Introduzione
È cresciuta, negli ultimi anni, l’attenzione di studiosi e ricercatori nei
confronti dei mercati emergenti quali aree dalle forti potenzialità di sviluppo e
bacino di opportunità di internazionalizzazione per le imprese straniere,
europee ed italiane, in particolare.
Emerge, alla luce delle osservazioni proposte, il ruolo dei Bric (Brasile,
Russia, India, Cina, di recente diventato “Brics” con l’inserimento del
Sudafrica) nell’economia mondiale: nazioni popolose, in forte
urbanizzazione, ricche di materie prime, in grado di competere, oggigiorno,
con le maggiori economie occidentali. Accanto alle opportunità di
investimento offerte dalle aree oggetto di indagine, non possono, tuttavia,
essere trascurati i rischi connessi all’ingresso in mercati geograficamente e
culturalmente distanti, spesso caratterizzati da instabilità politica, e
inadeguatezza delle infrastrutture esistenti.
Discende, dalle considerazioni riportate, l’esigenza di fornire un quadro
interpretativo esaustivo dei vantaggi e dei pericoli insiti nella gestione di
qualsivoglia attività di investimento in uno o più mercati emergenti onde
limitare il rischio di insuccesso e/o fallimento delle iniziative intraprese.
Suddetta esigenza costituisce il “core” del lavoro di tesi, quest’ultimo teso sia
ad analizzare le determinanti sottese alle scelte di internazionalizzazione delle
imprese nelle aree emergenti, con specifico riferimento ai Bric, sia ad
esaminare le scelte strategiche e le azioni di marketing più idonee al successo
delle iniziative.
2
Coerentemente con l’obiettivo perseguito, nella prima parte del lavoro sono
state esaminate le caratteristiche macro economiche dei Bric, onde fornire un
quadro complessivo dei principali rischi e delle opportunità che caratterizzano
le aree emergenti in esame. Le indagini dei dati macro-economici sono stati
successivamente interpretati alla luce delle argomentazioni teoriche proposte
in seno agli studi di International Business e di International Strategy.
L’esame del framework teorico di riferimento ha consentito, altresì,
l’individuazione delle strategie e delle politiche di marketing che le imprese
dei paesi sviluppati possono adottare quando decidono di penetrare in una di
queste aree.
Nella seconda parte del lavoro, le analisi e le argomentazioni proposte nei
primi capitoli sono state contestualizzate ad un caso specifico: quello di
internazionalizzazione delle imprese italiane in Cina. Un utile supporto
all’analisi del contesto cinese è stato individuato nel modello del diamante
della competizione nazionale elaborato da Porter (1990). Il diamante di Porter
è stato, pertanto, utilizzato per interpretare le ragioni sottese al dirompente
sviluppo economico cinese, sviluppo economico che ha coinvolto i più
disparati settori dell’economia, tra i quali, l’agroalimentare.
Va rilevato, al riguardo, l’interesse per le imprese italiane a fronte del recente
rapido sviluppo registrato nei livelli di importazioni di vino dalla Cina. La
crescita nei consumi di vino in Cina può essere ricondotta a due fenomeni
particolari: la progressiva occidentalizzazione della popolazione e la riduzione
dei dazi di importazione sul vino (dal 65% al 14%). Si tratta di un comparto di
grande interesse per le imprese italiane, infatti, tra i cinque principali
importatori di vino in Cina c’è l’Italia. Nonostante ciò, si rileva
l’inadeguatezza dell’approccio all’internazionalizzazione delle imprese
3
vitivinicole italiane in Cina, a fronte della quale occorre definire linee guida,
percorsi strategici e approcci di marketing adeguati al contesto locale e in
grado di sostenere il successo delle iniziative intraprese.
Il lavoro si conclude con la presentazione dell’esperienza di
internazionalizzazione in Cina dell’azienda vitivinicola pugliese Tormaresca.
Le informazioni raccolte sono il frutto dei colloqui e delle interviste condotte
presso l’azienda. Grazie all’esperienza del Dott. Vito Palumbo, Responsabile
Export dell’azienda, si è cercato di trarre delle conclusioni rispetto alle reali
opportunità derivanti dalla commercializzazione di vini biologici in Cina per
le imprese italiane e, in particolare, per quelle pugliesi.
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CAPITOLO I
DALLA GLOBALIZZAZIONE ALL’AFFERMAZIONE
DELLE NUOVE ECONOMIE EMERGENTI
1.1. Il ruolo dei Bric nell’Economia Globale
Dieci anni fa l’economista Jim O'Neill
1
ha avanzato un'ipotesi: i paesi del
G7, come Stati Uniti, Regno Unito e Giappone, avrebbero smesso di essere le
superpotenze economiche del pianeta
2
. La globalizzazione avrebbe dato avvio
a una nuova era, in cui i paesi emergenti (Brasile, Russia, India e Cina),
nazioni popolose, in forte urbanizzazione, ricche di materie prime e piene di
ambizione, avrebbero spodestato le più grandi economie occidentali. Così
sono nati i Bric (oggi Brics, perché è entrato a farne parte anche il Sudafrica).
Nessun'altra idea economica ha segnato più di questa l'inizio del ventunesimo
secolo: l'acronimo Bric è ormai diventato sinonimo dello spostamento dell'ago
della bilancia dell'economia mondiale dai paesi industrializzati alle economie
emergenti.
Al momento della pubblicazione, l’articolo non destò molto scalpore poiché
le tesi che esponeva O’Neill non apparivano particolarmente radicali: sulla
base di un’analisi del Pil globale, egli sosteneva che quattro Paesi, che
all’epoca controllavano l’8% del Pil mondiale, avrebbero assunto un ruolo
1
Presidente dell’Asset Management della Goldman & Sachs dal 2010 al 2013.
2
Il concetto di Bric viene presentato per la prima volta in: O’NEILL J. 2001, “Building better economic
BRICs”, in Goldman Sachs Global Economic Paper, N. 66.
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rilevante nell’ambito dell’economia globale nel successivo decennio e che
entro il 2041 (un orizzonte in seguito anticipato al 2039 e poi al 2032) il Pil
dei Bric sarà superiore a quello dei principali paesi industrializzati, i G7
3
. In
particolare, egli osservava che la Cina aveva già un Pil superiore a quello
dell’Italia (un membro storico del G7, il gruppo delle superpotenze
economiche) e nel decennio successivo avrebbe sopravanzato varie altre
nazioni del G7. Pronosticava che il Brasile, in presenza di condizioni
favorevoli, che all’epoca apparivano improbabili, avrebbe assistito, entro il
2011, a una crescita del Pil che l’avrebbe portato non molto indietro all’Italia.
All’inizio l’idea non sembrava del tutto plausibile: si trattava di paesi ancora
arretrati e il modello economico utilizzato per arrivare a questa previsione
pareva troppo semplificato e meccanicistico. Tuttavia, sbaglierebbero coloro
che considerassero i Bric come una finzione, una forzatura o un fenomeno di
moda. È invece un blocco economico che sta mostrano la propria forza,
aiutato, evidentemente, dalla capacità di questi paesi di far fronte alla crisi
economica globale e di uscirne rafforzati. Sia in termini di crescita del Pil, di
partecipazione ai grandi flussi globali (il commercio, gli investimenti, le
migrazioni), sia di contributo alla creazione di nuova conoscenza scientifica e
tecnologica, il peso dei Bric è cresciuto molto rapidamente negli ultimi anni
del XXI secolo. Le previsioni di O’Neill nel tempo si sono avverate: il Pil
brasiliano, pari a circa 2,1 miliardi di dollari, ha superato quello italiano nel
2010 e il Brasile è diventato la settima economia del pianeta. Nei primi due
mesi del 2001 si è saputo che l’economia cinese aveva sorpassato quella
giapponese (diventando la seconda al mondo) e il Pil cinese dal 2001 a oggi è
quadruplicato, passando da 1.500 a 6.000 miliardi di dollari; nell’ultimo anno
3
Germania, Giappone, Canada, Italia, Regno Unito e Stati Uniti.
7
la Cina è diventata primo paese importatore al mondo di petrolio e ha
superato gli Stati Uniti in consumi
4
. Dal punto di vista economico, è come se
nell’ultimo decennio la Cina avesse creato tre nuove Cine. Gli altri Bric
hanno fatto progressi altrettanto impressionanti. Ad esempio IndiGO, una
sconosciuta compagnia aerea low-cost indiana, aveva ordinato 180 Airbus
A320, raggiungendo così due terzi delle dimensioni dell’europea EasyJet, ben
più affermata; e la Russia era diventata il più grande mercato automobilistico
d’Europa
5
.
Tutti e quattro i paesi hanno addirittura superato le aspettative di crescita. Il
Pil aggregato dei Bric è quasi quadruplicato dal 2001 a oggi, passando da
circa 3.000 miliardi di dollari a 11-12 mila miliardi. L’economia mondiale è
raddoppiata e un terzo di quella crescita è provenuta dai Bric. L’aumento
complessivo del Pil dei Bric è stato più del doppio di quello degli Stati Uniti,
equivalente alla creazione di un nuovo Giappone e una Germania, oppure
cinque Regni Uniti, nello spazio di soli dieci anni.
Alla luce di questo successo, non stupisce che molti altri paesi si sforzino di
diventare i prossimi Bric: gli indonesiani vorrebbero far parte dei prossimi
Brici; i politici messicani vorrebbero diventare Bricm; in Turchia vorrebbero
far parte del Brict. Solo il Sudafrica nel 2010 è stato accolto nei Bric, che oggi
sono “Brics”, non solo perché è una terra ricca di materie prime a prezzi
convenienti, bensì anche perché è un partner strategico sia dal punto di vista
economico che strategico.
4
La Cina supera gli Stai Uniti, ora è la prima potenza commerciale al mondo -
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/02/10/cina-supera-usa-e-prima-potenza-commerciale-al-
mondo/494453/.
5
O’NEILL J. (2001), La mappa della crescita. Opportunità Economiche nei BRICs ed oltre, Penguin UK, Londra.
8
Grazie alla tecnologia, la globalizzazione sta entrando in una fase
radicalmente nuova. I modelli economici faticano a tenere il passo con
l’erosione dei confini economici tra nazioni e di recente si è assistito a
profondi mutamenti politici. Decidendo di partecipare più attivamente
all’economia globale, i Bric si sono aperti alle migliori politiche
macroeconomiche dell’Occidente. I loro governanti ed economisti hanno
deciso di apprendere e applicare la lezione della crescita occidentale.
I principali istituti finanziari internazionali, i più quotati economisti mondiali
e molti studi di consulenza per gli investimenti sono concordi nel ritenere il
secolo apertosi da circa un decennio come quello dell’ascesa dell’Asia e del
ridimensionamento del potere economico dell’Occidente. Tra i “previsori” del
secolo asiatico vi sono alcune differenziazioni, soprattutto in merito
all’individuazione dell’anno fatidico in cui il Pil della Cina supererà quello
degli Stati Uniti. Secondo alcuni ciò non avverrà prima del 2050, secondo
altri potrebbe al contrario avvenire già attorno al 2030, se non prima. C’è chi,
infine, sostiene che il superamento in realtà è già avvenuto, almeno in termini
di parità di poteri di acquisto. Nonostante cambino le metodologie, i sistemi
di stima e la sostenibilità nel tempo di tali previsioni, pressoché tutti sono
concordi nel sostenere due cose: l’Occidente è ormai destinato a perdere la
guida della crescita economica del mondo mentre un gran numero di paesi
emergenti ridisegneranno la mappa geo-economica del pianeta. I quattro paesi
Bric hanno le dimensioni, le risorse e le disponibilità di fattori produttivi tali
da poter influenzare con la loro crescita gli equilibri economici e di potere
mondiali. Due di questi paesi, la Cina e l’India, si distanziano
significativamente dal gruppo dei Bric per dotazioni di potenza e posizione
strategica e sono destinati ad un ruolo di guida dei paesi emergenti e a
9
sbilanciare, nel cuore dell’Asia Sud Orientale, il baricentro della crescita
globale. La Cina, in particolare, costituisce un caso a sé, inquadrabile i
n una categoria di sviluppo tutta sua per forza della propria economia e del
proprio impareggiabile tasso di crescita, almeno fin quando il maggiore
potenziale demografico dell’India non consentirà a Nuova Delhi di recuperare
il ritardo di sviluppo con Pechino.
L’emersione della Cina e dell’India, preannunciata già dall’ascesa delle tigri
asiatiche nel corso degli anni Novanta, ha segnato (forse definitivamente) il
futuro della globalizzazione moderna, sottraendola al controllo che
l’Occidente aveva mantenuto sul processo dal suo avvio (negli anni Ottanta)
fino alla sua crisi (2008)
6
.
La crisi economica e finanziaria avvenuta al termine di tre decenni di
crescente globalizzazione ha segnato una profonda linea di demarcazione tra
le economie mature occidentali e le principali economie emergenti e quelle
dei Bric. In particolare, nonostante la crisi economica del 2008 abbia avuto
(forse per la prima volta nella storia) portata planetaria, la sua origine
statunitense e le modalità con cui i vari paesi del mondo ne sono stati colpiti e
ne sono usciti hanno chiaramente tracciato una nuova mappa del chi dominerà
la nuova globalizzazione del XXI secolo. Con la crisi del 2008, che tra le altre
cose ha messo a nudo e sotto tensione il rapporto tra la Cina ed il debito
pubblico americano, si è aperta una nuova fase della globalizzazione, che
ridisegnerà profondamente i rapporti tra “the West and the Rest”, ma
differenzierà anche le posizioni ed i ruoli all’interno dei Bric e degli altri
paesi emergenti. Difatti, a fronte di una crisi economica che ha colpito tutto il
6
QUERCIA P. e MAGRI P. (a cura di) (2011), I BRICs e noi: l’ascesa di Brasile, Russia, India e Cina, Istituto per
gli studi di Politica Internazionale, Roma, pp. 15.
10
mondo, gli effetti sulla crescita delle principali potenze economiche mondiali
sono stati estremamente diversificati. In generale, la maggior parte dei Paesi
emergenti, Cina ed India in primis, hanno attraversato la crisi in maniera
estremamente agevole, facendo registrate una minima flessione del Pil nel
corso del picco della crisi ed un successivo perentorio recupero, al punto che
nel 2010 i due giganti asiatici hanno ripreso a toccare tassi di crescita attorno
al 10%. Al contrario, la crisi in Occidente è stata massiccia, più lunga nel
tempo, praticamente capace di azzerare l’oramai sua lenta crescita. La crisi ha
segnalato il raggiungimento del capolinea di un modello di sviluppo non più
sostenibile nel momento in cui anche il resto del mondo converge verso quei
modelli, ed il cui superamento comporta costi sociali elevatissimi,
difficilmente praticabili in sistemi democratici parlamentari, come dimostra il
caso greco.
Non solo i tempi di uscita dalla crisi, ma anche le politiche con cui
l’Occidente e il resto del mondo hanno risposto al rallentamento della crescita
stanno a indicare le differenze esistenti tra le economie dei Bric e quelle dei
paesi avanzati. Il paradosso a cui si è assistito negli ultimi anni è che
l’Occidente del libero mercato globale è dovuto ricorrere a massicce dosi di
stimoli statali e di regolamentazioni per alimentare la sua debole crescita.
L’Occidente, ad iniziare dagli Stati Uniti fino ai paesi europei, ha fatto ampio
ricorso all’intervento della mano pubblica nell’economia, sia per salvare le
banche indebitate che per produrre artificiali incentivi alla crescita attraverso
stimoli fiscali e interventi di stampo keynesiano
7
. Ciò non potrà non gravare
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I modelli neo keynesiani partono dall’assunto che i prezzi e i salari siano "sticky" (vischiosi), cioè che essi
non si adeguino istantaneamente alle variazioni delle condizioni economiche. Ciò implica che l'economia
possa fallire dall'ottenere la massima occupazione. Si ritiene che la stabilizzazione macroeconomica con
intervento dei governi centrali (usando la politica fiscale) o delle banche centrali (usando la politica
monetaria) può portare ad un risultato più efficace di una politica macroeconomica del laissez faire.