Si tratta, quindi, di due aree, una interna e l'altra esterna, entrambe
sedi della esecuzione della pena.
Va aggiunto che l’area penale esterna ha ormai raggiunto
dimensioni significative, rappresentando il 40% dell’area complessiva
della esecuzione della pena, accanto al 60% dell’area penale interna.
Sia la prima che la seconda area devono necessariamente essere
attive, impegnative, efficaci ai fini del raggiungimento della inclusione
sociale del condannato, che è la funzione che la Costituzione e la legge
affidano alla esecuzione della pena.
Le finalità che la normativa si è data non sono affatto semplici da
conseguire, in considerazione del fatto che il lavoro che si compie ogni
qual volta si emanano direttive e disposizioni individuali in tema di
esecuzione di pene non è semplice perché gli spazi sociali in cui ci si
muove sono tutt’altro che agevoli.
Non è facile il carcere, in cui continua a pesare l’ipoteca della
sicurezza, secondo cui meno gente vede in giro, all’interno delle strutture
carcerarie e maggiore è il senso di stabilità e di ordine che si percepisce
(le eccezioni di alcuni istituti non sono numerose).
Non è facile neanche lo spazio esterno, che è quello sociale più
generale, nel quale l’inclusione dei condannati non suscita particolari
entusiasmi.
Eppure, sia per uno spazio che per l'altro, la partecipazione del
volontariato – fattore oltremodo importante -, è molto vivace e riesce a
rappresentare un elemento dialettico sia nel carcere che fuori, a
contraddire le dinamiche negative, che si oppongono alla inclusione.
2
La scuola, ad esempio (l'attività trattamentale più cresciuta in
carcere negli ultimi anni), è nata in molti casi sullo sforzo del
volontariato e procede ora, per i progetti più rilevanti (i c.d. poli
universitari), anche grazie all’apporto del volontariato.
E' altresì vero, poi, che in carcere ci sono molte altre iniziative,
anche se non sempre continuative, che spaziano dall’ambito culturale a
quello sportivo: anche di queste il volontariato è "magna pars".
Lo spazio esterno, per coloro, cioè, che beneficiano delle misure
alternative alla detenzione, richiede poi la mobilitazione delle risorse
necessarie per rendere possibile quella inclusione sociale, di cui si è
parlato.
Ad ogni modo, tutte le moderne pene detentive, che contemplano
alternative ed istituti tra i più differenti e, spesso, “personalizzati”, sono
ritenute dalla società contemporanea un traguardo di civiltà,
contrassegnato dall’abbandono della brutalità fisica e del degrado che
caratterizzava il sistema punitivo del passato.
Le privazioni e le afflizioni che inevitabilmente si accompagnano
allo stato detentivo, sembrano comunque un compromesso ragionevole
tra il senso di umanità della pena e il doveroso esercizio del potere
punitivo dello Stato.
Ma prima di accettare come inevitabili, e in fondo giuste, le
condizioni che il carcere moderno impone, sarebbe opportuno
soffermarsi a considerare come, in generale, le privazioni e le
frustrazioni della prigione moderna "possono essere tanto dolorose
quanto i maltrattamenti fisici che hanno sostituito".
1
1
GRESHAM M. SYKES, The society of Captives. A study of a Maximum Security Prison, Priceton
University Press, 1958, tr. It. E. Santoro, Carcere e società liberale, Giappichelli, Torino, 1997, p.
242.
3
La condizione psicologica cui è sottoposto chi espia una sanzione
detentiva si nota meno facilmente, ma, continua Sykes, "la distruzione
della psiche non è meno spaventosa dell'afflizione del corpo".
2
Se il detenuto è infatti garantito negli aspetti più materiali della
sua esistenza, è soprattutto da un punto di vista psico-sociologico ed
umano che si avverte la necessità di fornirgli gli opportuni stimoli
emotivi, al fine di poter sperare, con un ragionevole margine di
probabilità di successo, in un suo reinserimento nella comunità.
Durante la detenzione il soggetto viene sradicato dal suo contesto
e viene costretto a restare lontano dagli affetti, dalla casa, dal lavoro, e
obbligato ad abbandonare totalmente tutti quegli elementi che
costituivano il suo progetto di vita.
L’isolamento del detenuto dalla società, la carenza di positivi
contatti interpersonali e l'influenza della cultura carceraria, cioè di quella
subcultura che si sviluppa tra gli appartenenti alla comunità dei detenuti,
al di fuori dalle regole penitenziarie, porta il detenuto ad un progressivo
adattamento alla comunità carceraria, che in termini sociologici è stato
definito come "processo di prigionizzazione".
3
Tale termine descrive un processo lento e graduale di
adeguamento del soggetto ai costumi, alla cultura e al codice d'onore del
carcere. I gradi di adattamento sono rappresentati dalla misura in cui il
detenuto aderisce ai modelli forniti dalla cultura carceraria.
4
2
Ibidem, p.243.
3
D. CLEMMER, The Prison Community, Boston, The Christopher Publishing House, 1941, tr. it
E.Santoro, Carcere e società liberale, Giappichelli, Torino, 1997, pp. 205 e ss.
4
E. SANTORO, Carcere e società liberale, Giappichelli, Torino, 1997, p. 40.
4
Il processo di "prigionizzazione" alimenta e approfondisce l’antisocialità
del detenuto, rendendolo sempre più estraneo alla società civile, e sempre più
aderente alla subcultura della comunità del carcere.
5
Queste prime, brevi considerazioni che afferiscono soprattutto all’aspetto
psico-sociologico di chi si trova sottoposto alla misura di esecuzione di una
pena – nella fattispecie, detentiva -, sono particolarmente utili a far comprendere
l’importanza fondamentale che rivestono, nel nostro ordinamento e nella società
civile, le norme che disciplinano l’applicazione e l’esecuzione dei
provvedimenti emanati dall’Autorità Giudiziaria.
6
Lo scopo di questo lavoro sarà quello di analizzare i vari istituti,
contemplati nel Titolo II del vigente Codice di Procedura Penale, in materia di
esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali.
In particolare, il primo capitolo sarà dedicato alla disamina delle fonti
normative che sottendono alla complessa articolazione dei provvedimenti di
esecuzione delle diverse “pene” decretate dall’Autorità Giudiziaria, con
particolare riguardo alla previsione Costituzionale, alle fonti codicistiche del
nostro diritto interno, a quelle contenute nelle leggi ordinarie e nei regolamenti
di esecuzione, non tralasciando la fondamentale incidenza esercitata al riguardo
dal Regolamento Penitenziario di cui saranno forniti cenni storici.
5
A. PAOLELLA, M. CORRERA, F. SCLAFANI, Dinamiche familiari e detenzione, Napoli,
Rassegna Medico Forense Anno XIX, collana monografica "Dentro e Attraverso" diretta da
Sciandone, p. 12.
6
Il processo di miglioramento delle condizioni di vita carceraria e l’attenzione agli aspetti affettivi ha
subito, nel nostro ordinamento, una notevole evoluzione che, partendo dal regolamento per gli istituti
di prevenzione e pena del 1931, emanato durante il governo Rocco, e rimasto in vigore fino alla
riforma penitenziaria del 1975, è giunto fino agli anni più vicini a noi, allorquando è stato preso in
maggior considerazione, ad es., il valore dei rapporti con la famiglia, che il legislatore ha collocato tra
gli elementi su cui si fonda il trattamento rieducativo, secondo quanto disposto dall'art. 15
dell'ordinamento penitenziario, fino alle più recenti riforme introdotte ad opera della legge Gozzini,
della legge n. 165 del 1998, e della recente legge n. 40 del 2001 sulle detenute madri. Infine ci si
soffermerà sulle modifiche apportate dal nuovo regolamento di esecuzione, approvato con D.P.R. n.
230 del 2000 con il preciso intento di migliorare alcuni aspetti del regime penitenziario, tra cui in
particolare quello dei rapporti con la famiglia, in adeguamento alle normative comunitarie ed
internazionali. – Cfr. A. LUZZAGO, S. PIETRALUNGA, L'incidenza negativa della detenzione dei
genitori sui figli. (II parte: Situazioni di disadattamento in rapporto alle caratteristiche dei genitori e
del nucleo), "Rassegna Italiana di Criminologia", 1992, p. 297.
5
Seguirà poi, nel secondo capitolo, la trattazione delle funzioni esercitate
dal Pubblico Ministero in tema di esecuzione delle pene, con particolare
riguardo all’esecuzione delle pene detentive, ex art.656 c.c.p. ed al computo
delle stesse, nonché l’esecuzione delle misure di sicurezza ordinate con sentenza
e dei provvedimenti adottati dal giudice di sorveglianza.
L’articolazione delle misure alternative alla detenzione, gli Uffici
preposti alla loro applicazione ed i relativi procedimenti di esecuzione, saranno
trattati nel terzo capitolo.
L’esecuzione delle ulteriori e differenti misure sanzionatorie previste dal
Codice, quali le sanzioni sostitutive, le pene accessorie e quelle concorrenti,
saranno oggetto di approfondimento del quarto capo della presente tesi,
dedicato, in particolare, all’esame dell’importante normativa sulla
depenalizzazione.
Infine, nell’ultimo capitolo, sarà attentamente affrontato il problema delle
pene pecuniarie, istituto che negli ultimi anni ha subito notevoli cambiamenti, in
special modo ad opera del diritto finanziario, per quanto attiene alle procedure
ed alle modalità di esecuzione delle somme spettanti all’Amministrazione della
Giustizia.
Nel corso della trattazione di tutti gli argomenti, in particolar modo di
quelli che si riferiscono alla complessa prassi delle pene alternative e sostitutive,
con si tenterà, attraverso la disamina dell’evoluzione storico-normativa dei
diversi istituti, di fare un bilancio critico dei mutamenti avvenuti e di quelli in
corso, finalizzati a porre un rimedio al problema dell’affollamento delle case
circondariali ed a mutare, se non addirittura stravolgere, intere branche di
competenza che investono l’ordinamento giudiziario.
6
Capitolo 1° - Cenni di storia del diritto penale e
caratteristiche dell’Ordinamento penitenziario italiano
Il moderno diritto penale europeo nasce in Italia nella seconda
metà del ‘700.
Il diritto penale, nell’Ancien Regime, era arbitrario e incerto:
rispecchiava il potere dispotico delle monarchie assolute e negava, in
maniera pressoché totale, i più elementari diritti dell’individuo.
7
I reati erano definiti in modo generico, per cui si poteva essere
puniti per fatti non previsti dalla legge: larga applicazione avevano i
delitti d’opinione, che riguardavano le mere intenzioni, senza tradursi in
reali comportamenti.
Le pene erano barbare e discriminatorie e l’unica limitazione,
contemplata in quasi tutti gli ordinamenti, era che il giudice non poteva
inventare pene completamente nuove.
La pena di morte e le torture erano largamente utilizzate, mentre
l’unica reclusione prevista era quella preventiva.
Il processo penale era caratterizzato dalla massima segretezza e
dal totale disconoscimento dei diritti di difesa.
Da tale contesto prende le mosse l’analisi che nel 1764 Cesare
Beccaria dà alle stampe, con il titolo "Dei delitti e delle pene".
Beccaria, animatore della corrente italiana dell’Illuminismo
francese, in corrispondenza con Voltaire, ed ammiratore incondizionato
di Rousseau (ai cui principi contrattualistici si ispira appunto l’impianto
filosofico dei "Delitti"), riscuote con quest’opera un successo
straordinario, di rilevanza europea.
7
"Sembrava pianificato per rovinare i cittadini", secondo l’opinione di Voltaire.
7
Il dibattito sul libro si accende subito attraverso tutto il continente,
e garantisce il raggiungimento di una nuova consapevolezza teorica sul
tema, che troverà poi applicazione concreta cinquant’anni più tardi, nel
clima della Francia rivoluzionaria e napoleonica.
I principi nuovi, di stampo più liberale, impressi da Beccaria nella
sua opera sono, in sintesi, i seguenti:
• utilitarismo sociale: il diritto penale deve rispondere alle esigenze
della società, e ci si deve ricorrere solo quando è assolutamente
necessario e socialmente utile;
• certezza e chiarezza del diritto: sia i delitti sia le pene devono
essere ben definiti in precedenza;
• pena retributiva: si deve subire una pena proporzionale al danno
inflitto;
• severità della pena: la pena non deve superare il limite utile a che
non si delinqua nuovamente;
• privilegiare la pena carceraria: è utile perché toglie il bene
massimo, la libertà, e si può graduare nel tempo;
• sanzioni: devono essere chiare e stabilite, e si devono applicare
con rapidità e ineluttabilità;
• abolizione della pena di morte: nessun cittadino consentirebbe
mai alla società di disporre della sua vita, dunque la pena di morte
non può far parte dello stato di diritto;
• il delinquente è un essere indipendente e razionale: in grado,
cioè, di scegliere se commettere o no il reato, calcolando le
conseguenze della propria azione.
8
Alcuni dei principi fondamentali introdotti dal Beccaria in materia
di diritto penale e di applicazione delle pene sono ancora oggi in vigore e
si possono riassumere come segue:
• Il principio della stretta legalità: si è puniti solo per un fatto che
la legge prevede come reato;
• La certezza del diritto: le norme devono essere formulate in
modo chiaro e non equivocabile;
• L’irretroattività delle leggi penali: non si può essere puniti per
un reato commesso in un momento in cui la legge non lo
prevedeva come tale;
• Il divieto d’interpretazione analogica: preclude al giudice di
applicare una data norma in casi diversi da quelli espressamente
previsti dalla legge;
• Il principio della personalità delle responsabilità penali: non si
può essere puniti per un fatto commesso da altri.
Su tale impianto, si sviluppa in Italia, a metà dell’800 grazie
soprattutto alle idee di F. Carrara, la cosiddetta "scuola classica", che
segue tre fondamentali direttive:
• il perfezionamento degli strumenti teorici e tecnici della teoria
generale del reato;
• la continuità sul terreno formale dei canoni garantisti propri
dell’Illuminismo;
• il concetto di diritto penale come un "a-priori" metafisico e
metastorico.
9
Tra il pensiero giuspenalistico dell’illuminista Beccaria e la scuola
classica è evidente un rapporto di continuità, individuabile nei caratteri
della stretta legalità, dell’irretroattività delle leggi e della
predeterminazione delle pene, ma appare anche un elemnto di rottura,
che si concreta nello svuotamento del principio di utile sociale per la
ragion di stato, in favore di una visione più slegata dal contesto storico-
sociale.
Il diritto penale della scuola classica era astratto ed immutabile nel
tempo, impermeabile a qualsiasi dato sociale, politico ed economico di
qualunque periodo storico.
Il giure penale ha la sua genesi e la sua norma in una legge
assoluta, costituita dall’unico ordine possibile all’umanità secondo le
previsioni e le volontà del creatore (visione astorica e metafisica).
Questi principi avevano il dichiarato obiettivo di isolare la materia
penale dalla società, rendendola un sistema perfetto ed intoccabile.
Di contro, la scuola positivista, alla fine dell’800, propone un
impianto alternativo alla scuola classica: i suoi fondatori sono E. Ferri e
C. Lombroso.
Il diritto penale per i positivisti non deve dirigere ed assumere
come polo di attrazione il delitto, ma la persona e l’azione compiuta dal
reo: ogni delitto prima di essere un fatto oggettivo, una entità è l’azione
di un uomo, ed è a questo uomo che si applica la sanzione e non al fatto
obiettivo.
L’entità della pena sarà scelta secondo la pericolosità del soggetto,
che gli deriva da un’antisocialità determinata da tendenze congenite (per
atrofia del senso morale, condizioni psicopatologiche, impulsi passionali,
o dagli stessi inconvenienti del carcere).
10