7
L’art. 2 riserva all’ordinamento sportivo la disciplina di un’ampia serie di
materie – a) il corretto svolgimento delle attività sportive e agonistiche;
b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione e
l’applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive; c) l’ammissione
e l’affiliazione alle federazioni di società, di associazioni sportive e di
singoli tesserati; d) l’organizzazione e lo svolgimento delle attività
agonistiche non programmate ed a programma illimitato e l’ammissione
alle stesse delle squadre ed atleti –, affermando che in tali materie i
soggetti dell’ordinamento sportivo hanno l’onere di adire gli organi di
giustizia sportiva.
L’art. 3 prevede poi che, “esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma
restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali
tra società, associazioni ed atleti”, ogni altra controversia “avente ad
oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni
sportive”, purché “non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento
sportivo ai sensi dell’art. 2”, viene devoluta alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo.
Quasi per una sorta di ripensamento, il secondo periodo del comma 1 di
questo articolo precisa poi che “in ogni caso” sono fatti salvi anche gli
effetti delle clausole compromissorie previste in statuti e regolamenti del
8
CONI e delle Federazioni sportive, e di quelle inserite nei contrati ex art.
4 della l. 91/1981.
Nel prosieguo dell’articolo vengono poi introdotte norme intese a
regolare questa nuova ipotesi di giurisdizione esclusiva del G.A.
1
, e, in
considerazione “dell’eccezionale situazione determinatasi per il
contenzioso in essere”, si incarica il CONI di adottare provvedimenti “di
carattere straordinario transitorio” necessari ad assicurare l’avvio del
campionato: e ciò, si badi bene, “anche in deroga alle vigenti disposizioni
dell’ordinamento sportivo”.
Il decreto è stato poi convertito nella legge 17 ottobre 2003, n. 280,
seppur con alcune modifiche di rilievo: in particolare, per quanto qui
interessa, è stata eliminata l’aggettivazione tramite cui si era previsto che
l’attuazione del principio di autonomia nei rapporti tra ordinamento
statale e ordinamento sportivo avvenisse con salvezza dei casi di
“effettiva” rilevanza di situazioni soggettive per l’ordinamento statale; si
sono ridotte le materie riservate all’ordinamento sportivo, tramite la
1
Ossia la competenza funzionale di primo grado del T.A.R. Lazio, la decisione del
ricorso con sentenza succintamente motivata ex art. 26 della legge 1034/1971,
l’applicazione dei commi 2 e ss. dell’art. 23-bis della stessa l. 1034: norme che nel d.l.
vengono dichiarate immediatamente applicabili anche ai processi in corso,
prevedendo anche che l’efficacia di ogni misura cautelare emanata da tribunali
amministrativi diversi da quello del Lazio rimane sospesa sino alla “conferma,
modifica o revoca da parte del tribunale amministrativo regionale del Lazio”, a cui la
parte interessata può riproporre il ricorso e l’istanza cautelare già proposti avanti ad
altro T.A.R.
9
soppressione delle lettere c) e d) del comma 1 dell’art. 2, mentre la lett. a)
del comma 1 del medesimo articolo è stata riscritta, e in luogo di quella
che compariva nel decreto-legge è stata inserita la formula “l’osservanza
e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie
dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di
garantire il corretto svolgimento delle attività sportive”.
Questi interventi normativi hanno suscitato un acceso interesse e
notevoli perplessità non solo nell’ambito dei cultori del diritto sportivo,
ma anche in quello dei giuspubblicisti, in considerazione soprattutto di
quella che, almeno di primo acchitto, sembra una’insolita limitazione del
diritto di azione avanti agli organi giurisdizionali statali prevista dallo
stesso legislatore statale.
Questo lavoro tenterà di ricostruire l’assetto attuale dei rapporti tra la
giustizia statale e la giustizia sportiva, e cercherà di individuare quali
possono essere gli assetti più corretti di tali rapporti alla luce dei principi
dell’ordinamento e dei principi costituzionali vigenti.
A tale scopo nel primo capitolo vengono prese in considerazione alcune
nozioni generali che paiono di maggiore utilità ai fini dell’indagine.
È ampiamente noto che i rapporti tra l’ordinamento statale e
l’ordinamento sportivo, e, di conseguenza, quelli tra la giustizia statale e
10
la giustizia sportiva, originariamente – a partire dagli studi di Cesarini
Sforza
2
e di Giannini
3
- sono stati ricostruiti sulla base della teoria della
pluralità degli ordinamenti, e che questa sistemazione della materia, dopo
aver ispirato per svariati decenni diversi orientamenti dottrinali e
giurisprudenziali, da ultimo ha ispirato anche il legislatore della legge del
2003.
Sicché in questo capitolo si procede in primo luogo a una rivisitazione
dei profili di questa teoria che maggiormente interessano ai nostri fini,
ossia a quelli attinenti ai rapporti tra ordinamento statale e gli
ordinamenti infrastatuali.
In secondo luogo si raffronta questa teoria con le previsioni della Carta
costituzionale, e, in particolare, con il principio pluralistico, per verificare
se e in quale misura essa risulti compatibile con i vigenti principi
costituzionali.
Nel secondo capitolo si esamina (anche se per sommi capi, e per i soli
aspetti che qui interessano più direttamente, date le finalità del presente
lavoro) l’evoluzione dell’ordinamento sportivo e dei rapporti fra questo e
l’ordinamento statale, in particolare per il tramite di una disamina della
2
Il diritto dei privati, pubblicato per la prima volta in Riv. it. sc. giur., 1929, 43 e ss., e
ripubblicato in volume una prima volta nel 1942, e una seconda volta nel
1963(edizione quest’ultima cui sono riferite le citazioni riportate nel testo), e in La
teoria degli ordinamenti giuridici e il diritto sportivo, in Foro.it, 1993, I^, 1381 e ss.
3
Prime osservazioni sugli ordinamenti giuridici sportivi, in Riv. dir. sportivo, 1949, 10 e ss.
11
giurisprudenza civile e amministrativa che si è occupata dei rapporti tra
giustizia statale e giustizia sportiva.
Va detto sin d’ora che la particolare attenzione che in questo capitolo
viene dedicata al dato giurisprudenziale si deve al fatto che gli assetti
odierni di detti rapporti in gran parte derivano dall’elaborazione svolta
dai giudici dell’una e dell’altra giurisdizione, spesso partendo da basi
normative esigue e scarsamente perspicue.
Nel terzo capitolo si esamina la legge 17 ottobre 2003, n. 280, in
particolare le clausole di riserva a favore della giustizia sportiva e la
pregiudiziale sportiva.
Il quarto capitolo è infine dedicato a rafforzare il materiale normativo,
dottrinale e, soprattutto, giurisprudenziale esposto nel secondo e nel
terzo capitolo con le nozioni e i dati esposti nel primo.
Dopo che è stato focalizzato il lavoro, e preannunciati gli svolgimenti, si
rendono opportune alcune precisazioni.
In primo luogo, in ordine ai contenuti del primo capitolo, che potrebbe
indurre il lettore a ritenere che l’argomento oggetto del presente studio
sia stato preso sin troppo alla lontana, dato che per arrivare alle
disposizioni della legge del 2003 si parte addirittura da un cenno al
pluralismo giuridico medievale, si deve precisare che, senza un’adeguata
12
considerazione dei dati che vengono esposti in tale capitolo, gli assetti
odierni dei rapporti tra giustizia statale e giustizia sportiva sono leggibili e
comprensibili solo con difficoltà.
Il lavoro è inteso principalmente a trovare una soluzione a un problema
di diritto positivo: in altri termini, non si è preteso di scrivere né la storia
del pluralismo giuridico, né del diritto positivo, e neppure della giustizia
sportiva, infatti i riferimenti storici non sono fini a sé stessi, ma
funzionali a ricercare la soluzione del problema.
È dunque per questa ragione che tali riferimenti sono abbastanza
sommari; ed è sempre per questa ragione che vengono esposti i principali
contenuti delle sole opere di dottrina che per quanto qui interessa hanno
assunto un rilievo nodale, e non quelli di altri studi, pure altrettanto
pregevoli, che in concreto non hanno avuto un identico ruolo; ed è
sempre per tale ragione che si esaminano solo i principali tra gli indirizzi
giurisprudenziali in tema di attività sportiva.
Quanto alla terminologia che viene impiegata, occorre precisare che con
l’espressione pluralismo giuridico, che, come è noto, nel linguaggio
giuridico – e non solo in quello – è particolarmente ricca di significati, si
fa riferimento, indifferentemente, sia a una nozione di teoria generale del
13
diritto, ossia la teoria della pluralità degli ordinamenti, sia alla concreta
esistenza di più ordinamenti giuridici.
L’espressione pluralismo sociale viene invece utilizzata sostanzialmente
nel senso in cui essa viene impiegata anche nelle scienze sociali, ossia per
indicare la compresenza in una società di più gruppi o più centri di
potere.
Con l’espressione principio pluralistico si indica poi il principio
riconosciuto nell’art. 2 della Costituzione repubblicana.
Altre espressioni che nel linguaggio giuridico indicano nozioni che non
sono completamente coincidenti, quali: gruppi, associazioni, formazioni
sociali, saranno utilizzate genericamente, come sinonimi l’una dell’altra,
poiché, ai fini del presente lavoro, non è necessario un maggior
affinamento.
Infine, con l’espressione ordinamento sportivo e giustizia sportiva si
indicano rispettivamente il plesso delle norme emanate autonomamente
dagli organismi sportivi, e i metodi di risoluzione delle controversie che
vengono regolati da dette norme: se poi l’una e l’altra espressione
effettivamente abbiano indicato e tuttora indichino un vero e proprio
ordinamento e una vera e propria giustizia lo si vedrà nelle parti
conclusive del lavoro.
14
CAPITOLO I
PLURALISMO GIURIDICO E PRINCIPIO PLURALISTICO
SOMMARIO: 1. L’affermazione del monismo statualista: in particolare,
l’assorbimento degli ordinamenti infrastatuali nell’ordinamento dello Stato
assoluto. – 2. Segue: la negazione del pluralismo sociale da parte
dell’ordinamento dello Stato liberale. – 3. Le teorie pluraliste: il pluralismo di
Santi Romano. – 4. Segue: Il diritto dei privati di Cesarini Sforza. – 5. Gli sviluppi
successivi del pluralismo giuridico. Il corporativismo e la prosecuzione della
tendenza all’assorbimento degli ordinamenti infrastatuali nell’ordinamento
statuale. – 6. Principio pluralistico e pluralismo giuridico nella Costituzione.
1. L’affermazione del monismo statualista: in particolare, l’assorbimento
degli ordinamenti infrastatuali nell’ordinamento dello Stato assoluto.
Anche se, come detto nella premessa introduttiva, le finalità del presente
studio siano circoscritte, e benché esse non abbiano pretese storiche di
sorta, pare innanzitutto opportuno ricostruire, seppur per sommi capi, il
contesto in cui si colloca la nascita della teoria della pluralità degli
ordinamenti, dato che, altrimenti, sarebbe tutt’altro che agevole coglierne
le implicazioni che qui maggiormente interessano.
A tal fine occorre ricordare che, mentre le teorie che qui interessano
sono frutto di una concettualizzazione della scienza giuridica
novecentesca, la coesistenza di più ordinamenti giuridici, diversi da quelli
statali e da quello internazionale, è un fenomeno tutt’altro che recente.
15
Pur senza considerare le esperienze giuridiche del mondo antico, e quelle
delle culture diverse dall’occidentale
4
, è noto che siffatta coesistenza
connota tutta l’esperienza giuridica medioevale, in cui i diversi diritti
particolari convivono “all’interno e nell’àmbito dell’originario
ordinamento universale della societas christiana”
5
, essi non hanno pretese
totalitarie anzi ciascuno ordinamento ha un suo ambito specifico,
presuppone la convivenza e il rispetto con altri.
Ed è ampiamente noto pure che questa coesistenza di più ordinamenti
comincia ad entrare in crisi in coincidenza con l’evento che segna la fine
dell’ordine giuridico medievale, ossia l’affermazione dello Stato sovrano,
che a partire dalla pace di Westfalia del 1648 non solo superiorem non
recognoscet, ma inizia anche ad affermare la propria supremazia su tutte le
entità substatuali, e, pertanto, inizia a pretendere di essere l’unica e
incontrastata fonte del diritto in tutto il proprio territorio.
Sarebbe però errato affermare che l’inizio dell’età moderna rappresenta
una cesura netta rispetto al passato, dato che si tratta piuttosto dell’avvio
di un processo graduale.
Infatti, la prima manifestazione dello Stato sovrano, ossia lo Stato
assoluto, in realtà è ben lungi dal postulare l’eliminazione dei corpi
intermedi: essi anzi continuano ad avere poteri più o meno ampi di porre
propri ordinamenti particolari.
La differenza rispetto al passato è che in questo periodo si ritiene che i
corpi intermedi siano privi di legittimazione autonoma, e che ogni loro
4
A cui accennano, ad esempio, S. CASSESE, Universalità del diritto, Napoli, 2005, 33, e
G. DELLA CANANEA, I poteri pubblici nello spazio giuridico globale, in Riv. trim. dir.
pubbl., 2003, 1 e ss.
5
F. MODUGNO, Legge-Ordinamento giuridico-Pluralità degli ordinamenti. Saggi di teoria
generale del diritto, Milano, 1985, 189.
16
potere derivi piuttosto dalla frazione di iurisdictio che viene assegnata loro
dal Sovrano.
Inizia così una tendenza all’assorbimento – o, se si preferisce,
all’assimilazione, oppure alla integrazione
6
- in quello statale degli
ordinamenti di fonte diversa.
Costituiscono tipico esempio di questo processo l’ordinamento militare,
il diritto della navigazione e il diritto commerciale. Anzi, con riguardo a
quest’ultimo recentemente si è ricordato che è proprio agli albori dello
Stato assoluto che “la classe mercantile cessa di essere artefice del
proprio diritto; il diritto commerciale subisce una duplice trasformazione:
non è più diritto di classe, ma diritto dello Stato; non è più diritto
universale, ma diritto nazionale. Le sue fonti sono le leggi dello Stato,
operanti entro confini nazionali, mutevoli da Stato a Stato”
7
.
2. Segue: la negazione del pluralismo sociale da parte dell’ordinamento
dello Stato liberale.
I corpi intermedi vengono invece nettamente avversati a partire dalla
seconda metà del settecento, secondo alcuni autori in coincidenza con
l’affermazione delle nuove concezioni individualistiche, intese a garantire
l’interesse proprietario dei singoli, ossia un interesse che necessita di una
regolamentazione generale e uniforme su base nazionale
8
.
6
In questo capitolo vengono impiegate indifferentemente le espressioni usate in
proposito, tra gli altri, da N. BOBBIO, in Teoria dell’ordinamento giuridico, Torino 1960,
194 e ss., e da F. MODUGNO, Legge-Ordinamento giuridico-Pluralità degli ordinamenti.
Saggi di teoria generale del diritto, cit., passim.
7
F. GALGANO, Lex mercatoria, Bologna, 2001, 74.
8
V. L. MANNORI, B. SORDI, Storia del diritto amministrativo, cit., 189.
17
Quanto al diritto italiano, nel periodo statutario i gruppi sociali vengono
posti di fronte a un’alternativa secca.
Da un lato, infatti, essi potevano scegliere di assoggettarsi
all’assorbimento e alla assimilazione nell’ordinamento statale, per citare
Giannini, tramite la formula organizzativa dell’entificazione, ossia
assumendo “una delle qualificazioni di ente giuridico che esistono nel
diritto positivo statale”
9
.
Dall’altro lato, invece, ove non avessero optato per l’entificazione, queste
organizzazioni erano destinate a rimanere in quello che era il vero e
proprio limbo costituito dalle “associazioni non permesse né vietate”
10
.
Una gran parte della dottrina si attestava sull’opinione che le formazioni
sociali non personificate fossero, in tutto o in parte, giuridicamente
irrilevanti.
Quanto al pluralismo giuridico, è intuibile che nello Stato borghese esso
sia oggetto di una negazione ancor più netta e radicale di quello sociale in
quanto considerato letteralmente inconcepibile, dato che esso non trova
posto di sorta negli schemi concettuali consueti
11
.
9
“Le norme statali … usano talora un procedimento che ormai ha molti secoli dietro
di sé: entificano gli ordinamenti, ossia attribuiscono loro una delle qualificazioni di
ente giuridico che esistono nel diritto positivo statale. Gli ordinamenti giuridici
territoriali si presentano come <enti territoriali> (regioni, contee, dipartimenti,
distretti); gli ordinamenti giuridici professionali come <associazioni sindacali>, che
possono essere associazioni riconosciute (con personalità giuridica) o non
riconosciute o in posizioni atipiche; l’ordinamento sportivo si presenta in enti (atipici,
ma) di tipo associativo, che sono le <federazioni sportive>, e così via. Si ha così la
categoria degli enti esponenziali di ordinamenti giuridici” : M.S. GIANNINI, Diritto
amministrativo, cit., I, 105.
10
Si tratta di un’espressione impiegata dalla dottrina alla fine dell’ottocento e all’inizio
del novecento, che viene riferita da G. GUZZETTA, Il diritto costituzionale di associarsi,
Milano, 2003, 23.
11
F. MODUGNO, Legge-Ordinamento giuridico-Pluralità degli ordinamenti. Saggi di teoria
generale del diritto, cit., 192.