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1.Introduzione
Una delle domande più frequenti a cui l’Uomo ha da sempre cercato di dare una risposta è la
seguente:
“Cosa vuol dire essere felici, ma soprattutto, è possibile misurare quantitativamente la felicità?”
Per poter rispondere in maniera esaustiva alla domanda, è molto importante la presenza di una
società particolarmente attiva, che esponga le proprie idee in merito ai sistemi di misurazione del
benessere e permetta quindi, di valutare accuratamente quali sono i fattori determinanti e influenti
sul benessere della persona.
Da ciò ha avuto origine l’interesse via via crescente da parte di economisti, psicologi, sociologi,
politici e gente comune, i quali hanno contribuito attivamente alla definizione di felicità e delle
misure atte a valutare il reale livello di benessere della popolazione.
Per molto tempo, infatti, il benessere di una nazione è stato misurato tramite parametri meramente
economici come il tasso d’inflazione (dato dalla variazione del potere d’acquisto della moneta), il
tasso di disoccupazione(dato dal rapporto fra persone in cerca di lavoro e forza lavoro) e il Prodotto
Interno Lordo. In particolare, il PIL è ottenuto dal valore di mercato di tutti i prodotti (beni e
servizi) finiti realizzati all’interno di un paese nel corso di un anno. Per tale motivo, a seguito
dell’importante crescita economica e dello sviluppo tecnologico verificatosi durante il secondo
dopoguerra, la sua crescita è divenuta l’obiettivo principale da perseguire dalle diverse nazioni in
quanto permette di rilevare l’intensità della capacità produttiva di un paese.Solo successivamente, il
PIL è stato utilizzato come un indicatore di benessere.
Tuttavia, dagli studi condotti da diversi economisti si evince come l’utilizzo del Prodotto Interno
Lordo, atto alla misurazione del reale livello di benessere della popolazione sia soggetto ad una
serie di errori ma allo stesso tempo rappresenta una componente piuttosto importante, in quanto
incide sul benessere della nazione. Ad esempio, esso non considera tutti quei beni non disponibili
sul mercato ma influenti per la determinazione del benessere delle persone, come la cura della casa
e dei propri figli o la cura del proprio orto. Sin dalla sua creazione, il PIL è stato oggetto di dibattito
e, a seguito della crisi economica attuale è diventato uno dei temi più discussi a livello nazionale ed
internazionale. Ad oggi, i governi delle varie nazioni, in collaborazione con gli economisti e gli
istituti di statistica, sono impegnati nella ricerca di nuovi parametri con cui valutare il livello di
benessere dalla popolazione. Negli ultimi cento anni, nonostante ci sia stato un aumento del
benessere materiale nella quasi totalità del pianeta Terra, le disuguaglianze tra paesi ricchi e paesi
poveri sono ancora molto nette, mentre sono aumentate quelle all’interno di quasi tutti i singoli
paesi.
Osservando la sola classifica relativa al PIL pro capite, e utilizzando tale indicatore alla stregua di
un indicatore di benessere come fatto in passato, saremmo portati a dire che la nazione con la
migliore qualità della vita è anche quella più ricca, in quanto produce più delle altre.
Paradossalmente quindi, una persona che lavora ventiquattro ore su ventiquattro nella propria
azienda, aumenterà notevolmente il Prodotto Interno Lordo della propria nazione, ma certamente
non accrescerà il proprio livello di benessere.
L’obiettivo di questo elaborato è quindi di esaminare gli strumenti alternativi proposti per valutare il
reale livello di benessere della popolazione analizzando non più la sola ricchezza, bensì una vasta
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gamma di variabili, tra cui condizioni ambientali, livello di sanità, pari opportunità, disuguaglianze
nella distribuzione reddituale e l’impronta dell’istruzione e della cultura disponibili nella nazione di
riferimento.
In tal modo, il benessere non sarà più visto come il risultato della crescita economica, bensì sarà
inteso come il livello di soddisfazione e opportunità presenti nella società in cui si vive.
È proprio su questa tematica che i governi e le istituzioni dovranno indirizzare le proprie politiche.
Nel primo capitolo, oltre alla definizione del Prodotto Interno Lordo, sono riportate le voci che
concorrono alla formazione del suddetto indicatore e i tre diversi modi per calcolarlo. Sono riportate
inoltre, le differenze tra PIL reale e nominale(dal cui rapporto si ricava il deflatore del Prodotto
Interno Lordo) , PIL a parità di potere di acquisto e PIL procapite.
Nella seconda parte di questo capitolo è descritta l’evoluzione storica di tale indice. Realizzato da
Simon Kuznets nel 1930, quest’indice fu sviluppato allo scopo di fornire al governo degli Stati
Uniti informazioni utili circa la capacità produttiva del Paese. Mediante l’analisi del PIL, il governo
poteva adottare le giuste politiche volte al sostegno dell’economia statunitense. Analizzando ancor
più attentamente il PIL pro capite(dato dal rapporto fra PIL e numero di cittadini) statunitense, la
percentuale di persone che si reputano molto felici e il numero di ore spese sul proprio ambiente di
lavoro, emerge un dato molto curioso. Sebbene il popolo statunitense sia abbastanza ricco, esso
dedica sempre più tempo al lavoro, consapevole del fatto che sarà sempre più infelice. Dunque è
lecito chiedersi, perché gli americani lavorano sempre di più, pur sapendo che esso genera
infelicità? Questa è solo una delle domande a cui economisti e filosofi cercano di dare una risposta.
Lo stesso Dalai Lama, Tenzin Gyatso durante un’intervista affermò:
“Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell’Occidente è che perdono la salute per fare i
soldi e poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di
vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere né il presente, né il futuro. Vivono come
se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto.”
Con il passare degli anni, il Prodotto Interno Lordo ha subito alcune modifiche e miglioramenti, al
fine di valutare in maniera ottimale ed affidabile un sistema economico in continua metamorfosi,
sino ad affermarsi anche a livello internazionale.
Nella parte conclusiva di questo capitolo sono riportate le critiche al PIL fatte da politici, filosofi e
dal suo stesso ideatore Simon Kuznets. In particolare, sono descritti i limiti dovuti all’utilizzazione
di questo indicatore come uno strumento per valutare il benessere della popolazione.
Nel suo calcolo infatti, i danni ambientali concorrono positivamente alla formazione del PIL a causa
delle spese sostenute per sanare tali danni. E’ altresì ovvio, come tali spese comportino una
situazione di malessere per gli individui.
Nel secondo capitolo viene analizzato il modo in cui il reddito pro capite impatta sul benessere degli
individui. Dagli studi condotti da Richard Easterlin emerge come, superato un certo livello di
benessere, derivante dal soddisfacimento dei bisogni primari, ad un aumento di reddito non
corrisponde più un aumento di felicità. Il reddito quindi, influisce sul benessere delle persone solo
nel momento in cui è strettamente necessario alla sopravvivenza. Questo studio prende il nome di
“paradosso di Easterlin”. Da ciò si è dedotto come sul benessere individuale influiscano una serie di
fattori da considerare e dunque, integrare nel calcolo del PIL.
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Nel terzo capitolo sono riportate le raccomandazioni della commissione Stiglitz-Sen-Fitoussi,
istituita su richiesta dell’ex Presidente della Repubblica Francese, Nikolas Sarkozy.
Le dodici raccomandazioni rappresentano il punto di partenza da cui sono stati realizzati gli
indicatori alternativi al PIL. Ciascuna raccomandazione infatti, fornisce suggerimenti, tipologia di
elementi da considerare nella valutazione del benessere e linee guida su cui far riferimento nella
realizzazione degli indicatori alternativi al PIL. Secondo la commissione Stiglitz-Sen-Fitoussi, solo
tramite una collaborazione a livello internazionale si può arrivare all’istituzione di nuovi indicatori.
Nel quarto capitolo invece, sono descritti i vari indicatori di tipo quantitativo alternativi al PIL per
la misurazione del benessere. I vari indicatori possono essere distinti in base alla loro relazione con
il PIL, in quanto alcuni mirano a scalzare completamente il ruolo predominante del PIL mentre altri
lo affiancano o integrano. Nel processo di realizzazione degli indicatori, anche l’Italia ha fornito il
proprio contributo mediante l’Indice di Qualità Regionale dello Sviluppo (o QUARS).
Differentemente dagli altri indicatori, il QUARS non viene utilizzato a livello internazionale, bensì
considera quanto una regione stia operando in termini di sviluppo sostenibile rispetto alle altre.
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2. Il PIL
Il Prodotto Interno Lordo o più semplicemente PIL, rappresenta un elemento molto importante in
ambito economico giacché permette di ottenere il valore di mercato di tutti i prodotti finiti e dei
servizi (ad esempio vino, pasta, automobili, trasporti, istruzione, …) realizzati all’interno di un
Paese nel corso di un determinato periodo (di solito si fa riferimento a un’annualità). Stando alla
definizione del PIL, è altresì possibile definire il PIL pro capite come il rapporto tra PIL e numero
dei cittadini costituenti la nazione. Esso fornisce quindi, una misura dell’intensità della capacità
produttiva di un Paese.
Dagli anni ’30 ad oggi è divenuto lo strumento di eccellenza con cui è analizzata quantitativamente
la crescita economica di un paese. Questa rappresenta un fenomeno, relativo soprattutto ai sistemi
economici moderni, in cui si ha un aumento nel tempo, del reddito pro capite reale; per sviluppo
economico, invece, come definito dal Docente di economia politica dell’Università di Pavia,
Giorgio Lunghini (Lunghini,1998), ci si riferisce ai fenomeni economici, sociali e culturali che si
accompagnano alla crescita del reddito pro-capite e per misurarlo occorre fare riferimento, oltre al
reddito pro-capite, a indicatori quali la distribuzione del reddito(valutata tramite il coefficiente di
Gini), l’istruzione e il tasso di alfabetizzazione.
Ma in che modo il PIL viene usato con così tanta frequenza? Stando alla definizione stessa di PIL,
ad una sua crescita corrisponde un incremento del volume di produzione realizzato
all’interno del paese. Esso permette, dunque, di ottenere informazioni riguardanti l’andamento
economico di una nazione e sulla base di tali dati, lo sviluppo di politiche economiche adeguate .
Vengono, cioè, fatti degli interventi mirati, atti ad innalzare il Prodotto Interno Lordo di un Paese.
Per capire quanto al giorno d’oggi il PIL sia molto importante, basta osservare con una certa
frequenza i telegiornali o leggere assiduamente giornali di economia in cui ci viene continuamente
illustrato il suo andamento ed in particolare, se esso subisca rialzi o diminuzioni rispetto al
precedente periodo di riferimento. L’aumento del PIL è pian piano divenuto, in tal modo, l’obiettivo
primario dell’economia di ogni Paese. Sempre più spesso, infatti, ci viene presentato come un
sinonimo di crescita economica e quindi di benessere di un Paese. Ma, nella realtà odierna, i soldi
fanno la felicità? Si sono sviluppate notevoli discussioni a riguardo. Lo stesso fondatore del PIL,
Simon Kuznets, durante il suo primo Rapporto al congresso Usa ne evidenziò i limiti (S. Kuznets,
1934). Le discussioni relative al binomio “più felicità=più PIL” si sono protratte fino ai giorni nostri
sino ad arrivare a metterne in discussione la sua importanza. Lo stesso Bob Kennedy affermava: “Il
PIL misura tutto, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di esser vissuta”(Kennedy 1968).
Sorge quindi spontanea una domanda.
Il PIL sarà in grado di mantenere il suo ruolo dominante oppure sarà accantonato per favorire lo
sviluppo di nuovi indicatori? PIL e felicità sono correlate tra loro? Se sì, in che modo?