II
Alcuni autori tuttavia ritengono che l'esame sia necessario solo
quando l'esercizio della professione incida direttamente o indirettamente
su beni costituzionalmente tutelati come ad esempio il diritto alla difesa
per le professioni legali e il diritto alla salute per quelle sanitarie
3
.
Altri autori sostengono invece che l'esame prescinda da un riferimento
alla Costituzione o a beni tutelati ed è rimesso esclusivamente alla
valutazione discrezionale del legislatore
4
.
Riferimenti ad "associazioni professionali" sono presenti
nell'art.2229 c.c., il quale prevede una riserva di legge per la
determinazione delle professioni intellettuali il cui esercizio è
subordinato all'iscrizione in appositi albi; rimanda inoltre alle leggi
speciali la disciplina delle modalità e dei termini per ricorrere in via
giurisdizionale contro il rifiuto della iscrizione o la cancellazione dagli
albi o elenchi e contro i provvedimenti disciplinari che comportano la
sospensione o la perdita del diritto all'esercizio della professione.
D'altro canto qualche autore desume dall'art.2231 c.c. la possibilità
di configurare professioni non protette, per l'esercizio delle quali non è
necessaria l'iscrizioni in albi o elenchi
5
.
L'esigenza di tutela di beni costituzionalmente protetti si
contrappone dunque alla libertà del cittadino di scegliere la propria
attività lavorativa e tale tutela avviene attraverso una disciplina
legislativa istitutiva di un Ordine o Collegio, che prevede un esame
finalizzato all'iscrizione all'albo.
3
Maviglia A., Professioni e preparazione alle professioni, Milano, Giuffré, 1997, p.79 e ss
4
Giannini M. S., Diritto amministrativo, Milano, Giuffré, 1970, I, p.187.
5
Teresi F. Ordini e collegi professionali, in Digesto delle discipline pubblicistiche, 1991, p.450.
III
Quando però tali beni non hanno un rilievo costituzionale, la
disciplina legislativa deve porre dei limiti ragionevoli volti a
salvaguardare esclusivamente la tutela dell'affidamento dei
committenti
6
.
6
Maviglia A., Professioni e preparazione alle professioni, Milano, Giuffré, 1992, p.79 e ss.
CAPITOLO 1
L'ORGANIZZAZIONE
1. Le fonti normative
Le prime leggi che disciplinano l'organizzazione degli Ordini e dei
Collegi professionali risalgono alla fine del secolo scorso e presentano
caratteristiche diverse a seconda dei settori di appartenenza; le
modificazioni di tali leggi sono avvenute adeguando la disciplina
all'evoluzione sociale.
Il R.D.L. n.103/1924 "Disposizioni per le classi professionali non
regolate da speciali disposizioni legislative" può essere considerato la
base normativa di riferimento per tutti gli enti professionali, fino alla sua
modificazione avvenuta tra il 1926 e il 1929 ad opera della legislazione
corporativa di scioglimento dei Consigli elettivi e di trasferimento delle
competenze ai sindacati, ovvero di inquadramento autoritario dei
Collegi nelle Associazioni Sindacali.
Il D.L.L. n.382/1944 sui Consigli degli Ordini e dei Collegi e sulle
Commissioni centrali professionali, (divenute poi Consigli Nazionali)
costituisce ancor oggi la disciplina di riferimento dell'organizzazione
degli Ordini e dei Collegi, in attesa dell'approvazione della legge-quadro
che è attualmente oggetto di studio.
2
A completamento del quadro normativo è da citare ancora la legge
n.897/1938 "Sull'obbligo dell'iscrizione agli albi professionali", e la
legge n.292/1978 "Sull'esazione dei contributi per il funzionamento dei
Consigli degli Ordini e dei Collegi professionali secondo le norme per la
riscossione delle imposte dirette".
2. La struttura degli Ordini e dei Collegi e la qualificazione dei
professionisti
È risalente la tendenza dei gruppi professionali ad associarsi per la
difesa dei propri interessi sia collettivi che individuali.
Elemento necessario è la presenza di una pluralità di soggetti "i
professionisti" i quali svolgono tutti la medesima attività intellettuale.
L'ente professionale non si esaurisce nella mera presenza di organi
capaci di agire come accade per gli altri enti pubblici, ma si caratterizza
per la esistenza di una necessaria base consociativa costituita dai
professionisti che vi appartengono.
I professionisti sono stati considerati ausiliari della Pubblica
Amministrazione
1
, pur essendo estranei ad essa, in quanto svolgono
un'attività di pubblico interesse idonea a coadiuvare l'Amministrazione
stessa nel perseguimento dei suoi scopi. Anzi qualche autore li qualifica
organi impropri o indiretti della Pubblica Amministrazione
2
anche se
non sono legati ad essa da un rapporto organico.
1
Zanobini L., L'esercizio privato delle funzioni e dei servizi pubblici, in Primo trattato completo,
Milano, Giuffrè, 1972, p.338 e ss.
2
Catelani A., Gli Ordini e i Collegi professionali nel diritto pubblico, Milano, Giuffré, 1976, p.40 e
ss.
3
In effetti non è possibile che tutti i fini che l'ordinamento giuridico
qualifica come pubblici vengano perseguiti da organi della Pubblica
Amministrazione; taluni di questi fini sono lasciati infatti alla gestione
dei privati, ed effettivamente l'attività dei privati professionisti può
essere qualificata di pubblico interesse specialmente se si considera che
essi sono inquadrati all'interno di un'organizzazione alla cui base vi è un
albo.
Non è possibile considerare il professionista un organo dell'ente in
quanto egli agisce nel proprio interesse ed in nome proprio mentre
l'organo della Pubblica Amministrazione impegna direttamente
quest'ultima perseguendo finalità di interesse pubblico.
L'attività professionale tuttavia, può anche essere considerata di
pubblica utilità, anche se il privato professionista, a differenza degli
organi della Pubblica Amministrazione, non persegue finalità di tipo
pubblicistico ma ha lo scopo di ricevere la retribuzione.
In definitiva il lavoro del professionista può essere certamente
considerato di pubblica utilità e questo è alla base dell'organizzazione
professionale e giustifica la necessità dell'iscrizione all'albo, ma è da
sottolineare anche la posizione di privilegio degli appartenenti al gruppo
professionale ai quali il cittadino è costretto a rivolgersi se intende
avvalersi di una prestazione tecnicamente qualificata.
4
3. I professionisti come esercenti attività di pubblica necessità
Nell'esercizio delle attività professionali è presente un interesse
pubblicistico, più precisamente i professionisti svolgono una pubblica
funzione, oppure, molto più frequentemente, un servizio di pubblica
utilità.
L'art.357, co.2 c.p. inquadra tra coloro i quali esercitano una
funzione amministrativa "mediante esercizio di poteri certificativi",
alcuni professionisti come i notai, quali garanti della veridicità di fatti e
atti compiuti in loro presenza, i medici che redigono certificazione di
natura sanitaria e gli ingegneri o i periti che formulano relazioni
tecniche.
Ma è nella categoria delle persone che esercitano un servizio di
pubblica necessità che può essere individuata la maggior parte dei
professionisti.
Escludendo, infatti, coloro i quali sono dichiarati espressamente
esercenti funzioni di pubblica utilità mediante atto della Pubblica
Amministrazione, (art.359, punto 2 c.p.), è agevole individuare i
soggetti contemplati nel punto uno del medesimo articolo nel quale sono
considerati esercenti un servizio di pubblica utilità "i privati che
esercitano professioni forensi o sanitarie, o altre professioni il cui
esercizio sia per legge vietato senza una speciale abilitazione dello
Stato, quando dell'opera di essi il pubblico sia per legge obbligato a
valersi".
Questa categoria di professionisti è dunque molto ampia e facilmente
determinabile poiché si basa su precise disposizioni legislative che
5
prevedono il superamento di un esame di abilitazione per l'esercizio, ma
è anche una categoria residuale in quanto ha rilevanza se nell'attività del
professionista non è ravvisabile una pubblica funzione
3
.
La differenza tra le due categorie di professionisti consiste nel fatto
che per il servizio di pubblica necessità vi è un'attività materiale
conseguente all'esercizio di una facoltà, mentre il risultato finale di una
pubblica funzione è una modificazione del mondo giuridico a seguito di
un potere esercitato.
L'interesse pubblicistico è più intenso quando si tratta di incidere
su rapporti giuridici, tuttavia è presente in entrambe le categorie e
giustifica la necessaria regolamentazione.
4. L'esercizio abusivo delle libere professioni e le relative
sanzioni
L'art.348 c.p. stabilisce: "Chiunque abusivamente esercita una
professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato
è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire
duecentomila ad un milione".
L'esistenza di una norma che punisce l'esercizio abusivo della
professione è giustificata dall'esigenza di tutelare quelle professioni nel
cui esercizio è stato ravvisato un interesse di tipo pubblicistico e si può
considerare come il riflesso, dal punto di vista penale, dell'esistenza
stessa di un albo e della relativa disciplina pubblicistica.
3
Catelani A., Gli ordini e i collegi professionali nel diritto pubblico, Milano, Giuffré, 1976, p.45.
6
Naturalmente l'esercizio è abusivo non solo quando non vi sia stata
iscrizione o manchi il titolo come il diploma o la laurea, ma anche in
altri casi come ad esempio allorquando il professionista lavori in
presenza di un'interdizione definitiva o anche temporanea o quando vi
sia un qualsiasi altro provvedimento disciplinare
4
.
Inoltre è stata rilevata la non necessità, ai fini della sussistenza, del reato
di un'attività di tipo continuativo, essendo sufficiente una sola
prestazione, e ciò ha naturalmente determinato una serie di dubbi e
problematiche sull'esistenza effettiva del reato e sui limiti della sua
fattispecie.
5. Lo status professionale
A seguito dell'iscrizione all'albo, il privato professionista
acquisisce una situazione giuridica definita "status professionale" che
comporta diritti, obblighi, poteri e facoltà previsti da specifiche
disposizioni legislative.
Gli elementi caratteristici di questo status professionale sono previsti
dall'art.2229 c.c., ma la disciplina codicistica è specificata da leggi
speciali nei singoli ordinamenti di settore.
Dall'insieme di queste leggi deriva la configurazione dello status innanzi
tutto come la "posizione del soggetto all'interno del gruppo
professionale"
5
.
4
Fiandaca G., Musco E., Diritto penale, parte generale., Bologna, Zanichelli, p.386.
5
Catelani A., Gli ordini e i collegi professionali nel diritto pubblico, Milano, Giuffré, 1976, p.50.
7
La più importante situazione giuridica attiva derivante dallo status
professionale è certamente la libertà di auto-organizzazione
nell'esercizio della professione.
Il professionista ha il diritto di porre in essere i contratti di prestazione
professionale, tuttavia la sua attività è inserita all'interno di un sistema,
strutturato con una precisa disciplina giuridica, che investe l'attività ed i
comportamenti individuali
6
.
La prestazione professionale tuttavia non è libera in assoluto ma
incontra non solo le limitazioni previste da disposizioni legislative di
settore, ma anche quelle che derivano dalla appartenenza al gruppo
professionale che sono previste, del resto, da un rinvio presente nel
codice civile (art.2230, co.2.).
Tra gli altri diritti che sorgono in capo al privato professionista è da
annoverare anche la possibilità di partecipare al governo della
professione e di esercitare diritti e facoltà all'interno dell'organizzazione
stessa.
È stata notata la similitudine dello status professionale con gli
status soggettivi, come la cittadinanza, che vengono definiti nei loro
elementi strutturali in relazione ad una "condizione complessiva, ad un
centro normativo unificante"
7
.
Sul versante dei doveri è innanzi tutto da considerare l'obbligo per
il professionista di esercitare con competenza e coscienza in modo da
non pregiudicare interessi o beni o arrecare danno al cliente.
6
Gessa C., Ordini e collegi professionali, in Enciclopedia Giuridica Treccani, vol.XXII, p.5.
7
Gessa C., Ordini e Collegi professionali, in Enciclopedia Giuridica Treccani, vol.XXII, p.6.
8
Poiché frequenti sono le possibilità di contrasto tra il fine privato
del professionista (lucro, desiderio di notorietà) e l'interesse pubblico,
che deve essere sempre perseguito nell'esercizio della professione e nel
cui ambito è ricompreso anche quello del cliente, il legislatore ha
previsto ampie possibilità e vari poteri per gli enti centrali della
categoria al fine di consentire il prevalere dell'interesse pubblico ed una
corretta attività professionale.
L'operato del professionista può essere, dunque, oggetto di valutazione e
controllo secondo standard e poteri che variano a seconda delle
categorie e che rientrano nell'ambito di quel tipo di regole chiamate
"deontologiche" le quali tendono a garantire una diligenza media ma
comunque variabile a seconda dello specifico settore di appartenenza.
La violazione delle regole deontologiche produce responsabilità non
verso l'ordinamento generale, come nell'ipotesi di illeciti di tipo penale o
di violazioni di altre leggi statali professionali, ma esclusivamente nei
confronti del gruppo di appartenenza del professionista, e nei casi più
gravi può condurre anche alla espulsione del soggetto con conseguente
cancellazione dall'albo e inibitoria d'esercizio dell'attività.
Per quanto attiene alle incompatibilità, i maggiori problemi
riguardano il cosiddetto impiegato-professionista, cioè colui che è
titolare di un rapporto di lavoro subordinato nel quale la prestazione non
è costituita dall'attività professionale, per la quale, però, il soggetto
possiede i requisiti per l'iscrizione all'albo.
L'incompatibilità deve essere espressamente prevista dalla legge, come
nel caso degli impiegati statali (art.60 del T.U. imp.civ.St.). Fa
9
eccezione l'art.92 del D.P.R. n.417/1974 che per gli insegnanti prevede
una specifica autorizzazione del direttore didattico o del preside.
Per i professori universitari non è incompatibile, per espressa
disposizione legislativa, l'iscrizione all'albo degli avvocati e dei dottori
commercialisti e all'albo notarile.
È prevista invece incompatibilità per gli operai dello Stato, per i
parastatali, per i segretari comunali, provinciali di consorzi e di regioni.
In alcuni casi è la legge statale professionale a stabilire il divieto di
iscrizione per alcuni soggetti come gli impiegati degli enti pubblici,
delle Associazioni Sindacali, gli esattori dei tributi, i notai, i giornalisti
pubblicisti all'albo dei consulenti del lavoro.
Le incompatibilità possono derivare, inoltre, dal fatto che vengono
svolte altre attività produttive, come per esempio quella del
commerciante
8
.
Lo status professionale, infine, si caratterizza anche per
l'omogeneità delle situazioni giuridiche soggettive dei privati
professionisti che sono accomunate sulla base di caratteristiche
uniformi, sicché tutti gli appartenenti al gruppo professionale hanno in
comune il medesimo status.
6. Gli organi degli enti professionali locali e nazionali
8
Piscione P., Disciplina delle professioni, in Enciclopedia del diritto, p.1048 e ss.
10
L'organizzazione professionale ha una struttura pressoché costante
nelle linee fondamentali, mentre la disciplina delle singole professioni
intellettuali è diversificata.
Per tutte le professioni, l'ordinamento individua gli organi
esponenziali del gruppo ed affida a loro la cura non solo degli interessi
del gruppo ma anche di quelli pubblici.
La struttura di tali organi è prevista da disposizioni legislative che
possono essere qualificate "norme organizzative" alle quali non può non
attribuirsi il carattere della giuridicità e della coattività.
Da un punto di vista sistematico la categoria giuridica costituita
dagli enti professionali è inquadrabile nell'ambito dei così detti "enti
pubblici associativi" la cui caratteristica principale è l'organizzazione di
tipo assembleare per cui tutti i soggetti che fanno parte del gruppo sono
in grado di determinare in maniera diretta la vita e l'andamento dell'ente
stesso
9
.
Per questo tipo di struttura, nell'ente professionale è stata ravvisata una
forma di democrazia diretta, anche se differenziata per ciascuna
categoria professionale, diversamente da quanto accade in altre strutture
di tipo puramente rappresentativo come le Camere di Commercio o da
quelle istituzionali che hanno una funzione di semplice servizio rispetto
alla Pubblica Amministrazione
10
.
La struttura degli Ordini e dei Collegi si articola generalmente su
base provinciale, ma vi sono alcune disposizioni legislative che
9
Rossi G., Gli Enti pubblici associativi (Aspetti del rapporto fra gruppi sociali e pubblico potere)
Napoli, Jovene, 1979, p.79 e ss.
10
Gessa C., Ordini e Collegi professionali, in Enciclopedia giuridica Treccani, vol.XXII, p.2.
11
prevedono circoscrizioni comprendenti due o più province contigue, o
viceversa un solo Ordine Nazionale per motivi storici, demografici o
sociali oppure se il numero dei professionisti residenti è esiguo.
L'Assemblea degli iscritti è il più importante organo collegiale;
attraverso di essa si realizza la democraticità in quanto funge da corpo
elettorale per l'autogoverno e da organo deliberativo soprattutto per la
potestà normativa, consentendo così quella partecipazione alla gestione
dell'ente di tutti i suoi iscritti e quindi l'autogoverno dell'ente stesso.
La convocazione dell'Assemblea è obbligatoria quando è richiesta dalla
maggioranza dei componenti del Consiglio ovvero da un quarto degli
iscritti.
La sua costituzione è valida in prima convocazione se interviene almeno
la metà degli iscritti e in seconda convocazione (che deve tenersi non
oltre tre giorni dalla prima) se interviene almeno un quarto degli stessi
iscritti.
Le competenze assembleari variano nelle fattispecie ma
sostanzialmente vanno dalla fondamentale funzione elettorale,
all'approvazione dei bilanci, sia preventivi che consuntivi, fino alle
decisioni di indirizzo generale relative alle attività dell'ente.
La dottrina ha notato che i poteri dell'organo sono in realtà più
accentuati perché non sono previsti specificamente con legge e si
rivelano, pertanto,"indeterminati" o "aperti" sicché è rimessa all'organo
la gestione complessiva di interessi e valori da tutelare prescindendo da
12
specifiche attribuzioni distribuite fra gli organi, come invece accade fra
gli enti di tipo istituzionale
11
.
Il professionista che non ricopre specifiche funzioni all'interno
dell'Ordine o Collegio, partecipa semplicemente all'Assemblea e
concorre alla formazione della volontà di questa esercitando il proprio
diritto di voto che, in quanto dichiarazione di volontà, contribuisce alla
costituzione di un atto collegiale.
Il Consiglio è l'organo esterno rappresentativo di ciascun Ordine o
Collegio; la sua composizione è variabile dipendendo dalla consistenza
numerica dell'ente e va da un minimo di cinque membri ad un massimo
di quindici membri eletti dall'Assemblea; la durata in carica è di due
anni con l'eccezione delle professioni sanitarie per le quali i consiglieri
durano in carica tre anni.
Al Consiglio sono demandate tutte le funzioni strettamente gestorie
come la tenuta dell'albo ed i poteri disciplinari.
Il Consiglio deve anche provvedere a fissare le tasse di iscrizione
all'albo, al rilascio di certificati ed alla resa di pareri, inoltre deve
predisporre il bilancio preventivo ed il conto consuntivo che deve essere
approvato dall'Assemblea.
Al Consiglio è infine affidata l'amministrazione dei beni dell'ente.
L'articolazione interna del Consiglio, prevede generalmente un:
– Presidente, eletto all'interno del Consiglio stesso, il quale ha la
rappresentanza legale dell'ente, presiede e convoca l'Assemblea;
– Segretario che attende alle funzioni di tipo burocratico;
11
Gessa C., Ordini e Collegi professionali, in Enciclopedia giuridica Treccani, vol.XXII, p.3.