1
PREMESSA
Il presente lavoro cerca di ripercorrere le vicissitudini della figura di Odisseo
nella prima età ellenistica, e non si propone di essere un lavoro esaustivo
dell’intero mito odissiaco in ambiente ellenistico. L’attenzione è stata focalizzata
principalmente su due argomenti: il nostos dell’eroe e il suo ethos. Analizzando
le opere di alcuni poeti del III sec. a. C. si è visto come queste due tematiche
fossero presenti e centrali nella letteratura di ambiente alessandrino.
Per capire meglio come questi due motivi dell’epos odissiaco fossero così sentiti
all’epoca degli alessandrini, si è fatto un percorso a ritroso, attraverso le opere
di alcuni poeti che nel corso del tempo, dal periodo post-omerico fino alla
prima età ellenistica, si siano in qualche modo occupati del nostos di Odisseo e
del suo ethos.
Nel primo capitolo si è visto come gli autori antichi, da Esiodo agli
alessandrini, si siano interessati alle tappe del nostos odissiaco e al rapporto tra
geografia odissiaca e geografia reale. Sono stati presi in esame alcuni testi e si è
evidenziato come nel corso del tempo si siano formate versioni alternative al
mito odissiaco e varianti interessanti che hanno in qualche modo giustificato
l’espansione coloniale dei greci dall’età arcaica in poi.
Nel secondo capitolo l’attenzione si è focalizzata sulla figura di Odisseo. Si è
cercato di evidenziare il cambiamento del suo ethos, tenendo presente il punto
di partenza che è il poema a lui dedicato, l’Odissea. E’ emersa una figura che
nell’arco del tempo è mutata deteriorando nei suoi aspetti peculiari. Dalla
figura sostanzialmente positiva dell’Odissea, passando attraverso la lente della
lirica pindarica e del teatro greco di V sec. a. C., ritroviamo nella letteratura di
III sec. a. C. un eroe molto diverso, che quasi nulla ha a che fare con l’ Odisseo
omerico, e sotto certi aspetti molto negativo.
Il lavoro, come ho già detto, non ha la pretesa di essere completo.
1
CAPITOLO PRIMO
La tradizione sui viaggi di Odisseo dall’età arcaica al terzo secolo a.C.:
geografia odissiaca e geografia reale
Il ritorno di Odisseo è stato al centro d’innumerevoli racconti fatti dai Greci che,
dal IX secolo a. C. in poi, navigarono, esplorarono, fecero razzie, stabilirono
amicizie e fondarono colonie nei luoghi antistanti le coste di Itaca, dall’Adriatico
al Tirreno, percependo la realtà incontrata attraverso il filtro del mito
1
. Molti miti,
tra cui quelli concernenti il ritorno degli eroi da Troia, furono adattati ai nuovi
territori, dove furono utilizzati per creare tradizioni sulle discendenze e sulle
appartenenze etniche
2
. Il ruolo del mito fu quello di filtrare, dar forma e conciliare
incontri culturali ed etnici con le popolazioni dei luoghi esplorati. I nostoi insomma
costruirono una forma di mediazione per gli incontri culturali, etnici e politici tra
Greci e non Greci.
Tra gli eroi del ritorno Odisseo esercitò su quegli esploratori, commercianti e
coloni un fascino molto speciale. Nell’Odissea la caratterizzazione di Odisseo come
poluvtropoj si addice ai vari ruoli giocati da questo affascinante eroe dei nostoi nei
periodi arcaico e classico. I miti e i culti connessi alla sua figura e alle sue
avventure, il significato politico che acquista la sua immagine nel corso della storia
greca variano con i luoghi e i popoli cui egli fu associato. Talvolta fu visto come
eroe nazionale
3
, a volte come progenitore di casate reali
4
o come fondatore di città
5
.
La sua figura fu particolarmente suggestiva per i più antichi protocoloni greci,
probabilmente perché Odisseo incarnava l’immagine dell’uomo tenace, che
1
Per un’approfondita analisi dei rapporti tra mito odissiaco e insediamenti coloniali vd. Malkin
2004, Braccesi 2010.
2
Vd. Malkin 2004, pp. 205 ss.
3
Un esempio potrebbe essere il culto di Odisseo a Itaca, di cui parla Malkin 2004, pp.119 ss.
4
Si pensi alla tradizione esiodea che vede Odisseo essere il padre di Agrio e Latino (Teog. vv. 1011-
1013).
5
Si pensi, ad esempio, alla tradizione che lo vede fondare insieme ad Enea Roma ( FGrHist 4 F 84)
2
raggiunge il suo scopo, supera i pericoli e le insidie del mare e riesce a tornare a
casa, ai suoi affetti e alla sua terra. Inoltre la figura dell’itacese riflette
l’ambivalenza implicita nell’esplorazione e nella protocolonizzazione: la speranza
di scoprire nuovi territori ricchi e fertili e insieme la paura che essi possano essere
fonte di sciagure.
Così le tappe del nostos odissiaco, almeno nell’immaginario classico, sono
riconoscibili in alcune aree occidentali, teatro d’intense attività coloniali greche.
Poiché nei racconti omerici questi luoghi sono nominati vagamente e mai con
precisi riferimenti reali, c’è da chiedersi come sia avvenuta l’identificazione dei
luoghi omerici con alcune zone occidentali e a quale livello cronologico risalga tale
codificazione geografica. E’ un luogo comune affermare che essa risalga all’età
ellenistica, al lavoro compiuto dagli alessandrini. Certamente il rapporto tra la
geografia omerica, e specialmente quell’odissiaca, e la geografia reale ha
interessato molti eruditi d’età ellenistica, come Callistene
6
, Zenone di Cizio
7
,
Demetrio di Scepsi
8
, Ipparco
9
e Apollodoro
10
. Eratostene nella sua Geografia, aveva
sostenuto la fantasiosità della geografia omerica, affermando che ogni tentativo di
ricondurla a una dimensione reale era del tutto inutile e privo di fondamento
metodologico
11
. Ma la localizzazione occidentale della geografia odissiaca è già
ampiamente nota in età classica, come testimonia lo storico Tucidide che conosce
l’identificazione di Scheria con Corcira (1, 25, 4), colloca l’orrenda Scilla e la
mostruosa Cariddi nello stretto di Messina (4, 24, 5), localizza in Sicilia le caverne
6
Cfr. Strab. XII 3.5, C 542.
7
Cfr. Dio Chrys. 53.4; Arnim SVF, I 63 fg.275.
8
Cfr. Strab. XIII 1.45, C.603.
9
Cfr. Strab. I.1.2, C. 2.20, C.27.
10
Cfr. FGrHist 244 F 157, 170, 171.
11
Cfr. Pol. XXXIV 2.11: (e non condivide certo l’affermazione di Eratostene secondo la quale si potrà
scoprire dove si sono svolti i vagabondaggi di Odisseo quando si troverà il calzolaio che ha cucito
l’otre dei venti).
3
dei Ciclopi e le sedi dei Lestrigoni (6, 2, 1), infine definisce Lipari l’isola di Eolo ( 3,
88, 1).
Di seguito si cercherà di capire come, nei secoli successivi alla composizione del
poema omerico, questa idea della localizzazione reale del viaggio abbia interessato
e influenzato vari autori. L’indagine si concentrerà sugli eruditi di III sec. a.C. e si
analizzeranno tradizioni diverse e alternative rispetto a quella trasmessa
dall’Odissea.
1. Esiodo e Odisseo
Esiodo, nella Teogonia, propone una sistemazione occidentale per una delle tappe
del nostos odissiaco, il soggiorno di Odisseo presso Circe, nell’isola Eèa (vv.1011-
1018):
, E Circe, figlia di Sole, stirpe di Iperione,
4
generò nell’amore di Odisseo, dal cuore che sopporta,
Agrio e Latino, senza biasimo e forte;
poi generò Telegono per l’aurea Afrodite;
quelli molto lontano, in mezzo ad isole sacre,
regnavano su tutti gli illustri Tirreni
Calipso, divina fra le dee, Nausitoo a Odisseo
generò , e Nausinoo, unita nell’amore desiderato. (Trad. Arrighetti)
12
12
Dove non altrimenti specificato, le traduzioni sono mie.
5
Questi versi della Teogonia rappresentano il primo tentativo a noi noto di collocare
le avventure di Odisseo in uno spazio geografico definito. La loro autenticità è
stata molto discussa. Alcuni studiosi
13
ritengono la parte finale dell’opera spuria,
non autentica. Il più noto commentatore di Esiodo, Martin L. West
14
, sulla base di
alcuni elementi di carattere strutturale, linguistico e storico che fanno pensare ad
un autore più tardo, lega i versi in questione alla tradizione del Catalogo delle
Donne, della metà del VI sec. a. C.. L’opinione di West si è mostrata molto
influente
15
e , se si accoglie l’abbassamento cronologico della composizione di
questi versi, non è possibile considerarli come una testimonianza di un livello
cronologico di VIII/ VII sec. a.C. . Questa valutazione si fonda soprattutto su
considerazioni storiche esterne al testo: alcuni popoli menzionati e vicende narrate
nella chiusa della Teogonia non potevano essere note a Esiodo.
Vi sono anche studiosi che la pensano in modo assai differente da West
16
, come ad
esempio Irad Malkin
17
, che non sostiene l’ipotesi dell’ignoranza di Esiodo riguardo
ai popoli dell’Italia. Malkin pone un’interessante domanda: Esiodo cosa conosceva
o poteva conoscere dell’occidente? Diversamente da Archiloco, che viaggia per il
Mediterraneo da Siri alla Tracia e s’insedia a Taso, Esiodo si rappresenta come
privo di esperienza diretta, ma ciò non vuol dire che non potesse esibire
conoscenze sul mare e sul viaggio per mare. Nel lungo brano delle Opere e i
13
Vd. West 1966, 397-399, dove sono elencate le diverse proposte degli editori, divisi riguardo al
verso preciso in cui collocare la fine della parte autentica dell’opera e l’inizio di quella spuria: West
riserva per sé una delle proposte più drastiche individuando la fine dell’opera autentica già al v.
901. Vd. inoltre M.D. Northrup 1983, 7-13, che individua la fine del poema nell’apoteosi di Eracle
nel v. 955. Ercolani 2001 (pp.181-215) ritiene che la querelle filologica circa la questione
dell’autenticità di questi versi vada certamente ridotta, perché bisogna chiedersi non cosa sia
realmente esiodeo, ma cosa era o poteva essere sentito come esiodeo in una società storicamente
data.
14
West 1966, 48-49; 397-399; 416-417; 429-430; 435-436. A West si deve un’interpretazione diversa e
più complessa rispetto a quella di una semplice aggiunta a fine poema; egli, ravvisati alcuni
elementi marcatamente esiodei anche in quest’ultima sezione del poema, intende la chiusa come
un’elaborazione tarda di un autentico finale esiodeo andato perso. Sulla stessa linea G.W. Most,
2006.
15
Vd. Wiseman 1995, p.46.
16
Vd. Arrighetti 2007, pp.158-160; Debiasi 2008, pp. 40-49.
17
Vd. Malkin 2004, pp.217- 229.
6
Giorni
18
dedicato al mare e alla navigazione, il poeta si mostra molto ben informato
(vv. 617 ss.). Il padre di Esiodo è raffigurato come un marinaio esperto che per
ragioni economiche aveva lasciato l’eolica Cuma per raggiungere Ascra, in Beozia.
Ciò fa intendere che Esiodo era ben consapevole del mare e delle sue rotte. Inoltre
vivendo a breve distanza dall’Eubea, in cui Calcide ed Eretria avevano
rappresentato i maggiori centri di colonizzazione greca nell’VIII sec. a. C., il poeta
avrebbe potuto conoscere il mondo della navigazione anche per influsso euboico
19
.
Esiodo era un uomo conosciuto e vincitore di un premio importante negli agoni
funebri di un nobile di Eubea. « Per le gare del forte Anfidamante» aveva fatto la
traversata fino a Calcide, e aveva ottenuto il primo premio
20
. Se Anfidamante è
l’euboico che morì nella guerra di Lelanto nel 705 a. C. circa
21
, il nostro contesto
diventa anche più preciso. Anfidamante appartiene a quella schiera di nobili
euboici che seppellivano i loro parenti con un rituale che ricorda molto i funerali
di Patroclo descritti da Omero. Gli stessi nobili, nello stesso periodo, erano
seppelliti in modo simile in Italia, a Cuma (colonia di Calcide), conoscevano
Omero abbastanza da alludere, nella sepoltura di Pitecussa (altra colonia euboica),
alla coppa di Nestore
22
. Gli euboici di Cuma e Pitecussa avevano introdotto
elementi della loro cultura, vasi, ornamenti di lusso, il costume del simposio,
motivi omerici, l’alfabeto e molti miti tra gli Etruschi
23
. West sostiene che Esiodo
non sapeva nulla degli Etruschi perché i Greci ne avvertirono l’impatto solo nel VI
sec. a. C., ma nel 700 questi contatti si erano sviluppati da almeno settant’anni,
anche alla luce dei ritrovamenti archeologici di Veio
24
.
In questi versi tanto discussi si ha uno spostamento spaziale della posizione
dell’isola, dove abita Circe, Eèa: Omero, nell’Odissea, l’aveva collocata in oriente
18
Vd. Arrighetti 2006.
19
Per i rapporti tra Esiodo e l’Eubea vd. Malkin 2004, pp.218-221; Debiasi 2008, pp.156 ss..
20
Hes., Opere e giorni, 654-666.
21
Plut., Banchetto dei sette saggi, 153f..
22
Vd. Malkin 2004, p.189 e ss..
23
Pitecussa, la più antica colonia greca in Occidente, fu fondata intorno al 770 a.C.
24
L’importanza documentaria dei vasi geometrici trovati a Veio è ribadita, nella più recente
edizione italiana, da Boardman 1986, p.176 (con riferimenti a p.309, nn.12 e 33)
7
(Od. XII , 3-4), e precisamente al limite estremo di Oceano (Od. XII, 505-508) e nei
versi finali della Teogonia invece è posta ad occidente.
Se prendiamo per buona l’idea di West, che ipotizza un’interpolazione del testo da
parte di un autore di VI sec. a. C, forse lo spostamento ad ovest della prospettiva
del viaggio odissiaco può essere dovuto a ragioni politiche, come giustificazione
della colonizzazione della Magna Grecia avvenuta tra VII e VI sec. a. C. da parte
dei Greci. Se invece, ritenendo buone le idee di Malkin, consideriamo autentica la
fine del poema, questo spostamento da oriente ad occidente avviene in un tempo
molto più remoto, tra la fine dell’ VIII sec. a. C. e gli inizi del VII, in un’epoca
contemporanea o appena successiva alla composizione dei poemi omerici e in
rapporto con i primi moti coloniali greci verso occidente.
L’inquadramento di scene mitiche in ambienti coloniali sembra essere stato
graduale e specifico, ma potrebbe essere iniziato molto presto
25
e i versi finali del
poema esiodeo potrebbero esserne una conferma.
2. Stesicoro e l’Occidente
I frammenti che restano di Stesicoro d’Imera non fanno menzione di Odisseo in
occidente ma l’Ilioupersis è citata dall’artista che creò la Tabula Iliaca Capitolina, una
tavola scultorea realizzata in età augustea, se non in epoca giulio-claudia, ritrovata
tra le rovine romane della via Appia, nella località di Boville, a breve distanza da
Roma
26
. Con ogni probabilità è la copia romana di un’opera greca, pittorica o
25
Il riferimento è ancora alla coppa di Nestore trovata a Pitecussa (720 a. C.) che indica familiarità
con l’intreccio del poema omerico e con i suoi dettagli, i cui versi sono scritti nell’alfabeto di
Calcide euboica(cfr. Jeffery 1990, pp.235-236 e Guarducci 1967, pp. 226-227) e il cui proprietario era
certamente greco.
26
È una delle venti Tabulae Iliacae, conservate in diverse città, da Varsavia a New York. Si trova nel
Museo Capitolino a Roma, dal quale prende nome. È descrittada Sadurska, 1964, pp. 24–37. È
designata per convenzione con la sigla 1A, derivante dalla numerazione della rassegna di
Sadurska. Cfr. Horsfall 1979, pp.26–48.