2
Secondo John Bowlby
1
“l’individuo possiede una tendenza inna-
ta a ricercare la vicinanza delle figure di riferimento”. Questa af-
fermazione ormai si pone al centro della maggior parte delle i-
potesi esplicative sul comportamento umano: la “presa in cari-
co”o il “prendersi cura” rimandano inevitabilmente alla relazione
primaria d’aiuto madre-bambino, i cui elementi caratterizzanti
sono l’attenzione ai bisogni e la capacità di risposta, la capacità
d’ascolto, la comunicazione anche non verbale, l’empatia, la
presenza, il sostegno psicologico etc.. Questi elementi non
vengono certo appresi durante i corsi di medicina o biologia,
eppure sono fattori di natura psicologica, etica e relazionale che
devono essere in qualche modo recepiti ed elaborati all’interno
degli ospedali e degli istituti di cura.
Un esempio italiano è l’attuazione del modello HPH (Health
Promoting Hospital)
2
che promuove una medicina incentrata sul
paziente, che dia spazio al dialogo, alla comprensione e alla
partecipazione.
Quando un nuovo principio viene recepito dall’ordinamento giu-
ridico è il momento in cui si prende atto di un cambiamento nel-
la società o della necessità che questo avvenga. Pertanto, ri-
tengo doveroso citare due casi giudiziari che secondo me sono
emblematici di questa svolta italiana nell’approccio col paziente.
1
Bowlby J. “Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria
dell’attaccamento”. Tr.it. Raffaello Cortina, Milano. 1988.
2
Alla fine degli anni ‘80 l’Ufficio Europeo dell’OMS ha avviato il Programma
“Ospedali per la Promozione della Salute” (Health Promoting Hospitals –
HPH) il cui scopo è dare valore all’assistenza della persona piuttosto che insi-
stere sulla cura della sua malattia, riconoscere l’importanza di un approccio
globale e non perdersi nella frammentazione delle specializzazioni, abbando-
nare l’illusione meccanicista della “produzione” di prestazioni e orientare i pa-
zienti lungo percorsi assistenziali multiprofessionali e multidimensionali nei
quali i pazienti possono spendere la loro autonomia, provare a misurare non
solo “i fattori della produzione e i prodotti dell’organizzazione” ma anche gli
esiti sui livelli di salute delle persone.
3
Il primo è il caso “Massimo” del 1990, cosiddetto per il nome del
chirurgo fiorentino che è stato condannato per il reato di lesione
personale volontaria: secondo la Corte di Assise di I grado di
Firenze il medico ha operato un intervento demolitivo “... senza
preventivamente notiziare la paziente o i suoi familiari, che non
erano stati interpellati in proposito né minimamente informati
dell’entità e dei concreti rischi del più grave atto operatorio che
veniva eseguito, e non avendo comunque ricevuto alcuna forma
di consenso a intraprendere un trattamento chirurgico di portata
così devastante”
3
. Al medico, quindi, non erano state imputate
imperizia, imprudenza o negligenza, ma la mancata informazio-
ne e il mancato consenso della paziente e dei familiari. Infatti,
una paziente anziana, si era ricoverata escludendo esplicita-
mente l’ipotesi di un intervento demolitivo del retto, tale da do-
ver ricorrere ad un ano preternaturale. Il chirurgo, invece, du-
rante l’operazione decide per quest’ultimo tipo di intervento con
l’intenzione di salvare la vita alla paziente, la quale, però, muore
dopo poche settimane. Questo episodio è emblematico del rap-
porto conflittuale tra l’autonomia del paziente e il principio di
beneficialità che informa l’azione del medico. Improvvisamente,
compare nello scenario della medicina italiana un elemento, in
qualche modo, estraneo alla tradizione medica del nostro pae-
se: il medico è colpevole, anche se ritiene di agire per il bene
del paziente, quando non gli riconosce il diritto di rifiutare le cu-
re mediche, lasciando che la malattia segua il suo corso anche
fino alle estreme conseguenze, e non riceve il consenso infor-
mato per i suoi atti medici.
Il secondo caso, invece, riguarda un pediatra pistoiese
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a cui,
nel 1999, è stata inflitta una sanzione disciplinare perché si era
3
Sentenza del 1990, Corte d’Assise di I grado di Firenze. Confermata dalla
sentenza del 21/04/1992 della V Sez. della Corte di Cassazione Penale.
4
Sentenza 30.07.2001 n.10389. Corte di Cassazione sez. III Civile
4
rifiutato di effettuare una visita domiciliare ad un giovane pa-
ziente, nonostante l’insistenza dei genitori. Secondo la Com-
missione disciplinare dell’Ordine dei Medici di Pistoia, “ai sensi
dell’art. 3 del codice deontologico, tra i doveri del medico vi è
anche quello del sollievo della sofferenza, sia sotto il profilo fisi-
co che psichico”. Pertanto, il pediatra, che si rifiuti di effettuare
una visita domiciliare a un bambino di tredici mesi, nonostante
la preoccupazione e l’insistenza dei genitori commette un illeci-
to disciplinare perché dimostra “un’insufficiente capacità di per-
cepire il bisogno di rassicurazione dei genitori del piccolo pa-
ziente, interrompendo il rapporto fiduciario medico-paziente,
con pregiudizio dell’intera categoria professionale”. Questo ca-
so è emblematico dell’importanza riconosciuta alla relazione
medico-paziente, la quale ha superato, o potremmo dire inglo-
bato, il precetto del “consenso informato” ed è diventato fonda-
mento di una nuova comunicazione biomedica.
5
1 La relazione medico-paziente
1.1 La comunicazione
Nell’ambito in cui vuole svilupparsi questa tesi, diventa prepon-
derante studiare il problema della comunicazione, ossia il modo
in cui i processi di interazione riescono o meno a costituire una
relazione tra il medico ed il paziente.
Innanzitutto, studiando le derivazioni etimologiche della parola
“comunicare”, scopriamo che vi sono tre accezioni che possono
darci qualche spunto interessante:
1. “cum - munus” in cui munus significa “dono”
2. “cum - moenia” dove moenia sta per mura di cinzione
della città
3. “communis agere” che significa agire in comune, essere
con, creare un rapporto.
Curiosamente, lo stesso termine può significare due cose ben
distinte, a seconda di come comunichiamo, infatti, possiamo
“donare” qualcosa all’altro o allontanarcene innalzando un muro
difficile da abbattere. L’idea, comunque, è quello di uno scam-
bio e di una reciproca relazione.
In effetti, comunicare, al di là del reciproco “scambio di mes-
saggi” tra i soggetti, significa costituire una relazione attraverso
una sinergia di elementi: si tratta di un gioco sociale fatto di atti
più o meno intenzionali, di segni verbali e non verbali, in un con-
testo interattivo dinamico e circolare che richiede la condivisio-
ne di codici astratti
5
.
5
G.Graffi, S.Scalise. “Le lingue e il linguaggio. Introduzione alla Linguistica”. Il
Mulino, Bologna 2003.
6
Numerose branche scientifiche ed umanistiche, dalla sociolin-
guistica alla psicologia, intendono la comunicazione in questi
termini e ne studiano i meccanismi attraverso i quali l’individuo
riesce ad esprimersi e gli ostacoli che si frappongono nel rag-
giungimento di questo obiettivo.
In tale ottica tutti i rapporti interpersonali sono considerati come
sistemi che si autoregolano in base ai meccanismi circolari della
retroazione, nel senso che il comportamento di una persona in-
fluenza ed è influenzato dal comportamento di un’altra persona.
Attraverso l’interpretazione dei segnali di feed-back un soggetto
può verificare l’effetto che i propri messaggi producono
sull’altro: assenso o dissenso, accettazione o rifiuto, compren-
sione o incomprensione, chiarezza o confusione.
Possiamo assumere, pertanto, che le persone che sono meno
recettive ai segnali di feed-back tendono ad essere più soggette
a problemi di integrazione sociale; una cattiva comunicazione è
spesso la causa di un lancinante malessere psicologico.
Un errore grossolano ma piuttosto comune è spesso quello di
confondere il concetto di “informazione” e quello di “comunica-
zione”. La prima consiste in un passaggio unidirezionale di dati
da un emittente ad un ricevente; l’informazione può essere vera
o falsa, completa o parziale, comprensibile oppure no
6
. La co-
municazione, come già accennato, è bidirezionale ed è intesa
non solo come un insieme di messaggi che vengono scambiati
tra due o più persone, ma come un elemento costitutivo del tes-
suto sociale. Proprio la psicologia, al fianco della sociologia, si
impegna a studiare come questo flusso di messaggi non solo
6
A tale proposito sono interessanti le varie teorie dell’informazione sviluppate
tra gli anni ‘20 e gli anni ‘50 del secolo scorso da filosofi e scienziati quali
Norbert Wiener, Warner Weaver e Claude Shannon, nell’ambito degli studi
sulla cibernetica. Giulio C. Lepschy, “La Linguistica Strutturale”, Appendice,
pagg. 196-200. Einaudi Editore, Torino 1966.
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veicoli contenuti ma anche contribuisca alla costituzione delle
relazioni sociali.
Per questo motivo il medico che vuole essere professionalmen-
te adeguato deve essere oggi non solo un buon clinico ma an-
che un buon comunicatore ed essere consapevole delle dina-
miche di cui la comunicazione si compone; dovrebbe perlome-
no essere in grado di cogliere gli elementi basilari sui quali si
fondano i rapporti fra medico e paziente.
In definitiva, la cura della malattia e quella della persona, che
costituiscono rispettivamente lo scopo scientifico e il fine antro-
pologico della medicina, coincidono nel medesimo destinatario,
fatto oggetto di cura: il paziente.