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CAPITOLO 1
Radio, Musica e Industria
Ci sono tre ragioni per cui si può considerare la musica come
l’elemento fondamentale della comunicazione radiofonica: perché
definisce l’identità e il carattere delle radio musicali; perché
costituisce il tessuto connettivo della programmazione anche nelle
radio non musicali; perché è il genere di programmazione di
granlunga più richiesto e apprezzato dal pubblico, eguagliato
dall’informazione (che ha però dei costi, sia in termini organizzativi
che in termini economici, molto maggiori) solo presso alcuni
target.
Già quando il concetto di radiofonia moderna esisteva solo nella
testa di Sarnoff
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, la radio e la musica apparivano strettamente
legate.
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Nel 1916 David Sarnoff, futuro direttore della RCA e allora impiegato della
American Marconi, indirizzò ai suoi superiori un memorandum:
“Ho in mente un piano che potrebbe fare della radio uno strumento domestico, come il
grammofono e il pianoforte. Il ricevitore sarà progettato nella forma di una scatola radiofonica
musicale, (…) tenuta in salotto, con la quale si potranno ascoltare eventi d’importanza
nazionale, musica, conferenze, concerti.”
Una idea geniale con la quale Sarnoff immaginò per primo un nuovo tipo di
radiofonia, anzi la radiofonia, visto che all’epoca la radio era usata esclusivamente
come “radiotelegrafia”, e cioè per un tipo di comunicazione punto a punto (dove il
mittente elabora un messaggio e lo invia ad uno o più destinatari ben definiti).
Si era però in piena guerra mondiale e così i dirigenti della società accantonarono
l’idea.
La guerra fu comunque importante: la produzione delle industrie, durante la guerra,
aumentò considerevolmente (enormi erano le richieste di apparecchi che giungevano
dal fronte) tanto che, a conflitto finito, queste si trovarono con linee di produzione
efficienti ma con una domanda prossima allo zero. Decisero quindi che era
(convenientemente) giunto il momento di commercializzare su vasta scala i
ricevitori per uso domestico.
Fu così grazie all’intuizione di Sarnoff , al progresso tecnologico (che permise, con
l’invenzione del triodo nel 1906, di trasmettere anche la voce umana e non solo
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D’altra parte la loro affinità è assoluta: la musica in senso stretto
(e cioè senza considerare i suoi aspetti “sociologici”) è un’entità
artistica immateriale costituita esclusivamente da onde sonore e
dunque perfettamente e compiutamente comunicabile dalla radio,
molto più di tanti altri generi comunicazionali derivati dal teatro
(come i radiodrammi) che pure si svilupparono ed ebbero successo
nella radio del periodo classico. Generi, questi, di natura
audiovisiva che fecero nascere, nei confronti del cinema prima e
poi soprattutto della televisione, la sensazione di “mancanza
dell’immagine” e il tentativo, da parte della radio, di surrogarla.
Ma allora perché quello che dovrebbe essere il mezzo di
comunicazione musicale per eccellenza comunica, musicalmente,
assai poco?
O meglio: perché quello che dovrebbe essere il mezzo di
comunicazione musicale per eccellenza comunica moltissimo, ma
con una varietà assolutamente scarsa?
l’alfabeto morse utilizzato da Marconi) e alle circostanze sopradescritte che nacque
il broadcasting: non più comunicazione punto a punto ma circolare (da un lato un
potente apparato emittente, dall’altro una miriade di piccoli apparecchi soltanto
riceventi collocati prima nei locali pubblici e poi, progressivamente, nelle
abitazioni). Per le informazioni contenute in questa nota cfr. E. Menduni, Il mondo
della radio. Dal transistor a internet, Bologna, Il Mulino, 2001, pag. 12-15 e F.
Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia, Marsilio, Venezia, 1992,
pag. 3)
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La logica della brevità e della non-varietà
In effetti la radio non è stato il primo medium ad interessarsi alla
musica; fu preceduta dal grammofono, a sua volta preceduto dal
fonografo di Edison che però ebbe scarsa fortuna
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; il grammofono
fu brevettato nel 1887 ma venne commercializzato solo nel 1895
(anno di nascita, coincidenza, anche della radio e del cinema).
La diffusione di questi medium avrà, per la musica, un’importanza
straordinaria.
Fino alla fine dell’ottocento esistevano solo due forme di
trasmissione della musica: quella orale e quella scritta. Con il
disco, e più tardi con la radiofonia, si aggiunge una terza
straordinaria forma, quella della riproduzione di un evento
musicale. Si può ascoltare musica “anche senza ascoltarla in un
concerto (…) e anche senza leggerla sullo spartito e suonarla sul
pianoforte di casa”
3
.
Inoltre la nascita di un industria discografica, e dunque di una
distribuzione, permette alla musica, cristallizzata in supporti fisici e
trasportabili (i dischi), di circolare in un modo semplicemente
inimmaginabile fino a pochi anni prima; musiche, stili, idee e
tecniche d’esecuzione provenienti da luoghi lontani giungono a
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Il fonografo venne brevettato da Edison nel 1877 ma, al di la di alcuni importanti
contributi (fu su cilindro che Caruso effettuò le sue prime registrazioni tra il 1898 e
il 1901, e anche Bartòk registrò così molte musiche popolari che influenzarono il
suo lavoro di compositore e si rivelarono fondamentali per gli studi
etnomusicologici di tanti ricercatori) i cilindri sui quali il fonografo registrava
presentavano un inconveniente di fondo: erano difficilmente riproducibili. Così, per
ottenere una copia di un’incisione non c’era altra alternativa che ripetere
l’esecuzione o attivare durante l’esecuzione una batteria di più fonografi
contemporaneamente.
Quando Edison fu in grado di ottenere dei cilindri copia, il grammofono era già
pronto a spazzare via il fonografo dal mercato (per le informazioni contenute in
questa nota cfr. F. Fabbri, Il suono in cui viviamo, Roma, Arcana, 2002, p. 16-17 )
3
Ibidem, pag. 17.
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luoghi altrettanto lontani, rompendo le barriere di tradizioni anche
secolari.
Da un’analisi tecnica dei due media appare chiaro che in linea di
principio la radio ha, dal punto di vista dell’espressività, degli
assoluti vantaggi sul disco.
Il vantaggio principale è sicuramente quello della continuità: la
radio, cioè, non obbliga le esecuzioni musicali più lunghe a
sottostare ai 3 minuti imposti dalla lunghezza della facciata del
disco.
La discontinuità cronica dalla quale era affetto il disco portò, nei
primi anni di vita dell’industria discografica, a risultati che a volte
lambivano il grottesco: la prima incisione dell’Ernani di Verdi, del
1903, occupava ben 40 facciate.
Quello della durata era un problema enorme per la musica “colta”
(che in questi primi anni era, per ragioni di mercato, tra le più
incise
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), ma lo era molto meno per la canzone, che così si incanalò
da subito verso il suo formato tipico, che non avrebbe più lasciato.
Non stupisce che fu Enrico Caruso a diventare uno degli artisti di
maggiore successo: “le arie e le romanze che interpretava erano
della durata giusta, erano comunque “colte”, provenendo dalla
tradizione operistica, (…) e la voce del tenore si estendeva in un
ambito di frequenze che il grammofono era in grado di riprodurre
senza impoverirne il timbro. (…) Le limitazioni tecniche del disco
suggeriscono verso quali repertori i discografici dovettero
orientarsi: brani brevi, di non più di tre minuti, con una dinamica
molto ridotta (no ai pianissimo, a causa del rumore di fondo),
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Inizialmente molto costoso, il grammofono percorse la stessa parabola di mercato
che seguiranno tutti i media nel ‘900: si diffonde prima tra le classi abbienti per poi
penetrare progressivamente anche nelle fasce sociali più basse.
Nei primi anni, dunque, anche la produzione dei dischi venne indirizzata ad un
target di consumatori medio-alto che, spesso, prediligeva la musica “colta” (per
ragioni intellettuali ma probabilmente anche a causa del fenomeno dello standing di
vebleniana memoria)
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dominati da voci e da strumenti particolarmente sonori e
mediosi”
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.
Dunque la logica della brevità è da imputarsi innanzitutto al disco.
Sorprendentemente però il successo della radio non erode, anzi
consolida, il formato standard della canzone, sia in Europa che
nelle americhe, anche se la radio doveva sottostare a molte meno
limitazioni “fisiologiche” rispetto al disco. Come mai?
La risposta è probabilmente duplice. Da un lato il supporto che
ospita il prodotto musicale rimane comunque il disco che continua
perciò ad esercitare la sua influenza (mentre la radio viene
utilizzata semplicemente per la diffusione dei brani); dall’altro
l’impostazione assolutamente commerciale della radiofonia USA si
rivelerà del tutto complementare alla logica della brevità espressa
dal disco: con la radiofonia commerciale USA nasce cioè l’idea che
“una veloce e ben controllata varietà di brani possa far desistere
l’ascoltatore dall’intenzione di cambiare stazione, se quello che sta
ascoltando non gli piace”
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.
Con questa convinzione, non solo la radio USA permette alla logica
della brevità di rafforzarsi, ma introduce anche la logica della non-
varietà, perché una varietà ben controllata finisce inevitabilmente
per variare poco.
Queste logiche furono (e sono tuttora) tanto forti da impedire quei
cambiamenti che, con la nascita della radiofonia, sembravano
quasi inevitabili, viste le maggiori possibilità espressive della radio
rispetto al disco.
E’ in questo senso che Franco Fabbri afferma che la radio non
mantiene la sua promessa: “e’ vero che le onde radio non hanno
confini, e che lo strumento in sé sarebbe capace di avvicinare agli
ascoltatori qualsiasi musica, ma il carattere centralistico,
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F. Fabbri op. cit., pag. 18-19.
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Ibidem, pag. 22.