Introduzione
L’oggetto di studio della mia tesi nasce dall’intento di analizzare la dimensione
dell’omosessualità femminile, attraverso una serie di riflessioni sul concetto di genere ed
un’analisi degli stili di vita delle donne omosessuali italiane.
Il presente lavoro è caratterizzato da un forte interesse verso la vita quotidiana delle donne
omosessuali, e dall’influenza dei processi storici e macro- sociali che ne indirizzano le scelte di
vita.
L’indagine si dirige verso l’esplorazione delle soggettività femminili negli anni passati fino ai
giorni d’oggi, attraverso diverse questioni, dalla discriminazione di genere ed orientamento
sessuale fino ad esplorare la quotidianità(abitudini) e la costruzione di relazioni sociali che
definiscono il loro ambiente di vita.
Al fine di entrare a conoscenza della quotidianità dei soggetti intervistati, la ricerca indaga
alcune traiettorie dei loro corsi di vita: la scoperta, il rapporto con la famiglia d’origine, il
coming out, il rapporto di coppia, il lavoro, l’associazionismo, i servizi in città di cui
usufruiscono, gli spazi di socialità, il turismo ed in corso d’opera, successivamente
dall’obiettivo di ricerca iniziale, è risultato particolarmente interessante indagare sull’aspetto
dell’ omogenitorialità.
Il mondo dell’omosessualità femminile è il focus che caratterizza la ricerca empirica, in
maniera particolare l’attenzione verte sugli stili di vita delle donne omosessuali italiane,
ponendo particolare attenzione alle modalità relazionali delle lesbiche prese in considerazione e
alla dimensione dell’omogenitorialità. L’approccio di ricerca utilizzato per l’indagine è di tipo
qualitativo con l’impiego di interviste semi-strutturate. Le interviste sono state realizzate
attraverso due tipi di contatti: quello face to face in cui è avvenuto un incontro personale con
l’intervistato, e attraverso mezzi telematici, grazie all’ausilio di Sype in cui è avvenuta, si
un’interazione, ma mediata da un supporto tecnologico.
Il lavoro consta di quattro capitoli. Il primo si focalizza, appunto, sul concetto di genere come
categoria socialmente appresa, in cui il soggetto di sesso femminile è posto in subordinazione
rispetto a quello maschile, la cui concezione è avvalorata, in itinere, da accenni di studi
sull’antropologia e sulla differenziazione fisiologica e biologica. L’analisi sulle dimensioni di
genere ed orientamenti sessuali passa attraverso il contributo di correnti sociologiche che si
sono succedute nel tempo, fino a considerare la donna come vittima di un doppio stigma: quello
di donna e lesbica. Interessante è risultata la questione riguardante la rappresentazione sociale.
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In primis, attraverso la letteratura, gli spunti teorici di Simone de Beauvoir e Virginia Wolf,
hanno evidenziato la condizione femminile nell’Ottocento e nel Novecento con riferimento al
lesbismo in un ottica di analisi materialistica della condizione delle donne che sostenengonodo
che la vita lesbica è l’unica in cui poter vivere la libertà dall’oppressione, in quanto le lesbiche
sono fuggitive rispetto alla classe originaria di appartenenza, quella di donna. Cosi come in
letteratura, anche le rappresentazioni cinematografiche e i media hanno attribuito in passato
scarsa attenzione al mondo femminile, soprattutto se omosessuale. Con il Feminist Film Theory,
si è investigato il variegato mondo delle rappresentazioni sociali del femminile ponendo
attenzione ai modi in cui il discorso cinematografico impone una determinata visione del
mondo. La rappresentazione sociale dell’omosessualità femminile attraverso mezzi di
comunicazione, quali letteratura e cinematografia, rivela le modalità con cui venivano e
vengono rappresentati i gruppi contraddistinti da differenze, e come la nostra
comprensione/visione di un particolare gruppo sociale si costruisce attraverso l’utilizzo di
stereotipi. Le immagini veicolate dai mezzi di comunicazione influenzano l’atteggiamento da
tenere nei confronti dell’altro da sé e gli stereotipi prodotti diventano espressione del senso
comune, cioè un insieme di valori e di codici simbolici condivisi dalla maggioranza della
popolazione. Essi diventano schemi di interpretazione che il pubblico tende a utilizzare sia per
orientarsi nelle interazioni della vita quotidiana sia, per formarsi opinioni in merito
all’inclusione di gay, lesbiche, bisessuali e transgender nel contesto sociale.
La riflessione ha, infine, evidenziato come con il passare dei secoli la figura della donna
comincia ad acquistare la sua emancipazione, la sua dignità, il suo valore. La presa di coscienza
della disuguaglianza, le posizioni politiche che ne sono conseguite, il movimento, la sua azione,
il contraccolpo che la società civile ne ha ricevuto e le risposte che ha dato, insieme ai ceti
politici, tutto questo ha portato davanti la riflessione femminista, sollecitandola a dotarsi di
categorie di analisi e di ipotesi per l’indagine storica e teorica. Il soggetto donna elabora la
propria esperienza nella consapevolezza che il contesto in cui vive è in continuo mutamento, un
mutamento che essa contribuisce a produrre e che si riflette sulla sua stessa identità di donne e
di omosessuale.
Nel secondo capitolo si è succeduto, attraverso un breve excursus sulla scoperta
dell’omosessualità, dalla depatologizzazione ed eliminazione dal Manuale statistico e
diagnostico delle malattie mentali (DSM), all’individuazione delle caratteristiche dell’
“omosessualità moderna” (Barbagli et al., Omosessuali modermi), nata quando determinati
comportamenti cominciarono ad essere visti come i segni e le manifestazioni di un tipo
particolare di inclinazione, di personalità, di identità sessuale deviante. Questa parte della tesi,
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ha inoltre, focalizzato la propria attenzione sulle donne omosessuali e sulle prime ricerche
dell’Ottocento realizzate sulla “devianza femminile” in ambito medico e psichiatrico,
prettamente condotte in carceri e manicomi, fino ad espandere la ricerca in ambienti “normali”,
quali collegi e scuole, accettando la bisessualità come “fenomeno normale”, almeno fino
all’adolescenza. Nella prima metà del Novecento la vita delle lesbiche è stata caratterizzata da
una pervasiva invisibilità sociale, l’idea di una identità collettiva o di una comunità era
assolutamente estranea: le donne, pur vivendo una vita sentimentale ricca e complessa e
intrattenendo in alcuni casi relazioni di lunga durata, erano scarsamente a conoscenza del
concetto stesso di “omosessualità femminile”. Si è poi evidenziato come negli anni Settanta e
Ottanta, i gruppi lesbici avevano privilegiato le aggregazioni con le associazioni femministe
piuttosto che con quelle gay; il dato più consistente era il separatismo dalla società maschile.
Nei decenni successivi, la maggiore visibilità delle lesbiche contribuì alla nascita di associazioni
come Arcilesbica, intese a tutelare i diritti delle lesbiche, e furono promosse iniziative sociali e
culturali, in un’alternanza di tensione e collaborazione con le controparti maschili.
Il terzo capitolo è dedicato ai diritti. Viene presentata una disamina di decreti e leggi dei vari
trattati e ordinamenti, nazionali ed internazionali, in materia di diritti, pari opportunità e
discriminazioni, nonché una riflessione sulla questione secondo la quale viviamo in un mondo
in cui vi sono diritti riconosciuti a tutti gli individui per realizzarsi e vivere liberi di esprimere
se stessi, senza distinzioni di sesso, razza e religione, come sancito da dichiarazioni universali,
trattati internazionali, ripreso e garantito anche dalle costituzioni di vari stati, tra i quali il
nostro. Mentre in alcuni paesi è riconosciuto alle coppie omosessuali il diritto di unirsi in
matrimonio, in Italia non è prevista tale opportunità, tantomeno il riconoscimento dello status
di coppia di fatto. Il diritto sulle questioni di genere e sulle omosessualità, specie in Italia, ha
assunto sempre maggiore rilievo sia sul piano politico che sociale pur soffermandosi quasi
esclusivamente sulle questioni normative e sulle evidenze di un dilagare di violenze e
discriminazioni. Complice un certo linguaggio e un certo grado di miopia dell’opinione
pubblica e della politica, sembra rimanere sempre troppo fuori dal dibattito il tema centrale del
diritto agli affetti (matrimoni, omogenitorialità). Il capitolo descrive come questo clima di
disuguaglianza dipenda strettamente da ostacoli reali e immaginari che derivano da stereotipi
interiorizzati, rafforzati da una tendenza verso l'omogeneità sociale e culturale imposta dalla
globalizzazione e come organi internazionali si impegnano nel tentativo di arginare qualsiasi
forma di omofobia, lesbofobia e transfobia.
Il quarto, ed ultimo, capitolo riguarda invece l’analisi e la presentazione dei dati della ricerca
sul campo. Essa nasce con l’intento di indagare la realtà dell’omosessualità femminile, in
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maniera particolare gli stili di vita delle donne omosessuali italiane, analizzando in maniera
particolare le modalità relazionali delle lesbiche prese in considerazione la dimensione
dell’omogenitorialità. I soggetti intercettati per la conduzione dell’indagine sono stati 20,
residenti in varie regioni d’Italia e reperiti attraverso contatti formali con le associazioni
Arcilesbica Napoli “Le Maree” e Famiglie Arcobaleno, e attraverso contatti informali, grazie
ad una conoscenza personale. L’approccio di ricerca utilizzato per l’indagine e di tipo
qualitativo, poiché la somministrazione di questionari avrebbe comportato una perdita di
informazioni rilevanti o una distorsione di interpretazione dei quesiti. Si è optato, dunque, per
interviste semi-strutturate attraverso cui gli intervistati sono stati lasciati liberi di raccontarsi e
di raccontare di tutto ciò che riguardasse la propria vita, il proprio vissuto ed esperienza rispetto
alla propria omosessualità.
Nelle conclusioni è stato reso esplicito il mio punto di vista critico su alcune questioni, ed
operato degli opportuni confronti tra alcuni dati ricavati dalle interviste. Sono state analizzate in
maniera minuziosa e dettagliata due delle dimensioni trattate nell’indagine, ed inoltre sono state
sviluppate alcune riflessioni sull’esito complessivo dell’indagine, per rispondere all’intento che
ha guidato l’intera ricerca, ovvero quello di comprendere e analizzare gli stili di vita delle
donne omosessuali nella nostra società.
Dalla difficoltà riscontrata nel reperire materiale letterario è possibile ipotizzare che gli
studiosi italiani stiano semplicemente ignorando l’esistenza di una vera e propria sociologia
dell’omosessualità all’interno del panorama disciplinare contemporaneo. Infatti gli articoli, i
saggi o i volumi più rilevanti di quest’area tematica devono ancora essere tradotti, e il mercato
editoriale rende poco disponibili analogie o manuali che presentino al lettore italiano i
concetti, i metodi, le acquisizioni e le problematiche che hanno caratterizzato il lavoro di altri
sociologi di altri paesi. Tuttavia, a partire degli anni Novanta è possibile osservare come il tema
della omosessualità stia progressivamente catturando l’attenzione dei sociolo gi del nostro
paese.
Con questa ricerca sono stati raccolti i primi dati su un tema quasi del tutto inesplorato dalla
ricerca italiana: lesbismo e omogenitorialità. Per questo motivo e per la scarsa visibilità del
fenomeno nella società, l’intercettazione dei soggetti da intervistare, la messa a punto degli
strumenti, la loro amministrazione e l’analisi dei dati raccolti hanno richiesto molta attenzione
ed energia. Gli aspetti e le connessioni evidenziate sono relativi ad un campione di convenienza
non rappresentativo di una popolazione, quelle delle lesbiche –madri e non- che in Italia non è
stata precisamente quantificata.
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Capitolo 1
Dimensioni di genere
‹‹Gli uomini e le donne sono, è ovvio, diversi. Ma non sono cosi diversi come il giorno e la
notte, la terra e il cielo››.
Queste parole fanno parte del saggio di Gayle Rubin, The Traffic in Woman, del 1975, che
introduce ufficialmente nel discorso scientifico il termine “genere”, dall’ autrice inglobato
nell’espressione sex-gender system, con la quale, Rubin, denomina l’insieme dei processi,
adattamenti, modalità di comportamenti e di rapporti, con i quali ogni società trasforma la
sessualità biologica in prodotti dell’ attività umana e organizza la divisione dei compiti tra
uomini e donne, differenziandoli l’uno dall’altro: creando appunto il “genere”.
Gli studi relativi al genere sessuale si sono sviluppati, nel mondo anglosassone, nell’orbita del
femminismo e nella militanza dei gruppi gay. La base teorica del gender studies ha origine dagli
woman studies degli anni Sessanta e dalla loro denuncia degli aspetti sociali della distinzione di
genere coincide con la differenza maschio-femmina. Le cosiddette “caratteristiche di genere”,
compresi gli stereotipi di genere, sono, in parte, frutto di costruzioni culturali.
In altre parole, il genere è un concetto che rimanda alla costruzione storica delle
rappresentazioni sociali e delle identità di genere, maschile e femminile, correlate a modelli di
relazioni, ruoli, aspettative, vincoli ed opportunità diverse. Femminilità e maschilità diventano
allora caratteristiche apprese. In questa accezione il termine genere si distingue da sesso,
termine che rimanda alle differenze biologiche e anatomiche tra maschi e femmine, e risulta
essere una categoria di appartenenza cui si è assegnati con la nascita ma non identiche dal punto
di vista del prestigio sociale. Sesso e genere sono allora due costrutti intimamente correlati ed
interdipendenti, perché indicano le due dimensioni dell’essere donna e dell’essere uomo: quella
biologica e quella socio-culturale.
Se è vero che dal punto di vista della struttura fisica e del corredo ormonale esistono realmente
delle differenze tra i due sessi, è altrettanto vero che tali differenze acquisiscono lo statuto che
noi conosciamo solo attraverso un lungo ed incessante processo di conferma sociale. Ed è
questa continua azione di conferma a conferire ai sessi il loro carattere di naturalità. Dunque, in
quanto socialmente costruito il genere risulta essere un prodotto della cultura umana.
L’antropologo Robin Fox in La parentela e il matrimonio (1973) elenca quattro principi
fondamentali che stanno alla radice di ogni organizzazione sociale:
1. Le donne hanno bambini;
2. Gli uomini le fecondano;
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3. Gli uomini abitualmente esercitano il controllo;
4. I parenti in relazione primaria non si uniscono tra loro.
Fox, sostenendo tali principi afferma la concezione sul fondamento della storia dell’umanità
dove il compito femminile è altamente specializzato di partorire e allevare i figli mentre, agli
uomini è “toccato” di cacciare, combattere i nemici, gestire il potere. In posizioni come quella di
Fox si rende esplicita l’equiparazione delle donne alla natura, un’idea che tende a diventare
criterio di analisi e principio esplicativo dei rapporti tra uomini e donne. Su questa base si
imposta una concettualizzazione della divisione del lavoro fondata sulla “naturalità”, in cui
l’anatomia diviene un destino, e il determinismo naturale diviene determinismo sociale. Le
attuali tecniche di riproduzione assistita, il parto cesareo, l’allattamento artificiale, l’aborto,
mostrano ampiamente che non si tratta di un evento naturale ma di una serie di processi in cui
l’intervento esterno, sociale è preponderante. La procreazione, dunque, risulta essere per questo
un evento sociale.
I risultati delle ricerche in biologia e biologia molecolare (Karp, 1998) non negano che esistono
delle differenze tra individui, ma inducono a pensare che queste differenze non siano
riconducibili a due categorie distinte. La differenziazione fisiologica si colloca a più livelli, non
solo a quello degli “eterocromosomi” sessuali (X e Y); inoltre si comincia a mettere in dubbio
che sia lo sviluppo delle gonadi, femminili o maschili, a dare l’avvio alla differenziazione degli
organi sessuali. Nel passato vigeva il pensiero che l’entità che alla fine sarebbe responsabile del
vero sesso è quella maschile, la donna invece è l’altro non definito. Le teorie genetiche sono
radicate nell’ideologia e dipendenti da essa. Ciò risulta evidente anche nell’analisi delle
procedure sulla determinazione del sesso e delle tecniche di intervento sui neonati intersessuati,
cioè di quegli esseri umani che alla nascita presentano organi sessuali esterni non chiaramente
definiti né come maschili né come femminili. Anche in questo caso, ciò che i medici decidono
dipende da fattori culturali più che biologici. Come scrive Suzanne Kessler (Kessler, 1996,
p.45) ‹‹i membri dell’équipe (di medici) seguono pratiche standard nel trattamento
dell’intersessualità che in ultima analisi si basano su concezioni culturali di genere››
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. I medici
preferiscono evitare un disagio psicologico a un bambino che sofisticati test (tra cui quelli
cromosomici) indicano come maschio attribuendogli un sesso femminile, secondo
considerazioni di tipo psicologico e razionale come le seguenti (Kessler, op. cit.) ‹‹se può essere
difficile per un maschio adulto avere un pene molto più piccolo della media, è davvero dannoso
per il morale di un ragazzino avere un micropene››. Ciò dimostra che nella determinazione
sesso/genere, conta meno la formula cromosomica di quanto conti la lunghezza del pene,
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Kessler J.S., “La costruzione medica del genere: il caso dei bambini intersessuati”, in Piccone Stella – Saraceno (ed.),
Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile, il Mulino, Bologna, 1996.
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dunque l’oggetto d’interesse sono gli organi sessuali maschili esterni, come costruzione
culturale accettabili o meno dalla società. La condizione di uno sviluppo sessuale atipico
solleva la questione di quanto sia difficile per i genitori accettare una tale diagnosi e quanto
siano essi stessi desiderosi di “normalizzare” il proprio figlio, in quanto influenzati da un
modello culturale dominante che vuole una netta e marcata distinzione tra il maschile e il
femminile.
Judith Butler sostiene nel suo libro, Gender Trouble (1990), la non autenticità e volontarietà
delle scelte di genere, in quanto la società decide a priori quali possibilità sessuali e di genere
sono socialmente permesse per apparire coerenti e naturali. Se accogliamo l’idea, che l’identità
sessuale è una performance, nessuno può pensare di avere un’identità stabile e immutabile; gli
individui sono sempre in transito sospesi tra l’identità che gli è stata attribuita alla nascita e la
ricerca della propria autonomia nell’agire il genere.
Il genere oltre ad essere una costruzione sociale, è anche un concetto estremamente composito
al suo interno. Seguendo Bernini si può affermare che sono tre le dimensioni costitutive del
genere: la sessualità (essere maschio o femmina in senso biologico), l’identità di genere
(comportarsi da uomo o donna), e l’orientamento sessuale (avere un desiderio sessuale
eterosessuale verso individui del sesso opposto o omosessuale, e cioè rivolto allo stesso sesso a
cui si appartiene).
La sessualità, a sua volta, non può essere considerata come una entità a sé stante, ma si articola
attraverso quattro fattori principali, detti psicosessuali, allo stesso tempo collegati e distinti tra
loro: identità di genere, identità sessuale, orientamento sessuale e comportamento sessuale
2
.
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Bernini L., La decostruzione filosofica del binarismo sessuale. Dal freudmaxsismo alle teorie trans gender, in
Transessualità e scienze sociali, a cura di Ruspini E., Inghilleri M, Liquori, Napoli
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