6
In questo senso, tali prospettive e tali standards sono per un verso inconfutabili
fra loro, per un altro sono tutti sullo stesso piano, eguali dal punto di vista
epistemico. Si determina così un’inevitabile dissoluzione di ogni possibile
fondazione o giustificazione logico-razionale della conoscenza scientifica, poiché
essa non sembra più in grado di salvaguardare un suo proprio statuto conoscitivo che
possa distinguerla da altre forme di attività cognitive.
Questo tipo di impostazione, che negli ultimi anni ha sempre più preso piede
all’interno del dibattito epistemologico, sebbene si fondi su argomentazioni
fortemente persuasive di indubbia validità e coerenza, a mio avviso sembra
nascondere al suo interno una chiara contraddizione. “La metafora dominante del
relativismo concettuale …[sembra cioè]… tradire un paradosso a essa sotteso. Punti
di vista differenti hanno senso, ma solo se vi è un comune sistema di coordinate nel
quale inserirli; tuttavia, l’esistenza di un sistema comune smentisce la tesi di una
drammatica inconfrontabilità tra i vari punti di vista”
1
. Sostenere la posizione per la
quale ogni forma di conoscenza, e in particolare quella scientifica, ha una sua
validità solamente contestuale piuttosto che oggettiva, comporta inevitabilmente la
smentita dell’affermazione stessa, in quanto essa pretende di giustificare se stessa
attraverso il ricorso alla sua negazione. Per giustificare ciò che si sostiene è cioè
necessario che esso risulti falso
2
.
1
D.Davidson, Sull’idea stessa di uno schema concettuale, in La svolta relativistica nell’epistemologia
contemporanea, a cura di R.Egidi, FrancoAngeli, Milano 1988, p.152.
2
A tale proposito F.Castellani in Note sul relativismo epistemico, in G.de Finis e R.Scartezzini, a cura
di, Universalità e differenza, Angeli, Milano 1996, p.165, sottolinea come “uno degli argomenti più
pesanti contro il relativismo è quello volto a dimostrare che esso è auto confutante, nel senso che
difendere la posizione relativistica sarebbe impossibile in quanto comporterebbe il suo abbandono”.
7
Un altro aspetto che mi sembra importante sottolineare, anche se esso potrà
sembrare paradossale, è la caratteristica, comune alla gran parte dei filosofi della
scienza di orientamento relativistico, di condividere l’impostazione generale della
concezione del sapere scientifico detenuta dal neoempirismo e dal neorazionalismo.
Questi nuovi orientamenti, infatti, sembrano non essere in grado di fuoriuscire dalla
logica propria della stessa impostazione classica, che vede la scienza come un
sistema di enunciati dotati di valore di verità e come la più elevata forma di
conoscenza, la quale deve in tutti i modi prendere le distanze da ogni forma di
ingerenza soggettivistica e irrazionalistica. Le prospettive relativistiche, da questo
punto di vista, sembrano cioè perfettamente conformi al ruolo attribuito loro
dall’impostazione tradizionale. Esse, più che orientarsi alla formulazione di modelli
alternativi, tesi a proporre un tipo di epistemologia con nuove esigenze ricostruttive
da argomentare e difendere, sembrano avere come unico obiettivo quello di
destabilizzare la concezione scientifica esistente, determinando così un vuoto
epistemico. La cosiddetta nuova filosofia della scienza è accomunata quindi a quella
tradizionale da una concezione del modo di intendere la conoscenza che potrei
definire dicotomica: da una parte la scienza fondata sugli ‘indiscutibili’ principi
logici e matematici mentre dall’altra il ‘nulla che fa paura’. Queste due dimensioni
sono completamente antitetiche e reciprocamente inconciliabili ma allo stesso tempo
presentano al loro interno un forte legame dal quale è difficile svincolarsi.
8
Ma anche qualora si riconosca alle concezioni relativistiche il ruolo di aver
rivalutato aspetti legati a fattori storici e sociali all’interno del modo di intendere la
conoscenza scientifica, ciò non permette di fuoriuscire da questo tipo di
impostazione.
I condizionamenti storico-sociali, infatti, non sembrano essere considerati
solamente come fattori importanti e da non tralasciare nell’analisi delle dinamiche
scientifiche, ma al contrario a essi si attribuisce la stessa funzione privilegiata
propria dei fattori logici ed empirici dell’epistemologia classica. Attraverso questo
procedimento si determina, quindi, la sostituzione di una concezione dogmatica e
assolutizzata con l’introduzione di una nuova concezione che, mutatis mutandis,
appare altrettanto dogmatica e assolutizzata.
Con queste argomentazioni non voglio mettere in discussione l’importante ruolo
svolto dagli approcci relativistici nell’evidenziare le numerose debolezze e
incongruenze propri degli orientamenti classici. Quello che mi preme, invece,
sottolineare è la totale noncuranza espressa dalla maggior parte di queste
impostazioni nei confronti della ricerca di alternative epistemologiche, dalle quali sia
possibile individuare nuove prospettive da cui partire. L’ormai assodata critica di
aspetti fondamentali dell’approccio classico come quelli relativi al monismo
metodologico, l’avalutatività della scienza o l’esclusiva natura logica dei metodi
esplicativi, richiede a mio avviso un maggior impegno, teso a individuare nuovi
principi di razionalità che possano salvaguardare la conoscenza scientifica dalla
ricaduta nell’abisso del relativismo e del sociologismo esasperato.
9
Ed è a partire proprio da questi presupposti che nasce la mia ipotesi di ricerca.
Essa si propone cioè di evidenziare una proposta epistemologica attraverso la quale
sia possibile cercare di salvaguardare la razionalità della dimensione cognitiva della
scienza. Per raggiungere questo fine mi sono servito della proposta meta-
metodologica di Larry Laudan, il quale, a partire dalla sua prima opera del 1977
3
,
cerca attraverso una nuova prospettiva di formulare un criterio di razionalità
scientifica che superi la maggior parte dei problemi connessi all’impostazione
classica, evitando, allo stesso tempo però la ricaduta nell’irrazionalismo e
sociologismo della nuova filosofia della scienza.
Il cuore della sua argomentazione va individuato nella formulazione di un
modello di razionalità strumentale, attraverso il quale l’autore ritiene sia possibile
stabilire la validità di una teoria, in base alla sua adeguatezza ai fini caratterizzanti
l’attività scientifica che gli scienziati vogliono promuovere.
In particolare, l’autore sottolinea come la razionalità sia strettamente connessa
all’abilità di raggiungere un accordo tra i tre livelli che compongono la scala
giustificativa della scienza: il livello delle teorie scientifiche, il livello delle regole
metodologiche e quello degli scopi. All’interno di queste tre dimensioni si costituisce
uno stretto legame di interdipendenza reciproca che procede in direzioni opposte, sia
dalla dimensione assiologica verso quella empirica, sia in senso inverso,
determinando così un complesso e articolato insieme di dinamiche, analizzate da
Laudan nel suo modello reticolare della razionalità.
3
L.Laudan, Il progresso scientifico, Armando, Roma 1979.
10
Il testo si suddivide in quattro capitoli. Nel primo vengono delineati gli aspetti
più importanti del neopositivismo e le caratteristiche più salienti degli sviluppi
relativistici posteriori. Tale analisi ha il fine di meglio inquadrare il contesto
specifico nel quale la proposta epistemologia di Laudan sorge, proposta che è
analizzata diffusamente nel secondo capitolo. Il terzo capitolo presenta, invece, un
confronto delle posizioni sostenute da Laudan con quelle relativistiche e
successivamente con le tesi di impostazioni tradizionale. Nel quarto capitolo, infine,
l’analisi si sposta verso l’esame delle argomentazioni proposte dall’approccio forte
della sociologia della conoscenza. Nella seconda parte dello stesso capitolo sono
prese in considerazione alcune delle debolezze e tensioni, presenti all’interno dello
stesso modello proposto da Laudan
4
.
4
Larry Laudan è attualmente professore di filosofia della scienza all’università delle Hawai. Egli è
utore di numerosi articoli e libri sulla natura della conoscenza scientifica. Tra questi ricordo Il
progresso scientifico, Scienza e ipotesi, Scienza e relativismo, Scienza e valori.
11
Capitolo 1
Neopositivismo e relativismo
Per poter comprendere l’importante contributo che Larry Laudan ha dato
all’epistemologia contemporanea, è opportuno iniziare la nostra analisi presentando
una panoramica generale del pensiero neopositivista e successivamente analizzando
le caratteristiche più salienti degli sviluppi relativistici posteriori.
1. Alcune considerazioni generali sul neopositivismo
Il contesto storico-ambientale in cui si sviluppò inizialmente il neopositivismo fu
il cosiddetto “Circolo di Vienna”, costituito da un gruppo di filosofi e scienziati che
si incontravano periodicamente nella capitale austriaca fra il 1924 e il 1938. Questo
sodalizio di studiosi, formato via via da H. Feigl, F. Waismann, H. Hahn, K.
Reidmeister, O. Neurath, F. Kaufmann, V. Kraft, P. Frank, R. Carnap, G. Bergmann
e K. Menger, fece la sua prima uscita pubblica con un testo del 1929, a firma di
Neurath, Hahn e Carnap, intitolato Wissenschaftliche Weltauffassung. Der Wiener
Kreis
1
.
1
H.Hahn, O.Neurath, R.Carnap, Wissenschaftliche Weltauffassung. Der Wiener Kreis, Wien 1929;
trad. it. a cura di A.Pasquinelli, La concezione scientifica del mondo, Laterza, Bari 1979.
12
In stretta corrispondenza con il “Circolo di Vienna” si sviluppò in quegli anni il
“Circolo di Berlino” che si costituì nel 1928 con il nome di “società di filosofia
empirica”
2
. Fra i berlinesi vanno ricordati F. Kraus, A. Herzberg, K. Gulling, W.
Dugislav, K. Lewin, W. Kohler, R. Von Mises, C. G. Hempel e H.Reichenbach che
ne diventò l’esponente più rappresentativo. La collaborazione tra i due gruppi fu
stabilita soprattutto dalla rivista “Erkenntnis”
3
che si pubblicò dal 1930 al 1938 e fu
diretta da Reichenbach insieme a Carnap.
Pur consapevole delle numerose sfaccettature e differenze presenti all’interno di
tale movimento, mi limiterò a prendere in considerazione gli aspetti comunemente
accettati da coloro che si sentirono in qualche modo neopositivisti. Il mio scopo
infatti non è tanto quello di analizzare a fondo le singole diatribe e diversità
programmatiche presenti all’interno della suddetta scuola, ma al contrario quello di
evidenziare le linee di tendenza generali per poter così successivamente meglio
comprendere il pensiero di L.Laudan.
Come D. Oldroyd sottolinea, l’intenzione principale dei neopositivisti fu “quella
di formare una filosofia della scienza soddisfacente dall’unione della logica con
l’epistemologia dell’empirismo, creando in tal modo una scienza unificata, dalla
quale fosse eliminata ogni metafisica”
4
. Tale affermazione in modo molto chiaro e
coinciso coglie quelli che a mio avviso sono gli aspetti fondamentali di tale
orientamento.
2
Gesellschaft fur empirische philosophie.
3
La rivista fu fatta chiudere nel 1933 dai nazisti. Riaprì nel 1975, soprattutto per opera di Hempel,
come rivista di filosofia analitica.
4
D.Oldroyd, Storia della filosofia della scienza, Il Saggiatore, Milano 1989, p.303.
13
In particolare emerge la concezione della filosofia non intesa come scienza ma
come attività chiarificatrice con il compito principale di svolgere un’analisi del
linguaggio sensato della scienza. A tale proposito si possono evidenziare tre
tendenze generali di fondo:
- la demarcazione tra scienza e metafisica, basata sulle teorie del significato e
sul principio di verificabilità;
- l’unità metodologica della scienza e l’anti-psicologismo;
- la concezione della scienza intesa come un ininterrotto progresso.
14
1.1 Il problema della demarcazione
Partendo dal primo punto è bene evidenziare come il perno intorno al quale il
neopositivismo fa ruotare il suo tentativo di dichiarare inappellabilmente privo di
senso il linguaggio della metafisica è costituito dal cosiddetto principio di
verificazione.
In forza di esso i neopositivisti dichiarano di escludere dall’ambito del discorso
razionale e più radicalmente dall’ambito del discorso dotato di senso ogni
proposizione che avanzi la pretesa di parlare di qualcosa che non risulti riconducibile
al contatto diretto con la realtà. A.J. Ayer in Linguaggio, verità e logica evidenzia
molto bene tale aspetto: “il criterio da noi usato per mettere alla prova l’autenticità di
quelle che si presentano come affermazioni di fatto è il criterio di verificabilità.
Diciamo che un enunciato è significativo in senso fattuale per qualunque individuo,
se e solo se quest’ultimo sa come verificare la proposizione che l’enunciato si
propone di esprimere cioè, se egli sa quali osservazioni lo condurrebbero, sotto certe
condizioni, ad accettare la proposizione come vera o a rifiutarla come falsa. Quando,
d’altro lato, assumerne la verità o falsità semplicemente non è incompatibile con una
qualunque assunzione, quale che sia, intorno alla natura della propria esperienza
futura, allora, per quanto lo riguarda, la presunta proposizione sarà, se non una
tautologia, una pura e semplice pseudo-proposizione”
5
.
5
A.J.Ayer, Language, Truth and Logic, London 1946; trad. it. Linguaggio, verità e logica, Feltrinelli,
Milano 1987, p.13.
6
E.Severino, La filosofia contemporanea, Rizzoli, Milano 1986, pp.215-216.
15
Tale posizione mette chiaramente in luce come sia possibile considerare
autentiche proposizioni solamente quelle che possono essere verificate
dall’esperienza; quelle proposizioni cioè che permettono di stabilire un confronto
diretto tra il nostro linguaggio e la realtà empirica.
Tutte le altre proposizioni saranno da considerarsi o semplici tautologie o pseudo
proposizioni, che delle proposizioni autentiche possiedono soltanto l’apparenza, in
quanto, se sottoposte all’esame analitico condotto dalla filosofia, si rivelano essere
del tutto prive di significato, non risultando riconducibili ad una verifica empirica.
Come nota E.Severino quindi “la possibilità di verificare o falsificare una
proposizione che intende parlare della realtà non è [per i neopositivisti] … qualcosa
che si … [aggiunge] al senso della proposizione, al senso cioè che essa possederebbe
di per sé stessa: il senso di tale proposizione consiste nella possibilità di verificarla o
falsificarla, confrontandola con l’esperienza”.
L’attacco alla metafisica non può essere in questo senso più radicale e diretto. La
metafisica, infatti, non viene criticata perché infondata, incompatibile o falsa bensì,
in modo molto più radicale, perché costituita da proposizioni che ad uno sguardo
autenticamente filosofico, cioè attento, secondo le convinzioni di fondo dei
neopositivisti, alla struttura logica del linguaggio, non possono che essere
considerate come totalmente prive di significato.
16
A partire da questo presupposto il neopositivismo elabora una struttura
concettuale della scienza inappellabilmente anti-metafisica, fondata sulla concezione
che le pseudo-proposizioni della metafisica, come quelle del mito, possono essere
relegate al “bisogno dell’uomo di esprimere il proprio sentimento della vita, il
proprio atteggiamento emotivo e volitivo verso l’ambiente, verso la società, verso i
compiti cui egli è dedito e verso le traversie che deve sopportare”
7
. Non essendo
composta da proposizioni verificabili empiricamente, la metafisica non può
appartenere affatto al dominio della scientificità, ma deve essere al contrario
ricondotta a quelle forme di espressione del sentimento della vita che sono le forme
artistiche. Il compito dell’indagine filosofica risiede quindi nel “sottoporre la scienza
ad un completo processo di decontaminazione”
8
da enunciati e concetti metafisici
attraverso l’utilizzo dell’analisi logica. Al di là degli enunciati sintetici che si
presentano come descrizioni di fatti e risultano veri o falsi a seconda che i fatti stiano
o meno come dice l’enunciato, sono da ritenersi scientifici anche gli enunciati
analitici. Questi ultimi, pur non descrivendo alcun fatto, sono enunciati veri a priori
in base alle leggi logiche.
7
R.Carnap, Überwindung der Metaphysik durck logishe Analyse der Sprache; trad. it., Il
superamento della metafisica mediante l’analisi logica del linguaggio, in Il neoempirismo, a cura di
A. Pasquinelli, Utet, Torino 1978, p.529.
8
R.Carnap, La vecchia logica e la nuova, 1930; trad. it. in La filosofia della scienza, La Scuola,
Brescia 1974, p.26.
17
1.2 Il metodo scientifico
Passando ora al secondo punto è bene evidenziare come la concezione scientifica
del mondo per i neopositivisti sia contraddistinta dall’applicazione di un preciso
metodo, quello cioè, dell’analisi logica. “Il lavoro scientifico tende a conseguire,
come suo scopo, l’unità della scienza, applicando l’analisi logica al materiale
empirico. Poiché il senso di ogni asserto scientifico deve risultare specificabile
mediante riduzione ad asserti sul dato, anche il senso, cui esso appartiene, deve
potersi stabilire mediante riduzione graduale ad altri concetti, giù fino ai concetti di
livello più basso, che concernono il dato medesimo”
9
. Attraverso l’utilizzo della
logica simbolica i neopositivisti sostengono sia possibile conseguire “il necessario
rigore delle definizioni e degli asserti” e inoltre “formalizzare il processo
inferenziale intuitivo proprio del pensiero comune, traducendolo in una forma
controllata automaticamente mediante il meccanismo dei simboli”
10
. Appare così
chiaro come l’analisi logica renda possibile conseguire un punto importante del
programma neopositivista, ossia quello “dell’unità della scienza”. Tale principio
sottolinea come sia un errore pensare che le diverse discipline scientifiche siano
nettamente distinte l’una dall’altra. Ogni enunciato infatti, a meno che non sia una
mera giustapposizione senza significato conoscitivo di termini, può essere analizzato
logicamente e quindi tradotto in, o ridotto a, un enunciato in cui appaiono solo
termini aventi direttamente a che fare con l’esperienza.
9
H.Hahn, O.Neurath, R.Carnap, La concezione scientifica del mondo, cit., pp.81-82.
10
Ibid.