissione, che formano oggi l’Unione Europea, furono unificate solo nel 1965. Poi, nel
6
giugno del 1979 il Parlamento europeo, fino ad allora formato da delegati dei Parlamenti
nazionali, fu per la prima volta eletto a suffragio universale, come previsto dai Trattati di
Roma.
A metà degli anni Ottanta, la Comunità Europea conta dodici Paesi membri, ma nelle sue
strutture, attività e competenze, non si presenta molto dissimile rispetto al momento della
sua fondazione. Proprio in questo periodo si assiste, poi, al rilancio del processo di
integrazione, che coincide anche con la prima delle grandi riforme che coinvolgeranno, da
qui in avanti, il contenuto delle regole materiali comunitarie: l’Atto Unico Europeo del
1986, che aggiunge interi capitoli al Trattato di Roma.
Questo tipo di riforma fu resa necessaria dall’esigenza di regolare a livello comunitario
materie che prima non erano state inserite nel campo d’azione della Comunità, essendo
considerate di esclusiva competenza nazionale, come la protezione dell’ambiente, la tutela
dei consumatori, la coesione economica e sociale.
Inoltre, con la sottoscrizione dell’Atto Unico Europeo i Dodici si impegnano a creare, entro
la fine del 1992, un mercato unificato al cui interno possano circolare liberamente persone,
capitali, beni e servizi: è questo il primo passo verso l’Unione Europea che verrà poi
sancita con la firma del Trattato di Maastricht, nel febbraio 1992. Tale Trattato crea una
complessa struttura istituzionale, dal carattere del tutto peculiare sia rispetto alle moderne
esperienze costituzionali sia, soprattutto, rispetto ad analoghe organizzazioni
sovranazionali. Esso si compone di tre parti essenziali – ribattezzate come i pilastri
dell’Unione – riguardanti rispettivamente la Comunità Europea, la politica estera e di
sicurezza comune (PESC) e la cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni.
Ma il suo significato va oltre le semplici enunciazioni e supera anche le rigide
classificazioni teoriche.
Prescindendo da tutte le nozioni di carattere economico e più strettamente tecnico, una
delle principali innovazioni introdotte a Maastricht risiede nei primi articoli del Trattato
(quelli da A a F), che disciplinano, anche dal punto di vista istituzionale, gli organi della
nascente Unione Europea e ne enunciano i fondamenti politici e programmatici, nonché le
finalità. A questo riguardo è da notare come la forte affermazione del principio di
sussidiarietà e delle competenze delle istituzioni dell’Unione sia di grande rilievo, non solo
7
per la delimitazione dei poteri (principio dei poteri nominati) ma anche per lo spostamento
di competenze in diverse materie, con ciò determinando anche una diversa distribuzione
delle attività delle istituzioni nazionali. Ed è proprio questo punto ad essere di decisiva
importanza nel processo di sviluppo dell’Unione, non solo come organismo di carattere
economico-commerciale, ma come “governo sovranazionale” in grado di incidere
fattivamente, con i propri atti normativi, di decisione e di indirizzo, in campi prima
attribuiti esclusivamente alla competenza statale. È indubbio che ciò possa creare problemi
di coordinamento e armonizzazione delle diverse normative, in quanto anche gli organi
nazionali (legislativo ed esecutivo in primis) si trovano, in questo quadro, a dover
ridisegnare i propri poteri e il proprio campo d’azione nei confronti di un’istituzione che
opera anche nei medesimi campi, seppure in un sistema di separazione di competenze.
Come si può notare, già osservando l’evoluzione che ha portato dalle Comunità Europee
all’Unione Europea –, pur in un quadro di allargamento e precisazione delle competenze
dirette ad incidere sempre più ampiamente anche sui sistemi istituzionali e costituzionali
dei Paesi che partecipano all’Unione – esistono tuttavia delle zone d’ombra, che i diversi
trattati non hanno mai toccato: tra queste, la più importante risulta quella riguardante i
diritti fondamentali. Alla base di tale omissione – la cui gravità emerge ancor
maggiormente se si considerano i recenti sviluppi dell’Unione Europea verso un sistema
“quasi federale” e “quasi costituzionale” (su cui sarà opportuno soffermarsi ampiamente in
seguito), in grado con i suoi atti di incidere anche sui diritti fondamentali – vi era tuttavia
una scelta di fondo ben precisa, in quanto nel momento in cui i primi trattati furono
stipulati non si riteneva necessaria l’inserzione in essi di enunciazioni sui diritti
fondamentali della persona umana. Ciò, forse, perché non si pensava che le istituende
Comunità Europee avrebbero potuto coinvolgere simili principi, stante il loro carattere
esclusivamente economico-commerciale. Il richiamo ai diritti fondamentali della persona
umana, ove necessario, fu fatto soprattutto dalla Corte di Giustizia, che si è trovata di fronte
a sviluppi dell’attività della Comunità che non potevano essere giustificati solo con il
richiamo a disposizioni del Trattato di Roma ma che necessitavano di riferimenti a principi
superiori, quali appunto i diritti fondamentali della persona umana. Questa carenza è stata,
almeno formalmente, colmata dall’art. F par. 2 del Trattato sull’Unione Europea di
8
Maastricht, che dichiara il rispetto, da parte dell’Unione, dei diritti “garantiti dalla
convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
(CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950”, e di quelli risultanti dalle tradizioni
costituzionali degli Stati membri, recepiti come principi generali del diritto comunitario.
Ora, l’efficacia di questi richiami risulta comunque dubbia, dal momento che l’articolo del
Trattato di Maastricht in questione è tra quelli sottratti al sindacato della Corte di Giustizia,
e il sistema di diritti cui si fa riferimento (quello della CEDU) si trova al di fuori dell’area
di competenza dell’Unione proprio perché nessuna disposizione dei Trattati attribuisce alle
istituzioni comunitarie il potere di emanare norme in materia di diritti umani né quello di
concludere convenzioni internazionali in materia, come appunto la CEDU (parere 2/94 del
28 marzo 1996 della Corte di Giustizia).
A questo problema ha tentato di ovviare, almeno parzialmente, il più recente Trattato di
Amsterdam (1997), che rappresenta l’ultimo, per ora, e più deciso passo verso la concreta
attuazione dell’Unione politica, oltre che economica. Per quanto riguarda più strettamente
il problema dei diritti fondamentali, già nell’art. 1 par. 1 viene “confermato” l’attaccamento
dell’Unione ai diritti sociali fondamentali, definiti nella Carta Sociale Europea (firmata a
Torino nel 1961) e nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori,
del 1989.
Come si vede, si tratta di un riferimento diverso rispetto a quello contenuto nell’art. F par.
1 del Trattato di Maastricht e la diversità consiste soprattutto nel fatto che qui il riferimento
è a enunciazioni di diritti interne al sistema comunitario e quindi non dovrebbe creare gli
inconvenienti applicativi verificatisi invece per i diritti specificati nella CEDU. Tuttavia, gli
atti cui si riferisce l’art. 1 par. 1 del Trattato di Amsterdam sono solo di carattere settoriale,
non comprendendo se non i diritti sociali e inerenti – soprattutto per quanto riguarda la
seconda Carta – a una circoscritta categoria di rapporti, segnatamente quelli di lavoro. Ciò
conferma la difficoltà di una dichiarazione unitaria e generale sui diritti fondamentali,
mentre resta la validità e, forse, la maggiore efficacia di dichiarazioni di carattere settoriale,
che così confermano anche la natura spiccatamente economica dei rapporti rientranti
nell’ambito della sfera di influenza comunitaria. Sempre l’art.1 del Trattato di Amsterdam,
emendando gli articoli B ed F del Trattato sull’Unione Europea, giunge ad affermazioni
9
più concrete riguardanti i diritti fondamentali. Infatti, tra i punti inseriti nell’art. B si
afferma che l’Unione Europea si prefigge, tra i suoi obiettivi, il rafforzamento della tutela
dei diritti e degli interessi dei cittadini degli Stati membri, da attuare attraverso l’istituzione
di una cittadinanza dell’Unione.
Nella nuova formulazione dell’art. B, oltre all’istituzione di una cittadinanza comune, si
possono rilevare continui riferimenti ai diritti di libertà, sicurezza, giustizia, pur nell’ambito
di un progresso economico e sociale, nell’intento di riportare le regolamentazioni di
carattere economico nell’ambito dei diritti fondamentali della persona. Rilevante è, inoltre,
il fatto che non si faccia riferimento a dichiarazioni preesistenti o addirittura esterne al
sistema comunitario, ma si tenti di affermare concretamente, nello svolgimento delle
politiche dell’Unione, categorie di diritti autonome e interne al sistema, che così può
affermare propri principi di carattere generale, in maniera molto simile a quanto avviene
nelle moderne Costituzioni.
A questo riguardo è fondamentale l’integrazione dell’art. F del Trattato sull’U-nione
Europea – apportata dal punto 8 dell’art.1 del Trattato di Amsterdam – che afferma il
fondamento dell’Unione “sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo,
delle libertà fondamentali e dello Stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati
membri”. Con questa disposizione viene superato il semplice e poco esauriente riferimento
alle tradizioni costituzionali degli Stati membri, con una formula che, se da un lato rinvia a
principi costituzionali di lunga e consolidata tradizione, dall’altro pone i principi di libertà,
democrazia e rispetto dei diritti dell’uomo come cardini del diverso sistema dell’Unione.
Questa è proprio una delle disposizioni che ha condotto parte della dottrina a considerare i
Trattati, che via via hanno segnato lo sviluppo dalle Comunità all’Unione Europea (o
almeno delle loro parti), di rango costituzionale.
L’importanza del Trattato di Amsterdam, dal punto di vista istituzionale, non si ferma al
campo dei diritti fondamentali, in quanto in esso – oltre alla regolamentazione, negli art. J
e K, della politica estera e di sicurezza, e della cooperazione a livello giudiziario – vengono
definiti con maggior precisione i compiti degli organi dell’Unione, in particolare per
quanto riguarda il Consiglio e la Commissione. Fondamentale, tra le numerosissime
modifiche apportate al Trattato di Roma, è quella relativa all’art. 228, che restringe
10
ulteriormente il numero delle materie sulle quali il Consiglio delibera all’unanimità,
privilegiando così le decisioni a maggioranza qualificata, e stabilisce criteri di piena e
immediata informazione del Parlamento Europeo, destinato ad accrescere le proprie
competenze nell’ambito di un sistema che possa essere più compiutamente democratico e
parlamentare. Questa, per grandi linee, l’evoluzione storico-istituzionale che ha condotto
all’attuale struttura dell’Unione Europea.
I.2 – LE ISTITUZIONI
Resta ora da esaminare brevemente la struttura istituzionale dell’Unione, almeno per
quanto riguarda gli organi “di governo” e quelli che ricalcano, per competenze, la divisione
dei poteri, tipica delle esperienze costituzionali contemporanee. A questo riguardo bisogna
avvertire delle difficoltà cui si potrebbe andare incontro cercando di inquadrare le
istituzioni dell’Unione Europea entro gli schemi classici dei rapporti tra organi, quali
possono riscontrarsi in un singolo sistema statale, essendo in presenza di rapporti
complessi ed in continuo divenire, come è ancora, in fase di sviluppo, lo stesso processo di
integrazione (anzi, ormai, di unificazione) che ha originato queste istituzioni. Inoltre,
nonostante il Trattato sull’Unione Europea disegni un quadro istituzionale unico, i rapporti
tra le varie istituzioni sono diversi nell’ambito di ciascuno dei tre pilastri dell’Unione
(Comunità europea, PESC, Cooperazione giudiziaria e sugli affari interni), che sono
peraltro diversamente sviluppati, coinvolgendo così i vari organi in misura e con compiti
differenziati a seconda delle materie in questione. A ciò va aggiunto il fatto che gli organi
comunitari non sono del tutto autonomi, nel senso che non si è esaurito il loro legame con
gli Stati e i Governi nazionali: e anche qui la situazione si presenta diversa a seconda delle
zone di influenza comunitaria che si prendono in considerazione. Infatti, se la cessione di
sovranità degli Stati per quanto riguarda il sistema delle fonti è molto avanzata – come per
l’Unione Monetaria – molto meno pronunciata è la devoluzione delle competenze sovrane
per ciò che concerne i rapporti politico-istituzionali. Questo è appunto uno dei maggiori
ostacoli verso una “Costituzione Europea”, visto il ruolo che ancora giocano i Governi
nazionali nell’ambito delle istituzioni dell’Unione, in particolare per quanto riguarda la
partecipazione diretta e il potere di nomina nei confronti di alcuni dei più importanti centri
di governo comunitari.
11