Il secondo capitolo è dedicato al modello di Markowitz (1952), di certo la pietra miliare
dei modelli di composizione di portafoglio, passo necessario per comprendere le
motivazioni legate alla creazione di modelli come quello di Black e Litterman o come
l’approccio COP di Meucci.
Nel terzo capitolo è presentato il modello di Black e Litterman, illustrando in apertura le
motivazioni e le intuizioni alla base del suo sviluppo. Nel prosieguo del capitolo è
illustrato il modello nella sua interezza, da un punto di vista analitico, spiegando
approfonditamente le modalità di funzionamento dello stesso.
Il quarto capitolo è dedicato alla presentazione dell’approccio copula opinion pooling di
Attilio Meucci (2006), soffermandosi brevemente sulla teoria dell’opinion pooling per
poi definire da un punto di vista teorico ed analitico i propositi ed il funzionamento del
modello.
Nel quinto capitolo, che conclude il lavoro, vengono presentati i risultati di una
simulazione empirica effettuata utilizzando il linguaggio Matlab, applicando l’approccio
COP sulle serie storiche dei rendimenti di quattro indici MSCI europei.
I risultati ottenuti consentono di considerare l’approccio COP come un paradigma
alternativo al modello di Black e Litterman, viste le possibilità di utilizzo legate non
solo all’asset management, ma anche ad altre attività, quali ad esempio il trading.
CAPITOLO 1
LA TEORIA DELL’ASSET ALLOCATION
Introduzione
In questo primo capitolo si introduce la teoria dell’asset allocation, argomento chiave
della tesi che ci conduce al problema della composizione ottimale di un portafoglio di
attività finanziarie. Si ritiene quindi necessario fornire una premessa introduttiva dei
concetti principali che saranno oggetto di indagine nei successivi capitoli, fornendo gli
strumenti necessari alla comprensione del seguito. E’ ben noto come la politica di asset
allocation sia la principale determinante della performance di un fondo o di un
portafoglio di investimento, e negli ultimi anni abbia subito una sostanziale evoluzione
e sia stata oggetto di notevole attenzione da parte della letteratura finanziaria, in
particolar modo dopo l’articolo di Brinson, Hood e Beebower (1986), che ne ha
evidenziato l’importanza. Il contenuto del capitolo fornisce un introduzione al concetto
di asset allocation nella sua accezione più generale, oltre ad andare inseguito ad
illustrare con chiarezza quali sono i principali risultati relativi al contributo che questa
può dare al risultato di un portafoglio di investimento. Saranno poi oggetto di analisi i
profili di rischio e rendimento di un portafoglio, mostrando come nel tempo la teoria
finanziaria abbia sviluppato una pluralità di misure per il rischio, oltre che per il
rendimento, e come le due grandezze siano fortemente correlate nella definizione di un
risultato di portafoglio. Nella sezione successiva si introduce il fondamentale concetto
di benchmark, fornendo delle linee guida per la costruzione e l’utilizzo dello stesso.
Grazie alla presentazione del concetto di benchmark sarà poi possibile andare ad
illustrare le differenze negli stili di gestione che il manager di portafoglio può scegliere
di perseguire per il raggiungimento dei risultati attesi dall’investitore. A tale proposito si
mostra quali sono le principali differenze ritrovabili tra uno stile di gestione attiva ed
uno stile di gestione passiva, evidenziando i punti a favore e quelli a sfavore dell’una o
dell’altra prospettiva. L’ultimo argomento del capitolo riguarda l’asset allocation
strategica, che essendo il punto centrale della trattazione, merita una disamina più
approfondita, che vedrà il suo sviluppo anche nel prosieguo della tesi. Sarà proprio
nell’ambito della soluzione del problema di composizione di un portafoglio ottimale
durante l’attività di asset allocation strategica che sorgeranno la teoria di Markowitz
(1952), ed in seguito il modello di Black e Litterman (1992), che saranno oggetto di
trattazione separata nel corso dei successivi capitoli.
1.1 L’asset allocation
L’asset allocation è la procedura con cui l’investitore ripartisce il proprio capitale tra
varie classi di attività per giungere alla composizione del portafoglio desiderabile grazie
all’identificazione del mix ottimale di attività rischiose sulla base dell’orizzonte
temporale definito (holding period), e del profilo rischio – rendimento dell’investitore.
Possiamo identificare alcuni fattori che hanno fondamentale importanza nel definire la
decisione di asset allocation:
ξ Quali classi di attività considerare per la composizione del portafoglio.
ξ Quali pesi assegnare ad ogni singola classe di attività in portafoglio.
ξ Quali titoli scegliere per rappresentare ogni singola classe di attività.
Si desidera agire contemporaneamente su più leve di rendimento, andando da una parte
a ridurre il rischio attraverso la diversificazione delle attività in portafoglio1, ma allo
stesso tempo componendo il portafoglio utilizzando le attività che presentano le migliori
potenzialità in termini di profilo rischio - rendimento, andando a svolgere una attenta
selezione in ogni singola classe di attività che si desidera introdurre in portafoglio.
Per poter svolgere l’attività di asset allocation in modo idoneo, è necessario sottolineare
l’importanza per il manager di portafoglio di conoscere meglio le esigenze
dell’investitore.
Si intende fare riferimento in primo luogo alla necessità di conoscere i mercati che
l’investitore ha intenzione di considerare ai fini della costruzione del portafoglio. Non
necessariamente l’investitore vorrà considerare la totalità dei mercati mondiali, potrebbe
invece voler limitare le proprie scelte ad un sottoinsieme, come il mercato nazionale o
anche un particolare segmento o settore del mercato nazionale. Il secondo fattore cui si
fa riferimento, e che gioca un ruolo fondamentale ai fini delle analisi preliminari alla
costruzione di un portafoglio di attività finanziarie è la conoscenza della cosiddetta
tolleranza al rischio del cliente, intesa come la capacità dell’investitore di sopportare il
1
Il concetto di diversificazione di portafoglio sarà approfondito nel paragrafo 1.2, e successivamente nel
capitolo 2.
rischio di perdita o di variabilità dei rendimenti di un portafoglio. Su questo punto si
tornerà più in dettaglio nel secondo capitolo della tesi.
Con riguardo alle classi di attività da considerare per la costruzione di un portafoglio di
investimento, tradizionalmente l’attenzione degli investitori si è concentrata su
portafogli composti da tre classi d’attività primarie:
ξ liquidità;
ξ obbligazioni;
ξ azioni.
Tale ripartizione permette di rendere più intuitiva la composizione di portafoglio, visto
che queste tre categorie identificano tre potenziali tipi di investimento, ognuno dei quali
presenta un profilo rischio – rendimento differente. Le combinazioni degli asset presenti
nelle tre categorie permettono la creazione di una pluralità di portafogli, tra cui
l’investitore sceglierà quello più consono al proprio profilo di rischio ed ai propri
obiettivi di rendimento.
La teoria finanziaria in genere suddivide l’attività di asset allocation in tre momenti
principali: l’asset allocation strategica, l’asset allocation tattica (o market timing) e la
fund selection(o stock picking)2.
L’asset allocation strategica (AAS) è la fase in cui si determinano le scelte di
investimento di medio – lungo periodo, sulla base delle esigenze dell’investitore e della
capacità degli intermediari di formulare previsioni di lungo termine sull’andamento dei
mercati. L’attività di asset allocation strategica sarà oggetto di una trattazione più
approfondita nel paragrafo 1.5.
Differente è la prospettiva dell’attività di asset allocation tattica (AAT), che incorpora
invece le visioni sui mercati nel breve periodo e va a modificare l’asset allocation
strategica per sfruttare i movimenti attesi dei mercati nel breve termine. Si basa su
un’attività di previsione dell’andamento dei trend di mercato così da cogliere le
occasioni di rendimento mediante un adattamento delle scelte di asset allocation
strategica, attraverso la redistribuzione dei pesi definiti nella fase precedente tra le
diverse classi di attività in portafoglio, sovrappesandone alcune per anticipare un
2
Si vedano in proposito, tra gli altri, Brinson G., Hood R., Beebower G., (1986), e Linguanti E., (2001).
eventuale trend rialzista, e sottopesandone altre per anticipare un eventuale trend
ribassista. Tale attività presenta nella pratica notevoli difficoltà, poiché richiede
un’elevata abilità nell’effettuare previsioni sui possibili movimenti futuri del mercato, e
notevoli doti di tempismo nello sfruttamento dell’occasione di rendimento. Spesso per
ovviare a tali problemi il gestore focalizza la propria attività su un numero limitato di
titoli, sui quali dispone di dati previsionali precisi e particolarmente positivi, ottenuti
con l’ausilio di modelli basati sull’utilizzo dell’analisi fondamentale e dell’analisi
tecnica. In questo modo si assume rischio solo relativamente alle attività su cui le
previsioni positive hanno alta probabilità di realizzarsi. Si rischia però così di andare a
ridurre la diversificazione di portafoglio e di generare un portafoglio che non rispecchi
pienamente il grado di tolleranza al rischio dell’investitore. Per modificare l’assetto del
portafoglio nell’ambito dell’attività di asset allocation tattica, negli ultimi anni è
risultato particolarmente utile l’impiego di strumenti derivati. Utilizzando tali strumenti,
infatti, vi è la possibilità di effettuare rapide manovre di aggiustamento del profilo
rischio – rendimento di un portafoglio, così da migliorare l’efficienza gestionale con
costi di intermediazione contenuti. Di contro ci si espone però ad un ventaglio di rischi
aggiuntivi quali il rischio base, il rischio di liquidità e di volatilità.
Si può distinguere un terzo momento della costruzione del portafoglio, ovvero quella
che viene comunemente denominata fund selection (o ―stock picking”), che riguarda la
selezione dei prodotti finanziari (ad esempio azioni, obbligazioni, fondi, ETF) da
introdurre in portafoglio per investire in un determinato mercato. E’ anche questa una
fase molto importante, che presuppone la conoscenza dei prodotti finanziari presenti sui
singoli mercati nei quali si vuole investire, e necessita della presenza di criteri che
guidino il manager di portafoglio nel percorso di selezione dei titoli. Si può ad esempio
selezionare un titolo sulla base dell’analisi delle caratteristiche tecniche presentate:
alcuni possibili criteri per la scelta sono ad esempio la liquidità del titolo, il rischio
assunto investendo nel titolo ed il rendimento ad esso collegato, la scadenza.
Una volta definito il portafoglio d’investimento attraverso l’attività di asset allocation, è
interessante andare ad indagare quale sia il peso delle fasi sopra descritte nel momento
in cui si va ad effettuare l’attribuzione delle performance di portafoglio. Negli ultimi
anni, il settore dell’asset management ha maturato una notevole sensibilità nei confronti
del tema della c.d. performance attribution. Diversi fattori possono spiegare almeno in
parte questo cambio di rotta, come ad esempio la diffusione della cultura del
benchmarking3, e la crescente attenzione degli operatori e delle autorità pubbliche alla
completezza e trasparenza della reportistica rilasciata all’investitore privato ed
istituzionale. Tale sensibilità implica che di fronte alla gestione professionale di un
portafoglio di strumenti finanziari, il feedback ricevuto dal manager di portafoglio non
possa essere limitato alla comunicazione del rendimento storico conseguito dal
portafoglio e dal rispettivo benchmark con riguardo a un certo periodo di riferimento.
Focalizzarsi esclusivamente su tali informazioni significherebbe infatti accontentarsi di
misurare un fenomeno, vale a dire la performance relativa, senza ricercare le cause delle
deviazioni, in termini di direzione e/o dimensione della performance, del portafoglio
gestito dal benchmark. La performance attribution analysis intende far luce sulle scelte
gestionali che hanno generato l’incongruenza tra il risultato complessivo del portafoglio
e quello del benchmark attraverso la scomposizione della performance relativa in varie
parti attribuibili a fattori esplicativi distinti. E’ per tale motivo che in genere al termine
dell’anno o del particolare periodo di riferimento il gestore/investitore cerca di capire a
cosa sia da attribuire il rendimento ottenuto, o ancora più importante a quale delle fasi
della costruzione di portafoglio sia da ascrivere una performance negativa. La
performance attribution può essere svolta nel modo ritenuto più opportuno ed utile
privilegiando la coerenza tra la logica di scomposizione della performance relativa e gli
aspetti di rilievo del processo di investimento che l’ha generata. Così facendo si ovvia al
pericolo di dover qualificare la performance attribution come un’analisi retrospettiva
fine a se stessa per riconoscerle, invece, il ruolo di sprone per il rafforzamento del
processo di investimento che si colloca a monte consentendone l’individuazione di punti
di forza e di debolezza.
3
Si veda in proposito il paragrafo 1.3.
Tabella 1.1: esempio di scomposizione del risultato di portafoglio
Asset allocation strategica + 8%
Asset allocation tattica -1,5%
Fund selection
-0,5%
Totale
+ 6%
Fonte: elaborazione dell’autore
Un esempio molto elementare ed intuitivo potrà chiarire le affermazioni appena
enunciate: nella Tabella 1 è illustrato il caso in cui al termine dell’anno il nostro
portafoglio di investimento abbia registrato un rendimento positivo pari al 6%; andando
ad effettuare la performance attribution, si potrebbe scoprire come il risultato del 6%
sia frutto di un andamento positivo determinato dall’asset allocation strategica, che ci fa
conseguire un rendimento dell’8%, parzialmente compensato dai rendimenti negativi
delle fasi di asset allocation tattica e della fase di fund selection, che hanno fatto
conseguire un risultato negativo rispettivamente dell’1,5% e dello 0,5%.
Da tali risultati appare evidente come, se ci si fosse concentrati soltanto sulla fase di
asset allocation strategica il risultato in termini di rendimento sarebbe stato superiore a
quello ottenuto. Non essendo infrequenti risultati di questo tipo, la letteratura finanziaria
ha cercato di dare una risposta al seguente quesito: nel lungo periodo, svolgendo
un’attività di back testing, quale di queste fasi ha portato mediamente il maggiore valore
aggiunto alla redditività complessiva dei portafogli di investimento?
Vari modelli sono stati proposti dalla letteratura per rispondere a questo interrogativo.
Una classificazione ampiamente condivisa e ravvisabile in numerosi lavori
sull’argomento4 è quella tra modelli che presentano un’impostazione derivante dai
modelli di asset pricing e modelli invece caratterizzati da un’impostazione di profilo
4
Si veda tra gli altri Petrella G. (2001).
contabile/algebrico, in genere più pratici e comprensibili dei primi. Il più ―autorevole‖
dei modelli di natura contabile risale alla metà degli anni ’80, ad opera di Gary Brinson,
Randolph Hood e Gilbert Beebower. Nel loro noto studio, Brinson, Hood e Beebower
(1986)5, cercano di dare una risposta proprio a questo interrogativo, fornendo risultati
largamente orientati nell’attribuire un’importanza preponderante alla fase di asset
allocation strategica. I risultati ottenuti hanno però dato vita ad una serie di imprecisioni
nella loro interpretazione, ritrovabili nella vasta letteratura consultata sull’argomento,
oltre che in numerosi articoli. Nel prossimo paragrafo si tratterà più approfonditamente
dello studio citato, cercando anche di mettere brevemente in evidenza quelli che sono
stati i più frequenti errori di interpretazione e fraintendimenti dei risultati presentati.
5
Un aggiornamento dello studio è stato effettuato nel 1991 dallo stesso Brinson con Singer e Beebower.