6
significato costante. L’ordine pubblico è richiamato negli artt.
31 disp. sulla legge in generale
2
, 5
3
, 23 ult. co.
4
, 25 1 co.
5
, 634
6
,
1229 2 co.
7
, 1343
8
, 1354 1 co.
9
, 2031 2 co.
10
, 2332 c.c.
11
.
articolano in una proposizione (definiens) che può essere sostituita al definiendum in ogni
contesto in cui compaia. Altre definizioni vengono dette, invece, contestuali perché, non
essendo in grado di fornire direttamente un equivalente del definiendum ma solo un
enunciato equivalente ad un altro in cui il definiendum compare, consentono la
sostituzione del definiendum solo in un determinato contesto.
Emerge dall’opera dell’A., che l’avversione per le definizioni giuridiche in genere e
legislative in particolare, e la negazione del carattere vincolante di esse, sono aspetti
ricorrenti nel pensiero dei giuristi, a dispetto dell’ampio uso che poi in realtà viene fatto
di queste definizioni. Questo atteggiamento negativo è dovuto a complesse motivazioni
ideologiche ma anche a fraintendimenti della natura e delle forme della definizione in
generale. Spesso non è chiara la distinzione tra definizioni nominali e reali né quella tra
definizioni lessicali e ridefinizioni, poiché non si comprende come si possa dare più di
una definizione per uno stesso termine.
“Con particolare riguardo alle definizioni legislative, si tende ad ignorare l’utilità delle
definizioni nell’articolazione del discorso del legislatore …. ed a ritenere che il
legislatore definendo, anziché «disporre», rifletta sulle proprie disposizioni svolgendo
così una attività scientifica riservata alla dottrina.” (Belvedere A., Definizioni, cit., 154).
“Non sembra fondata l’opinione per cui il legislatore, cercando di riassumere il contenuto
di norme regolanti una certa materia, supererebbe i limiti della sua competenza,
spogliandosi così della sua autorità e privando di efficacia vincolante le sue disposizioni.
Essendo unico compito del legislatore quello di regolare i rapporti sociali, la riflessione
su tale disciplina spetterebbe alla scienza giuridica, e quando il legislatore usurpasse
questi compiti, le sue enunciazioni varrebbero come qualsiasi altra opinione scientifica
che l’interprete è libero di accettare o di non accettare, a seconda che la ritenga, o no,
esatta. Poiché, tuttavia, nessun principio giuridico riserva alla dottrina queste attività,
proibendole al legislatore, il carattere non vincolante di questa sintesi normativa potrebbe
derivare solo dalla loro natura di affermazioni esclusivamente teoriche, dalla loro
estraneità ad ogni problema di disciplina di rapporti sociali. Confinando ogni questione
ad un livello di mera teoria ed escludendo ogni utilità di tali enunciazioni, che non sia di
tipo didattico, espositivo o mnemonico, non si spiega però la loro «pericolosità», né la
ragione della nascita stessa del problema del loro valore vincolante. La verità, invece, è
diversa: sintesi normative del tipo considerato possono influire sulla disciplina da cui
sono tratte, perché individuandone i profili essenziali, le linee portanti, rappresentano o
dei principi normativi di immediata applicazione, o dei criteri interpretativi da utilizzare
nei riguardi delle norme che costituiscono l’istituto definito.” (Belvedere A., Il problema
delle definizioni nel codice civile, Milano, Giuffrè, 1977, 83).
2
«Limiti derivanti dall’ordine pubblico e dal buon costume. Nonostante le disposizioni
degli articoli precedenti, in nessun caso le leggi e gli atti di uno Stato estero, gli
ordinamenti e gli atti di qualunque istituzione o ente, o le private disposizioni e
convenzioni possono aver effetto nel territorio dello Stato, quando siano contrari
all’ordine pubblico o al buon costume».
3
« Atti di disposizione del proprio corpo. Gli atti di disposizione del proprio corpo sono
vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando
siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume».
4
«L’esecuzione delle deliberazioni contrarie all’ordine pubblico o al buon costume può
essere sospesa anche dall’autorità governativa».
7
L’espressione viene utilizzata talvolta per qualificare un
certo tipo di norme come norme di ordine pubblico (art. 1229 2
co.), talaltra è correlata al buon costume (artt. 31 disp. prel.; 23
ult. co.), altre volte è affiancata al buon costume e alle norme
imperative (artt. 25 1 co., 634, 1343, 1354 c.c.) così da
sembrare un limite dell’autonomia negoziale diverso da questi
due. Questa tecnica legislativa del richiamo dell’ordine
pubblico in correlazione con altre figure “costituisce …..
riflesso normativo della difficoltà …… di definire col ricorso al
5
«Controllo sull’amministrazione delle fondazioni. L’autorità governativa esercita il
controllo e la vigilanza sull’amministrazione delle fondazioni; provvede alla nomina ed
alla sostituzione degli amministratori o dei rappresentanti, quando le disposizioni
contenute nell’atto di fondazione non possono attuarsi; annulla, sentiti gli amministratori,
con provvedimento definitivo le deliberazioni contrarie a norme imperative, all’atto di
fondazione, all’ordine pubblico o al buon costume; …….».
6
«Condizioni impossibili o illecite. Nelle disposizioni testamentarie si considerano non
apposte le condizioni impossibili e quelle contrarie a norme imperative, all’ordine
pubblico, o al buon costume, salvo quanto è stabilito dall’art. 626».
7
«É nullo altresì qualsiasi patto preventivo di esonero o di limitazione di responsabilità
per i casi in cui il fatto del debitore o dei suoi ausiliari costituisca violazione di obblighi
derivanti da norme di ordine pubblico».
8
«Causa illecita. La causa è illecita quando è contraria a norme imperative, all’ordine
pubblico o al buon costume».
9
«Condizioni illecite o impossibili. É nullo il contratto al quale è apposta una condizione,
sospensiva o risolutiva, contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon
costume».
10
«Questa disposizione non si applica agli atti di gestione eseguiti contro il divieto
dell’interessato eccetto che tale divieto sia contrario alla legge, all’ordine pubblico o al
buon costume».
11
«Nullità della società. Avvenuta l’iscrizione nel registro delle imprese, la nullità della
società può essere pronunciata soltanto nei seguenti casi:
…….
4) illiceità o contrarietà all’ordine pubblico dell’oggetto sociale».
8
metodo logico-concettuale i reali confini dell’istituto in
esame”
12
.
Come ogni clausola generale l’ordine pubblico è un
concetto elastico e storicamente variabile a seconda della
esperienza giuridico-organizzativa a cui partecipa. Assai
complesso risulta, a causa della varietà delle posizioni
dottrinali
13
e di una giurisprudenza scarsa e incoerente
14
,
12
Panza G., Ordine pubblico (Teoria generale), in Enc. giur. Treccani, XXII, Roma,
1990, 1.
13
La dottrina prevalente sotto il nuovo codice del 1942 accoglie la teoria normativa
dell’ordine pubblico. Il contenuto precettivo della clausola viene illustrato con definizioni
tautologiche e col generico rinvio ai principi del ius cogens o a principi e interessi
ricavabili, con operazioni puramente logiche, dal corpus delle disposizioni testuali
inderogabili (cfr. Guarneri A., L’ordine pubblico e il sistema delle fonti del diritto civile,
Padova, Cedam, 1974, 102). Così Trabucchi A., Istituzioni di diritto civile, Padova
Cedam, 1995, 165, afferma: “I principi di ordine pubblico interno non sono
necessariamente espressi in norme ma si ricavano anche dal sistema delle disposizioni
inderogabili sia del codice sia di altre norme”. Tra i principi di ordine pubblico l’A.
ricorda quello “dell’inammissibilità di un usufrutto a tempo determinato che dovesse
durare anche dopo la morte del beneficiario”. Messineo F., Il contratto in genere, I, in
Trattato di diritto civile e commerciale diretto da A. Cicu e F. Messineo, Milano, Giuffrè,
1972, 241, identifica l’ordine pubblico con “i principi fondamentali e gli interessi
generali, desumibili dalle norme cogenti (anche se non siano formulate in concreto), sui
quali, riposa l’ordinamento giuridico dello stato e che sono perciò inderogabili essi
medesimi”. Giorgianni M., Obbligazione (diritto privato), in Noviss. dig. it., XI, Torino,
Utet, 1965, 602, così si esprime: “S’intende per ordine pubblico, di solito, quel complesso
di norme che, anche se non espresse in esplicite disposizioni legislative, costituiscono
principi fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato, e sono espressione degli
interessi generali e inderogabili dell’ordinamento medesimo”. Quali esempi di patti
contrari all’ordine pubblico, l’A. cita i patti di non concorrenza (“Una prestazione che
potrebbe essere contraria all’ordine pubblico è quella di non concorrenza, ovverosia di
non esercitare una certa attività produttiva, o che comunque limiti una siffatta attività. Il
legislatore, tuttavia, ritiene lecita la prestazione entro determinati limiti cfr. art. 2105,
2125, 2557, 2596 c.c.”); le convenzioni limitative della libertà di determinazione del
singolo che “sono ….. contrarie all’ordine pubblico. Può trattarsi di prestazioni positive o
negative: così ad esempio l’impegno di mutare o quello di non mutare la propria
residenza ….”. Tutti questi esempi, per la grande varietà delle norme violate dai patti
contrari all’ordine pubblico non permettono di enucleare un sistema omogeneo di principi
costituenti il contenuto dell’ordine pubblico. Questo atteggiamento dottrinale “si iscrive
nella più vasta tendenza prevalente nella dottrina immediatamente successiva al codice
del ’42 volta a respingere un’autonoma rilevanza delle clausole generali e a ridurre il
contenuto precettivo delle stesse al contenuto di singole fattispecie normative”. Ciò
9
avviene anche relativamente alla clausola di ordine pubblico. Rispetto ad essa, le cause di
questa scelta interpretativa vanno ricercate nel dogma legalista che “riacquista prestigio e
credibilità con la nuova codificazione civile, con la consolidazione in precetti scritti di
regole elaborate dagli interpreti”, nel metodo sistematico, che si rafforza con l’entrata in
vigore del nuovo codice, nel formalismo (inteso nel senso di formalismo interpretativo)
che “consegue un largo aumento di prestigio come quell’atteggiamento che ha permesso
all’interprete di resistere vittoriosamente alle istanze politiche che volevano permeare il
diritto civile dell’ideologia fascista” (le citazioni sono tratte da Guarneri A., L’ordine
pubblico e il sistema delle fonti, cit., 105 ss.).
Con la fine degli anni ’60, non ci si limita più, quando si viene a trattare del problema, a
riflettere in modo più o meno acritico definizioni e soluzioni tralatizie ma si inizia a
contestare l’identificazione di ordine pubblico con ius cogens, perché in tal caso, la
nozione di ordine pubblico non avrebbe più alcuna ragion d’essere. Questo cambiamento
è dovuto innanzi tutto ad un allargamento della teoria delle fonti che, da un lato, ignorava
le clausole generali del codice civile e i nuovi principi costituzionali e, dall’altro, i
precetti della crescente legislazione speciale. Viene preferita una teoria delle fonti basata
sulla riscoperta delle clausole generali civilistiche e, tra esse, ovviamente, della clausola
di ordine pubblico. Ciò porta a privilegiare tecniche legislative di graduale apertura alle
integrazioni e valutazioni dell’interprete, si valorizzano le fonti non scritte: “Al giurista
automa che, secondo i canoni illuministici, altro non è che la bocca che pronuncia le
parole della legge, …… si contrappone il giurista uomo eticamente e politicamente
responsabile dell’uso della libertà che ogni corpus normativo necessariamente gli lascia e
dei giudizi di valore imprescindibilmente connessi alla sua attività”. Da qui, in primo
luogo, si ha “il superamento del positivismo legalista e dei suoi corollari (la teoria logico-
formale dell’interpretazione, il sillogismo giudiziale, l’automatismo delle operazioni
induttive e deduttive dell’interprete). In secondo luogo si ha l’abbandono progressivo
dell’atteggiamento formalista «accusato» di aver prodotto con la sua mania per la purezza
dell’analisi giuridica, con la sua ripulsa alle contaminazioni di questa con gli altri aspetti
della conoscenza, un lungo isolamento degli studi giuridici dal più ampio contesto della
cultura contemporanea ….. secondo le nuove tendenze, le clausole generali andrebbero
privilegiate come quelle tecniche capaci di garantire un diritto più adeguabile alla sempre
più mutevole realtà sociale, più inserito e partecipe della cultura del nostro tempo” (per le
citazioni di questo capoverso vedi Guarneri A., op. cit., 117 ss.).
Il principio dell’autonomia contrattuale, come elaborato dalla tradizione liberale, è
oggetto di diffidenza o di vera e propria ostilità da parte degli studiosi che aderiscono al
solidarismo e propongono di subordinare “l’azionabilità della promessa contrattuale al
preventivo accertamento della non contrarietà o della positiva rispondenza della stessa a
finalità di carattere superindividuale” (cfr. Guarneri A., Ordine pubblico, in Digesto delle
discipline privatistiche, sezione civile, XIII, Torino, Utet, 1995, 167). Da qui la teoria
della c.d. “funzionalizzazione” di posizioni giuridiche individuali quali la proprietà,
l’impresa, e l’autonomia contrattuale. (Cfr. l’analisi critica di Natoli U., Funzione sociale
e funzionalizzazione della proprietà e dell’impresa tra negazione e demistificazione, in
Rass. giur. lav., 1973, I, 140 ss. “La «funzione sociale» ….. viene concordemente
attaccata da opposte direzioni e, anche se per ragioni diverse, con un risultato del tutto
identico, quale è quello della difesa ad oltranza della posizione tradizionale del
proprietario. L’affermazione della funzione sociale della proprietà viene, infatti,
considerata da destra un grosso pericolo per i detentori del privilegio economico, che
potrebbero vedere intaccato il loro potere ….. La stessa affermazione viene, d’altra parte,
attaccata da una certa sinistra, che la considera sostanzialmente mistificatoria, perché
capace di nascondere agli «esclusi » la vera essenza della situazione, coprendo la realtà
con un velo puramente illusorio e concorrendo così a frenare ogni movimento verso
un’effettiva evoluzione dei rapporti sociali in senso progressivo. [Secondo la] destra ….
assegnare una funzione sociale alla proprietà privata e all’impresa, significherebbe
distruggere le posizioni del proprietario o dell’imprenditore quale titolare di diritti
soggettivi, per di più coperti da garanzia costituzionale, per trasformarle in quelle di
10
funzionari al servizio di interessi alieni. Con la conseguenza ulteriore della possibilità di
un controllo di merito da parte del giudice sull’attività da essi svolta nelle qualità
suddette. Tramonto, quindi, del «potere della volontà», cioè dell’arbitrio, del proprietario
e dell’imprenditore e trasformazione dei relativi diritti in doveri. Conclusione mostruosa,
che non potrebbe che essere respinta, cancellando senz’altro ogni riferimento alla c.d.
funzione sociale. (….) più insidiosa è, la tendenza a trarre ….. dal riferimento alla
funzione sociale [contenuto nella norma costituzionale], piuttosto che una limitazione, un
potenziamento della posizione del proprietario e, parallelamente, dell’imprenditore. La «
sociale funzione» diventa una qualità immanente della proprietà e dell’impresa, che
sarebbero riconosciute e garantite proprio perché di per sé esplicano quella funzione”). In
concreto le tecniche che vengono applicate da questi autori sono varie e vanno
dall’applicazione di clausole generali civilistiche quali l’ordine pubblico (cfr. Ferri G.B.,
Ordine pubblico, buon costume e la teoria del contratto, Milano, Giuffrè, 1970, 206);
l’ordine pubblico economico (cfr. Di Majo A., Intervento, in Aspetti privatistici della
programmazione economica. Atti della tavola rotonda tenuta a Macerata nei giorni 22-
24 maggio 1970, II, Milano, Giuffrè, 1971, 234: “L’ordine pubblico economico è una
nozione che si ricollega strettamente a quelli che sono i grossi obiettivi economici che un
determinato sistema si impone di raggiungere”); la meritevolezza dell’interesse (cfr.
Cataudella A., Il richiamo all’ordine pubblico ed il controllo di meritevolezza come
strumenti per l’incidenza della programmazione economica sull’autonomia privata, in
Aspetti privatistici, cit., I, 178 ss. “Il ricorso al concetto di non meritevolezza degli
interessi perseguiti suppone la valutazione non positiva della funzione del negozio per
quanto riguarda la sua idoneità a giustificare la messa a disposizione del complesso
apparato di tutela statuale e comporta il rifiuto di ricollegare effetti giuridici al negozio
stesso. Esso è potenzialmente in grado di offrire alla programmazione economica un più
duttile strumento di incidenza sull’autonomia privata, con riflessi di indirizzo. In realtà, il
superamento dell’impostazione prettamente volontaristica, che portava a ravvisare nella
volontà dell’autore del negozio la causa e la giustificazione degli effetti che ad esso si
ricollegano, ha dato l’avvio ad un processo evolutivo che appare suscettibile di sviluppi.
Quando, infatti, si è ammesso che l’efficacia del negozio dipende dall’ordinamento
giuridico, la si è sottoposta a condizionamenti di portata potenzialmente illimitata,
destinati a variare in relazione alla natura, più o meno intensa, del controllo che
l’ordinamento giuridico si riconosce legittimato ad esercitare. Condizionamenti …..
inevitabili …. .Anche quando si ravvisi nell’ordinamento giuridico il garante della libertà
del singolo, la sua funzione non può essere mai ridotta alla mera riproduzione, sul piano
degli effetti giuridici, di ciò che il privato ha voluto. Vi sono principi fondamentali che
permeano tutto l’ordinamento ed ai quali questo non può rinunciare senza rinnegare se
stesso: l’ordine pubblico, il buon costume rappresentano pertanto un inevitabile limite a
questo processo di trasposizione. D’altro lato, discende dalla funzione di garante della
libertà individuale assunta dall’ordinamento l’esigenza di segnare precise regole al
procedimento di fondazione del negozio e di riconoscere rilievo ai vizi che lo inficiano.
Per intendere come, con graduale evoluzione, si sia potuti passare da questa fase di
controllo dell’atto di autonomia privata ad un controllo avente anche carattere positivo, è
d’uopo aver presente che la tutela giuridica degli impegni liberamente assunti dalle parti
comporta la messa a disposizione di un complesso apparato, con conseguenti elevati costi
per lo Stato, che si giustificano solo nel presupposto dell’esistenza di un interesse
generale a garantirla.
Ora, negli ordinamenti ispirati ai principi giusnaturalistici, che ponevano l’individuo al
centro del sistema, era certamente dato ravvisare un interesse pubblico al potenziamento
della personalità dell’individuo: sicché la tutela della volontà di questi trovava la sua
ragione nella stessa esistenza di tale volontà. Nei sistemi, invece, che si discostino, in
misura maggiore o minore, da siffatta prospettiva, la tutela giuridica della volontà
dell’individuo appare giustificata solo quando tale volontà si indirizzi a soddisfazione di
interessi che l’ordinamento reputi meritevoli di essere tutelati (art. 1322 c.c.).
11
Connaturata con la ragione del riconoscimento dell’autonomia privata è, quindi, la
legittimità di un controllo di meritevolezza, volto ad assodare la rilevanza e serietà del
conflitto di interessi risolto col negozio: controllo che ha ad oggetto la funzione concreta
del negozio. (….) un controllo anche sul modo di risoluzione del conflitto di interessi ….
deve ritenersi legittimo, nei limiti in cui conduca a negare tutela giuridica ad un assetto di
interessi che, portando a sopraffare il contraente debole, appaia manifestamente iniquo”);
all’utilizzo di clausole generali della Costituzione, quali ad esempio la solidarietà, al
richiamo di parametri generici ma giuridici quali i principi della Costituzione (cfr. Bin
M., Rapporti patrimoniali tra coniugi e principio di eguaglianza, Torino, Giappichelli,
1971, 132 ss., il quale si chiede se le norme costituzionali siano direttamente applicabili
nel campo del diritto privato o se per la loro applicazione sia indispensabile la
mediazione di un’apposita norma di legge ordinaria, ciò, secondo l’A. “significherebbe
che soltanto sulla scorta di quel parametro [la legge ordinaria] sia nel nostro sistema
costituzionale dato al giudice di operare, mentre gli sarebbe interdetto di procedere
direttamente alla «concretizzazione» e messa in funzione nei rapporti tra i privati delle c.
d. disposizioni costituzionali di principio”. Per l’A. la questione sarebbe di facile
soluzione se affrontata ispirandosi al principio per cui una Costituzione deve essere intesa
e interpretata in tutte le sue parti, invece, numerosi equivoci concettuali e soprattutto
l’influsso di riserve generate da pregiudiziali politiche di origine conservativa hanno
impedito una corretta soluzione del problema e determinato resistenze alla normale
«efficacia assoluta» dei principi costituzionali. L’A. conclude la sua analisi affermando
che le norme costituzionali, comprese quelle dotate dei caratteri delle c. d. clausole
generali, hanno efficacia assoluta e sono immediatamente applicabili ai rapporti tra
privati. Chi volesse insistere nella difesa di una soluzione opposta rivelerebbe “una mera
pregiudiziale ideologica contro l’applicazione della Costituzione”), le finalità del sistema
economico, la produttività (cfr. Lucarelli F., Solidarietà e autonomia privata, Napoli,
Jovene, 1970, 178: “…. Nella disciplina contrattuale, l’ordinamento giuridico, attraverso
il principio di solidarietà, intende essenzialmente richiamare i soggetti al rigoroso rispetto
delle finalità che giustificano il riconoscimento dell’autonomia privata, intesa quale
impegno responsabile alla creazione dei valori produttivi”.) etc. non canonizzati in norme
giuridiche.
Le indicazioni delle nuove dottrine solidariste pongono interrogativi quali:
“l’individuazione del preciso contenuto delle regole metagiuridiche che si pretende
positivizzate mediante l’applicazione della regola di ordine pubblico, l’individuazione dei
soggetti legittimati ad elaborarle e infine la valutazione della misura in cui queste
proposte dottrinali costituiscano «diritto» e …. contribuiscano alla formazione della
regola positiva del caso concreto” (Guarneri A., op. cit., 131).
Alcuni autori assumono a principi di ordine pubblico gli obiettivi perseguiti dai gruppi
che gestiscono la politica economica del paese (cfr. Cataudella A., Il richiamo all’ordine
pubblico cit., in Aspetti privatistici cit., I, 176 ss. in relazione al problema della possibilità
di incidenza, in chiave di ordine pubblico, dei principi della programmazione economica
sulla autonomia privata. Afferma l’A.: “É evidente che, nell’ipotesi di una
programmazione imperativa, i suoi fondamentali principi ispiratori, proprio perché
ricavabili da una normativa cogente, potrebbero assumere valore di principi di ordine
pubblico, anche se di questo si accolga la nozione più restrittiva, che vuole collegarlo
rigidamente con le norme imperative. Può sembrare invece che, nell’ipotesi di una
programmazione orientativa, l’assunzione dell’ordine pubblico in siffatta accezione porti
a precludere analoga conclusione: che resterebbe invece aperta nella prospettiva di chi ne
estende la portata, fino a ricomprendervi il c.d. ordine pubblico economico. Ma così non
è. Il riferimento dell’art. 41 co. 2 Cost. all’«utilità sociale», se non comporta – proprio
perché è esclusivamente inteso ad evitare che l’iniziativa economica privata si svolga in
contrasto con essa – la funzionalizzazione dell’autonomia privata all’utilità sociale, segna
alla prima anche un limite di ordine pubblico. (….) nel concetto di utilità sociale
rientrano i fini essenziali della programmazione economica, funzionalmente rivolta al
conseguimento di un maggior benessere economico collettivo; …. se la riserva di legge si
12
giustifica per la genericità del concetto di utilità sociale, valgono a soddisfarla non solo le
leggi che direttamente fissino ipotesi di contrasto tra iniziativa economica privata ed
utilità sociale ma anche quelle che, come avviene nella programmazione economica
orientativa, indichino all’attività economica finalità che lo Stato ritiene di particolare
interesse sociale. Il ricorso al concetto di ordine pubblico non offre uno strumento per
indirizzare positivamente le esplicazioni dell’autonomia privata alla realizzazione dei fini
perseguiti con la programmazione economica, ma solo un mezzo per difendere questa da
esplicazioni di autonomia privata che ne compromettano le finalità. Esso suppone la
valutazione negativa della funzione del negozio, cui fa seguito la sanzione di nullità dello
stesso.” Cfr. inoltre, Di Majo A., Intervento, in Aspetti privatistici cit., II, 233 ss. “L’art.
41 ha un secondo e terzo comma. Ora, mentre nel secondo comma si parla di «utilità
sociale», nel terzo comma si parla invece di «fini sociali». [Il secondo] comma, là dove
dice che l’iniziativa economica privata «non può svolgersi in danno dell’utilità sociale»,
crea un principio immediatamente operativo cioè un principio che non richiede affatto la
mediazione dello strumento legislativo: …. il giudice …… potrebbe sindacare, per
esempio, la predisposizione di determinate condizioni generali di contratto, di un
contratto di massa, che si inserisce nel contesto imprenditoriale. E quindi accertare il
contrasto dell’atto con l’utilità sociale, criterio, codesto, che va appunto interpretato alla
stregua di quei valori che oggi la Costituzione ha reso espliciti, e che vengono filtrati
dalla legge di piano, quando c’è la legge di piano, ma altrimenti, anche in mancanza di
una legge di piano, è possibile dare immediata operatività a questo secondo comma
dell’art. 41, a livello di interpretazione del giudice. (….) Quanto al terzo comma dell’art.
41, v’è la previsione di una riserva di legge, che è poi la legge detta «di piano». ….. il
potere pubblico si coordina …… con il potere privato, coordinamento che implica ….
che il privato, in sostanza, è vincolato nella scelta dei propri obiettivi. Quindi la scelta
privata non può più essere «libera» come lo era prima del piano e, quindi, direi, c’è una
coercitività proprio dal punto di vista del conseguimento di questi «fini sociali». Si può
anche consentire sul fatto che …. i metodi adoperati per conseguire questi obiettivi
sociali, non sono di tipo coercitivo, ma il conseguimento di questi obiettivi è sicuramente
vincolante: il che, quindi, a mio avviso, mette in azione tutta una serie di meccanismi di
tipo sanzionatorio o repressivo che dir si voglia, proprio per rendere operativo il
conseguimento di detti obiettivi.”). Sulla base di valutazioni economiche si teorizza la
preminenza di esigenze di tipo produttivistico-efficientistico su esigenze sociali connesse
alla distribuzione del reddito. (cfr. Lazzara C., Intervento, in Aspetti privatistici cit., II,
202: “Ora io non credo che l’economia italiana sia in grado di produrre più di quanto sia
necessario per i bisogni essenziali della popolazione e ritengo, quindi, che il problema
della efficienza del sistema economico sia ancora prevalente, condizionando tutte le
scelte della programmazione. Invero, se la indicata valutazione è esatta, la realizzazione
delle istanze sociali è possibile solo nei limiti in cui il sistema economico fornisce i mezzi
all’uopo necessari. Erronea appare, pertanto, una valutazione comparativa dei vari
interessi che, prescindendo dalla possibilità concreta della loro realizzazione, procede ad
una graduazione priva di ogni riferimento ai mezzi finanziari ed al sistema economico
che li deve fornire. Per tale motivo, le esigenze della produzione vengono implicitamente
assunte …. come interessi generali prevalenti rispetto alle stesse esigenze sociali che altri
viceversa tende a porre in primo piano”. ).
Non sono mancate reazioni e dissensi a questi indirizzi dottrinali.
Si è criticata la nozione di ordine pubblico economico perché, come nozione-sintesi dei
principi della politica interventista dello Stato in materia economica, abbraccerebbe
situazioni tra loro non omogenee divenendo fonte di equivoci e confusioni pericolose.
Tale nozione non potrebbe essere riconducibile all’ordine pubblico proprio perché
nozione-sintesi di principi dirigistici e cioè di principi contrari all’ordine pubblico,
applicato da sempre a tutela delle libertà economiche (cfr. Ferri G.B., Ordine pubblico,
buon costume cit., 223 ss. laddove l’A., per meglio sottolineare la differenza tra i due
complessi di regole richiamati dalle due nozioni, anziché adottare la nozione di ordine
pubblico economico, preferisce parlare di ordinamento pubblicistico dell’economia).
13
tradurre in una definizione universale e costante il ruolo svolto
dall’ordine pubblico come limite dell’autonomia negoziale. Di
fronte a tali difficoltà è punto di riferimento l’insegnamento di
G. Giorgi, il quale, dopo aver manifestato i suoi dubbi circa
l’utilità pratica di una definizione di ordine pubblico afferma:
“apparirà facilmente come il metodo più sicuro per fissare
l’idea delle prestazioni contrarie ai buoni costumi e all’ordine
pubblico sia quello di scendere nelle materialità… esaminare le
fattispecie più notevoli, dove la dottrina e la giurisprudenza
hanno ravvisato la prestazione illecita…”
15
Si assiste ad un ritorno di motivi di tipo formale, tra cui una rinnovata fiducia nella legge
scritta quale espressione della volontà popolare in un sistema democratico (cfr. Ferri
G.B., Antiformalismo, democrazia, codice civile, in Riv. dir. comm., 1968, I, 377, dove
si parla della “forza quasi sacramentale” che assumerebbe la legge quale espressione
della volontà popolare). Con la rivalutazione del ruolo della legge scritta si ha “la critica
verso il metodo normativo delle clausole generali che appare accettabile solo nei rapporti
interindividuali, ma assolutamente privo di senso quando è inteso alla
«funzionalizzazione» delle posizioni soggettive dei privati al rispetto o al promuovimento
dell’interesse generale”. (Guarneri A., op. cit., 138).
14
Vedi capitolo 3.
15
Giorgi G. Teoria delle obbligazioni nel diritto moderno italiano, III, Fratelli Cammelli,
Firenze, 1907, 520. Condivide questa opzione metodologica Sacco R., Il contratto, II, in
Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, Torino, Utet, 1993, 97, per il quale: “Dal
punto di vista dell’aderenza al reale, la definizione migliore sarebbe quella che si
riducesse ad una generalizzazione dell’esperienza”.
14
1.2 Evoluzione
1.2.1 Origini
La formula “ordine pubblico” appare per la prima volta
nella codificazione napoleonica
16
. É una formula nuova
17
, non
riscontrabile neppure nelle opere dei giuristi immediatamente
precedenti la Rivoluzione
18
, nasce nel momento in cui i nuovi
grandi principi elaborati dalla Rivoluzione trovano, nel Code
Napoléon, la loro cristallizzazione. Malgrado la coincidenza,
16
Il codice civile francese nasce in uno stato autoritario in cui le libertà pubbliche
avevano subìto notevoli limitazioni. Lo “Stato di diritto” si realizza solo in parte sotto il
governo di Napoleone: il potere legislativo non ha quasi peso, quello esecutivo è gestito
da pochi, manca ai cittadini la possibilità di controllare le azioni e gli orientamenti di chi
è al vertice del potere. Proprio sotto un regime autoritario si ha un grande sforzo
legislativo in senso liberale incarnato dal Code Napoléon. Rotta l’impalcatura del sistema
assolutista, fondata sulla creazione di stati tra loro incomunicabili, soppresse le
corporazioni e les privilèges de la noblesse, tutti gli individui si pongono in posizione di
eguaglianza tra loro e nei confronti dello stato. Nasce quindi, sotto una dittatura, un
codice civile conforme all’ideologia del pensiero liberale. A fondamento della società vi
sono i diritti dell’uomo come individuo e cioè la proprietà e la libertà intesa come libertà
economica. Cfr. Ferri G.B., Ordine pubblico (diritto privato), in Enc. dir., XXX, Milano,
Giuffrè, 1980, 1052ss.
17
Cfr. Alpa G., Breccia U., Liserre A. (a cura di), Il contratto in generale, XIII, 3, in
Trattato di diritto privato diretto da M. Bessone, Torino, Giappichelli, 1999, 161,
laddove U. Breccia afferma: “Nella nostra tradizione giuridica… la nozione di ordine
pubblico deve tener conto in primo luogo delle applicazioni che a quella clausola sono
state date fin dalle origini e del significato che alla stessa è stato attribuito dalla
letteratura giuridica francese”.
18
Secondo Guarneri A., il primo autore che, sia pur tra confusioni e incertezze, presenta
ai suoi lettori la nozione di ordine pubblico intesa ora come equivalente di pace sociale,
ora come sinonimo di diritto inderogabile, ora come equivalente a diritto pubblico, è
Domat. L’identificazione di ordine pubblico con diritto pubblico è significativa se si tiene
presente che all’epoca di Domat, quando si è da poco completata in Francia la
costruzione della monarchia assoluta con il deperimento dell’ordinamento pubblicistico
feudale, si ridelinea la tradizionale distinzione tra diritto pubblico e diritto privato,
scomparsa nell’epoca intermedia. Conseguenza di ciò è la sottrazione alla sfera
dell’autonomia negoziale di una certa area indicata come di ordine pubblico o diritto
pubblico prima oggetto di libere pattuizioni. L’ordine pubblico viene a indicare quella
parte del diritto inderogabile, del tutto nuova, attinente a fondamentali principi dello stato
moderno. Cfr. Guarneri A., L’ordine pubblico e il sistema cit., 11ss.
15
non risulta però che, ai fini della individuazione del concetto di
ordine pubblico siano state tratte dalla Rivoluzione
conseguenze di rilievo. L’ordine pubblico appare come limite
dell’autonomia negoziale distinto dalle norme inderogabili e dal
buon costume (cfr. art. 1133)
19
. Non sempre, nel codice
francese l’ordine pubblico opera come limite dell’autonomia
negoziale concorrente con le norme inderogabili e con il buon
costume: ora è limite unico
20
, ora non è menzionato, ora è
19
In tale articolo si legge infatti che la causa del contratto è illecita «quand elle est
prohibée par la loi, quand elle est contraire aux bonnes mœurs ou à l’ordre public». A
commento di tale articolo vedi Breccia U., Il contratto in generale, cit., 162. “Ciò sta a
dimostrare senza alcuna possibilità di equivoco, …… che il legislatore fin dai tempi del
codice napoleonico aveva previsto due ordini di illiceità del contratto per illiceità della
causa: tale illiceità poteva dipendere così da un preciso conflitto con la legge come, in
mancanza di puntuali disposizioni, da una incompatibilità con i principi racchiusi nelle
distinte formule dell’ordine pubblico e dei buoni costumi”. L’argomento è stato trattato
molto chiaramente da Ghestin J., Les obligations. Le contrat: formation, in Traité de
droit civil (sous la direction de Jacques Ghestin), Paris, L. G. D. J., 1988, 84, il quale
afferma “L’article 6 du Code civil interdit de «déroger par des conventions particulières,
aux lois qui intéressent l’ordre public et les bonnes mœurs». Ce texte de portée générale
est complété par deux dispositions concernant l’une l’objet, l’autre la cause du contrat,
c’est à dire avec le consentement, ses éléments constitutifs. Sélon l’article 1128 «il n’y a
que les choses qui sont dans le commerce qui puissent être l’objet des conventions».
Quant à l’article 1133 il dispose que la cause est illicite «quand elle est prohibée par la
loi, quand elle est contraire aux bonnes mœurs ou à l’ordre public». Le contrat est ainsi
contraire à l’ordre public ou aux bonnes mœurs soit par son objet, soit par son but. Il
peut alors etre annulé. L’ordre public et le bonnes mœurs limitent ainsi de façon
traditionnelle la liberté contractuelle”.
20
Art. 686: «Il est permis aux propriétaires d’établir sur leurs propriétés ou en faveur de
leur propriétés telles servitudes que bonne leur semble, pourvu néanmoins que les
services établis ne soient imposés ni à la personne, ni en faveur de la personne, mais
seulement à un fonds et pour un fonds, et pourvu que ces services n’aient d’ailleurs rien
de contraire à l’ordre public». In questo articolo l’ordine pubblico è inteso in antitesi alla
ricostituzione delle servitù feudali.
16
elemento “qualificante” delle norme giuridiche inderogabili
insieme al buon costume
21
.
Il Code Napoléon non definisce l’ordine pubblico.
Guardando ai lavori preparatori
22
si vede come l’ordine
21
Art. 6: «On ne peut déroger, par des conventions particulières, aux lois qui intéressent
l’ordre public et les bonnes moeurs».
22
Per i lavori preparatori in relazione all’art. 6, cfr. la ricostruzione che ne fa Ferrara F.,
Teoria del negozio illecito nel diritto civile italiano, Milano, Società editrice libraria,
1914, 46 ss. L’A., che cita i lavori preparatori riferendosi a Locré, Legislazione civile
commerciale e criminale, Napoli, 1840, così si esprime: “…… com’è che sorge questo
principio dell’ordine pubblico nel codice napoleonico e che senso dal legislatore francese
si volle ad esso attribuire?
A tal uopo è interessantissima la ricerca e lo studio dei lavori preparatori di questo
codice, e le discussioni cui diede luogo e i discorsi a favore o contrari, che furono
pronunziati sull’argomento. (…) Nella discussione al Consiglio di Stato, Boulay propose
la seguente redazione: «Le leggi che interessano l’ordine pubblico ed il buon costume
non possono esser derogate da particolari convenzioni». La modificazione di Boulay fu
ammessa.
Nella prima esposizione dei motivi fatta da Portalis il 24 novembre 1801, egli così parla
di questo articolo:
«Infine, noi abbiamo dovuto consacrare la massima che i cittadini non possono con
particolari convenzioni derogare le leggi che interessano l’ordine pubblico ed il buon
costume: questo principio è lo scudo della morale e della legislazione».
[Il progetto viene severamente criticato e rigettato dal tribunato. Il sig. Andrieux ebbe a
dire che si trattava di un assioma di diritto più che di un articolo di legge]. «Questo
assioma sembra tradotto dal latino: «Privatorum pactio iuri publico non derogat», «Ius
publicum privatorum pactis mutari non potest»; ma ci sembra che siasi mutato nella
traduzione. In effetti, le parole ius publicum messe in contrapposto di privatorum pactio
significano evidentemente non già il diritto pubblico, ma il diritto pubblicamente stabilito
… in una parola le leggi.
Ciò significa solamente che i francesi non possono fare convenzioni particolari contrarie
al diritto generale. (….)». Contro queste censure rispose Portalis [il quale afferma] …..
«Qui ci accusano di aver mal tradotto il testo del diritto romano. Si pretende che l’ius
publicum non è quello che noi chiamiamo diritto pubblico od ordine pubblico. L’ius
publicum, dicono essi, era quello che si stabiliva pubblicamente …. . Ma ciò per noi è
indifferente (….), si tratta invece di sapere se le parole ius publicum, le quali sono
adoperate più comunemente per esprimere ciò che noi intendiamo per diritto pubblico,
ricevano questo significato nel testo che prescrive non potersi derogare al diritto pubblico
con particolari convenzioni: «Ius publicum privatorum pactis mutari non potest». Ora,
ecco com’è concepito il sommario della legge 31a del Digesto, de pactis: «Contra
tenorem legis privatam utilitatem continentis pacisci licet». É permesso di contrattare
contro il tenore di una legge, la quale non riguarda che l’utilità privata degli uomini.
Perciò il diritto pubblico è quello che interessa più direttamente la società che i
particolari, ed il diritto privato è quello che interessa più direttamente i particolari che la
società. Si annullano le convenzioni contrarie alle leggi che interessano il diritto
pubblico, ma non si annullano quelle contrarie alle leggi che interessano il diritto privato
o gli interessi particolari. (….)».
17
pubblico di cui all’art. 6 debba intendersi come sinonimo del
carattere inderogabile della legge. I compilatori del Code
Napoléon intendono recepire nell’art. 6, col divieto delle
convenzioni contrarie alle leggi che interessano l’ordine
pubblico, la regola di Papiniano: «Ius publicum privatorum
pactis mutari non potest» e la regola di Ulpiano: «Privatorum
conventio iuri publico non derogat», interpretate alla luce di un
principio elaborato da Bartolo: «Contra tenorem legis privatam
utilitatem continentis pacisci licet»
23
.
Il corpo legislativo, spinto da motivi politici, rigettò il progetto. Bonaparte, convinto che
nelle discussioni non si aveva una vera calma ed uniformità d’intenzioni, ma si procedeva
per spirito di partito, con un celebre messaggio sospese i lavori. Dopo otto mesi di inerzia
…. i lavori furono ripresi, ….. l’art. 6, proposto un’altra volta, fu adottato, Portalis [così
si esprime in un passo della sua relazione]: «L’ultimo articolo del progetto porta che non
si può con particolari convenzioni derogare alle leggi che interessano l’odino pubblico ed
i buoni costumi. I governi e le leggi esistono a solo fine di conservare l’ordine pubblico.
La conservazione dell’ordine pubblico in una società è la legge suprema …. ».”
23
Vedi nota precedente.