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Introduzione
Negli ultimi decenni l’attenzione verso il fenomeno “omofobia” è aumentata sempre di
più, sfociando sia in un atteggiamento di contrasto ad essa che, sfortunatamente, in un
picco di episodi di stampo omofobico quali aggressioni, violenza, bullismo e induzione
al suicidio. L’omofobia, in linea generale, indica la paura e l'avversione irrazionale nei
confronti dell'omosessualità, essa si manifesta nella sfera pubblica e privata sotto forme
diverse: discorsi intrisi d’odio e istigazioni alla discriminazione, dileggio, violenza
verbale, psicologica e fisica, persecuzioni e omicidio, discriminazioni in violazione del
principio di uguaglianza, limitazioni arbitrarie e irragionevoli dei diritti, spesso
giustificate con motivi di ordine pubblico, libertà religiosa e diritti all’obiezione di
coscienza.
Ultimamente, a questi episodi si è aggiunta un tipo di omofobia non violenta da un
punto di vista prettamente fisico ma brutale in ambito culturale, così come ha dichiarato
il giornalista e scrittore Roberto Saviano. Si tratta delle cosiddette Sentinelle in piedi:
uomini, donne, ragazzi e ragazze che si riuniscono in piazze o altri luoghi pubblici di
diverse città, disponendosi l’uno a un metro dall’altro per poi rimanere un’ora a fissare
un libro aperto, in silenzio. Sono persone che protestano per affermare che il
matrimonio è soltanto tra un uomo e una donna e, in questo modo, vorrebbero anche
impedire l’attuazione del disegno di legge Scalfarotto sull’omofobia (presentato il 13
marzo 2013), che condanna le discriminazioni sull’identità sessuale, perché lo
considerano contrario alla loro libertà di espressione. Si può dire che questa gente abbia
la bizzarra necessità di manifestare non per rivendicare i propri diritti, bensì per evitare
che altri possano beneficiare di tutele in realtà già usufruibili dai più.
L’indifferenza all’estensione del fenomeno omofobo da parte dello Stato risulterebbe
inoltre in una complicità la cui conseguenza diviene evidente nell’assenza di leggi a
riguardo, è la cosiddetta omofobia (o omonegatività) istituzionale. Difatti, gli
omosessuali italiani sono gli unici, in tutto il mondo occidentale, a cui viene impedita
l’unione civile, il matrimonio e l’adozione anche quando il figlio biologico sia del
proprio partner, la cosiddetta, stepchild adoption.
Un altro fenomeno abbastanza recente è quello dell’“omofobia cibernetica”. Oramai la
stragrande maggioranza delle famiglie possiede almeno un computer e una connessione
ad internet, inoltre lo smartphone è sempre più di uso comune tra i pre-adolescenti.
L’innovazione tecnologica degli ultimi anni ha sicuramente molti aspetti positivi ma,
4
allo stesso tempo, espone a rischi inesistenti fino a qualche anno fa, come il bullismo
omofobico perpetrato on-line e l’omofobia sui social network.
Sono principalmente questi aspetti: il silenzio istituzionale su questi temi, il fenomeno
delle Sentinelle in piedi e quello dell’“omofobia cibernetica” che hanno fatto crescere in
me la volontà di approfondire il tema, ed individuare alcune possibili proposte di
intervento operative, centrate soprattutto sulla prevenzione e su un aiuto concreto
indirizzato a tutte le persone e le istituzioni colpite dal fenomeno. Il fine delle proposte
presentate sarà chiaramente quello di promuovere una pedagogia inclusiva per poter
vivere, lavorare, studiare in un ambiente sereno e aperto a tutti, senza pregiudizi.
Tale lavoro si propone, innanzitutto, di tratteggiare i mutamenti della percezione
dell'omosessualità e degli atteggiamenti più o meno tolleranti ad essa collegati. Di
seguito si passerà alla definizione di “omofobia” e di “transfobia” con le rispettive
alternative proposte da vari autori e le critiche di natura sia etimologica che di
significato, passando al concetto di “omonegatività” introdotto da Hudson e Ricketts
come alternativo o quantomeno complementare al più diffuso termine “omofobia”. Si
passa poi a descrivere la formazione dell’identità sessuale in persone LGBT
focalizzandosi sul concetto di omofobia interiorizzata.
Nel terzo capitolo si discuteranno i principali luoghi della discriminazione: la scuola, la
famiglia, il lavoro, la formazione professionale, i contesti sanitari e i mass media,
prendendo in considerazione episodi di cronaca italiana e internazionale al fine di
comprendere al meglio le modalità più comuni con cui si innesca il meccanismo
discriminatorio.
Dopo aver chiarito le origini dell’omofobia, i livelli dell’omonegatività, i luoghi della
discriminazione non resta altro che presentare delle proposte di intervento operative per
prevenire e ridurre la discriminazione nei vari ambienti trattati.
In primis, per la scuola, vengono presentate una serie di buone prassi per fronteggiare il
bullismo di matrice omofobica, sia a livello nazionale sia a livello scolastico
enunciando, inoltre, alcune importanti iniziative italiane.
Per quanto riguarda le famiglie sembra necessario sviluppare strategie e strumenti di
sostegno finalizzati alla prevenzione della violenza omofoba all’interno e al di fuori
delle stesse focalizzandosi, in particolare, sul fornire informazioni corrette su temi quali
l’orientamento sessuale e l’identità di genere.
In ambito lavorativo si vedrà come adottare una politica aziendale di inclusione delle
diversità sia auspicabile non solo per le persone discriminate ma anche per le stesse
aziende. Inoltre, si presenteranno alcune iniziative italiane nel campo della formazione
5
professionale finalizzate a contrastare la discriminazione e delle buone prassi in ambito
sanitario.
Non da ultimi, i mass media svolgono un ruolo cruciale nel miglioramento della
percezione pubblica delle persone LGBT come si vedrà nelle principali strategie di lotta
all’omofobia perpetrata da questi ultimi, presentate a conclusione del capitolo.
7
I. ORIGINI STORICHE E CULTURALI DELL’OMOFOBIA E
DELLA TRANSFOBIA
Io sono l’amore che non osa pronunciare il suo nome.
Alfred Douglas
Come rilevato da numerosi studiosi
1
quando si ripercorre la storia in cerca di
atteggiamenti di tolleranza o di rifiuto dell’omosessualità ci si imbatte quasi
esclusivamente in quella maschile, dato che le lesbiche, fino a tempi anche abbastanza
recenti, sono state assenti nell’interesse dei pensatori del passato. Come afferma
Haplerin questo disinteresse risulta singolare se si pensa al fatto che il comportamento
lesbico può essere considerato la prima forma di omosessualità, categorizzata come tale
fin dall’antichità greca pre-classica
2
. Infatti, il termine “lesbico” deriva, come è noto,
dall’Isola di Lesbo nel Mare Egeo, dove visse e operò verso la fine del VII secolo a.C.
la poetessa Saffo, nelle cui liriche spesso si canta il tema del suo amore e desiderio per
donne e ragazze. Usato inizialmente in senso dispregiativo e riappropriato dalle donne
omosessuali come segno di orgoglio e rivendicazione, questo termine è entrato nel
linguaggio comune, diventando il vocabolo più antico del nostro lessico sessuologico
3
.
Ci occupiamo adesso di una breve rassegna delle caratteristiche dei comportamenti
omosessuali dall’antica Grecia ai giorni nostri, con un accento particolare all’evoluzione
del concetto di omofobia, così come oggi lo intendiamo.
I.1. Il periodo greco-romano
È opinione comune considerare il periodo greco-romano un’epoca in cui il
comportamento omosessuale non venisse condannato ma, al contrario, considerato
espressione di valori morali e spirituali. In realtà, da un’analisi più approfondita, emerge
che, per quanto i comportamenti omosessuali fossero comuni, esistevano dei limiti
convenzionali e delle preoccupazioni nel momento in cui le persone coinvolte
1
Fone B., Homophobia, Picador, New York 2000; Allen R. H., The Classical Origins of Modern
Homophobia, McFarland & Company, Jefferson 2006; Barbagli M, Colombo A., Omosessuali moderni.
Gay e lesbiche in Italia (II ed.), Il Mulino Bologna 2007.
2
Haplerin D. M., One Hundred Years of Homosexuality, Routledge, New York & London 1990.
3
Dettore D., Origini sociali, culturali e storiche dell’omofobia in Batini F. e Santoni B. (a cura di),
Identità sessuale a scuola. Educare alla diversità e prevenire l’omofobia, Liguori editore, Napoli 2009.
8
rompevano talune regole sociali minacciando le idee tradizionali e culturalmente
determinate di genere
4
.
Come ha osservato Foucault, prima che la psichiatria venisse fondata nel XIX secolo
non esistevano le persone omosessuali né quelle eterosessuali, in quanto l’identità degli
individui non veniva distinta su questa base. In quest’ottica nell’antica Grecia sarebbe
esistita l’omosessualità intesa come comportamento, ma non sarebbero esistiti gli
omosessuali, in quanto persone che si identificano come tali
5
. Ciò che
fondamentalmente preoccupava il maschio greco non era affatto l’oggetto del desiderio
in quanto maschio o femmina, ma il posto che tale oggetto occupava nella gerarchia
sociale e sessuale, soprattutto rispetto al livello di potere da questo posseduto. Di
conseguenza le donne e i ragazzi avevano uno status inferiore, secondo le regole sociali
dell’epoca, e quindi era del tutto normale e accettabile che un uomo potesse avere
rapporti sessuali con essi, ovviamente mantenendo la posizione attiva
6
.
Nel mondo greco l’omosessualità maschile era essenzialmente “educativa”: un ragazzo
aveva un uomo come “maestro” e la loro omosessualità era vista come un passaggio di
virilità, un insegnamento di vita, come può fare un guerriero maturo con un giovane
combattente. Ma la relazione doveva finire appena il ragazzo raggiungeva la maturità
fisica: dopo era vista come pederastia a condannata aspramente
7
. Così l’amore
omosessuale svolgeva una funzione pedagogica capace di trasformare il ragazzo in un
uomo
8
. Dunque la condotta omosessuale di per sé non era condannabile se rimaneva
segno di virilità, attiva e controllata, mentre diveniva preoccupante e oggetto di scherno
nel caso in cui diventasse esclusiva o, in particolare, potesse essere considerata
manifestazione di effeminatezza
9
.
4
Ibidem
5
Foucault M., Storia della sessualità. Vol. 1: La volontà di sapere, Storia della sessualità Vol. 2: l’uso
dei piaceri, Storia della sessualità Vol. 3: La cura di sé, Feltrinelli, Milano 1991.
6
Vedi anche Sartre M. L’omosessualità nell’antica Grecia, in (a cura di) Duby G., Amore e sessualità,
Milano, Edizione dedalo 1986.
7
Angela A., Amore e sesso nell’antica Roma, Rai-Eri-Mondatori, Roma 2012.
8
Canterella E., Secondo natura, la bisessualità nel mondo antico, BUR, Milano 2005.
9
Questa tesi si può confrontare con quella di Barbagli che, nel suo testo Omosessuali moderni, distingue
quattro tipologie di relazioni omosessuali: il modello pederastico classico, che ha una struttura gerarchica
ricalcata sia da una differenza di età, che da una forte disparità di prestigio e potere a cui segue una
asimmetria sessuale; il modello pederastico improprio o modificato, in cui è presente ancora l’asimmetria
sociale e dell’età ma quella sessuale e meno marcata ed inoltre non è necessariamente l’uomo più anziano
ad avere il ruolo attivo; le relazioni del terzo tipo sono basate sulla trasformazione di genere e hanno
luogo tra adulti di sesso sia maschile che femminile. Esse riproducono il modello eterosessuale: uno dei
partener rinuncia al genere di appartenenza attribuito dal sesso anatomico e assume l’abbigliamento, le
movenze, il ruolo opposto a quello considerato naturale. A differenza degli altri modelli, coloro che
adottano un simile schema hanno quasi esclusivamente rapporti omosessuali; in ultimo, il quarto tipo di
relazioni, quelle degli omosessuali moderni, si basano sul principio di uguaglianza, non esistono ruoli e
gerarchie e i due partner hanno quindi lo stesso potere e status. (Barbagli M., Colombo A., op. cit.)
9
Così, la società del tempo prescriveva quando e se gli uomini che avevano rapporti
omosessuali potevano provare piacere nell’atto (solo quando avevano un ruolo attivo,
come già detto) ed è su questo assunto che si fonda l’omofobia greca, testimoniata da
numerosi scritti di autori che manifestavano disprezzo e sdegno nei confronti di altri
poeti tra cui Agatone perché considerati né maschi né femmine e, spezzando l’ordine
della società, introducevano, col loro corpo corrotto, caos e corruzione nel sano corpo
sociale
10
.
Per i romani, la faccenda era diversa. L’omosessualità maschile era “punitiva”: si
sodomizzavano prigionieri, nemici, schiavi per dominarli. Era una forma di potere e
dominio, non di piacere, quindi la finalità ultima era soggiogare la virilità altrui. Dopo
l’espansione di Roma in Grecia, però, nell’Urbe arrivarono tanti aspetti della cultura
greca, dalla filosofia, al gusto per i piaceri della vita, e si diffuse anche quello che i
romani attaccati alla tradizione definirono “vizio greco”, che avrebbe rammollito
l’antico vigore di Roma
11
.
Nella Roma antica, però, l’omosessualità non era né perseguitata legalmente né soggetta
a riprovazione sociale. Così come per i greci, per un romano la componente
fondamentale di un vero uomo era la virilità, intesa come potenza, determinazione,
conquista, espressione della propria volontà sugli altri. Ciò nonostante, la pederastia
greca era disapprovata: l’amante, nel rapporto pederastico, corteggiava il giovane
amato, lo blandiva, ed entrambi erano coinvolti in un gioco seduttivo. Per i romani
questo atteggiamento mal si conciliava con quella che gli storici hanno definito
“sessualità di stupro”
12
e non idealizzavano l’amore fra uomo e giovane né ritenevano
fosse alla base dell’educazione etica e spirituale di quello di minore età.
Solo nel III secolo d. C. l’imperatore Filippo tentò di bandire la prostituzione
omosessuale e nel 342 d.C. gli imperatori Costanzo II e Costante promulgarono un
editto contro gli uomini che si offrivano “in modo femminile” ad altri uomini. A seguito
di queste leggi molti iniziarono a interrogarsi sulla legittimità del comportamento
omosessuale. Questo portò gli imperatori Teodosio e Valentiniano II, forse influenzati
dalla posizione della Chiesa sempre più visibilmente contraria, a dichiarare che tali atti
fossero peccaminosi in quanto contro natura.
In ogni caso la Roma classica e del primo impero non condannò l’amore romantico fra
maschi, come è dimostrato dalla letteratura (Catullo, Virgilio, Orazio, Tibullo, Ovidio,
10
Dettore D., op. cit.
11
Angela A., op. cit.
12
Ibidem p. 38