2
In realtà agli stessi economisti neoclassici ,che si occupano di crescita ,
l’intervento pubblico nell’accumulazione di sapere appare un male necessario a
fronte dei fallimenti del mercato.
Il sofware “chiuso” , come si evince da quanto in seguito esposto ,rientra
sicuramente nel modello di mercato non ottimale in senso paretiano .Tuttavia
stupisce sapere che in questo contesto non lo Stato ma l’individuo ,preso come
singolo di una comunita’, ha avviato un processo di ottimizzazione del
benessere sociale.
In un contesto dunque dove la cosiddetta “mano invisibile “ era legittimata ad
intervenire troviamo piuttosto gruppi affiatati di hackers, rimediare (a loro
modo) alle imperfezioni del mercato.
Nella prima parte di questo lavoro( cap 1-2-3) vengono analizzate le cause dei
fallimenti nel mercato del software (con particolare riferimento al problema del
brevetto).
Si riprendono i seguenti concetti applicandoli al software (open e/o closed ) :
ξ BENE PUBBLICO: il software e’ per sua natura un bene non escludibile e
non rivale. Un bene è escludibile se il produttore è in grado di impedire di
usare il bene a coloro che non ne hanno pagato il prezzo. Se un bene non è
escludibile è ovviamente impossibile venderlo, visto che si può averlo
gratis. Il sistema dei diritti di proprietà intellettale (brevetti, copyrights e
piu’ in generale il non accesso al codice sorgente ) seppur sviluppato per
garantire incentivi di mercato nella produzione di idee va ,in tale contesto,
perdendo di efficacia:esso infatti rende privatizzabile un bene pubblico
rendendolo artificialmente escludibile .
Per quel che concerne la rivalità all’uso: se un bene è rivale è impossibile
che più consumatori lo usino allo stesso tempo: se l’individuo A porta un
certo paio di occhiali, l’individuo B puo’ indossare contemporaneamente un
altro paio di occhiali dello stesso modello, ma non lo stesso paio. In generale
i beni tangibili sono rivali, mentre quelli intangibili no. Se un bene è non
rivale il suo costo di produzione è lo stesso qualunque sia il numero degli
3
utenti o in altre parole il costo di produzione è nullo dal secondo utente in
poi.
ξ IL DILEMMA DELL’INNOVAZIONE :notare che i beni non rivali sono
in genere incorporati in un supporto materiale, bene rivale. Il punto è che il
costo del supporto materiale non è in relazione con il costo del bene
intangibile incorporato. Ma in tal caso se si fa pagare per il bene rivale un
prezzo al singolo utente il benessere collettivo non è massimizzato,
nemmeno nel senso stregato della teoria economica. Efficienza vorrebbe che
i beni non rivali siano offerti gratuitamente, ossia che si paghi solo per il
loro supporto materiale. Ovviamente però a prezzo zero non è conveniente
produrre un bene. Da qui il dilemma: se il prezzo di un bene ( per esempio
un programma di scrittura ) è più alto del costo di produrne una copia in più,
qualcuno che nel "paradiso degli economisti" lo userebbe non lo farà. Ma se
il prezzo non è più alto del costo di produzione (costo del supporto
materiale) il produttore non potrà coprire i costi necessari per inventare il
programma (bene intangibile) e non vi saranno incentivi economici per
l’attività di innovazione. Per capire la portata drammatica del dilemma si
pensi ad esempio alla battaglia tra case farmaceutiche e governo sudafricano
circa i medicinali anti Aids. Il sistema dei brevetti mira a far fronte al
problema, ma lo fa limitando la concorrenza tra imprese, senza la quale i
cosiddetti teoremi dell’economia del benessere non valgono.
(Su tale dilemma si cherchera’ di far chiarezza in tutto il capitolo 3).
ξ PRESENZA DI REDIMENTI DI SCALA CRESCENTI: ad aggravare
quanto detto vi sono poi i cosiddetti rendimenti di scala crescenti che
orientano il mercato verso monopoli o oligopoli.
In una economia in cui i prodotti sono essenzialmente materie prime
congelate, con poco sapere incorporato, si avranno rendimenti costanti o
decrescenti alla produzione, in una economia in cui i prodotti sono sapere
congelato con scarso uso di materie prime si ottengono rendimenti crescenti.
Nel primo caso nel mercato possono convivere molte imprese perché la
4
maggiore dimensione non è di per sè un vantaggio, anzi ciascun settore può
andare incontro a limiti dovuti per esempio all’esaurirsi delle risorse
naturali. Nel secondo caso, la convenienza a produrre aumenta con la scala
della produzione .Infatti i costi totali di produzione consistono
fondamentalmente nell’attività di ricerca e sviluppo:il software ha altissimi
costi per la prima copia (tanto maggiori quanto maggiore e’ la complessita’
del prodotto in termini di istruzioni) mentre i costi unitari diminuiscono
rapidamente con la quantità prodotta. Ogni copia del programma può
potenzialmente diventare la fabbrica di se stesso.
Grafico 0.1 :Curva del costo di produzione della prima copia e curva
del costo marginale.
ξ INSUFFICIENTE CONCORRENZA : senza concorrenza tra imprese la
maggiore efficienza di produzione si tramuta non in prezzi più bassi per i
consumatori ma in accumulo di ricchezza per i capitalisti.
5
Sono molteplici le ragioni che spingono il mercato dei software “chiusi”
verso monopoli naturali. Tra queste le piu’ rilevanti sono:
a) effetti di network: molti prodotti hightech sono utili solo se compatibili
con quelli usati da altri utenti. Più tali prodotti si diffondono, maggiore è la
possibilità che emergano come standard.
b) effetti di apprendimento da parte dei consumatori. I prodotti high-tech
sono in genere difficili da usare, imparare a farlo richiede tempo. Una volta
che un consumatore abbia compiuto questo investimento di tempo in un
prodotto, sarà per lui conveniente usarne le versioni successive, invece che
passare a un prodotto concorrente, anche migliore. Data la natura
dell’informazione e della conoscenza sembrerebbe infatti che i monopoli
siano destinati a crescere, spinti dal fatto che le economie di scala in molte
categorie di beni si applicano sia dal lato dell’offerta che della domanda,
attraverso le esternalità della rete.
Ciò rafforza il potere di chi già detiene grosse quote di mercato. Questo
meccanismo è ben noto ai produttori di software, i quali quindi, spesso non
si preoccupano in maniera eccessiva di contrastare la proliferazione di copie
illegali dei propri prodotti, in quanto sanno che anche da queste ricevono in
realtà un guadagno, dipendente dal fatto che ci si trova di fronte ad un
ulteriore utente che afferma il loro standard.
Si consideri a riguardo quello che avviene tra la Microsoft ed il Governo
Cinese, reo di rappresentare un mercato il cui tasso di ‘pirateria’ dei prodotti
digitali sfiora il 92% del mercato di tali beni, ma che allo stesso tempo si
presenta come uno dei mercati esistenti più appetibili in quanto ad ampiezza
ed omogeneità.
In questa situazione la strategia di non colpevolizzare eccessivamente i
possessori di copie illegali può probabilmente rappresentare per la ditta in
questione una soluzione per conquistare una più ampia quota di mercato
iniziale rispetto ai competitori e questo spiegherebbe il minor impegno alla
lotta contro l’illegalità, derivante dal non rispettare i brevetti sui prodotti
6
Microsoft, in atto in Cina rispetto alla strenue battaglia che la stessa ditta
conduce sul mercato Usa, che già la vede come standard.
1
ξ ASSIMETRIA INFORMATIVA :il produttore conosce il proprio prodotto
e l’acquirente no; nei casi in cui le informazioni su un prodotto sono
fondamentali per stabilirne il prezzo, si ha un fallimento del mercato ossia si
ha una di quelle condizioni ove l’incontro tra domanda e offerta non è in
grado di determinare un prezzo corretto. Ecco una condizione ricorrente nel
mercato del software.
Ma l’assimetria informativa se da un lato investe il consumatore ( in quanto
non accedendo al codice sorgente non conosce a pieno il prodotto) non esula
neanche il produttore stesso che non e’ infatti in grado di controllare
esogenamente il comportamento degli acquirenti di conoscenza. In
particolare la conoscenza è un bene non solo facilmente trasferibile e
copiabile, ma soprattutto è un bene malleabile, che può essere modellato,
riadattato e da cui può essere creata ulteriore conoscenza. E' facile
immaginare una serie di comportamenti opportunistici che, non potendo
essere tutti inseriti nei contratti, rendono la licenza un contratto rischioso
(tramite la licenza si potrebbero fornire ai concorrenti le basi per lo sviluppo
di un prodotto superiore, oppure i licenziatari potrebbero vendere -
lievemente modificata o ampliata - la conoscenza data in licenza).
La licenza dovrebbe quindi prevedere un premio per il rischio. Se a questa
considerazione si aggiunge quanto vedremo successivamente relativamente
alla perdita di controllo non solo del comportamento dei concorrenti, ma
anche dei consumatori, innescata dall'avvento dell'ICT, è possibile affermare
che il raggiungimento del "right price" risulta possibile solo in pochi casi.
ξ INCOPLETEZZA CONTRATTUALE :I comportamenti di “free riding“
sono determinanti nell'influenzare la performance della imprese produttrici
di software e per la concorrenza nel mercato. Tali comportamenti affondano
1
Si veda ‘Profit from Piracy’, S. Williams, www.salon.com
7
le proprie radici nell’incompletezza contrattuale, in quanto gli accordi fra i
partner risultano molto complessi nella loro stesura e nella loro
realizzazione. Le difficoltà non riguardano soltanto la numerosità delle
variabili da contemplare, ma la stessa osservabilità e misurabilità delle
risorse da mettere in comune. Le imprese possono quindi avere incentivo a
mettere in atto comportamenti opportunistici, diminuendo la quantità o la
qualità degli input forniti alla ricerca ed i costi ad essa relativi, al fine di
massimizzare i propri profitti a spese dei partner.
2
Piu’ dettagliatamente il lavoro della prima parte di questa tesi è strutturato nel
modo seguente:
ÆIl primo capitolo introduce l’argomento partendo dalle definizioni di Free
Software e di Open Source Software.
Partendo da una panoramica storica del fenomeno si arriva a menzionare
la comunità di sviluppo del fenomeno in questione, delineando i principi, le
caratteristiche e l’etica che ne è alla base.
Si tenta inoltre di definire le pecularieta’ del software e dei fallimenti del
mercato ad esso associato.
La seconda parte del capitolo ha per protagonisti i più diffusi prodotti open
source a dimostrazione che il nuovo modello “free” ha già dato risultati di
notevole interesse.
ÆNel secondo capitolo vengono descritte le più importanti licenze “aperte”
come strumenti volte a tutelare il free software. Vengono poi confrontati due
elementi appartenenti allo stesso insieme ma di per se così eterogenei: il
copyright e il copyleft.
In quest’ultimo il “diritto d’autore” diviene il divieto di porre divieti!
ÆCon il terzo capitolo si arriva a discutere un tema piuttosto delicato e non
ancora giunto ad una soluzione univoca e universale: si tratta del brevetto .
Per quanto possibile si cerca di districare l’ingrovigliata matassa della
legislazione sulla brevettabilita’cercando di sottolineare le conseguenze che una
2
Battaggion M.R., Modelli neoclassici di R -S, strategia di impresa e struttura di mercato, in
Malerba F. (a cura di) Economia dell'innovazione, Carocci, 2000. L'enfasi è aggiunta.
8
effettiva applicazione dello stesso arrecherebbe nel sistema della produzione
informatica.Per completare il quadro si darà una panoramica veloce sul
medesimo tema nei vari Stati.
Nella seconda parte di questa tesi ( cap 4-5) si cerca di associare i principi
dell’open software ad un nuovo modello economico ove non e’ piu’ la
produzione ad arrecare “valore” ma e’ l’erogazione dei servizi del software
stesso.
Vengono forniti esempi di imprese che , pioniere di questo nuovo modo di
creare business , si sono “imposte”sul mercato , a dimostrazione che l’Open
Source non e’ solo un movimento etico-filosofico.
ÆIl quarto capitolo infatti,vuole costruire la visione produttiva del “open
development”, e considerare alcune delle implicazioni più rilevanti che esso ha
sulla struttura dell’industria informatica.
Fulcro di questo capitolo è la presentazione del nuovo modo di produrre e
distribuire software.Esso viene analizzato partendo da casi reali di business già
affermati confrontandoli con gli standard tradizionali. L’idea di fondo è che il
software non è tanto un bene, quanto un servizio, e come tale va trattato.
ÆInfine nel capitolo cinque vengono esaltati i possibili vantaggi di
un’applicazione dell’Open Source Software nella Pubblica Amministrazione.
A trarre beneficio non e’ soltanto l’azienda pubblica ed il suo bilancio .Il “Free
Software” può fare molto di più ampliando i suoi effetti positivi anche
sull’utente –cittadino.
Al termine di questo lavoro saranno proposte alcune riflessioni sia personali, sia
sulla linea di quanto la recente letteratura ha rilevato riguardo il fenomeno.
E’ ormai diffusa opinione che lo Stato debba intervenire nel diffondere l’Open
Source Software ,non solo utilizzandolo lui stesso come utente, ma favorendo
un processo conoscitivo del fenomeno amplificando cosi’ la sua diffusione .
Inoltre a fronte degli innegabili fallimenti di mercato che le softwarehouse
producono con le loro strategie aziendali , lo Stato non puo’ convincersi che la
sola comunita’ hacker possa riportare la societa’ al suo “Ottimo Paretiano”.
9
Riguardo a cio’ nella conclusione sono stati avanzati alcuni possibili interventi
“migliorativi” che lo Stato dovrebbe attuare.
Nonostante personalmente mi senta vicino alle istanze ed alla filosofia che sono
alla base di questo movimento, ho cercato di proporre i fatti e le argomentazioni
nel modo più obiettivo possibile, non mancando di rilevare le contraddizioni, le
fratture ed i punti deboli di una realta‘che, per quanto giovane, è troppo spesso
rappresentata con toni eccessivamente positivi e trionfalistici soprattutto dagli
entusiasti dell’ultim’ora. La mia intenzione quindi, con questo lavoro, è di
rendere un quadro il più fedele possibile di un fenomeno sia culturale che
economico che si sta affermando negli ultimi anni, sottolineandone ove
possibile le implicazioni organizzative ed aziendali alla luce del suo recente
affacciarsi nel mondo delle imprese.
10
CAPITOLO 1
L’EVOLUZIONE DELL’OPEN
SOURCE
1.1 LE RAGIONI IDEOLOGICHE ED
ECONOMICHE DELL’OPEN SOURCE
1.1.1 LE RAGIONI IDEOLOGICHE DELL’OPEN SOURCE:
RIPORTARE UN BENE PUBBLICO ALLE SUE
ORIGINI
L’Open Source
3
ha raggiunto la notorietà in tempi molto recenti, oggi viene
menzionato e discusso non solo dalla stampa specializzata ma anche su media
più generici come le trasmissioni televisive e radiofoniche. Il fatto che tanta
attenzione sia dedicata ad un particolare fenomeno legato al mondo
dell’informatica e non strettamente connesso con l’utenza popolare, com’è il
caso Internet, è indice di novità non ristretta all’ambito tecnico, ma legata ad un
ambito più vasto, l’ambito delle innovazioni culturali.
L’Open Source non è un fenomeno recente, anzi, è stato il primo modus
operandi dell’informatica. Il software infatti nacque come “ open source” negli
storici laboratori che per primi si occuparono di informatica:il CERN
4
, i Bell
Labs, lo Xerox Park, il IA Lab del MIT, Berkeley.
Allora non c’era bisogno di porre distinzioni tra le licenze di software o la
distribuzione degli eseguibili piuttosto che dei sorgenti, ciò che veniva creato
diventava patrimonio della comunità. Non si trattava di una scelta politica, la
libera distribuzione era frutto della constatazione che il software cresceva in
stabilità, prestazioni, funzionalità se poteva essere interamente compreso e
3
In questa tesi verrà usato la denominazione “ Open Source” per indicare il movimento
economico-filosofico e la denominazione “ open source” come aggettivo .
4
Sigla del “Conseil europeen pour la Recherche nucleare”,Organizzazione Europea per le
Ricerche Nucleari nata nel 1954 per la collaborazione a livello europeo nelle ricerche
scientifiche nucleari.
11
modificato dai suoi utenti. Il software era considerato un prodotto scientifico,
come la matematica e la fisica, e come tale veniva trattato. Così come di un
esperimento scientifico si distribuiscono le ipotesi, il procedimento e i risultati,
del software si distribuivano l’analisi dei requisiti e il codice sorgente, in modo
che tutti potessero valutarne i risultati. Si trattava di un bene che rispecchiava
nella piena forma la sua NATURA DI BENE PUBBLICO
5
.
Il software crebbe rapidamente in possibilità di utilizzo interessando il mondo
commerciale che vide nei programmi un prodotto manifatturiero su cui
esercitare un diritto di proprietà da proteggere con licenze d’uso. Il mercato in
rapidissima crescita e ad altissimo reddito attirò i tecnici del software che
incominciarono a produrre software sotto il riserbo del segreto industriale e a
distribuirlo in forma eseguibile dietro pagamento.
Così per i seguenti quindici anni l’attenzione degli utenti fu rivolta ai produttori
commerciali che riuscirono a imporre il proprio prodotto anche a scapito dei
contenuti tecnici di questo.
Il concetto di proprietà del software non venne più sentito come un
riconoscimento di paternità intellettuale, ma come uno strumento di profitto.
Quando il software uscì dai laboratori per essere impiegato a fini produttivi
molti ricercatori vennero assorbiti dalla nascente industria e si perse il concetto
di software come bene scientifico.
Non tutti, tuttavia, desistettero.
Così, proprio quando il mondo commerciale dell’informazione tecnologica
sembrava ormai definitivamente proteso ad un modello profittevole protetto dal
copyrigth, negli anni ’80, utilizzando le risorse del laboratorio di intelligenza
artificiale del MIT, un ricercatore, Richard Stallman, non cedette alle lusinghe
economiche del software commerciale e iniziò la sua personale battaglia per
sancire il diritto al software liberamente disponibile. Non restò solo per molto,
altri programmatori aderirono al progetto e incominciarono ad uscire i primi
prodotti “ open ” . Con i primi risultati altri programmatori si aggregarono via
Internet, i cosiddetti hackers, (e’ bene non lasciarsi fuorviare dal significato che
5
si vedano i paragrafi [1.2 e 1.5] di questo capitolo
12
i media hanno attribuito alla parola hacker, non sono pirati né fuorilegge, sono
gli esperti dei sistemi informatici ) .
Il progetto di Stallman, ” GNU”,
6
decollò distribuendo a chiunque lo
richiedesse un ambiente completamente “open”.
Negli anni ’90 uno studente finlandese, Linus Torvalds, lanciava e gestiva la
costruzione di un kernel UNIX-like, “ Linux”
7
. Il progetto crebbe aldilà di ogni
previsione alimentato dai contributi, sotto forma di codice e testing, degli
hacker. Dal 1995 GNU e Linux venivano distribuiti insieme fornendo un intero
ambiente operativo, gratuito, Free Software.
L’idea di Free Software cresceva…
Nel 1997, un nuovo passo in avanti: la “ Open Source Initiative “ .
8
Si tornò cosi a parlare in maniera accentuata di codice aperto ma al contrario
della comune opinione non fu un nuovo fenomeno nato con Linux ma un
movimento esistente ancora prima del software chiuso da brevetto, messo da
parte per alcuni anni e, ritornato sul campo di battaglia come risposta al nuovo
modo di gestire l’informazione tecnologica (non più come un bene pubblico ma
come un prodotto commerciale) .
Il movimento OSS (Open Source Software) da sempre parallelo al “ suo rivale “
si pone come scopo null’altro che riportare l’informazione alle sue origini: un
bene comunemente condiviso e utilizzato dalla comunità: ovvero un bene
pubblico .
Open Source è infatti il frutto di alcuni importanti fattori di carattere generale
non strettamente legati al mondo dell’informatica ma, piuttosto, al modo di
trattare l’informazione. Fattori questi che si è già avuto modo di notare in altre
epoche storiche, epoche contraddistinte da un grande sviluppo culturale della
conoscenza.
La differenza tra progresso ed evoluzione della conoscenza è sottile eppure
fondamentale. L’evoluzione costituisce un migliore adattamento delle capacità
6 si veda il paragrafo [1.6.1] di questo capitolo
7 ovvero un sistema operativo simile a Unix per pc, per ulteriori informazione vedere il
paragrafo [1.7.1] di questo capitolo
8 si veda il paragrafo [1.6.2] di questo capitolo
13
di difesa o di attacco nei confronti di una minaccia (e quindi un’intrinseca
maggiore probabilità di sopravvivenza), il progresso permette di superare il
problema annullando la minaccia.
Open source è dunque l’evoluzione della conoscenza.
1.2 LA GENESI DEL SOFTWARE
1.2.1 ANNI 60 -70 : NASCITA DELLA PROGRAMMAZIONE.
Arpanet
L'origine della programmazione, come oggi la conosciamo, può essere fatta
risalire al 1961, anno in cui il MIT (Massachussets Istitute of Tecnology)
acquistò il primo PDP-1 della Digital Equipmet Corporation ( DEC) . Tale
macchina quale prediletto giocattolo-tecnologico era di tipo “ TIME –
SHARING”, creava quindi strumenti di programmazione, linguaggi e
quell'intera cultura che ancora oggi ci appartiene in modo inequivocabile. Prima
di allora infatti il settore dell’informazione elettronica era dominato da IBM che
però produceva macchine di tipo “ BACH” e non permettevano quindi
l’interattività con il programmatore.
9
La cultura informatica del MIT sembra essere stata la prima a adottare il termine
“hacker” . L’ambiente di riferimento era quello dei centri di ricerca dei più
famosi atenei statunitensi quali appunto il MIT, Stanford University, Canergie-
Mellon University, Berkeley ed altri nonché le strutture di ricerca di importanti
società come i Laboratori di Bell e il Palo Alto Research Center di Xerox.
Ben presto, dal 1969, tutti questi centri di ricerca poterono usufruire della
progenitrice di Internet: ARPAnet, evoluzione del progetto di network
transcontinentale voluto dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti – nato
come DARPA (Defence Advanced Reseasch Project Agency) - che si rivelò un
eccezionale veicolo di scambio di informazioni tra università e laboratori di
ricerca, permettendo la collaborazione tra le migliori menti del pianeta, con una
9
per ulteriori chiarimenti sulla tecnologia “ time sharing” e “ bach” si veda il glossario
14
vera spinta per la crescita della conoscenza tecnologica, soprattutto nel campo
del software.
Ma ARPAnet fece anche qualcos'altro. Le sue autostrade elettroniche misero in
contatto gli hacker di tutti gli Stati Uniti e questi, finora isolati in sparuti gruppi,
ognuno con la propria effimera cultura, si riscoprirono nelle vesti di una vera a
propria tribù di rete.
Non è da sottovalutare l’enorme contributo, pur per ovvi motivi interessato,
venuto dal Dipartimento della Difesa Americano, che chiuse deliberatamente un
occhio sul proliferare delle mailing list su ARPAnet. Queste erano lo strumento
principe di cooperazione e scambio tra gli sviluppatori o anche tra semplici
amanti di tale cultura. DARPA capì che valeva la pena sopportare dei maggiori
costi generali pur di poter attrarre un’intera generazione di giovani brillanti ed
appassionati nel campo dei computer e della programmazione... e ovviamente i
suoi scopi non erano certo ispirati ad un mero spirito di mecenatismo!
ARPAnet mise in contatto l'AI (Intelligenza Artificiale) Lab del MIT (che è da
considerarsi il primo tra laboratori di pari natura a partire dai tardi anni '60) con
istituti come il Laboratorio di Intelligenza Artificiale dell'Università di Stanford
(SAIL) e l'Università Carnegie-Mellon (CMU) (tali istituti divennero in seguito
quasi altrettanto importanti dell’AI) . Tutti costituivano fiorenti centri di scienza
dell'informazione e ricerca sull'intelligenza artificiale. Tutti attiravano individui
brillanti che contribuirono al grande sviluppo del mondo degli hacker, sia dal
punto di vista tecnico che folkloristico.
Per comprendere ciò che successe dopo, comunque, è necessario un ulteriore
sguardo ai computer stessi, poiché sia la nascita del Laboratorio che il suo
futuro declino furono fortemente influenzati dalle correnti di cambiamento
nell'ambito della tecnologia informatica. .
Il linguaggio ITS
Fin dai giorni del PDP-1, le sorti dell'hacking si intrecciarono alla serie di
minicomputer PDP della Digital Equipment Corporation (DEC) . La DEC aprì
la strada a prodotti interattivi di stampo commerciale ed a sistemi operativi
time-sharing. La flessibilità, la potenza e la relativa economicità di queste
15
macchine, portarono molte università al loro acquisto. Anche ARPAnet fu
costituita, per la maggior parte della sua durata, da una rete di macchine DEC.
La più importante fra queste fu il PDP-10 che fece la sua comparsa nel 1967.
Essa rappresentò la macchina preferita dagli hacker per quasi quindici anni
Il MIT, pur utilizzando lo stesso PDP-10, imboccò una strada lievemente
diversa; rifiutò il software DEC del PDP-10 scegliendo di creare un proprio
sistema operativo, il leggendario ITS. ITS stava per “ Incompatible Timesharing
System”, (Sistema Time-Sharing Incompatibile), sigla che rendeva
perfettamente l'idea delle intenzioni insite nel progetto: volevano fare a modo
loro. Fortunatamente, la gente della MIT possedeva un livello di intelligenza in
grado di contrastare la sua arroganza.
L'ITS, strambo, eccentrico e a volte perfino pieno di difetti, portò tuttavia una
brillante serie di innovazioni tecniche, e ancora detiene senza dubbio il record di
sistema operativo time-sharing più a lungo utilizzato
La nascita di Unix
Nel frattempo, comunque , nel New Jersey , qualcos'altro era stato messo in
cantiere fin dal 1969, qualcosa che avrebbe inevitabilmente adombrato la
tradizione del PDP-10. L'anno di nascita di ARPAnet, fu anche l'anno in cui un
hacker dei Laboratori Bell della AT&T, di nome Ken Thompson, inventò il
sistema Unix.
Thompson si era trovato coinvolto nella fase di sviluppo di un Sistema
Operativo Time-Sharing chiamato Multics, che divideva la propria discendenza
con ITS. Multics costituì un importante banco di prova su come la complessità
di un sistema operativo potesse essere celata fino ad essere resa invisibile
all'utente e perfino alla maggioranza dei programmatori. L'idea fu quella di
rendere l'uso di Multics più semplice e programmabile in modo da permettere di
operare anche dall'esterno.
Un altro hacker, di nome Dennis Ritchie, inventò un nuovo linguaggio chiamato
“ C”, da usare con una versione Unix di Thompson ancora allo stato embrionale.
Come Unix, C fu progettato per essere piacevole e facile da usare oltre che
flessibile. L'interesse per questi strumenti non tardò a crescere nell'ambito dei