Quel sabato avevamo come ospiti alcuni amici di mio padre, senza figli a carico e con
una voglia matta di parlare di lavoro. Logicamente, dopo il dolce, ero emigrato dalla
cucina al salotto adiacente dove la televisione mi stava aspettando silenziosa ed
immobile.
Alcune operazioni di routine (togliersi le scarpe, prendere una coperta, azionare il
telecomando, regolare l’audio) e poi attendere che il buio diventi luce e vista sul
mondo.
Non so perché, ancora oggi, quando accendo la tv premo sempre il tasto n°1, nè
perché questo sia abbinato perennemente a RAIUNO, comunque era di sicuro la
prima rete nazionale che stava mandando in onda un documentario sullo spazio.
Finalmente delle immagini pulite e non disturbate, a colori e persino musicate,
pensai. Poi era comparsa la penna senza gravità al centro dello schermo e mi resi
conto che era solo un film.
Dopo l’iniziale senso di sconforto, indeciso tra l’andare a letto a non dormire o
tornare in cucina, decisi di restare dove ero sperando di addormentarmi di li a poco.
Non cambiai nemmeno canale visto che la musica conciliava il sonno e sembrava non
terminare mai.
Il resto è facilmente intuibile: non cambiai canale, non presi sonno, andai a letto con
gli occhi ‘sballati’ ed il sorriso sulle labbra.
Da quel giorno sono passati molti dischi, film, discussioni e sogni con lo stesso
denominatore comune: Stanley Kubrick.
Cerchiamo comunque di non esagerare cadendo nell’apologia noiosa ed infruttuosa.
Il nome, si sa, è importante, i film lo sono ancora di più con la forza eterna delle
icone più famose. Basta infatti raccontare, a chi ignora i nomi dei registi, di un
cowboy seduto a cavalcioni su una bomba nucleare, di un sorriso affamato di morte
tra le aste di una porta squarciata, di un occhio tenuto aperto da un divaricatore di
palpebre o di un tunnel vorticoso di suoni, luci e colori per avere come risposta: “Ah
si! Ora ho capito, ma non mi ricordo il viso di questo ‘Cubric’, come è fatto?”.
A tale domanda il kubrickiano doc di solito sorride con un po’ di presuntuosa
compassione, altre volte mostra diligentemente le poche immagini (quasi sempre
dietro la macchina da presa) di un uomo scuro e penetrante, altre ancora si sofferma a
raccontare aneddoti assurdi per alimentare il mito di chi non vuol farsi fotografare e
registrare.
Kubrick è forse il regista più analizzato e discusso dalla critica dell’ultimo decennio.
Traduzioni di saggi più o meno datati, monografie, testimonianze, forum e dibattiti on
line a non finire. Tutti che dicono la loro opinione e tutti che temono di non spiegare
completamente, di ripetere ciò che è stato già detto o scritto, di non poter mettere la
parola fine.
È difficile infatti confrontarsi con chi ha ucciso i ‘generi’ cinematografici (dal film in
costume all’horror, dalla guerra alla fantascienza) o ha ribaltato le regole (la
manipolazione della colonna sonora in Arancia meccanica, l’orrore luminoso di
Shining, il simbolo al posto del mostro che viene dallo spazio in 2001..). Si ha
l’impressione che più che un confronto sia un vero e proprio incontro pugilistico.
Diretti di storia del cinema, ganci di filosofia e scienza, montanti di storia della
musica arrivano da tutte le parti e puntualmente colpiscono.
Con questo non voglio dire che non sia stato avvisato da alcuni docenti sui pericoli
che una tesi sul ‘mostro-dio’ Kubrick poteva recare in sé.
L’ebreo del Bronx ha sempre vinto, i suoi sfidanti sono divenuti i nostri maestri che
consigliano di incassare in attesa del gong o di gettare la spugna al primo round.
Questa tesi ha avuto una preparazione piuttosto travagliata. All’inizio pensavo di
usare le parole dei filosofi (quali sono le cause?), poi quelle dei matematici ( quanto è
costato il film?) poi ancora quelle dei poeti
1
( Lo-li-ta: la punta della lingua compie
un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo.Li.Ta.). Man
mano che leggevo saggi e biografie le mie presunte intuizioni appassivano ed i fili
logici diventavano talmente sottili da non poterli distinguere, come quando si vede
1
Vedi Vladimir Nabokov, Lolita, Adelphi, Milano, 1993.
una giacca dalla tinta unita e non ci si accorge che nasconde finissime trame dei più
svariati colori.
È come, pensavo, ascoltare la musica dell’Overture di 2001 dove non si riescono a
distinguere i singoli strumenti ed il suono appare unico e statico.
“Benissimo” dissi, “Partiamo da qui….”
Ricerche veneziane di testi e spartiti musicali, biografie e saggi, riviste e articoli in
lingua straniera, per sapere chi fossero Ligeti e Kachaturyan.
Ben inteso, a Kubrick non interessavano il nome o la storia di costoro. Era solo
l’effetto della combinazione immagine-suono che accendeva la sua speculazione, e
non la musica in sé stessa
La colonna sonora di 2001 non è solo un poema sinfonico che richiama Nietzche ed il
suo ‘uomo nuovo’ o un balletto che ricorda la Vienna decadente di inizio secolo, ma
è anche l’attesa dello spettatore prima che le immagini compaiano sullo schermo, il
dubbio e la suggestione per l’apparizione di un extraterrestre e, soprattutto viaggio,
viaggio sulla Luna, verso Giove, oltre il finito.
Questa tesi non si propone di analizzare l’opera musicale, tanto meno di verificare
con documenti e testimonianze il ‘progetto 2001’.
Ciò che interessa è la radice di scelte stilistiche inedite che hanno portato alla
realizzazione di un film ‘nuovo’ e di conseguenza un nuovo approccio per lo sguardo
dello spettatore. Basti pensare, ad esempio all’uso del parlato.
I dialoghi tra umani sono pochi, piatti e ininfluenti per lo sviluppo della trama. Il film
si racconta attraverso il montaggio delle immagini con i suoni, e l’esperienza che ne
risulta è del tutto soggettiva. Ecco perché Kubrick parla di 2001 come ‘un esperienza
non verbale’
2
che riguarda la vista e l’udito, i sensi opinabili per definizione.
2
Alla domanda: “ Qual è il vero messaggio metafisico di 2001? Kubrick risponde: “Non si tratta certo di un messaggio
che io volevo esprimere a parole. 2001 rappresenta un’esperienza non verbale; su due ore e diciannove minuti di film, vi
sono poco meno di quaranta minuti di dialogo. Ho cercato di creare un’esperienza visiva che evitasse di ricorrere a
concetti e definizioni verbali e che penetrasse direttamente nell’inconscio con il suo contenuto emotivo e filosofico.
Rovesciando la frase di Mcluahan, in 2001 è il messaggio ad essere il medium. Volevo che il film fosse un’esperienza
intensamente soggettiva, capace di raggiungere gli strati più profondi della coscienza dello spettatore, proprio come fa
la musica: mettersi a spiegare una sinfonia di Beethoven significherebbe menomarla erigendo una barriera artificiale tra
ideazione e valutazione. Si è liberi di interpretare a piacere il significato filosofico e allegorico del film. Credo che il
vero successo di 2001 stia nella sua capacità di raggiungere un’ampia gamma di persone che normalmente non si
L’impossibilità di spiegare il film su qualsivoglia binario logico ci costringe a
guardare verso i sentieri multiformi delle proprie coscienze rischiando di non essere
compresi, come quando si racconta animosamente ad un amico il sogno della notte
appena passata scoprendo poi che a lui poco interessa perché non sono racconti di
vita , ma fantasie liberate dal sonno o dalla veglia dei pazzi.
Spero che il racconto del mio sogno non sia lungo e noioso, con poca carne e troppo
sangue che a lungo andare, si sa, tende a nauseare piuttosto che inebriare.
preoccupano un gran che del destino dell’uomo, del suo ruolo nell’universo e dei suoi rapporti con forme di vita
superiori.
Ma se certe idee che si trovano in 2001 fossero state presentate anche a persone d’intelligenza superiore alla media in
modo astratto, sarebbero rimaste inerti e sarebbero state incasellate meccanicamente in categorie intellettuali bell’e
pronte. Invece, esperite in un contesto visivo ed emotivo in movimento, queste idee possono entrare in risonanza con le
corde più intime dell’essere”. Eric Norden intervista Stanley Kubrick in Playboy, settembre 1968.
EDUCAZIONE MUSICALE DI
S.K.
“ La cosa migliore, in un film, è quando le immagini e la musica creano l’effetto. La lingua,
quando è utilizzata, deve certo essere più intelligente e immaginosa che si può, ma mi
interesserebbe molto fare un film senza parole.
Si potrebbe immaginare un film dove le immagini e la musica fossero utilizzate in modo poetico o
musicale, dove si avesse una serie di enunciati visuali impliciti piuttosto delle esplicite
dichiarazioni verbali. Nessuno ha mai fatto un film importante dove questi aspetti unici dell’arte
cinematografica siano il solo mezzo di comunicazione. Pure, le scene più forti, quelle di cui ci si
ricorda, non sono mai scene in cui delle persone si parlano, ma quasi sempre scene di musica ed
immagini”.
Stanley Kubrick
1
1
A. Walzer, Stanley Kubrick Directs, New York, Harcourt Brace Jovanovich 1971.
Trovare il nome di Stanley Kubrick al 414° posto su 509 nella lista dei diplomati alla
William Howard Taft School del Bronx nel 1946 non sembra una notizia eclatante, se
non si considera il fatto che l’ordine è meritorio
2
.
Il mediocre risultato non gli permetteva di iscriversi regolarmente all’università, ma
poteva accedere alle lezioni diurne frequentando dei corsi serali di riparazione. Così
decise di iscriversi al City College.
Fin dall’infanzia
3
la carriera scolastica di Kubrick venne piuttosto trascurata o per lo
più relegata a mero dovere sociale.
Ciò che apprese in quegli anni aveva poco a che fare con la cultura accademica
4
, ma
molto con le attività integrative della scuola e con l’esperienza della strada (la
fotografia e gli scacchi) .
Proprio su queste attività integrative vale la pena soffermarsi un po’ per capire meglio
come socializzava Kubrick, ma soprattutto per sviluppare l’argomento della nostra
tesi.
I giovani newyorkesi degli anni Quaranta avevano varie opzioni per il doposcuola,
ma le più gettonate erano lo sport e la banda musicale.
L’attività sportiva non era il settore che esprimeva meglio il talento di Kubrick (se si
esclude qualche partitella a stickball -baseball da strada-) e nel Bronx a quell’età
bisognava essere ‘forti’ in qualche cosa se si voleva farsi vedere da qualche ragazza
5
.
Richiestissimi, soprattutto dalle pon-pon girls, erano i giocatori di football, a ruota
seguivano i musicisti.
6
2
Vincent LoBrutto, Stanley Kubrick: l’uomo dietro la leggenda, Il Castoro, Milano, 1999.
3
“ Stanley ed io avevamo una curiosità senza limiti, ma non per le cose che ci insegnavano”, Alexander Walker in:
John Baxter, Stanley Kubrick la biografia, Lindau, Torino, 1999.
4
“Penso che il grande errore delle scuole sia il cercare di insegnare ai ragazzi tutto. L’interesse può scatenare
l’apprendimento in un rapporto simile a quello fra la paura indotta da un esplosione nucleare ed un petardo. Non ho mai
imparato niente a scuola e non ho mai letto un libro per piacere personali fino all’età di diciannove anni”, Stanley
Kubrick in: Gene Phillips, Stanley Kubrick: film odyssey, Popular Library, New York, 1975.
5
Ricorda Fred Slettner, suo compagno di classe :” Stava cercando di entrare nel gruppo degli atleti, che erano le
massime star della scuola, e anche tra i musicisti della band, che erano le seconde star della scuola. Il più gettonato era il
suonatore di trombone.Voleva bazzicare con le ragazze pon-pon, perché tutti bazzicavano con le ragazze pon-pon….Lui
era quello che oggi si definirebbe una specie di ‘nerd’…Era un rompiballe con la sua macchina fotografica, dava
sempre fastidio alla gente e faceva continuamente fotografie. E ricordo che molte di queste persone non volevano farsi
fotografare…Non era uno socialmente integrato”. Vedi nota n° 2, pag.43.
6
LoBrutto, Stanley Kubrick cit.
Dopo alcune lezioni di acquerello il ‘nerd’ Kubrick provò a suonare con l’orchestra
della William Howard Taft School, una band composta da sessanta elementi di cui il
futuro regista era il percussionista.
Il clarinettista di quella banda era un certo Robert Saldelman che lo ricorda con
queste parole: “Stanley era un ragazzo molto tranquillo. Veniva alle prove con una
macchina fotografica 35 mm appesa al collo, il che era piuttosto insolito perché in
quegli anni non era da tutti avere una macchina fotografica. Suonava le percussioni
con sguardo assente e trasognato come se non fosse li con noi. Molto spesso il sig.
Feldman, il direttore d’orchestra, lo esortava a tenere il tempo. Perdeva il tempo e
non era esattamente con noi, era da un’altra parte. Pensavamo che la sua unica
divorante passione fosse la fotografia e non tenere il tempo nell’orchestra. Non era
molto bravo eccetto quando si concentrava, allora andava bene.”
7
La presenza nell’orchestra gli permise di avere qualche credito scolastico in più
nonché di affinare la sua tecnica.
Il repertorio era classico, suonavano principalmente delle rapsodie, ovvero melodie di
canti popolar-nazionali come le rapsodie slave
8
.
La svolta avvenne quando assieme all’amico clarinettista Robert Sandelman e ad altri
ragazzi ed una cantante di nome Edith Gormè (co-capitano delle cheerleaders)
formò la Swing Band del Taft.. Niente più musica classica quindi, ma jazz.
Il loro repertorio comprendeva brani di Glenn Miller, Benny Goodman e Frank
Sinatra .
La scena jazzistica a New York era la più importante al mondo in quegli anni.
Goodmann stava mettendo in ombra i frenetici boogie-woogie di Count Basie,
Charlie “Bird” Parker e Dizzy Gillespie mitragliavano note facendo volare la gente al
Minton’s Playause ad Harlem, Miles Davis li seguì e continuò la loro rivoluzione
contro il ‘dondolio’ dello swing.
9
7
Walzer, Stanley Kubrick cit., p.25
8
Cfr.per esempio la celebri Rapsodie ungheresi di Lizt per pianoforte e la Rapsodia spagnola di Ravel.
9
Miles Davis, Miles: l’autobiografia, minimum fax, Roma, 2001.
Il pivello Gene Krupa – Buddy Rich
10
, come Sandelman ricorda Kubrick, si trovava a
proprio agio con la nuova banda. “Era molto coinvolto, veniva alle prove, suonava. Si
concentrava di più quando suonavamo lo swing, il jazz o la musica contemporanea.
Non portava la macchina fotografica quando veniva a suonare: avevamo conquistato
la sua attenzione e avevamo l’intero Stanley Kubrick, non solo da una parte. Era un
buon batterista: non si limitava a segnare il tempo, faceva anche degli assolo”
11
.
Come detto, tra la band c’era anche la cantante Edith Gormè che si inseriva in
canzoni pop contemporanee come Where or When , un genere che in futuro il regista
sfrutterà nel migliore dei modi. Si possono ricordare brani come We’ll meet again di
Vera Lynn, cantata da Laurie Johnson, che ci promette un nuovo incontro nel finale
atomico di Stranamore e Try a little Tenderness, sempre in Stranamore, che
accompagna con tenerezza il rifornimento in volo di un bombardiere nucleare, mentre
i titoli di testa stanno comparendo sullo schermo, oppure Singing in the rain il cui
ritmo è segnato dai colpi inferti da Alex , The marines himn della Goldman band, The
boots are made for walking di Nancy Sinatra
12
, Surfin’bird e Wooly Bully di Sam the
Sham and Pharaos mentre i soldati giocano con un cadavere vietcong, Paint it black
dei Rolling Stones ai quali Kubrick voleva inizialmente affidare l’intera colonna
sonora di Full metal jacket
13
, infine Baby did a bad-bad thing di Chris Isaak in Eyes
Wide Shut.
La Swing Band aveva , come detto, Frank Sinatra in repertorio. ‘The Voice’ fu il
protagonista di ben due servizi fotografici di Kubrick, uno da giovanissimo insieme
all’amico Marvin Traub in uno dei tanti concerti al Paramount Theatre di New York e
10
Gene Krupa era un batterista swing virtuoso ed estemporaneo; suonò nell’orchestra di Benny Goodman con il quale
incise il celebre assolo di Sing, sing, sing. Buddy Rich , batterista prodigio (ad undici anni aveva già una sua orchestra)
suonò ed incise con Charlie Parker e Lester Young. Da A.A.V.V., Enciclopedia della musica, Garzanti, Milano, 1989.
11
Vedi nota n° 1 a pag. 26.
12
Per la colonna sonora di Full Metal Racket, Kubrick rovistò tra i top 100 della classifica americana
dell’epoca.”Abbiamo consultato su Bilboard la classifica dei migliori brani musicali tra il 1962 ed il 1968…Alle volte
la dinamica del suono era troppo ampia e non potevamo lavorare sul dialogo: in un certo istante la musica doveva
scendere di intensità e lasciare spazio alla voce e invece magari si sentiva solo il basso, cosicché non poteva essere usata
per il film”. Cfr. l’intervista rilasciata a Rolling Stone del 1987. Vedi il sito internet www.archiviokubrick.com
13
C’è da notare che gli Stones avevano progettato una versione di Arancia meccanica prima di Kubrick.Jagger avrebbe
dovuto interpretare la parte di Alex e gli Stones quella dei drughi. Venne commissionata una sceneggiatura a Burgess
ma non se ne fece niente. Vedi nota n°2 a pag. 290.
l’altro nel 1952 per Look durante un’intervista radiofonica di Sinatra alla
trasmissione Light up Time della Lucky Strike
14
.
Nel 1948 Kubrick si trasferì con la moglie Toba Metz al Greenwich Village, un
quartiere che prima della guerra era considerato bohemien e che ora accoglieva
scrittori e poeti della beat generation, musicisti eccentrici, falliti e reduci di guerra .
15
Oramai dedito alla fotografia, andava nel tempo libero ad ascoltare jazz nei caffè del
Village dove poteva immortalare pugili, star del cinema e musicisti jazz tra cui il
grande Errol Garner , il clarinettista George Lewis, il chitarrista bianco Eddie
Condon, il trombettista Phil Napoleon, il cornettista Oscar Celestin che stava
rilanciando il sound di New Orleans con Alphonse Picout, il cornettista e Francis
‘Muggsy’ Spanier, tutti assidui frequentatori di nightclub
16
.
Qui a lato possiamo vedere il
grande pianista di colore Errol
Garner, il batterista Big Sid
Cattlet, il trombettista Pee Wee
Russel ed il trombettista
‘Muggsy’ Spanier. Dal volume
di Cristiane Kubrick, Stanley
Kubrick, una vita per immagini,
Rizzoli, Milano, 2003, pag. 41.
14
Walzer, Stanley Kubrick cit., p.61
15
LoBrutto, Stanley Kubrick: l’uomo dietro la leggenda cit., p.49.
16
C’è un piccolo omaggio al Village in Eyes Wide Shut. Il luogo di incontro tra Bill (Cruise) e l’amico pianista Nick
Nightingale avviene in un fantomatico locale di nome Sonata Jazz, proprio al Village.
Oltre al Minton’s Playhouse dove c’erano i migliori neri e dove si suonava il be-bop,
i night più famosi erano il Three Deuces, l’Onyx, il Kelly’s Stable dove c’erano solo
spettatori bianchi e si suonava swing, il Dixieland Club ed il Birdland quasi tutti
sulla Cinquantaduesima strada che nella seconda metà degli anni Quaranta era la
strada musicale dell’intera città e non solo.
17
Fu in quel periodo al Greenwich Village, seguendo le proiezioni al Museo d’arte
moderna, che Kubrick maturò l’idea di fare del cinema e, con essa, la possibilità di
poter manipolare la musica a suo piacimento e conferirle così nuovi significati che
trascendevano lo spartito e si esprimevano attraverso l’immagine.
Aveva intuito questa possibilità anni prima,quando l’amico Alexander Singer lo portò
ad una proiezione dell’Alexandr Nevskij di Ejzenstein, musicato da Prokof’ev.
Kubrick restò stupefatto dalla scena della battaglia sui ghiacci tra russi e teutoni, dal
montaggio del regista russo e dalla musica in se stessa, tanto che comprò il disco e lo
ascoltò continuamente per giorni, fino al punto che sua sorella Barbara, sulla soglia
della pazzia, lo spaccò
18
.
L’ossessione per il compositore russo continuò negli anni tanto che venne usato sul
set di Spartacus per creare meglio l’atmosfera agli attori che stavano recitando
19
.
Ciò che influenzò maggiormente Kubrick e molti altri registi a venire non fu tanto la
bellezza del brano in sé stesso, quanto il ‘complesso procedimento di accostamenti
analogici tra suono ed immagine
20
che trovava esito nella teoria del montaggio
verticale di Ejzenstein ( vedi esempio sotto).
17
Davis, Miles: l’autobiografia cit., p.118.
18
LoBrutto, Stanley Kubrick: l’uomo dietro la leggenda cit., p.66.
19
Ricorda in proposito Kirk Douglas : “Durante quella seduta si discusse del cinema muto, del modo in cui veniva
utilizzata la musica per creare l’atmosfera agli attori. Ci provammo anche noi in alcune scene di Spartacus che
sarebbero state solo musicali. Serviva molto”. Kirk Douglas, Il figlio del venditore di stracci, Rizzoli, Milano, 1989
pag. 280. Nella scena del duello a morte tra Draba e Spartaco, il set era avvolto dalle atmosfere della musica di
Prokof’ev che agevolò l’interpretazione di Woody Strode. Bassetti, La musica secondo Kubrick, cit., p. 37.
20
Cfr. Roberto Pugliese, Musicisti colti e musica da film. Questo saggio si può trovare in internet all’indirizzo
www.teatrolafenice.it/libretti/libcont/nevskij/sagg/saggi.htm insieme ad altri due saggi: Fabrizio Borin, Fabrizio Borin
un capolavoro tra propaganda, naftalina e censura; Michele Girardi, Alexander Nevskij.
fig. Esempio di partitura audiovisiva per l’
Alexandr Nevskij.
Da Sergio Miceli, Musica e cinema nella
cultura del Novecento, Sansoni, Milano,
2000.
La sequenza de “La battaglia sul ghiaccio” dimostrava come la musica poteva
aumentare il realismo delle immagini attraverso la sincronia delle pause musicali con
gli stacchi del montaggio e l’analogia tra ciò che si vede (per esempio le inquadrature
dei guerrieri teutoni) e ciò che si sente ( la distorsione del suono per rendere più rozzi
gli strumenti a fiato dei nemici).
21
Possiamo osservare come in Spartacus, Kubrick e Alexander North ripropongano
questo modello durante la battaglia finale tra l’esercito di Crasso e quello dei ribelli.
Dallo schieramento delle truppe, alla battaglia vera e propria fino alle inquadrature
dei morti sul campo, la musica si dipana linearmente alle immagini. Questa
corrispondenza non è la regola, ma uno dei tanti modi espressivi della colonna
sonora. Vedremo più avanti come Kubrick, a volte, preferirà il contrasto all’analogia
21
“Non porta alcuna differenza che il compositore scriva la musica per il tema generale della sequenza o per la
sequenza già ordinata per il montaggio, abbozzato o definitivo che sia; o se il procedimento è stato eseguito all’inverso,
che il regista proceda al montaggio visivo sulla musica già scritta e incisa sulla colonna sonora. E a questo proposito
vorrei dire che nell’Alexandr Nevskij furono impiegati tutti, letteralmente tutti, questi diversi metodi. Nel Nevskij infatti,
vi sono tanto sequenze in cui le inquadrature furono montate sulla colonna sonora già precedentemente incisa, quanto
sequenze per le quali l’intero pezzo musicale fu scritto dopo che il montaggio per le immagini era stato effettuato. E vi
sono sequenze che comprendono entrambi i metodi. Vi sono perfino sequenze costruite con un procedimento tale da
costituire elemento aneddotico. Un esempio di questo metodo è la scena della battaglia, allorché, per festeggiare la
vittoria dei soldati russi, vengono suonati i tamburi ed i flauti. Io non riuscivo a spiegare a Prokof’ev quale effetto
preciso doveva essere visto, per questo momento di esultanza, nella musica. Accorgendomi che nessuno di noi due
veniva a capo di nulla, feci costruire appositamente degli strumenti, li ripresi mentre venivano suonati (senza incidere il
suono) visivamente, e feci proiettare il risultato per Prokof’ev. Questi allora mi consegnò quasi immediatamente
l’equivalente musicale dell’immagine visiva dei suonatori di flauti e tamburi, che io gli avevo fatto vedere”.
S. M. Ejzenstein, Forma e tecnica del film e lezioni di regia, cit., pp. 322-323.
perché in esso si cela l’antifrasi, ossia la non corrispondenza tra evento messo in
scena e musica udita, come nel pestaggio di Alex sulle note di Singing in the rain.
Qui sopra sono stati immortalati in un servizio fotografico per Look, Errol Garner al piano, il clarinettista di New York
Gorge Lewis, Pee Wee Russel alla tromba e Sharkey Bonano .
Dal volume di Cristiane Kubrick, Stanley Kubrick, una vita per immagini, Rizzoli, Milano, 2003, pag. 41.
DALLA COLONNA SONORA
ORIGINALE ALLA SCELTA
DI BRANI GIA EDITI
“Per quanto bravi possano essere i nostri migliori compositori, non sono certo un Beethoven, un
Mozart o un Brahms. Perché usare una musica meno valida quando c’è una grande quantità di
musiche per orchestra, del passato e della nostra stessa epoca?”
Stanley Kubrick
22
22
Michel Ciment, Kubrick, Rizzoli, Milano, 1999. Cit. a pag. 183.
Quanto bello sarebbe poter disporre di Mozart in carne e ossa, poter ammirare i suoi
occhi davanti allo spartito ancora bianco e potergli dire : “Ora ho bisogno di questo
ritmo…., di questa atmosfera….ecc.”. Pazientare, intuire, sentire e poi, approvare o
meno il risultato, perché, in fin dei conti, Mozart lo paghiamo ‘noi’ e possiamo anche
licenziarlo se fa il matto.
Certo se fossi Kubrick come prima alternativa proverei ad assumere Beethoven ,
senz’ombra di dubbio più affidabile e magari meno caro dell’austriaco.
Ma i ‘signori ‘ qui sopra purtroppo sono morti da tempo ed in giro pare che non ci
siano i loro cromosomi . Che fare?
Kubrick disse che la scelta di collaborare con Gerald Fried per le musiche dei suoi
primi lavori (dal corto Day of the fight,, fino ai lungometraggi Fear and desire, Il
bacio dell’assassino, Rapina a mano armata e Orizzonti di gloria) venne data dal
fatto che era l’unico musicista che conosceva.
23
A noi piace pensare che la passione
per il jazz abbia favorito questo sodalizio, che è continuato per più di un decennio e
che ha portato fortuna ad entrambi.
Fried era un oboista e fu presentato a Kubrick dall’amico Alexander Singer . Aveva
vent’anni, nessuna esperienza in fatto di colonne sonore ma dodici mesi a
disposizione per imparare.
24
Fried diresse un orchestra di diciannove elementi che fece salire più del previsto il
budget di Day of the fight
25
.
Il risultato non fu certamente rivoluzionario. Per tutto il film la musica fa da
contrappunto alle immagini, segue la giornata di Walter Cartier e del fratello fino a
dissolversi un attimo prima dell’incontro, per il quale si preferì il sonoro originale.
23
LoBrutto, Stanley Kubrick: l’uomo dietro la leggenda cit., p.78
24
“ Mi chiesero se volevo scrivere la musica. Perché io? Perché ero l’unico musicista che Kubrick conosceva….Andai a
vedere un sacco di film e presi appunti. Andavo al cinema insieme a Stanley e commentavamo assieme: ‘questo
funziona, questo non funziona’, era una specie di autoformazione. Andammo a vedere Il mostro della laguna e
ridemmo moltissimo. Alcune cose funzionavano, altre erano ridicole, altre ancora erano ovvie e alcune erano irritanti.
Dovevi dare delle definizioni. Che cosa è irritante e se lo è, è anche necessariamente brutto? Quando vuoi essere
irritante? Quando sei insinuante? Quando sei interiore? Quando stai semplicemente perdendo tempo? Era
eccitante….Non ci capitava mai di ascoltare qualcosa che costituisse uno spunto prezioso a cui ispirarci….Eravamo
giovani, sapevamo tutto. Nella nostra mente stavamo per diventare Beethoven e Ejzenstein”. Vedi nota n°2 a pag. 78.
25
“Girato il film per meno di mille dollari, si ritrovò a spenderne più di tremila per registrare e montare effetti sonori,
musica e voce narrante.” Baxter, Stanley Kubrick cit., p.57.