Introduzione
II
effetti che essa dovrebbe avere sulla capitalizzazione delle imprese,
mettendo il luce anche i limiti che caratterizzano la riforma.
La conclusione del primo capitolo riguarda le relazioni tra decisioni
strategiche e finanza, sulla base di un modello definito “della qualità”. Tale
modello è stato sviluppato per sostenere che migliorare l’allocazione delle
risorse dell’impresa per mezzo della creazione di un circolo virtuoso tra
strategie competitive e strategie di finanziamento, dovrebbe essere un
obiettivo perseguito per mezzo dall’aumento della coerenza sia tra le
diverse aree aziendali responsabili delle strategie in oggetto sia tra gli
investimenti realizzati e le relative fonti di finanziamento.
La trattazione prosegue prendendo in esame le problematiche che
contraddistinguono le PMI italiane: partendo dall’esame dei problemi che
caratterizzano il mancato sviluppo delle imprese minori e dal rapporto tra
banche e PMI, che finora non lo ha favorito, si prendono in considerazione
i problemi “culturali” degli imprenditori italiani, poco inclini all’apertura
del capitale a soggetti esterni e in genere restii ad intraprendere operazioni
di finanza innovativa. Vengono poi messi in luce i limiti degli assetti
proprietari delle imprese minori italiane, prendendo in esame, in
particolare, i problemi che le imprese “familiari” (di cui fanno parte la
maggioranza delle PMI italiane) incontrano nell’aprire la propria
compagine sociale ad un investitore istituzionale. Viene quindi ipotizzato
un modello di corporate governance che renderebbe meno difficoltosa la
diffusione del private equity
A conclusione del secondo capitolo viene analizzata l’opzione della
quotazione, i limiti dei mercati finanziari italiani e la conseguente difficoltà
degli investitori istituzionali ad uscire dal capitale delle aziende con profitti
Introduzione
III
elevati, proponendo come soluzione per ovviare a tali problemi l’AIM, il
mercato dedicato alle PMI gestito dalla Borsa di Londra.
A questo punto il lavoro si addentra negli aspetti più tecnici delle
operazioni di private equity, analizzando le tipologie di operazioni sulla
base dello stadio di sviluppo dell’impresa e prendendo in esame gli
investitori istituzionali che compiono tali operazioni; le banche, i fondi
chiusi, le finanziarie. Infine l’attenzione viene posta su un particolare tipo
di investimento nel capitale di rischio: il corporate venture capital.
Sulla scorta dei contributi teorici analizzati, il lavoro si conclude con un
modello di analisi costi-benefici di alcune imprese dell’area toscana.
Misurando le performance delle aziende sulla base delle quattro prospettive
della Balanced Scorecard di Kaplan e Norton, abbiamo cercato di
individuare quali sono state le aree in cui un’operazione di private equity
ha apportato il maggior valore, formando uno schema basato sulle suddette
prospettive. Esse sono: la prospettiva economico-finanziaria, quella della
clientela, quella relativa ai processi interni e quella dell’apprendimento.
Per quanto riguarda i costi, essi sono stati divisi in tre tipologie: i costi
“vivi”, i costi “nascosti” e i costi “non monetari”, relativi alla parziale
perdita del controllo sulle decisioni strategiche da parte dell’imprenditore.
Tale modello è stato dunque applicato ai casi di sei imprese toscane.
Abbiamo scelto imprese che avessero condotto le operazioni con investitori
toscani (o comunque che avessero dei legami forti con la Toscana) perché,
come abbiamo espresso in più punti nel corso del lavoro, crediamo
fortemente nello sviluppo della banca locale, che dovrebbe impostare la
propria evoluzione proprio sugli aspetti più moderni di finanza innovativa,
Introduzione
IV
e in particolare nel settore del “merchant banking locale”, che si dovrebbe
accompagnare a rapporti banca-impresa di lungo periodo basati sulla
consulenza finanziaria, in particolare sulle operazioni di finanza innovativa.
Per questo abbiamo cercato di comporre il nostro campione con aziende
che si fossero affidate a investitori istituzionali con un forte legame con la
realtà della regione di appartenenza.
Esse hanno in parte confermato quanto ci aspettavamo: la presenza di costi
piuttosto elevati e, comunque, l’elevato valore apportato in azienda da
queste operazioni che, secondo chi scrive, sono probabilmente il mezzo
migliore per assicurare alle piccole e medie imprese uno sviluppo
equilibrato e per compiere il necessario “salto di qualità” verso dimensioni
e strutture più adatte a competere nel nuovo assetto della competizione,
divenuta a carattere globale.
L’Italia basa la propria competitività su un grande numero di piccole e
medie imprese, che hanno permesso al nostro Paese di ottenere una
posizione competitiva importante sui mercati europei e mondiali. Ma
alcune variabili oggi stanno cambiando repentinamente: l’innovazione
tecnologica e la globalizzazione dei mercati impongono un aumento della
dimensione delle aziende, l’impossibilità di svalutazioni periodiche della
moneta per rilanciare le esportazioni e i necessari investimenti, anche
ingenti, in nuove tecnologie necessitano di risorse e capacità manageriali
compatibili solo con una dimensione aziendale significativa (Corbetta,
2000, p. 7).
Questo “sviluppo necessario” dovrebbe portare il sistema economico
italiano a migliorare la propria competitività nei confronti dei più
importanti competitors mondiali, cercando di valicare i limiti imposti da
una sorta di “quattro mura” del capitalismo italiano, rappresentate da:
Introduzione
V
elevata presenza di piccole e piccolissime imprese, ridotti investimenti in
tecnologia, bassa capitalizzazione e un sistema economico bancocentrico.
Secondo noi proprio le operazioni di private equity potrebbero
rappresentare la reale chiave di volta per assicurare una crescita equilibrata
e per permettere all’Italia di continuare ad essere competitiva per mezzo
delle piccole e medie imprese.
I-Aspetti strategici e teorici relativi alle scelte finanziarie delle imprese
2
CAPITOLO PRIMO
ASPETTI STRATEGICI E TEORICI RELATIVI ALLE SCELTE
FINANZIARIE DELLE IMPRESE
Premessa
L’attività di produzione di beni o servizi che viene effettuata dalle imprese
necessita di mezzi, di qualsiasi natura, con i quali esse possano svolgere
questa attività. Risulta evidente come la gran parte dei mezzi utilizzati
abbia natura finanziaria e come la loro reperibilità sia limitata e costosa.
E’ in questo contesto che acquistano dunque importanza le decisioni
finanziarie con le quali tutti gli organismi produttivi si devono confrontare
e che hanno rivestito e rivestono un’importanza cruciale nella nascita e
nello sviluppo di ogni tipo di impresa.
Nella teoria classica della finanza
1
le scelte relative al finanziamento
dell’attività riguardavano esclusivamente la selezione del mix di capitale
proprio e capitale di credito ritenuto più idoneo a finanziare l’attivo. Questa
teoria era basata su alcune ipotesi semplificatrici
2
che le teorie successive
hanno rimosso, ampliando le tipologie di scelta a disposizione delle
imprese. In particolare l’attenzione si è spostata dalla scelta tra strumenti
finanziari a disposizione ai canali di finanziamento ed alla destinazione dei
1
Si fa riferimento agli scritti in materia precedenti alle celebri teorie di Modigliani e Miller (si veda oltre
nel presente lavoro). Tra i lavori più significativi si veda DURAND D., The cost of debt and equity fund
for business: trends, problems of measurement, 1952 o anche GRAHAM B., DODD L., Security
Analisys, 1953
2
In particolare le ipotesi di cui si tratta sono quelle della distribuzione omogenea delle informazioni,
assenza di costi d’uso nei mercati e completa separabilità delle decisioni di investimento da quelle di
finanziamento, ipotesi poi gradualmente rimosse nei contributi successivi. Cfr. DELLA BELLA C., Titoli
azionari e natura del capitale di rischio, EGEA, Milano, 1996 pag. 1.
I-Aspetti strategici e teorici relativi alle scelte finanziarie delle imprese
3
finanziamenti stessi aprendo cosi la strada a nuove e interessanti teorie
sulle decisioni di carattere finanziario (Della Bella, 1996, p. 1) .
Quello che interessa ai fini del presente lavoro è porre l’accento sulle
decisioni inerenti questo campo allo scopo di analizzare se e quanto le
imprese abbiano bisogno di mezzi aggiuntivi da impiegare nella propria
attività a titolo di capitale di rischio per finanziare quella parte dell’attivo
per la quale l’autofinanziamento da una parte e il capitale di credito dall’
altra, non risultano sufficienti.
Il problema della carenza di mezzi a titolo di capitale di rischio è sempre
stato centrale nello sviluppo dell’ economia del nostro Paese che, se
confrontata con quella di Paesi più sviluppati dal punto di vista finanziario
(il riferimento è, evidentemente, ai Paesi Anglosassoni), risulta ancora oggi
svantaggiato. Questo non è solo l’effetto di un sistema fiscale che ha
sempre incentivato le imprese all’utilizzo spinto delle leva finanziaria per
sfruttare il c.d. scudo fiscale
3
, ma è anche frutto di un sistema bancario e
creditizio che ha mantenuto una struttura dei tassi di interesse molto
conveniente rispetto ad altre realtà Europee, soprattutto negli anni passati.
Inoltre è importante rilevare anche che gli imprenditori italiani si
caratterizzano per una cultura orientata ad uso quantomeno “prudente” del
capitale proprio, preferendo ricorrere all’indebitamento per finanziare le
proprie attività. Se a questo si aggiunge una situazione dei tassi di interesse
in costante decremento e dunque un ulteriore incentivo per le imprese ad
indebitarsi, è facile comprendere come il panorama industriale italiano sia
caratterizzato da strutture finanziarie nelle quali il debt è preponderante
rispetto all’equity.
3
Sebbene negli ultimi anni alcuni atti normativi abbiano agito in senso contrario, il nostro sistema è
ancora oggi caratterizzato da un certo incentivo all’ indebitamento. Il presente problema verrà
approfondito successivamente nel presente capitolo. Per quanto riguarda gli atti normativi anzidetti e il
loro legame con la scelta delle fonti finanziarie, si veda il par. 4 del presente capitolo.
I-Aspetti strategici e teorici relativi alle scelte finanziarie delle imprese
4
Le riflessioni che seguiranno hanno lo scopo di chiarire come la struttura
finanziaria dell’impresa può essere vista in chiave strategica. Le imprese
dovrebbero riuscire a pensare alla finanza non più come un modo per
ottenere denaro spendendo il meno possibile, ma come uno strumento per
assecondare le fasi di sviluppo dell’ organismo produttivo cercando da un
lato di minimizzare i costi e dall’ altro di assicurare le risorse di cui
l’impresa ha bisogno nei tempi e nei termini più idonei a finanziare le
strategie messe a punto dai vertici aziendali
4
.
In quest’ambito è importante rilevare come si siano arricchite e modificate
le forme di finanziamento per le imprese. Se negli anni successivi al
Dopoguerra nel nostro Paese il mercato finanziario era pressoché
inesistente e le forme di finanziamento per le imprese erano quasi
esclusivamente di matrice bancaria, negli anni a successivi al ’70 si è
assistito ad un progressivo ampliarsi dell’offerta di strumenti finanziari fino
ad arrivare, negli anni ’90, ad una completa liberalizzazione sia dell’attività
bancaria sia degli strumenti offerti, tra i quali un ruolo preponderante è
rivestito proprio dalle operazioni in capitale di rischio, nate negli Stati Uniti
e in Inghilterra a metà dell’ Ottocento e arrivate nei Paesi dell’ Europa
continentale con un certo ritardo, salvo qualche eccezione.
Alle modificazioni in materia di servizi e strumenti, negli anni ’60 e ’70 si
è assistito alla formulazione di alcune tra le più rilevanti teorie finanziarie
come quelle di Modigliani e Miller sull’ irrilevanza della struttura
finanziaria, quella di Jensen e Meckling sulla Teoria dell’ Agenzia e molte
altre, sviluppatesi in modo particolare presso le prestigiose Università della
Costa Est degli Stati Uniti.
4
Una delle opinioni prevalenti è che la necessità di capitale (soprattutto di rischio) varia a seconda dello
stadio di sviluppo dell’ impresa. La teoria in questione è molto ben formulata in GERVASONI A.,
SATTIN F., Private Equity e Venture Capital, Guerini e Associati, Milano, 2000 ed è ripresa anche in
PERRINI F., Sviluppo di impresa e marcati PMI, EGEA, Milano, 1998
I-Aspetti strategici e teorici relativi alle scelte finanziarie delle imprese
5
Le note che seguiranno, riguardanti le scelte finanziarie delle imprese, l’
analisi della struttura finanziaria e l’impatto delle variabile fiscale sulle
suddette scelte, hanno lo scopo di chiarire preliminarmente alcuni concetti
di base della finanza d’impresa per giungere all’analisi di un modello di
finanza strategica in ottica private equity.
1.1 Le scelte finanziarie delle imprese e gli strumenti a
disposizione
Le imprese, per nascere, crescere e svilupparsi, come gli organismi
biologici, necessitano di risorse. In questi organismi le risorse sono di due
tipi: reali (come le materie prime, i macchinari, gli immobili) e finanziarie.
Queste ultime possono essere ottenute a titolo di debito o a titolo di capitale
di rischio. Le due tipologie in oggetto presentano ognuna caratteristiche
peculiari che è bene tener presente nel momento in cui si è chiamati ad
effettuare una scelta tra le due alternative.
Il capitale ottenuto a titolo di debito rende l’impresa creditrice verso il
possessore del titolo in oggetto (sia esso un’obbligazione o un titolo avente
altra natura). Questo comporta che nel momento in cui l’impresa emette il
titolo obbligazionario promette al possessore di esso il pagamento
periodico di una somma a titolo di interesse e alla scadenza del prestito la
restituzione del capitale (Gervasoni, (a cura di), 2002, p. 45).
Per contro, il capitale ottenuto a titolo di capitale di rischio attribuisce al
sottoscrittore la qualità di socio, il che include una serie di diritti molto
I-Aspetti strategici e teorici relativi alle scelte finanziarie delle imprese
6
diversi rispetto a quelli del creditore
5
, primo fra tutti la possibilità di
intervenire nella gestione dell’azienda. Il Codice Civile attribuisce all’
azionista, oltre al diritto di voto con il quale interviene nella gestione,
anche il diritto di impugnativa degli atti della maggioranza, il diritto di
recesso nel caso di decisioni di carattere straordinario, il diritto di opzione
sulle azioni di nuova emissione, il diritto a percepire gli utili e il diritto di
rimborso del capitale allo scioglimento della società
6
. Questa distinzione,
inattaccabile da un punto di vista puramente teorico, è stata comunque
oggetto alcune precisazioni da parte di alcuni autori. Il fondamento di tale
critica è basato sulla convinzione che alcuni strumenti detti “ibridi”
rendono più sfumati i contorni di una tale rigida classificazione. Gli
strumenti in questione si possono suddividere in tre grandi categorie
(Lamandini, 2001 p. 11 e segg):
• una prima categoria è quella delle nostre azioni di risparmio (le
preferred shares di matrice anglosassone) che costituiscono un’
articolazione estrema del concetto stesso di azione
7
.
• una seconda categoria è rappresentata da strumenti come le
“obbligazioni partecipanti” che costituiscono forme di
finanziamento, in genere subordinato, riconducibili ad un prestito
partecipativo.
• un’ ultima categoria è rappresentata da quelle fonti di
finanziamento che provengono dai soci stessi le quali, per la
5
In realtà anche gli obbligazionisti possono concorrere nella gestione, solo per determinate tipologie di
decisioni, per mezzo dell’ assemblea degli Obbligazionisti. Non sembrandoci questo il luogo adatto per
una simile trattazione si rimanda a: CAMPOBASSO L., Diritto Commerciale, vol. II, UTET, Torino, 4^
ed., 1999.
6
Per una disamina più approfondita dei diritti spettanti all’ azionista si veda ancora CAMPOBASSO G.,
op. cit. e Cod. Civ. artt. 2346-2362.
7
Ci si riferisce in particolar modo al fatto che le suddette azioni sono prive di un diritto fondamentale
spettante all’ azionista: in diritto di voto. Per un’ analisi approfondita di tali strumenti si rimanda a
TOMBARI U., Azioni di risparmio e strumenti ibridi “partecipativi”,Giappichelli, Torino, 2000
I-Aspetti strategici e teorici relativi alle scelte finanziarie delle imprese
7
qualità soggettiva del prestatore, ricevono spesso un trattamento
“ibrido”
8
.
In ogni caso, oltre alle differenze evidenziate poc’anzi, il ricorso al capitale
di rischio richiede un sistema di mercati, istituzioni e intermediari
finanziari in grado di mitigare le asimmetrie informative
9
che si vengono a
creare tra emittenti e investitori e di ridurre quanto più possibile i costi di
transazione relativi allo scambio dei capitali (Chesini, 2000, p. 15).
Un’altra importante distinzione che deve essere fatta tra gli strumenti a
disposizione dell’azienda è inerente la natura degli strumenti stessi
(Gervasoni (a cura di), 2000, p. 39). Essi possono essere:
- contratti creditizi
- titoli mobiliari
I primi sono riconducibili prevalentemente ai contratti di natura bancaria
come l’apertura di credito, lo sconto degli effetti, gli anticipi su fatture i
mutui ipotecari e i contratti di leasing, mentre i secondi sono riconducibili
al più ampio sistema del mercato finanziario e saranno oggetto di
trattazione approfondita nel corso del presente lavoro.
Finora non è stata affrontata un’altra importante tematica inerente le
decisioni di finanziamento, ovvero l’aspetto temporale. E’ noto che le
attività delle imprese assumono diverse scadenze temporali, in particolare
risultano essere a lungo o a breve termine. E’ importante quindi che le
8
La questione risulta tutt’ altro che esaurita. La presente dissertazione in materia di strumenti ibridi
dovrebbe portare a una discussione che può essere articolata in più punti: quale spazio può essere lasciato
all’ autonomia negoziale in materia di azioni che limitano alcuni diritti? Che tipo di limiti dovrebbero
essere posti all’ emissione di titoli obbligazionari ibridi e che tipo di interferenza si viene a creare con la
regolazione e il trattamento del capitale? Non ci sembra questo il luogo adatto per trovare delle risposte a
tali domande e pertanto si rimanda, per un’ analisi approfondita della tematica a: LAMANDINI M., op.
cit. e a TOMBARI U., op. cit.
9
Le problematiche relative alle asimmetrie informative e alla Agency Theory verranno analizzati più
avanti nel corso del lavoro. Si veda il par. 3 del presente capitolo.
I-Aspetti strategici e teorici relativi alle scelte finanziarie delle imprese
8
passività destinate a finanziarle siano coerenti con la scadenza temporale
delle suddette attività. Infatti questa coerenza del ciclo temporale significa
che le aziende possono disporre dei fondi quando necessario e dunque
predisporre un piano di rimborso in linea con l’esaurirsi del fabbisogno
(Galbiati, 1999, p. 15). Questo non deve far pensare ad una relazione
diretta tra un investimento e un finanziamento, se non in casi in cui
l’investimento in questione sia di un’ importanza tale
10
da richiedere un
tipo di controllo, soprattutto da parte dei finanziatori, particolarmente
invasivo. Negli altri casi la difficoltà oggettiva nel seguire un flusso di
denaro all’interno dell’azienda da un lato e la cosiddetta interdipendenza
generalizzata che lega tutte le forme di finanziamento dall’altro fanno si
che la suddetta relazione diretta venga a mancare.
Analizzate brevemente le principali scelte dell’impresa inerenti il
soddisfacimento del fabbisogno finanziario, passiamo ora ad occuparci
degli strumenti finanziari a disposizione.
Come rilevato in precedenza gli strumenti finanziari si possono suddividere
in contratti creditizi e titoli mobiliari. Questi ultimi meritano un contributo
più importante poiché rivestono un’importanza maggiore ai fini del
presente lavoro.
La caratteristica fondamentale di tali titoli è la trasferibilità, la cui
rilevanza consiste nel fatto che l’elemento personale perde completamente
importanza e, dunque, che i titoli in questione sono completamente cedibili
e idonei alla circolazione tra un numero elevato di soggetti (Gervasoni (a
cura di), 2000, p. 40). Un altro dei requisiti più rilevanti dei titoli mobiliari
10
Si pensi ad un’ azienda edile che stia costruendo una grande opera come una strada o un ponte: è
evidente che in questo caso il tipo di controllo assume una rilevanza del tutto diversa rispetto al caso in
cui un’azienda manifatturiera acquisti un macchinario necessario per produrre.
I-Aspetti strategici e teorici relativi alle scelte finanziarie delle imprese
9
è la frazionabilità, ovvero la possibilità che un’operazione di scambio
possa essere suddivisa tra più investitori, che divengono così titolari di una
parte dell’ operazione complessiva. La presenza di questi due requisiti, pur
non essendo gli unici di cui sono dotati gli strumenti in questione
11
, hanno
avviato un importante processo, detto securitization: tale processo si è
concretizzato in una tendenza ad attribuire le caratteristiche di titoli
mobiliari anche ad altri contratti che hanno per oggetto altre risorse
finanziarie, come i crediti di lungo periodo
12
. Ai fini di favorire la
circolazione di questi come di altri strumenti del mercato mobiliare, dalla
metà degli anni ’80 si è avviato il processo di dematerializzazione dei titoli
mobiliari. Il processo in oggetto è stato favorito, oltre che dallo sviluppo
delle tecnologie informatiche, anche da una spiccata esigenza degli
operatori del mercato di far circolare in modo più rapido e sicuro i titoli, il
cui numero è aumentato sensibilmente negli ultimi 20 anni. La
dematerializzazione ha riguardato inizialmente i titoli azionari quotati nelle
Borse Valori per poi estendersi a tutte le altre categorie di titoli, anche non
quotati.
Dopo aver esaminato le principali caratteristiche dei titoli del mercato
mobiliare, entriamo ora nel dettaglio di tali mercati, prendendo in esame
dapprima il mercato dei titoli azionari e, successivamente, quello dei titoli
di debito, con riferimento alla realtà del nostro Paese, poiché è in tale
11
Per una più approfondita trattazione dei requisiti degli strumenti mobiliari si veda JOVENITTI P., Il
ricorso al mercato mobiliare pagg. 466-467, in PIVATO G., Trattato di finanza aziendale, F. Angeli,
Milano, 1994
12
Già all’ inizio degli anni ’90 alcune imprese del nostro Paese si sono avvalse dello strumento della
securitization per cedere a grandi banche e società finanziarie specializzate i crediti di lungo periodo,
anche con un rating molto basso. Ne sono un esempio nel nostro Paese la Parmalat, la Olivetti e altre
società di matrice bancaria. Da notare che le banche di investimento che hanno curato tali operazioni sono
tutte estere, in particolar modo Statunitensi. Per un’ approfondimento in tema di securitization, tra le
molte Opere, si veda tra le più recenti: DAMILANO M., Securitization, in BASILE I., (a cura di), Nuove
frontiere dei mercati finanziari e della securities industry, Bancaria Editrice, Roma, 2001
I-Aspetti strategici e teorici relativi alle scelte finanziarie delle imprese
10
ambito che ci muoveremo per prendere poi esame gli strumenti e i soggetti
protagonisti del fenomeno del private equity.
In Italia il principale mercato di strumenti finanziari è il Mercato
Telematico Azionario (MTA). Esso è il comparto del mercato di Borsa
dove si negoziano le azioni delle principali società quotate del nostro
Paese. Il sistema di negoziazione si è andato negli anni modificando,
passando dal sistema delle “grida”
13
a quello della contrattazione continua
per via telematica. Questo ha portato, oltre che ad un evidente snellimento
e rapidità nelle procedure, anche alla possibilità di delocalizzazione delle
negoziazioni, per cui gli operatori possono compiere le operazioni di
vendita e acquisto dei titoli da qualsiasi luogo. Gli ultimi sviluppi in tema
di delocalizzazione hanno portato al fenomeno del c.d. trading on line, con
il quale anche i privati hanno accesso alle operazioni di borsa per mezzo
della rete Internet, seppur con alcune restrizioni.
Il Mercato Telematico Azionario è suddiviso in tre segmenti: Blue Chip,
Star e Ordinario. Il primo segmento ha per oggetto le società più
capitalizzate (capitalizzazione superiore a 800 milioni di Euro), il secondo
comprende società che soddisfano particolari requisiti, soprattutto relativi
alle informazioni per gli investitori, e che abbiano fatto domanda per
accedervi. Il terzo segmento è residuale rispetto ai primi due.
Dal 1999 è ufficialmente nato anche in Italia in Nuovo Mercato, destinato
ad accogliere le imprese high growth. Esso fa parte di un circuito europeo
14
13
Con questo sistema ciascun titolo veniva chiamato secondo un ordine prestabilito. Il titolo apriva al
prezzo di chiamata e gli operatori gridavano la propria posizione come compratori o venditori. Il
funzionario addetto sulla base delle varie gridate aumentava o riduceva il prezzo del titolo stesso. Cfr.
GERVASONI A., (a cura di), Impresa e mercato finanziario, op. cit. pag. 57-58
14
Ne fanno parte, oltre all’ Italia, la Francia, il Belgio, la Germania e i Paesi Bassi. La nascita di un
circuito di mercati con le caratteristiche citate, trae le proprie origini dal più importante mercato
“tecnologico” del mondo: il Nasdaq. Esso, situato a New York, è basato sulla filosofia di rendere più
semplici le negoziazioni e le regole di quotazione, requisito che lo differenzia totalmente del NYSE, la
principale Borsa Valori Statunitense. In virtù di questo, il Nasdaq è stato il mercato a più alto tasso
I-Aspetti strategici e teorici relativi alle scelte finanziarie delle imprese
11
di mercati che ammettono alla quotazione imprese che abbiano elevate
potenzialità di crescita, anche se mancanti di alcuni elementi richiesti dai
mercati “classici” come il bilancio in utile. Tale mercato è stato utilizzato
per la quotazione di molte imprese aventi business tecnologici, la gran
parte delle quali erano possedute, in parte, da fondi o società di venture
capital
15
. Nel momento della sua nascita il Nuovo Mercato contava 6 unità,
mentre a metà del 2002 le società quotate erano 45.
Nell’ambito della Borsa Italiana vi sono anche altri mercati, come il
Mercato After Hour (TAH) e il Mercato Ristretto. Quest’ultimo, istituito
nel 1977, avrebbe dovuto svolgere la funzione di luogo di scambio di titoli
di piccole e medie imprese sane da un punto di vista contabile e industriale
che volessero, dopo un periodo di transizione, approdare alla quotazione
nei segmenti principali. Esso però non hai mai raggiunto una
capitalizzazione significativa e non ha mai riscosso una grande popolarità
presso le società che si preparavano alla quotazione, basti pensare che dal
1992 al 2001 vi sono state soltanto 5 nuove ammissioni
16
. Il problema resta
comunque aperto poiché sempre più pressante è l’esigenza di creare anche
nel nostro Paese
17
un mercato che soddisfi le caratteristiche anzidette.
Per quanto riguarda i mercati aventi per oggetto la negoziazione dei titoli di
debito, la Borsa Italiana gestisce il Mercato Telematico delle Obbligazioni
crescita di tutti gli Stati Uniti e con il più elevato numero di società quotate. Nell’ ultimo biennio, in ogni
caso, la crisi economica mondiale e la conseguente caduta dei corsi dei titoli, ha penalizzato molto anche
tale mercato, che ha registrato un forte calo della propria capitalizzazione. Per approfondimenti sulle
caratteristiche, le regole di ammissione e la struttura del Nasdaq e degli altri Nuovi Mercati si veda:
PERRINI F., op. cit. o anche PETRELLA G., I nuovi secondi mercati europei,EGEA, Milano, 1997
15
L’ argomento sarà oggetto di trattazione più approfondita nel prosieguo del lavoro, in particolare nel
capitolo 3.
16
In merito al declino del Mercato Ristretto si veda CASELLI S., Corporate banking per le piccole e
medie imprese, Bancaria Editrice, Roma, 2001 pagg. 100-105
17
Il riferimento è, in primis, all’ AIM del Regno Unito. Il tema verrà trattato diffusamente nel prossimo
capitolo. Si veda comunque: CONSIGLIO NAZIONALE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI, I
mercati finanziari per PMI in Europa e USA, 1998, PERRINI G., op. cit. pag. 247 e segg., PETRELLA
G., I nuovi secondi mercati europei, op. cit., cap. II, 1997