6
discussione razionale su temi pubblici, i più influenzabili nello loro idee con strumenti
di tipo dimostrativo o manipolativo.
Si afferma così quella che Habermas definisce la sfera pubblica manipolata, in cui le
opinioni non si formano più attraverso il confronto ragionato fra “pari” ma mediante
la comunicazione simbolica prodotta dal marketing politico. A causa quindi
dell’azione di questi esperti politici neutrali che vendono politica in modo inpolitico
viene meno la funzione di contropotere dell’opinione pubblica che diventa un mero
ricettore di messaggi pubblicitari. In questo quadro emerge quella prospettiva che
distingue nel pubblico una minoranza di cittadini interessati, attivisti e opinion leaders
e una maggioranza passiva oggetto di propaganda e di manipolazione. Questa
maggioranza è portatrice di un’opinione non-pubblica a cui manca autonomia e
razionalità perché subisce una propaganda psicologica diretta non alla volontà, alla
ragione dei soggetti ma al loro subconscio.
E’ proprio in relazione a questa contrapposizione, rilevata da Habermas, tra la
razionalità, i desideri e le motivazioni individuali che acquista rilevanza il tema del
ruolo delle emozioni nella sfera pubblica mediale.
Il filosofo francese Paul Virilio, prendendo come riferimento il modello habermasiano
del pubblico razionale, si interroga sulla degenerazione dell’opinione pubblica verso
quella che definisce l’emozione pubblica: lo spazio di discussione razionale viene
sostituito, grazie alla pervasività della comunicazione mediale, da shock emotivi che
colpiscono continuamente gli individui passivi isolati nella massa, rendendo
impossibile qualsiasi tentativo di riflessione e discussione razionale. Così, con la
sincronizzazione globale delle emozioni, si completa secondo Virilio quel percorso
che dalla standardizzazione della produzione a quella dei comportamenti è stato al
centro della denuncia degli studiosi della Scuola di Francoforte.
Per indagare a fondo questa critica dei sentimenti fortemente presente negli studi
sull’opinione pubblica occorre innanzitutto problematizzare il concetto di “emozione”
da un punto di vista neurologico e psicologico, operazione difficilmente rintracciabile
nei contributi di matrice francofortiana. Riprendere le teorie sulla natura e sulle
funzioni dei sentimenti può aiutare infatti ad individuare i paradigmi e i modelli
concettuali alla base delle riflessioni di quegli studiosi che si sono occupati della
relazione fra le emozioni, la comunicazione mediale e la politica. L’intento è quindi
7
quello di capire che ruolo possano giocare sentimenti quali la paura, l’ansia, la
compassione e l’avversione nella formazione delle opinioni dei cittadini,
approfondendo le implicazioni sociologiche, filosofiche e mediologiche di tale ruolo.
L’elaborato è suddiviso in sei capitoli e data la vastità del tema segue un approccio
inevitabilmente multidisciplinare. Nel primo capitolo vengono brevemente ripresi i
concetti di folla, massa e pubblico, categorie che costituiscono un punto di riferimento
essenziale per qualsiasi studio sull’opinione pubblica. In particolare, nel quadro di una
riflessione sulle emozioni, appare cruciale l’analisi di Gustave Le Bon e Sigmund
Freud sull’anima della folla, analisi che ha influenzato fortemente la critica della
società di massa e riecheggia nel riferimento di Virilio ai quei fenomeni di panico e
shock collettivo che colpiscono oggi le folle disperse nello spazio ma sincronizzate
nelle emozioni.
Al fine di problematizzare la nozione dominante di razionalità che traspare nella
riflessione di studiosi come Le Bon, Lippmann e Habermas e in generale nella
maggior parte degli studi sulle forme di aggregazione collettiva, nel secondo capitolo
il punto di attenzione viene spostato sulle emozioni individuali; qui il riferimento
fondamentale è costituito da quei recenti studi psicologici e neurologici che rivalutano
il ruolo dei sentimenti nei processi di pensiero. Tale analisi, modificando la
definizione stessa del concetto di ragione-razionalità, introduce una nuova prospettiva
nel dibattito sui requisiti e i limiti del cittadino nei sistemi democratici, mettendo in
discussione le conclusioni pessimistiche delle teorie normative.
La più generale rivalutazione delle emozioni come elemento guida essenziale
soprattutto in contesti sociali contribuisce inoltre al superamento della dicotomia
durkheimiana individuo-società mostrando i profondi legami fra le due sfere. Nel
capitolo 3 questo tema viene approfondito attraverso la presentazione di diversi studi
antropologici e sociologici. Viene illustrata inoltre la critica di Baudrillard verso
quella prospettiva individualista e razionalista che vede invece in Virilio uno strenuo
difensore. Virilio denuncia infatti i nefasti effetti del coinvolgimento emotivo nella
fruizione di immagini in tempo-reale, tema ripreso nel capitolo successivo da autori
quali Luc Boltanski e Susan Sontag. La tematica della manipolazione e dell’uso
strategico delle emozioni introduce inoltre la riflessione sul ruolo della paura e della
8
compassione nella comunicazione mediale con particolare riferimento al concetto di
emozione mediale e framing.
Per mettere alla prova le varie teorie analizzate nell’elaborato si proporrà infine lo
studio della narrazione televisiva dei telegiornali RAI relativamente ad un recente
episodio di cronaca che ha ricevuto grande attenzione da parte dei mass-media e della
politica: l’omicidio Reggiani. L’analisi di questo caso empirico consentirà innanzitutto
di cogliere l’importanza dell’elemento emotivo in un contesto di grande
partecipazione collettiva, in secondo luogo di indagare la relazione fra i sentimenti
suscitati dall’episodio e il processo di sviluppo di un dibattito teso ad una maggiore
comprensione della realtà, avendo come riferimento concettuale l’idea habermasiana
dell’opinione pubblica come contropotere.
9
1. Tra razionalità ed emozione: la folla, la massa, il pubblico
La riflessione sul contributo delle emozioni nella sfera pubblica mediale non può
prescindere dagli studi sociologici e psicologici sulla natura e le caratteristiche delle
diverse forme di aggregazioni collettive. Individuare il ruolo attribuito ai sentimenti
nelle definizioni di folla, massa e pubblico è essenziale: tali forme costituiscono ancor
oggi un fondamentale punto di riferimento per gli studi sull’opinione pubblica e sui
mass-media.
Sentimenti, azione e potere: la folla
Alla fine del XIX secolo un nuovo attore fa il suo ingresso sulla scena politica
europea. Nelle città la classe operaia inizia a far sentire la sua voce, chiedendo
migliori condizioni materiali e ponendo all’attenzione delle élite una serie di
rivendicazioni politiche. Nelle piazze si radunano folti gruppi di persone con l’intento
di manifestare la propria opinione e protestare contro le disuguaglianze sociali.
Contemporaneamente all’interno del proletariato industriale urbano iniziano a
diffondersi le idee e la prassi del socialismo di lotta, mentre in tutta Europa si
moltiplicano gli episodi di violenza, gli scioperi, i tumulti e le sommosse. La
borghesia e i grandi proprietari terrieri rimangono fortemente impressionati da tali
eventi; la sensazione che il clima sia mutato si accompagna alla paura di perdere i
privilegi di cui ancora godono.
E’ proprio in questo contesto che nasce tra gli intellettuali dell’epoca l’esigenza di
capire, di studiare il comportamento delle folle. Gli studi che hanno risposto a tale
necessità hanno costituito, e ancor oggi costituiscono, un riferimento cruciale per tutti
quegli autori interessati al rapporto fra ragione, sentimenti e opinione pubblica.
10
I tratti psicologi delle folle
L’opera “Psicologia delle folle” (1895) di Gustave Le Bon rappresenta ancor oggi un
contributo di grande rilievo, innanzitutto perché delinea con grande efficacia il
concetto di folla, concetto che nel corso del secolo XX è stato usato spesso in
opposizione a quello di pubblico.
Le Bon definisce la folla come una forma di aggregazione collettiva in cui
la personalità cosciente svanisce, (mentre) i sentimenti e le idee di tutte le unità si
orientano nella medesima direzione. Si forma così un’anima collettiva, senza
dubbio transitoria, ma con caratteristiche molto precise. […] La folla psicologica
è […] composta di elementi eterogenei saldati assieme per un istante, esattamente
come le cellule di un corpo vivente formano, riunendosi, un essere nuovo con
caratteristiche ben diverse da quelle che ciascuna di queste cellule possiede (Le
Bon 2004: 46-49)
Emerge subito, nella definizione di Le Bon, l’importanza del ruolo ricoperto
dall’emozione. L’unità dell’esperienza emotiva è infatti il cuore del fenomeno folla
1
;
tale unità è la causa scatenante, secondo l’autore, di quei comportamenti devianti e
violenti che dalla metà dell’800 infiammano le città europee e preoccupano
fortemente le autorità costituite.
Secondo la teoria che Le Bon definisce “legge dell’unità mentale delle folle”,
l’individuo all’interno della folla subisce una radicale trasformazione attraverso tre
meccanismi: l’annullamento del senso di responsabilità individuale grazie
all’anonimato garantito dalla folla; il contagio dell’emozione come avviene per una
malattia infettiva; la suggestione (la personalità cosciente viene sostituita da uno stato
simile a quello ipnotico). L’emotività dell’individuo viene quindi esasperata e il
sentimento si propaga grazie ai meccanismi di suggestione e contagio.
2
1
Già Scipio Sighele in La folla delinquente (1891) afferma che la folla non costituisce una semplice
somma di individui ma è piuttosto un’entità distinta, dotata di una propria “anima” (p.44)
2
Non sempre però la folla induce a compiere azioni criminali, a volte l’emozione condivisa può
generare un effetto moralizzatore che può sfociare in azioni eroiche; un individuo isolato agisce infatti
tenendo conto soprattutto dell’interesse personale. A tale proposito Le Bon afferma: “le esagerazioni
delle folle sono fondate soltanto sui sentimenti, e non sull’intelligenza. Per il solo fatto che un
individuo si trovi in una folla, il suo livello intellettuale […] si abbassa considerevolmente. […] E’
11
In questo processo un ruolo essenziale viene ricoperto dalla figura del capo; secondo
l’autore infatti, le folle ricercano per istinto un meneur a cui sottomettersi.
3
L’oratore
che vuole guidare e comandare le folle deve però utilizzare l’unico strumento
veramente efficace a sua disposizione: le emozioni. Il ragionamento, sottolinea Le
Bon, non è infatti di alcuna utilità: le collettività bramano piuttosto sentimenti
impetuosi, frasi violente, esagerazioni e ripetizioni.
Il meneur leboniano deve soprattutto imparare a sfruttare l’immaginazione: le folle,
praticamente non influenzabili dal ragionamento, riescono infatti a pensare solo per
immagini; è quindi fondamentale per l’oratore saper evocare immagini capaci di
sedurre e suggestionare la collettività, come avviene ad esempio nelle
rappresentazioni teatrali:
tutta la sala prova nello stesso tempo le stesse emozioni, e se queste non si
trasformano subito in atti, è perché lo spettatore più incosciente non può ignorare
di essere vittima di illusioni, e di aver riso o pianto assistendo ad avventure
immaginarie. Talvolta, tuttavia, i sentimenti suggeriti dalle immagini sono
abbastanza forti per trasformarsi in atti (95)
Paradossalmente invece una grande catastrofe, anche documentata da dati statistici, se
non si traduce in un’immagine visiva di forte impatto emotivo non riuscirà mai ad
impressionare più di tanto l’immaginazione popolare.
4
Le Bon infatti afferma:
dunque unicamente nell’ordine sentimentale che le folle possono salire molto in alto, o scendere al
contrario molto in basso” (p.78)
3
Una descrizione completa di tale processo la offre Boris Sidis in Psychology of Suggestion (1898).
Secondo l’autore vi sono due stadi nello sviluppo della coscienza della folla: nel primo la
suggestionabilità cresce fino a raggiungere una condizione simile all’ipnosi; nel secondo la folla
reagisce con l’impulsività di chi è ipnotizzato. In questo stadio la folla può diventare strumento nelle
mani del leader e può trasformarsi in tumulto popolare.
4
Anche Walter Lippmann, in L’opinione pubblica, evidenzia il ruolo chiave delle immagini: “Le
immagini sono, da sempre, il modo più sicuro di trasmettere un’idea; e subito dopo, nell’ordine, le
parole che richiamano alla nostra memoria delle immagini; ma l’idea trasmessa non è pienamente
nostra finché non ci siamo identificati con qualche aspetto dell’immagine. […] E allora perché la
situazione lontana non resti un grigio sfarfallamento ai bordi dell’attenzione, dovrebbe essere
suscettibile di venire tradotta in immagini in cui sia riconoscibile la possibilità di identificazione.”
(p.178-180)
12
non sono dunque i fatti in se stessi che colpiscono l’immaginazione popolare, ma
il modo in cui si presentano. Questi fatti devono produrre per condensazione, se
così posso esprimermi, un’immagine avvincente che riempia e ossessioni la
mente. Conoscere l’arte di impressionare l’immaginazione delle folle, vuol dire
conoscere l’arte di governare (98)
La rilevanza del concetto di folla va quindi oltre la semplice descrizione di un
fenomeno sociale ottocentesco; si realizza tutta la portata delle riflessioni leboniane
solo se si tiene presente che in “Psicologia delle folle” la folla non è descritta come un
gruppo di persone riunite necessariamente nel medesimo luogo nello stesso momento;
infatti l’autore precisa che
migliaia di individui separati possono, a un momento dato e sotto l’influenza di
certe emozioni violente, come ad esempio un grande avvenimento nazionale,
acquistare le caratteristiche di una folla psicologica. […] D’altra parte un popolo
intero, senza che vi sia un’agglomerazione visibile, diventa a volte una folla sotto
l’azione di questa o di quella influenza. (46)
Più avanti Le Bon aggiunge:
Il contagio […] può realizzarsi a distanza per effetto di certi avvenimenti che
orientano gli animali nella medesima direzione e determinano i caratteri specifici
delle folle
5
[…] Così per esempio, l’esplosione rivoluzionaria del 1848, partita da
Parigi, si estese bruscamente a gran parte dell’Europa e sconquassò parecchie
monarchie (161)
Se si considera l’estrema attualità degli studi sui processi di condivisione delle
emozioni fra individui dispersi spazialmente, soprattutto alla luce dell’affermazione di
mezzi di comunicazione a vocazione globale, ci si rende senz’altro conto di come il
lavoro di Le Bon sia ancor oggi un’opera dalla quale difficilmente si può prescindere
nello studio dell’opinione pubblica.
5
Alcune caratteristiche della folla leboniana possono però essere attribuite esclusivamente a folle di
individui presenti nello stesso luogo nello stesso momento. Lo stato ipnotico ad esempio può essere
ricondotto, secondo lo studioso francese, all’influenza di non meglio precisati “effluvi” che si
sprigionano dalla folla stessa.
13
Dopo la metà del diciannovesimo secolo emerge quindi con chiarezza come la teoria
democratica classica settecentesca non riesca a rappresentare adeguatamente i
cambiamenti in atto nella società. L’utopia di una naturale e pacifica armonia
d’interessi tra i gruppi e la fiducia nella discussione razionale generatrice di
un’opinione che sfocia in un’azione efficace, si scontra con la realtà tardo-
ottocentesca della lotta di classe e dei gruppi organizzati. Inoltre, come emerge anche
dagli studi sulla folla,
un ostacolo alla razionalità del dialogo fu la scoperta dell’efficacia dei richiami
irrazionali […] In queste condizioni non sorprende che possa sorgere un concetto
dell’opinione pubblica come semplice “reazione” – non si può dire “risposta” – a
ciò che viene comunicato dai mezzi d’informazione (Mills 1959: 282-286)
Se Le Bon vede infatti nelle folle soprattutto una fonte di violenza e criminalità, uno
studioso a lui contemporaneo, Gabriel Tarde, sottolinea invece come possano essere
facilmente vittima di inganno e manipolazione. L’ipotesi quindi della grande influenza
esercitata dalle masse sui governi
6
viene messa in discussione dalla possibilità da parte
delle autorità di guidare tale influenza grazie ai grandi mezzi di informazione. Non è
un caso infatti se i regimi totalitari del ventesimo secolo sfrutteranno proprio gli studi
degli psicologi della folla di fine ‘800 per scoprire come impiegare al meglio i nuovi
potenti media a loro disposizione per manipolare le masse.
7
Sigmund Freud in “Psicologia delle masse e analisi dell’Io” (1921) riprende l’analisi
di Le Bon sulle folle, concordando con la descrizione che l’intellettuale francese fa di
tale fenomeno. Alla luce della psicoanalisi, Freud ritiene tuttavia che lo studioso
ottocentesco abbia sottovalutato il ruolo del legame emotivo con la figura del meneur;
per lo studioso austriaco i legami affettivi sono infatti il fondamento stesso
dell’aggregazione fra persone e costituiscono l’essenza della psicologia collettiva.
6
“I destini delle nazioni nascono oggi nel cuore delle masse e non più nei consigli dei principi”
afferma Le Bon in Psicologia delle folle. Eppure nelle stessa opera lo studioso francese riconosce che:
“sempre pronta a sollevarsi contro un’autorità debole, la folla si inchina servile davanti ad un’autorità
forte.” (p.53)
7
Mussolini fu uno dei più fervidi ammiratori di Le Bon, come dimostrano le sue stesse parole: “Ho
letto tutta l’opera di Le Bon e non so quante volte abbia riletto la sua Psicologia delle folle. E’
un’opera capitale alla quale ancora oggi spesso ritorno.”
14
Freud, a differenza di Le Bon, rifiuta quindi di considerare la suggestione come un
fenomeno irriducibile; sostiene invece che il vero collante delle masse sia l’emozione
che nasce da un processo d’identificazione:
Si tratterebbe di una struttura libidinale correlata, basata sul fatto che i singoli
individui assumono a loro Ideale dell’Io lo stesso oggetto (il capo) e, di
conseguenza, si identificano gli uni con gli altri (Faina 2002: 71)
Tale meccanismo si realizza pienamente in quelle collettività che Freud definisce
“masse artificiali”, dove è l’esistenza di un capo supremo che impedisce la
disgregazione
8
; è il caso della chiesa e nell’esercito. Entrambe tali istituzioni si
reggono infatti grazie alla medesima fiducia (e illusione) nell’esistenza di un capo
supremo dal quale ogni individuo nella massa sente di ricevere uguale amore; se la
figura del meneur viene quindi a mancare, cessa anche il legame che unisce i seguaci.
Lo psicologo austriaco, come Le Bon, evidenzia inoltre i tratti comuni tra la folla e
l’orda primordiale, in primis la regressione ad un’attività psichica primitiva, e va oltre,
paragonando il capo al padre primigenio che incute timore e al quale gli individui
tendono naturalmente a sottomettersi.
La differenza che Freud rileva tra folla e massa organizzata non riguarda quindi i
meccanismi psicologici di base che sono i medesimi (assunzione a Ideale dell’Io dello
stesso oggetto, identificazione con gli altri) ma concerne unicamente il livello di
regressione che può essere raggiunto: nelle masse organizzate alcuni comportamenti
particolarmente estremi possono essere impediti o comunque limitati.
8
Vi sono altre situazioni invece in cui il rapporto con il meneur perde la sua centralità. Freud descrive
casi in cui un sintomo si trasmette fra più persone come per un’ “infezione psichica”; in questo caso
l’identificazione avviene tramite il sintomo. Vi è inoltre la situazione della festa in cui l’Ideale dell’Io
non è più l’elemento da seguire ma diviene l’elemento da trasgredire, da annullare, provocando così un
forte sentimento di gioia fra i trasgressori.
15
Immagini e simboli nella comunicazione di massa
Nei primi decenni del ‘900, stimolati anche dall’attualità politica, alcuni studiosi
europei iniziano a riflettere sulla natura del rapporto tra potere e masse. L’attenzione
si sposta dalle folle caotiche alle masse organizzate, aggregazioni collettive dove,
come osserva Freud, l’organizzazione può riuscire a domare e incanalare le
manifestazioni più estreme della psicologia di massa
9
.
Lippmann: le opinioni, i sentimenti e la comunicazione simbolica
Nel 1921 Walter Lippmann scrive “L’opinione pubblica”, opera che contiene spunti e
riflessioni di grande interesse. Lo studioso americano s’interroga sull’impatto dei
mass media sulla percezione della realtà fattuale e su come la classe politica abbia
imparato a sfruttare tali potenzialità al fine di creare consenso.
Nonostante le diversità tra “Psicologia delle folle” e il lavoro di Lippmann
10
, non
mancano elementi di contatto tra le due opere. Anche l’autore de L’opinione pubblica
sottolinea infatti il ruolo ricoperto dalle emozioni nel rapporto tra opinioni e potere,
approfondendo però alcuni aspetti solo sfiorati dallo studioso francese, come la forte
influenza dei media sulla percezione della realtà:
Il racconto di ciò che è accaduto, al di là della nostra vista e del nostro udito, in un
luogo dove non siamo mai stati, non ha e non può mai avere, salvo per brevi
attimi, come nel sogno o in una fantasticheria, tutte le dimensioni della realtà. Ma
può suscitare tutta l’emozione della realtà, e talora qualcosa di più. […] Lo
stimolo proviene da un punto che è fuori dalla vista, la reazione arriva in un punto
che è fuori dalla vista, solo l’emozione sta tutta dentro la persona. Della fame del
bambino egli ha solo un’idea, ma del desiderio di aiutarlo ha un’esperienza reale.
(Lippmann 1999: 214)
9
Se per Le Bon la folla era caratterizzata dall’unità mentale e dal momento irrazionale, la massa
secondo Josè Ortega y Gasset è una struttura psicologica permanente
10
Differenze innanzitutto di tipo qualitativo. Da un punto di vista prettamente scientifico Psicologia
delle folle non è infatti esente da lacune importanti, anche se va sottolineato il valore di alcune delle
intuizioni di Le Bon, come dimostra il successo stesso dell’opera
16
Questa emozione scaturita dallo stimolo originario viene in seguito ridestata grazie
all’uso di simboli e immagini abilmente manipolati; in tal modo si può spiegare,
secondo l’autore, come individui con opinioni e idee personali diversissime possano
essere unite da comuni sentimenti. Si realizzano infatti delle coalizioni intorno a un
simbolo nelle quali l’analisi critica dei fatti viene sostituita dal conformismo sotto il
simbolo stesso.
Lo studioso americano propone l’esempio dei Quattordici Punti di Wilson. Una
discussione pubblica a tale riguardo avrebbe sicuramente fatto emergere tutti i
contrasti tra gli interessi opposti delle parti in causa. Invece, a fronte di una realtà
fatta di idee antitetiche e posizioni difficilmente conciliabili, i punti wilsoniani sono
riusciti a suscitare un’emozione comune in grado di rincuorare le popolazioni
occidentali in un momento difficile della guerra. Appelli pubblici generici abbastanza
da poter significare tutto possono essere fatti propri facilmente da chiunque,
tramutando i propri desideri personali in diritti universali.
11
Lippmann sottolinea inoltre il ruolo essenziale giocato dall’emozione in quei
meccanismi mentali che consentono l’associazione fra idee. Concetti tra i quali è
assente qualsiasi legame logico possono infatti venire collegati se sono in grado di
suscitare il medesimo sentimento, come accade ad esempio con idee che provocano
dolore o piacere. Secondo l’autore infatti il sentimento è come
un flusso di lava fusa che travolge e incorpora tutto ciò che si trova sulla sua
strada. Quando vi si scava dentro si trova, come in una città sepolta, ogni genere
di cose buffamente intrecciate […] Di solito tutto ciò culmina nell’identificazione
di un sistema del male, e di un altro, che è il sistema del bene; allora si rivela il
nostro amore dell’assoluto. Infatti non abbiamo simpatia per gli avverbi che
qualificano e limitano, poiché ingombrano le frasi, e ostacolano il sentimento
irresistibile (171)
11
Le Bon, in Psicologia delle folle, afferma: “Il potere di una parola non dipende dal suo significato
ma dall’immagine che essa suscita. I termini dal significato più confuso possiedono a volte il più
grande potere. Così è ad esempio per i termini di democrazia, socialismo, eguaglianza, libertà,
eccetera, il cui significato è tanto vago che grossi volumi non bastano a precisarlo. Eppure, un potere
veramente magico si lega a quelle brevi sillabe, come se contenessero la soluzione di ogni problema.
Sintetizzano le più varie aspirazioni inconsce e la speranza della loro realizzazione” (p.135)
17
Eppure, nota Lippmann, relativizzare, contestualizzare, limitare, specificare, di tutto
ciò ha bisogno una discussione pubblica che si possa dire veramente razionale. Ma,
come già osservava Le Bon, l’influenza dei sentimenti irresistibili è grande, così come
è grande l’esigenza di semplificazione ed il peso degli stereotipi:
lo spazio reale, il tempo reale, le quantità reali, le responsabilità reali vanno
perduti. La prospettiva e lo sfondo e le dimensioni dell’azione vengono ritagliati e
congelati nello stereotipo (172)
Lo studioso americano sembra avvalorare l’idea che la centralità dei simboli e delle
immagini in politica sia da collegare alla natura stessa dello stato-nazione. Si può
infatti affermare che siano proprio le immagini e i simboli a creare ed alimentare quel
sentimento nazionale che svolge una funzione così importante per la coesione di un
paese. Il potere delle immagini e delle emozioni può essere sicuramente utilizzato per
manipolare le masse, diffondendo ad esempio la paura attraverso l’esagerazione di
alcuni pericoli; ma tale potere consente anche di mantenere quell’unità, quella
coesione fondamentale in frangenti storici particolarmente difficili; secondo l’autore,
ci sono infatti situazioni in cui è “più importante agire che capire”. In tali circostanze i
simboli, attraverso le emozioni che essi suscitano, possono garantire l’unità
necessaria, ovviamente a scapito del libero confronto fra opinioni diverse.
Per chiarire meglio la stretta relazione che lega i sentimenti, i processi di
identificazione e l’opinione pubblica, Lippmann propone, come Le Bon, la metafora
del teatro:
E’ il problema di provocare emozioni nel lettore, di indurlo a provare un senso di
identificazione personale con le vicende di cui sta leggendo. La notizia che non dà
questa possibilità di inserirsi nella lotta che presenta non può attirare un vasto
pubblico. Il pubblico deve partecipare alla notizia, pressappoco come partecipa al
teatro, mediante l’identificazione personale. (356)
18
Se lo studioso statunitense da un lato prende quindi atto dell’importanza dell’elemento
emotivo, dall’altro assume una posizione nettamente a favore della razionalità.
12
Nonostante ciò, Lippmann ha la lucidità per cogliere pienamente la grande criticità del
rapporto fra ragione e politica.
La politica deve governare situazioni di emergenza, si deve confrontare
quotidianamente con un mondo profondamente irrazionale; il punto è che, secondo lo
studioso, a fronte di tale imprevedibilità e complessità, la ragione in politica si è
dimostrata ancora immatura,
infatti il ritmo col quale la ragione che possediamo può avanzare è più lento del
ritmo col quale si deve agire. Allo stato attuale della scienza politica accade che le
situazione si trasformino prima di essere chiaramente intese, per cui la maggior
parte della critica politica è semplicemente retrospettiva. […] Finché la ragione
sarà sottile e volta al particolare, l’immediata lotta politica continuerà a esigere
una dose di astuzia naturale, di forza e di fede indimostrabile quale la ragione non
può né fornire né controllare (413-414)
In questo contesto nasce quindi la necessità per l’uomo politico, specialmente nei
momenti di crisi, di far leva sui sentimenti attraverso l’uso di slogan e la
manipolazione di simboli. Lippmann non nasconde i rischi di tale processo,
soprattutto in relazione alla tenuta degli equilibri democratici:
quando c’è un atmosfera di panico, e le crisi si susseguono l’una all’altra, e i
pericoli reali si mescolano ai timori immaginari, non c’è possibilità alcuna di
usare in modo costruttivo la ragione e ben presto un qualsiasi ordine apparirà
preferibile al disordine. (412)
12
“[…] né possiamo spiegare perché l’odio, l’intolleranza, il sospetto, il bigottismo, la segretezza, la
paura e la menzogna siano i sette peccati mortali contro l’opinione pubblica. Possiamo solo affermare
che non hanno posto nell’appello alla ragione, che alla lunga sono un veleno” (p.415)