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PREFAZIONE
Negli ultimi vent’anni il contesto economico mondiale è stato caratterizzato da
un profondo cambiamento legato alla globalizzazione dei mercati e, con essa,
soprattutto, al processo d’internazionalizzazione delle imprese. Le società
multinazionali delocalizzano la produzione e la gestione di servizi alla ricerca costante
di risparmio nel costo del lavoro e di politiche distributive e commerciali globali. Il
progressivo miglioramento delle vie di comunicazione permette altresì agevoli scambi
di merci e servizi tra le diverse sedi del gruppo, le quali, dislocate in molteplici nazioni,
sottostanno ad altrettanti numerosi ordinamenti giuridici.
In questo contesto s’introduce la tematica del transfer pricing, oggetto di questo lavoro.
Con il termine inglese transfer pricing, s’identifica “quella discordanza tra il valore
obiettivo di mercato di un’operazione commerciale o finanziaria, il cd. “valore normale”
e quello (anormale) pattuito dai soggetti legati da una coincidenza degli interessi
economici e giuridici e dall’unicità del fine”
1
. La pratica prevede il trasferimento di una
quota di reddito tra le consociate di un gruppo multinazionale, mediante la cessione di
beni o di prestazioni di servizi.
Questa tipologia di negoziazione ha un’influenza rilevante nella strategia delle
multinazionali, che spesso mettono in atto delle politiche di pianificazione fiscale volte
a eludere il pagamento delle imposte, distraendo l’utile verso quei paesi che adottano
dei regimi fiscali agevolati (cd. paradisi fiscali). Immediata conseguenza è la particolare
attenzione delle amministrazioni finanziarie nei confronti di queste operazioni tra
soggetti interdipendenti, con l’obiettivo di osteggiare fenomeni di erosione della base
imponibile.
Nel 2010, uno studio di Ernst & Young ha monitorato 877 multinazionali dislocate in
25 Stati diversi, riscontrando che il 32% di esse ritiene che il transfer pricing
rappresenti la principale sfida in ambito fiscale e ben il 74 % delle aziende capogruppo,
e il 76% delle controllate, sostiene che saranno assolutamente critici o molto importanti
1
SUCCIO R., Prezzi di Trasferimento e Royalties, in Sacchetto C., Alemanno L. (a cura di), Materiali di
Diritto Tributario Internazionale, Milano, 2002, pag. 387: l’Autore cita a sua volta MAISTO G.,
L’imposizione diretta nei rapporti internazionali, Genova, 1991, pag. 155.
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per le loro organizzazioni, nel corso dei prossimi due anni
2
.
La crisi dell’ultimo triennio non ha intaccato la centralità del transfer pricing nel mondo
della fiscalità internazionale ma, al contrario, ne ha acuito l’importanza proprio per il
ruolo strategico, a livello sia fiscale sia economico, che ricoprono nei gruppi
multinazionali grazie allo spostamento d’ingenti somme di utili o garantendo, in taluni
casi, sostanziali risparmi d’imposta. Al tempo stesso anche le amministrazioni
finanziarie hanno aumentato i propri organici e “affilato le armi”, concentrando la loro
2
ERNST & YOUNG, 2010 Global Transfer Pricing Survey, dal sito internet:
http://www.ey.com/Publication/vwLUAssets/EY_Global_Transfer_Pricing_Survey_2010/$FILE/Global
%20Transfer%20Pricing%20Studie%20EY%202011.pdf
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attenzione sulla documentazione che le imprese devono produrre per giustificare le
proprie politiche.
Un breve escursus sui provvedimenti legati al transfer pricing ci permette di
comprendere al meglio l’evoluzione dell’attuale disciplina.
Storicamente la mancanza di un principio di cooperazione tra gli Stati in materia di
accertamento e riscossione dei tributi ha creato rilevanti problemi pratici e interpretativi,
rendendo necessaria l’adozione di accordi specifici a livello internazionale, di natura
bilaterale o multilaterale, per il contrasto dell’attività illecita di sottrazione agli obblighi
fiscali
3
. Si è posto quindi il problema di analizzare le transazioni che avvengono tra
soggetti interdipendenti, con l’obiettivo di verificare la potestà impositiva di ciascuno
Stato. La presenza di regolamentazioni nazionali trova un limite sostanziale nel rischio
di tassare il medesimo reddito più volte, assai frequente ove non vi siano coerenti criteri
di localizzazione dei profitti nei vari paesi
4
. Proprio con l’obiettivo di prevenire questi
conflitti, gli Stati hanno interesse a stabilire dei principi di valutazione comuni, che
garantiscano una linea guida per la definizione dei confini della potestà impositiva.
Su questi presupposti v’è la genesi del primo contributo sostanziale in materia
d’imposizione internazionale, frutto dei lavori della Società delle Nazioni, iniziati nel
1921, e sfociati nel 1927 in un Modello di Convenzione sulla doppia imposizione sul
reddito. Il primo rapporto fu ripreso e modificato più volte negli anni fino a convogliare
nel 1963, nel modello di Convenzione dell’OCSE: il fenomeno del transfer pricing era
solamente lambito, riconoscendone la problematica pur senza spingersi oltre alla
definizione del concetto di normalità dei prezzi tra imprese associate e a precisazioni
sugli aggiustamenti da attuare da parte di uno degli Stati contraenti per la
determinazione del reddito dell’organizzazione residente qualora parte dei suoi profitti
sia tassata in capo ad un’impresa associata
5
.
Una prima pronuncia incentrata sul transfer pricing si ha nel 1976 con una
dichiarazione non vincolante dell’OCSE sui comportamenti che devono attuare le
multinazionali nell’ambito delle loro operazioni
6
. Il contributo che dà origine alle attuali
normative in materia arriva nel 1979 con il rapporto dell’OCSE denominato “Transfer
3
TOSI L., BAGGIO R., Lineamenti di diritto tributario internazionale, Padova, 2009, pag. 73.
4
MUSSELLI A., MUSSELLI A., Transfer Pricing: I prezzi di trasferimento internazionali, Disciplina
fiscale italiana e direttive OCSE, Norme dei paesi più industrializzati, Milano, 2009, pag. 10.
5
MAISTO G., Il “transfer price” nel diritto tributario Italiano e comparato, Padova, 1985, pag. 33.
6
MAISTO G., op. cit., pag. 34.
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pricing and Multinationals”
7
: i principi ivi contenuti, fungono da base per la
determinazione del valore normale nelle transazioni intercorse tra società appartenenti
allo stesso gruppo e trovano immediata applicazione grazie al recepimento tempestivo
da parte di numerosi stati comunitari. Il rapporto ha subito continue modifiche, tra le più
rilevanti quella del 1995 e, più recentemente, nel 2010, che vanno di pari passo con la
crescente importanza della tematica sia dal punto di vista delle imprese, alla ricerca di
economicità e risparmi d’imposta, sia per quanto riguarda le amministrazioni finanziarie
che combattono strenuamente fenomeni elusivi. In ambito comunitario la necessità di
pragmatismo nei provvedimenti legati al transfer pricing, ha recentemente portato alla
nascita di un EU JTP Forum
8
, composto di membri delle varie nazioni e da esperti del
settore.
Nel contesto normativo italiano sul transfer pricing il ruolo fondamentale è ricoperto
dall’art. 110, comma 7, del D.P.R. 917/1986, TUIR, (ex art. 76, comma 5) il cui
obiettivo è di ricondurre le transazioni transnazionali ad una situazione di libera
concorrenza, cosicché i valori attribuiti possano essere quanto più prossimi a quello
“normale”. La nozione di valore normale si può ricavare dall’art. 9 del TUIR, che lo
identifica come prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi
similari, in condizioni di libera concorrenza o in condizioni di commercializzazione
paragonabili, nel tempo e nel luogo in cui i beni o i servizi sono stati acquistati o
prestati e in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimo
9
.
La disciplina ruota attorno a queste nozioni basilari e troverà concreta applicazione con
l’ausilio di numerose circolari e risoluzioni ministeriali: degni di nota sono i contributi
interpretativi della circolare n. 32 del 22 settembre 1980, che fornisce un’interpretazione
del concetto di controllo recependo il rapporto OCSE del 1979, e la circolare n. 42, del
12 dicembre 1981, dedicata alla determinazione del valore normale
10
.
Non si può non evidenziare una certa lentezza del legislatore italiano, meno reattivo dei
pari ruoli comunitari nell’adeguarsi alle linee guida dell’OCSE, in particolar modo in
7
O.E.C.D. (Organisation for Economic Co-operation and Development), Transfer pricing guidelines for
multinational enterprises and tax administrations, Parigi, 1979.
I contenuti verranno con precisione approfonditi nel capitolo secondo di questo elaborato.
8
“The EU Joint Transfer Pricing Forum (JTPF) assists and advises the European Commission on
transfer pricing tax matters” dal sito della Commissione Europea:
http://ec.europa.eu/taxation_customs/taxation/company_tax/transfer_pricing/forum/index_en.htm.
9
FALSITTA G., Corso Istituzionale di Diritto Tributario, Padova, 2009, pag. 54 e seg.
10
VALENTE P., Manuale del transfer pricing, Milano, 2009, pag. 177.
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materia di documentazione sulle policy aziendali per il transfer pricing.
La vera rivoluzione nel settore, in ambito nazionale, si ha con l’art. 26 del D.L. 31
maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010 n. 122 che
segna, finalmente, l’adeguamento dell’Italia al Codice di condotta UE (Code of conduct
on transfer pricing documentation for associated enterprises in the European Union) e
la pone al passo con buona parte dei Paesi membri dell’OCSE. La novità si fonda
sull’introduzione, per la prima volta nell’ordinamento giuridico italiano, d’una
previsione normativa circa la documentazione dei prezzi di trasferimento, senza tuttavia
sancire un obbligo a produrre quest’ultima. La norma stabilisce un regime premiante per
quelle imprese che decidono di redigere un’adeguata documentazione, mostrandosi
quindi disponibili alla collaborazione con l’amministrazione finanziaria
11
.
Verso la fine dell’anno vengono introdotti due interventi ad aggiungersi al decreto di cui
sopra: il 29 settembre 2010, è stato emanato il relativo provvedimento del Direttore
dell’Agenzia delle entrate, con l’obiettivo di indicare i requisiti di una dichiarazione
idonea, mentre il 15 dicembre 2010 l’Agenzia delle entrate ha diffuso alcuni chiarimenti
interpretativi con la circolare n. 58. Questi contributi segnano un passo decisivo per
l’Amministrazione finanziaria italiana, che in modo un po’ tardivo, arriva a monitorare
il transfer pricing in maniera più efficace, mediante la collaborazione delle imprese,
incentivata da sconti sulle possibili sanzioni.
Tutto ciò premesso, il presente lavoro si propone di analizzare dapprima gli elementi
costitutivi dell’istituto e, successivamente, di approfondire la tematica mediante lo
studio delle normative comunitarie, internazionali e italiane. La finalità è di operare
opportuni confronti al fine di evidenziare eventuali discrasie o peculiarità dei
provvedimenti ai vari livelli e di capire la reale portata delle previsioni normative circa
la documentazione dei prezzi di trasferimento recentemente introdotti dal nostro
legislatore, focalizzando l’attenzione in primo luogo sul Masterfile e, in secondo luogo,
sul Country file.
La trattazione avrà inizio nel primo capitolo con una panoramica generale sul transfer
pricing, fornendo precisazioni sull’istituto e analizzandone gli aspetti peculiari in due
ottiche diametralmente opposte, cioè dal punto di vista del legislatore, con l’obiettivo di
collegarli a pratiche elusive, e da quello manageriale, in un’ottica di pianificazione
11
CASTOLDI A., FERRARIO A., La documentazione sui transfer pricing “blocca” le sanzioni, in Il
Sole 24 Ore, 21 giugno 2010.
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fiscale internazionale.
Per facilitare la comprensione delle dinamiche impositive di una multinazionale, si
forniranno dei cenni sui metodi di consolidamento fiscale che portano alla
determinazione della base imponibile che sarà sottoposta a tassazione, e si focalizzerà
l’attenzione sul fenomeno che causa buona parte delle controversie transnazionali, cioè
la doppia imposizione.
Il capitolo secondo e il capitolo terzo saranno dedicati all’analisi delle fonti normative
in ambito internazionale e nazionale. Partendo da un approfondimento sul susseguirsi
delle norme che riguardano il transfer pricing, dai modelli OCSE di convenzione contro
le doppie imposizioni alle Guidelines del medesimo organismo internazionale,
l’attenzione si sposterà sul concetto di prezzo in condizioni di libera concorrenza e ai
relativi metodi di determinazione.
Il capitolo quarto, è incentrato sugli oneri documentali dei prezzi di trasferimento.
Dapprima si introduce la tematica analizzando la situazione a livello internazionale:
l’OCSE, nel rapporto del 1995, ha dedicato ampio spazio alla documentazione sul
transfer pricing fornendo indirizzi interpretativi sia alle Amministrazioni finanziarie
locali, sia ai contribuenti. In seguito, l’analisi pone l’attenzione sui contenuti della
documentazione del transfer pricing in ambito comunitario, operando un confronto con
le proposte formulate dagli Stati della Pacific Association of tax administrations e
dall’International Chamber of Commerce.
Il capitolo quinto analizzerà gli oneri documentali nella disciplina interna.
Come anticipato, è l’art. 26 del DL. n. 78 del 22 maggio 2010, convertito con la Legge
122 del 30 luglio 2010, che segna la rivoluzione dell’istituto del transfer pricing. Le
novità introdotte hanno immediatamente suscitato fermento nel settore, con un notevole
contributo di opinioni da parte dei maggiori esperti di fiscalità internazionale. Si
procederà con un’analisi critica del provvedimento di cui sopra e delle successive
circolari interpretative.
La riflessione sarà imperniata sui contenuti e sulla forma del Master file e del Country
file. Il primo, redatto dalla capogruppo, è un documento che ha la finalità di definire le
politiche del transfer pricing: a livello comunitario è predisposto dalle aziende
multinazionali basandosi sulle indicazioni delle Guidelines e dei singoli ordinamenti
ove si hanno sede le controllanti. Il secondo rappresenta l’innovazione per l’Italia,
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poiché costituisce la vera e propria documentazione nazionale: predisposto dalla singola
controllata residente, descrive la specifica attività posta in essere, i ruoli, i metodi, i
margini realizzati nelle transazioni intercorrenti tra società del gruppo.
Un aspetto che deve essere sottolineato del DL. 78/2010, è costituito dal regime
premiante legato alla presentazione della documentazione: le aziende che dialogheranno
con l’Amministrazione finanziaria beneficeranno di uno sconto sulle sanzioni irrogate,
sempre a patto che i report predisposti ottemperino ai requisiti normativi, e di un regime
di favor rei per gli accertamenti già in corso nel momento di entrata in vigore della
norma
12
.
12
SIMONTACCHI S., Nei controlli si applica il favor rei, in Il Sole 24 Ore, 16 dicembre 2010.