Prologo.
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Oltre l’ Homo technologicus: l’evoluzione della conoscenza nel cyberspazio.
strumenti di lavoro più completi, che con le argomentazioni filosofiche, ma
soprattutto avendo presente la storia del pensiero, mi consentano di tuffarmi più
arditamente nell’universo colorato della conoscenza e nella riflessione sull’insieme
dinamico di relazioni che, gettando ponti sottili fra noi e il mondo, tessono
l’intelaiatura su cui tale conoscenza sorge, invadendo il mondo percepito.
Nella caleidoscopica prospettiva di una filosofia che costruendo multiformi
visioni del reale, rifuggendo la prigionia di ogni rigido schema mentale, invero da me
mai posseduto, vi proietta le percezioni dell’io legando il mondo all’interiorità, ho
potuto riacquisire la pienezza del mio essere, riconciliandolo con il mio vissuto senza
rinnegare l’apporto formativo della cultura scientifica, che io considero
assolutamente indispensabile per poter operare attivamente e consapevolmente nella
società attuale, nella cui dimensione valoriale a valenza universale ciascuno di noi
proietta le proprie assunzioni di responsabilità, che retroagiscono nell’intelligenza
collettiva espansa nell’universo dell’informazione che ci avvolge.
Giocando con i pensieri “filosofici” e con la mia bambina, ho ritrovato la mia
anima.
Introduzione.
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Oltre l’ Homo technologicus: l’evoluzione della conoscenza nel cyberspazio.
INTRODUZIONE
“L’ecologia dell’azione ci invita non all’inazione, ma alla
scommessa che riconosce i propri rischi e alla strategia che
permette di modificare, se non di annullare, l’azione intrapresa.
L’ecologia dell’azione ci incita a una dialettica fra l’ideale e il
reale” (Morin e Kern 1994, 133).
“…tra l’ecosfera e la tecnosfera…
Non è un grido di battaglia a favore di uno schieramento o
dell’altro,
ma piuttosto un progetto per giungere alla fine di questa guerra
suicida e per far pace col pianeta” (Commoner 1990, 49).
“Ama e ridi se amor risponde
piangi forte se non ti sente
dai diamanti non nasce niente
dal letame nascono i fior” (De Andrè 1999, 295).
Collocare precisamente nel tempo la scelta dell’argomento della presente tesi
e cercare le motivazioni che mi hanno spinta alla sua realizzazione non è semplice,
perché il tutto deriva da un processo di evoluzione che ha caratterizzato il mio
pensiero, frutto dei molteplici apporti culturali nei quali mi sono imbattuta più o
meno volontariamente nella mia vita.
Forse è stato proprio questo, invero, il motivo scatenante. La varietà delle mie
fonti formative non potevano relegarmi in un argomento unico, facilmente definibile
in un ambito disciplinare, per quanto ciò sia in ogni caso mai possibile. Avevo
bisogno di spaziare, di correre liberamente da un settore del sapere ad un altro,
essendo in un certo qual modo autorizzata a farlo. Dunque, quale argomento poteva
prestarsi meglio ai miei voli fantastici se non quello che, a mio avviso, è di per sé
espressione di libertà, per le nuove mirabili possibilità comunicative che offre, cioè
la Rete?
Internet, la Rete delle reti, ha restituito a me la possibilità di far rivivere la mia
voglia di conoscere, mettendomi in condizione di muovermi oltre i confini dello
spazio e del tempo, abbattendo le barriere geografiche e quelle economiche, che mi
Introduzione.
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tenevano lontana dalle innumerevoli fonti di sapere ormai distribuite a livello
planetario. Internet mi ha fatto e mi fa provare la sensazione di poter comunicare con
chiunque altro nel mondo in maniera amichevole, anche forse per l’informalità che
caratterizza spesso il linguaggio che è ivi concesso di utilizzare, ad esempio nella
posta elettronica. Internet sembra rendere tutti gli internauti più paritari, sembra
davvero offire e offrirsi come possibile strumento di, e qui voglio usare una parola
molto impegnativa, riappacificazione globale. Internet, nella mia visione forse
utopica di un mondo migliore, sembra dar ali alla fantasia, come farfalle scintillanti
in un cielo di elettroni, dove la nostra mente si unisce a quella degli altri in una
noosfera che abbraccia il mondo intero.
Ho voluto quindi approfondire quella che è stata in un primo tempo solo una
ricerca dentro me stessa e attraverso il mio vissuto, ricercando il parere, anche
contrario, di altri e, possibilmente, il conforto di coloro che avessero avuto la mia
stessa esperienza.
Come l’idea dell’argomento più specifico da trattare maturava in me, iniziavo
la ricerca delle fonti documentarie e la loro raccolta, costruendo lentamente, in
reciproca relazione con gli autori che tramite esse cominciavano a parlarmi,
l’organigramma della mia ricerca, che ha continuato a modificarsi fino al momento
in cui sono stata costretta a dargli una posizione statica sul foglio stampato, come se
nello scorrere di un filmato infinito, abbia dovuto utilizzare un fermo immagine.
Ovviamente, col trascorrere del tempo l’idea iniziale si definiva sempre di più, si
compiaceva di trovare in altri argomentazioni analoghe, sia nei contenuti che nei
legami fra gli stessi, se ne accresceva e, dialetticamente produceva una sintesi e da
questa una nuova ipotesi di lavoro e così via. Posso dire di aver usato una specie di
guida intuitiva interiore, che di volta in volta mi suggeriva quale libro interrogare,
con le domande che la mia mente poneva, o quale sito consultare, per cercare
qualche risposta ai miei continui nuovi interrogativi. Forse anche la serendipity
(Merton 2000a, 255-262) mi ha guidata, quella strana magica parola con cui ci si
riferisce all’esperienza di imbattersi, durante una ricerca, in un dato imprevisto,
anomalo e strategico, che fornisce un’occasione ispirativa per deviare dal percorso
prestabilito, trovando improvvisamente strade nuove e innumerevoli diramazioni,
anche se spesso venivano in mio soccorso, da angoli remoti della mia considerevole
biblioteca, libri o riviste che inaspettatamente risorgevano dal mio passato, dandomi
una particolare euforica sensazione per la riconferma di stare seguendo una via di
Introduzione.
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ricerca da sempre appartenutami e solo per questioni contingenti precedentemente
abbandonata.
Non è stato difficile reperire materiale per il mio lavoro. Seguendo i
suggerimenti derivatimi dalle lezioni di Tecnologia dell’Istruzione, del professor
Filippo Ceretti, seguite agli inizi del mio corso di studi, ho comiciato la lettura delle
opere dei grandi guru della Rete, primo fra tutti Pierre Lévy e poi da lì mi si è aperto
un universo infinito di strade documentative, con andamento lineare, ramificato,
intrecciato, progressivo e retrogrado. Ho veleggiato per ore nell’oceano elettronico,
spostandomi da un argomento ad un altro, da un sito ad un altro, secondo le esigenze
del momento, costruendo il mio personale gigantesco ipertesto. Quel che sembrava
difficile è stato, o almeno mi è apparso tale, per qualche tempo il riuscire a
coordinare l’enorme mole di materiale informativo che continuamento reperivo. Ma,
all’improvviso, tutto ha cominciato ad andare al posto giusto, come in un puzzle, le
informazioni si corrispondevano, si completavano collegandosi l’una all’altra,
rimanevano all’interno del mio schema logico, si mettevano al loro posto, rendendosi
comprensibili.
Eccoci, dunque, al titolo della mia tesi: “Oltre l’ Homo technologicus:
l’evoluzione della conoscenza nel cyberspazio”. Ogni sua parola l’ho soppesata,
sperando di riuscire nell’intento di raccogliere in una breve frase il fine generale del
mio lavoro o meglio di costruire una soglia misteriosa sulla quale far soffermare chi
vi getterà lo sguardo, invitandolo ad aprirla per continuare a leggere.
Quando parlo di Homo technologicus ne parlo in un duplice senso: in primo
luogo considerando il fatto che l’evoluzione della specie umana è stata sempre legata
a quella delle tecnologie, che essa stessa andava via via scoprendo, potendosi
addirittura parlare di coevoluzione fra l’Homo sapiens e le sue tecnologie e dunque
di Homo technologicus; in una seconda interpretazione, volevo porre l’accento sulla
trasformazione che l’Homo sapiens ha comunque subito, diventando da quel
momento in poi, a detta di molti, Homo technologicus, il Mister Hyde dei nostri
tempi, manipolatore del pianeta e della vita, principale fattore di degrado ambientale,
facendo risalire l’inizio di tale trasformazione in questo caso alla famosa e
famigerata Rivoluzione Industriale e ancor prima a quella Scientifica che ne ha
gettato le radici.
Comunque la condizione di Homo technologicus non è destinata a durare, sia
che si possa parlare di giusta realizzazione di qualcosa che già era in essa, come una
sorta di inveramento, sia che se si parli di metamorfosi e di inversione di tendenza.
Introduzione.
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La sopravvivenza stessa sulla nostra e della nostra Terra lo esige e si spera che anche
tutti noi ce ne possiamo rendere partecipi andando “oltre” l’ Homo technologicus,
usando gli stessi strumenti che la sua inventiva ci mette a disposizione, per mutarlo
in Homo planetarius e riappacificarlo col pianeta (Commoner 1990).
Anche “l’evoluzione della conoscenza nel cyberspazio”, la parte più
esplicativa del titolo, si presta a più interpretazioni, come volevo che fosse. La prima
che io le attribuisco ha un significato fondamentale, perché si lega alla mia
concezione dell’agire e alle sue conseguenze etiche. La conoscenza viene da me
intesa come la prima forma di interazione dell’individuo con il mondo, dalla quale
scaturiscono poi tutte le altre modalità di azione. Anche un essere vivente non umano
per sopravvivere interagisce continuamente con l’ambiente in cui si trova, lo deve
sondare, magari con le sue radici per trovare l’acqua, con i suoi organi di senso per
orientarsi nello spazio per intraprendere poi le successive azioni, di ricerca di cibo, di
difesa dai predatori, di costruzione di un rifugio o di un nido per i suoi piccoli, che
deve in ogni caso riconoscere. Se è vero che l’essere umano è l’essere vivente in cui
si sono particolarmente sviluppate le capacità cognitive con lo sviluppo di un
cervello di grandi dimensioni e con una neocorteccia complessa in grado di
sofisticate elaborazioni, evidentemente in lui la conoscenza è, potremmo dire,
esplosa e con essa la coscienza. Resta, però, il fatto che ogni agire è legato al
conoscere e che il conoscere è agire e retroagire nel sistema fisico e valoriale che
costituisce il mondo percepito e che l’intero sistema si evolve, mutando
continuamento il suo assetto.
D’altro canto, in quelle interazioni la mente si modifica e quindi anche al suo
interno è possibile notare cambiamenti, in un’evoluzione di tipo lamarkiano, quale
viene considerata di solito l’evoluzione della cultura umana, o anche in qualche
modo di tipo darwiniano, con modificazioni che interessano i geni codificanti la
struttura del nostro cervello e quindi il funzionamento della mente stessa. Si possono
pertanto evidenziare cambiamenti nel modo di ragionare, di apprendere, di archiviare
le informazioni se seguiamo la storia dell’umanità e le tappe più significative dal
punto di vista dell’invenzione di nuove tecnologie della comunicazione e, più in
generale, del sapere, fino a giungere ai tempi nostri in quella che viene considerata
l’era dell’informazione. Nel cyberspazio, che dalla Rete si sviluppa, l’essere umano
trova una nuova dimensione vitale e conoscitiva che apre orizzonti infiniti.
Prima di illustrare brevemente il contenuto di ciascun capitolo, penso sia
importante qualche considerazione sull’intelaiatura concettuale sottesa al mio lavoro.
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Come ho argomentato ampiamente in esso, a parte la visione sistemica che mi
deriva dalla mia formazione in campo ecologico, sono una sostenitrice dell’idea
evoluzionistica, certo non di quelle che sono state poi le sue interpretazioni deleterie
che hanno addirittura portato a giustificare la selezione delle razze umane, cosa che,
come è biologicamente provato, non ha assolutamente ragion d’essere. È spesso una
cattiva informazione in ambito scientifico, che conduce ad utilizzare in modo
deformato e utilitaristico i risultati delle ricerche scientifiche stesse, per non parlare
poi degli interessi economici, ma questa non è la sede adatta per farlo. Anche
nell’ambito dell’evoluzionismo, le concezioni non sono tutte uguali. Ad esempio io
concordo con Stephen Jay Gould (1997) e non con Dawkins (1995) nel non
considerare l’evoluzione solo come una grande epopea che si conclude con la
comparsa già prevista dell’uomo dominatore del creato. Al contrario, comprendendo
di essere inseriti, con tutti i nostri diritti, ma anche con tutti i nostri doveri, in un
delicato equilibrio naturale che, per il fatto stesso di vivere, si evolve nel complesso
continuamente, dovremmo essere portati a rinuciare al nostro scranno di regnanti e a
scendere al livello di tutte gli altri esseri del creato, con i quali convivere
pacificamente, pur consapevoli del notevole livello di complessità che la casualità
evolutiva ci ha donato.
Dal punto di vista più strettamente filosofico, ho capito di potermi riconoscere
in molte linee della fenomenologia, se non altro per il suo senso di apertura verso la
conoscenza, intesa come ricerca infinita, per il suo modo di costruire il senso della
nostra esistenza nell’orizzonte dell’interrelazione con l’Altro, intendendolo come
altro da me, umano o non umano, vivente o non vivente, per il suo superamento del
dualismo di cartesiana memoria tra io e mondo, cervello e mente, soggetto e oggetto,
ragione e non ragione, e altro ancora; anche se il completamento ideale, in senso
degli strumenti che conviene usare per intraprendere l’avventura della conoscenza, è
quello datomi dal costruttivismo radicale di Ernst Von Glasersfeld (2004) o meglio
ancora dalla neurofenomenologia di Francisco Varela (1992), che è la prova della
naturale possibilità di confluenza delle prospettive fenomenologiche in quelle
costruttiviste. Ma potrei citare come testimoni anche il matematico Giuseppe O.
Longo e lo stesso mio amato Lévy. Rimando per questo alla lettura delle loro opere
citate in bibliografia.
Ancora la filosofia della complessità che da tali visioni scaturisce è sottesa a
tutto il mio lavoro, trovando sostenitori in Morin, Bateson, Maturana e lo stesso
Varela, Longo, Lévy e numerosi altri studiosi di vario tipo.
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Se poi traspare dalle mie parole il sentimento, come il mio stimatissimo
relatore, Sebastiano Ghisu, che fra l’altro ringrazio per i suoi determinanti consigli
culturali e di vita, mi ha fatto notare, il mio pensiero corre a Paul K. Feyerabend, che
potrei citare perché condivido il suo “metodo” di ricerca del sapere, perché trovo che
moltissime sue affermazioni rientrino nella prospettiva costruttivista che io prediligo,
ma sicuramente e soprattutto per l’insistenza con la quale afferma quanto sia
importante la passione per tutte le attività umane
1
. Non dobbiamo impedire ad essa di
affiorare, neppure affrontando problematiche scientifiche, come io del resto ho
sempre pensato.
Poiché senza il soggetto conoscente, senza la sua interazione con il mondo, è
impossibile qualsiasi conoscenza, ho ritenuto opportuno cominciare proprio da esso,
ricercando le motivazioni biologiche e filosofiche del processo di apprendimento, da
cui il titolo del primo capitolo, “Mente e cervello tra filosofia e biologia”.
Quale sorpresa nello scoprire che fino a non molti anni fa il problema,
peraltro affascinante, del rapporto mente-cervello o mente-corpo era terreno
inesplorato per le scienze e quasi esclusivo appannaggio della filosofia! Credo sia
una prova evidente, se ce ne dovessero ancora volere, dell’insensatezza
dell’atteggiamento di coloro che cercano di mettere barriere fra le discipline,
soprattutto quando si ha a che fare fra le altre con la filosofia, dalla quale tutte sono
storicamente derivate. Ho, perciò, cercato di capire lo stato attuale dell’arte, cercando
di delinearne i principali sviluppi storici, osservando come si sia passati da una
concezione nettamente dualistica, risalente alle cartesiane res cogitans e res extensa,
ad una monistica, con gli idealisti e il concetto di un Io che assolutizza a sé ogni
aspetto del mondo conosciuto, concezione non compatibile con la ricerca scientifica,
fino a considerare tutti coloro che, filosofi e scienziati, pur considerando l’essere
umano e gli altri animali nella loro globalità, come un tutt’uno di mente e corpo,
danno diverse spiegazioni del suo funzionamento e delle relazioni fra i due. Sono
rapidamente passata attraverso le problematiche relative all’Intelligenza Artificiale e
alle Reti neurali, con l’interessantissima proposta di una logica diversa da quella
della tradizione aristotelica, data dalla cosiddetta logica “Fuzzy” o logica confusa,
che al di là del nome che sembrerebbe sminuirne il valore, si presta molto bene ad
esempio ad interpretare la logica del vivente, che, come ben sostiene Morin, non può
situarsi distintamente o sull’uno o sullo zero della logica binaria. Ho riportato le
teorie di molti studiosi della mente, ma ho privilegiato alla fine quella di Gerald M
Edelman (1997; 2000), perché in evidente accordo con l’evoluzionismo con il suo
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cosiddetto darwinismo neurale, concezione secondo la quale il cervello si
svilupperebbe in seguito all’interazione dell’organismo con l’ambiente, attraverso un
meccanismo che ricorda molto da vicino la selezione naturale, e soprattutto quella
costruttivistica e quella del neurofenomenologo Francisco Varela, per i motivi
spiegati sopra, che si possono riassumere emblematicamente con una frase di
Merleau-Ponty, noto per aver superato qualsiasi dualismo fra scienze della natura e
scienze dello spirito:
“La più importante acquisizione della fenomenologia consiste certo nell’aver
congiunto l’estremo soggettivismo e l’estremo oggettivismo nella sua nozione del
mondo o della razionalità” (Merleau-Ponty 2003, 29).
Nella parte finale del capitolo, nel paragrafo “Dalle scimmie antropomorfe
all’Homo sapiens sapiens e oltre”, ho ripercorso brevemente la storia evolutiva del
genere Homo, per quel che riguarda specialmente le condizioni, che restano tuttora
enigmatiche, che hanno favorito l’evoluzione delle capacità cognitive umane e che
consentirono ai nostri antenati e solo a loro di divergere dalle linee evolutive di tutte
le altre forme di vita.
Ho continuato il percorso evolutivo nel secondo capitolo, “Le tecnologie della
comunicazione modificano l’Homo sapiens”, spostando ora l’attenzione, come dice il
titolo stesso, sulla coevoluzione specie umana-tecnologia del sapere, passando in
rapida rassegna l’epoca dell’oralità, la civiltà chirografica, la cultura tipografica, fino
a giungere alla cosiddetta “Technopoly”, ossia la cultura dei media elettrici. Dal
significato di tecnica e di tecnologia, attraverso il mondo dell’informazione e della
semiotica, intesa anch’essa in modo globale, con Sebeok (1998a), ho preso in esame
il rapporto simbiontico che, tra amore e odio, abbiamo da sempre istituito con la
macchina, con una particolare accelerazione del fenomeno da quando è iniziata l’era
digitale con l’invenzione del computer. Se è vero, come proclama allarmato Anders
(2003a, 50), che il “«dislivello prometeico» l’asincronizzazione ogni giorno
crescente tra l’uomo e il mondo dei suoi prodotti” tende ad aumentare sempre di più,
rendendo l’uomo schiavo delle macchine da lui costruite, il discorso si fa un pò
diverso se si pensa all’influenza delle nuove macchine informatiche nei processi
cognitivi, sensomotori e psicologici che vengono integrati, potenziati ed estesi dalle
nuove tecnologie, le quali si integrano con i processi della mente, tanto da portare a
parlare di una vera e propria “Tecnologia cognitiva”. Alla fine del secondo capitolo
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ho trattato l’evoluzione dei modelli di apprendimento e l’evoluzione sociale e
culturale legati alla rapidità con la quale attualmente si evolve la tecnologia
dell’informazione, facendo un parallelo, secondo me molto interessante, fra le
strutture mentali e la storia del pensiero scientifico.
Nel terzo capitolo, dal titolo emblematico, “L’epistemologia del cyberspazio”,
l’evoluzione socio-culturale si spinge fino al momento attuale, alla grande diffusione
di Internet e del World Wide Web. Ho cercato di toccare le tematiche per me più
importanti a riguardo, ma davvero in questo caso ho rischiato di essere quasi travolta
dalle informazioni presenti sia su Internet, come è ovvio, ma anche sui testi che ho
procurato. Ho voluto ritracciare la storia di Internet, evidenziandone la componente
di collaborazione comunitaria a scapito di quella più usuale, che la farebbe nascere
per soddisfare esigenze di tipo militare. Mi sono inoltrata, tra ipertestualità e
ipermedialità, nello spazio già virtuale della metafora, seguendo la struttura della
rete, che non è poi una novità neanche nel mondo del sapere, come ho cercato di
dimostrare, giungendo finalmente al cyberspazio. Con il nome degno di un libro di
fantascienza, da cui in effetti pare sia stato tratto, nel nuovo spazio comunicativo le
trasformazioni che si verificano sono profonde ed interessano la percezione del
mondo, ma anche l’integrità dell’Io, che ne esce, però, catarticamente potenziato. Il
virtuale apre le porte al fantastico, riconciliandoci con la parte di noi che
un’eccessiva razionalizzazione della mente aveva espunto, ci fa viaggiare in una
nuova dimensione dello spazio-tempo, che sembra continuare i paradossi di
einsteiniana memoria. Ma il Web deve essere davvero per tutti per diventare, come si
auspica, terreno di comunicazione globale e democratica, quindi anche per coloro
che non dispongono di tutte le risorse corporee e mentali delle cosiddette persone
“normodotate”. Infine, ho voluto fare una veloce carrellata fra le opinioni riguardo a
Internet, che sono le più disparate, tanto da poterle spesso collocare nelle due estreme
categorie degli “apocalittici” e degli “integrati”, di cui ironicamente parla Eco (Eco
2001). Con lui, anch’io faccio notare come si tratti in realtà di due facce della stessa
medaglia, poiché comunque tutti noi siamo parte dell’universo delle comunicazioni
di massa, cui appartengono anche i nuovi media, Internet compresa, e tutti insieme
contribuiamo alla loro esistenza, anche quando li utilizziamo per parlarne male.
Difficoltà da superare ce ne sono, ma non è con il rifiuto che si può fermare un
processo evolutivo che comunque è già iniziato e che, se correttamente indirizzato
mediante la partecipazione attiva di ciascuno di noi, potrà portare a risultati positivi
Introduzione.
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di comunicazione universale, democratica, deterritorializzata, oltre che al
superamento delle barriere di qualsiasi tipo.
In questo senso già accennato, il mio discorso continua nel quarto capitolo,
“Oltre l’Homo technologicus, l’Homo planetarius fa pace col pianeta”, alla ricerca
delle motivazioni morali che rendono estremamente positiva l’invenzione del
cyberspazio, per ironia della sorte dovuta proprio a quell’Homo technologicus che
finora ha messo a dura prova la resistenza vitale della nostra Terra. Nel cyberspazio è
possibile attuare una visione sistemica del mondo, una “epistemologia del confine”,
che si situa nella logica dell’impossibilità di classificare l’informazione, dato che
“il tentativo maldestro di servirsi a questo scopo dei corpi irrigiditi delle vecchie
discipline può portare solo al fallimento, perché il sapere vive solo nei margini mobili,
negli incroci, nelle interferenze, dove tutto diventa questione di contaminazione”
(Lévy 2002, 208),
e che, come anch’io penso:
“Le recinzioni accolgono gli animali addomesticati, marchiati, selezionati. Le frontiere
ostacolano il passaggio dei nomadi, interrompono le linee di erranza […] innalzano
barriere intorno al sapere” (Lévy 2002, 177).
Tutto ciò non potrebbe verificarsi nell’ipercorteccia planetaria
dell’intelligenza collettiva, che è
“l’arte di far vivere collettivi intelligenti e di valorizzare al massimo la diversità delle
qualità umane” (Lévy 2002, 38);
formata e costruita continuamente da tutti noi, dando luogo ad una comunità
significativa, dove dal “cogito cartesiano” si passa “al cogitamus”, innescando nuove
forme di democrazia (Lévy 2002, 37-38) in cui il legame sociale si fonda sul
rapporto con il sapere, dando impulso
“alla diffusione di una civiltà deterritorializzata, che fa tutt’uno con l’attuale fonte di
potenza attraversando al contempo la parte più intima della soggettività. […] Le iden-
tità diventano allora identità di sapere. […] chi è l’altro? È qualcuno che sa. E sa cose
Introduzione.
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che io non conosco. L’altro non è più un’entità spaventosa e minacciosa […]. Egli
rappresenta una possibile fonte di arricchimento per la mia conoscenza.” (Ivi, 32-33).
Forse allora, non riconoscendo nell’Altro un nemico, sarà possibile instaurare
con tutti i popoli del mondo, finalmente rispettati nella loro alterità, un dialogo senza
fine, in una realtà mutevole in cui si dissolve e si riforma leggero il concetto di
identità che, accogliendo in sé parte di quella di chiunque Altro noi incontriamo sul
nostro cammino, perde quella rigidità che è da sempre fonte di odio e discordia fra le
genti.
Forse sarà possibile far proseguire l’avventura della specie umana, salvandola
dalla minaccia dell’autodistruzione, nella coscienza di una Terra-Patria, “in virtù
dell’accesso alla cittadinanza terrestre in una comunità planetaria” (Morin 2001a,
121-122).
E in questo voglio credere. Sarà forse come un messaggio di speranza lanciato
nel cyberspazio, che tutti noi stiamo contribuendo a creare e di cui dobbiamo prender
coscienza, un grande mondo iperdimensionale, al di là dell’usuale percezione dello
spazio e del tempo, fino ai più remoti angoli del nostro pianeta, in una nuova realtà,
dove:
“i messaggi […] interagiscono e si chiamano da un capo all’altro di una superficie
continua deterritorializzata [e] i membri dei collettivi […] comunicano
trasversalmente, reciprocamente, al di là delle categorie, piegando e ripiegando,
cucendo e ricucendo, complicando a piacere il grande tessuto metamorfico delle città
pacifiche” (Lévy 2002, 68.).
1
Alla fine del suo commovente, oltre che interessante “Ammazzando il tempo” (1994, 205), PKF lascia il suo
testamento: “Ecco ciò che vorrei, che a sopravvivere non fosse niente di intellettuale, solo amore”.
Capitolo 1 – Mente e cervello tra filosofia e biologia.
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1. MENTE E CERVELLO TRA FILOSOFIA E
BIOLOGIA.
“[…] non c’è dubbio che il dominio dell’uomo giace nascosto nella conoscenza, nella
quale sono riposte molte cose che i re con tutte le loro ricchezze non possono
comprare, né con tutta la loro forza comandare; delle quali le loro spie e le loro vedette
non possono dare alcuna notizia; e i loro marinai ed eslporatori non possono navigare
per recarsi là dove esse crescono” (Bacone 1994, 6).
Così Francesco Bacone nel lontano 1600 intesseva l’elogio della conoscenza,
da cui tutto il potere all’uomo deriva. Come allora per Bacone, per molto tempo
ancora il mondo della conoscenza umano è rimasto misterioso e insondabile, se non
per incursioni inizialmente fantastiche ad opera della filosofia, la quale fino ad
almeno cinquant’anni fa, insieme poi alla psicologia, ha istruito i primi e soli
esploratori della mente umana alla scoperta dei meccanismi dell’apprendimento.
La sfera dei contenuti e degli stati coscienti appariva troppo sfuggente, troppo
imparentata con concetti metafisici per poter essere ricondotta al modello
naturalistico delle leggi universali e al rigore dei metodi e delle procedure di
controllo in uso nella scienza, per cui non era reputata un oggetto adeguato di
indagine scientifica. Negli anni ’80 si è verificata, tuttavia, una svolta, legata sia al
vertiginoso progresso delle neuroscienze, che ha confermato sperimentalmente il
legame esistente tra fenomeni cerebrali e processi mentali, sia ai successi nel campo
dell’Intelligenza Artificiale, che hanno fatto sperare di poter riuscire a riprodurre
almeno in parte i processi della mente mediante macchine computazionali che
funzionano con sofisticati programmi informatici
1
.
Quindi, oggi,
“[…] il modo in cui guardiamo alla mente è diverso in quanto le neuroscienze,
attraverso lo sviluppo di varie tecniche e strategie, hanno consentito di inquadrare e
conoscere numerosi aspetti dei rapporti tra sistema nervoso e comportamento, sia dal
punto di vista fisiologico che patologico. Ovviamente, le trasformazioni del modo in
cui guardiamo ai rapporti tra mente e cervello, tra psiche e corpo, non rispecchiano
soltanto conoscenze scientifiche, ma anche mutamenti sociali e culturali; in effetti, la
Capitolo 1 – Mente e cervello tra filosofia e biologia.
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maggiore attenzione nei riguardi dei rapporti tra cervello e psiche può anche essere
interpretata sulla base dell’attuale tendenza verso l’individualismo, della crescente
attenzione verso il Sé, di una trasformazione della mentalità che riguarda anche quegli
interrogativi sul come siamo fatti e sul come agiamo, che rientrano nel campo di studio
delle scienze della psiche e del cervello. Un’ulteriore spinta verso una lettura in chiave
biologica della mente ha avuto origine da una laicizzazione della cultura e quindi dal
superamento di una concezione spiritualistica che, nel passato, poteva far sì che il
concetto di mente coincidesse con quello di anima o di spirito […]. Ciò non significa
che la mente umana possa essere svelata esclusivamente attraverso un’ottica
naturalistica, ma che le neuroscienze rappresentino un importante livello di lettura,
anche se non esclusivo” (Oliverio 1999, 2-3).
Nonostante i progressi finora ottenuti, non appare ancora possibile una
autentica comprensione dei fenomeni mentali, poiché non si è ancora in grado di
prospettare un rapporto causale credibile tra il dominio dei fenomeni riguardanti
nostri stati mentali e le attività rilevate in specifiche aree cerebrali. Pur ammettendo
l’esistenza di una correlazione, questa non spiega come da un insieme di eventi, che
si svolgono impersonalmente all’interno dei neuroni cerebrali seguendo le leggi
generali della fisica, si possa giungere alla soggettività dell’individuo, alla
formazione di un ente personificato, in grado di vivere in prima persona i diversi tipi
di esperienza e dotato di una volontà, per certi versi autonoma.
L’interesse suscitato da tutto ciò che riguarda il problema della coscienza e
degli stati mentali investe studiosi appartenenti a diversi campi del sapere, che
esprimono concezioni piuttosto variegate
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.
D’altro canto, chiunque, fra i non addetti ai lavori, cerchi di comprendere tali
problematiche, lo fa utilizzando una teoria fondata su nozioni psicologiche
“ingenue”, cioè sulla propria conoscenza empirica, sui comportamenti messi in atto
da noi stessi e dai nostri simili nella vita quotidiana. Si parla in questo caso della
cosiddetta Psicologia del senso comune o Folk Psicology, una
“griglia concettuale utilizzata dalla gente per comprendere, spiegare e predire i propri
e altrui comportamenti attraverso gli atteggiamenti proposizionali, stati mentali,
credenze, desideri e intenzioni, caratterizzati da un atteggiamento o punto di vista (egli
crede, lei si attende) e da una proposizione (che sia così, che sarà felice)”, (Oliverio
1999, 135-136),
Capitolo 1 – Mente e cervello tra filosofia e biologia.
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Oltre l’ Homo technologicus: l’evoluzione della conoscenza nel cyberspazio.
che finirebbe col formare un vero e proprio linguaggio della mente (Oliverio
1999, 203).
Può essere interessante dare qualche definizione, tratta da un dizionario di
psicologia.
“Mente è il termine generico che nomina l’insieme delle attività psichiche. La parola
acquista una sua rilevanza semantica a partire da R. Descartes che identifica la mente
con la res cogitans distinta dal corpo o res extensa” (Galimberti 1999, 643).
Per parlare di mente, come si vede, si fa subito ricorso alla filosofia, mentre la
biologia sembra essere la scienza di riferimento per attribuire un campo semantico al
concetto di cervello.
Con cervello, o meglio encefalo, infatti, si intende
“il centro di raccolta e smistamento di tutti gli impulsi sensitivi e motori e sede di
elaborazione di tutte le funzioni psichiche. […] Rinchiuso nella scatola cranica, l’ence-
falo è la parte più voluminosa del sistema nervoso centrale” (Galimberti 1999, 365).
1.1 Neuroscienze e filosofia della mente.
Sino agli anni Sessanta circa vi erano tre diverse e classiche posizioni sulla
natura della mente e sui suoi rapporti col cervello: 1) il dualismo, 2) le teorie
comportamentiste del linguaggio e 3) il monismo (la cosiddetta teoria dell’identità
mente-cervello) (Oliverio 1999, 136).
1) Forse la più importante questione che ha interessato la filosofia prima e le
scienze cognitive poi è quella nota come il problema mente-corpo o mente-cervello,
sulle relazioni eventualmente esistenti fra gli eventi mentali e gli eventi fisici nel
cervello. La questione centrale del dibattito filosofico è se la sostanza mentale può
esistere e se è così quale possa essere la sua natura. Si propone che le sostanze
mentali ipotizzate differiscano da quelle fisiche nelle loro proprietà fondamentali,
dato che le seconde hanno una posizione ben definita nello spazio, occupano un loro
volume, hanno una forma e una massa specifiche, qualità non facilmente attribuibili