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Introduzione
«Loda il mare, ma resta a terra
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» (G. HERBERT, 1640).
Decido di introdurre il mio elaborato attraverso questo breve aforisma, perché penso riesca ad
esprimere bene l’ambivalente relazione che nel tempo ha intercorso tra l’Uomo e il Mare,
condizionata da un innato sentimento di angoscia provato nei confronti dell’elemento naturale e che
per secoli ha prevalso sulla curiosità di esplorarne i fondali. Infatti, nonostante le distese oceaniche
ricoprano circa il settantuno per cento del nostro pianeta, fin dagli albori delle prime civiltà a destare
l’attenzione dell’essere umano sono stati per lo più gli astri del cielo; mentre, al mare e i suoi abissi
si è sempre associato un fascino ingannevole e pericoloso, preferibilmente da ammirare a distanza,
come per l’appunto sottolinea Herbert
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, rimanendo sulla terraferma.
Con questo lavoro di tesi mi pongo quindi l’obiettivo di ripercorrere nel tempo l’evoluzione delle
tradizioni e conoscenze in materia di Oceani e abissi, spesso ricorrendo ad opere della letteratura
antica e moderna, nel tentativo di ricostruire l’immaginario comune dell’epoca a cui esse risalgono.
Cercherò poi di evidenziare i momenti storici più significativi, che hanno condotto l’Uomo ad
abbandonare miti e leggende del mare per sostituirli con teorie scientifiche sempre più accurate e
libere da una qualsivoglia interpretazione in chiave sovrannaturale.
Attualmente con Oceanografia si intende quella branca delle scienze della Terra che studia gli
Oceani, con particolare interesse verso i processi di natura biologica, chimica e geofisica che
avvengono in essi; ma, nonostante i mari abbiano da sempre determinato implicazioni molto rilevanti
per la comunità umana, fino alla prima metà dello scorso secolo le osservazioni dei fenomeni
talassografici erano rimaste circoscritte a superficie e basse profondità. Le motivazioni alla base di
tale negligenza sono da ricercare nel particolare rapporto instauratasi tra l’Uomo e le grandi masse
d’acqua, durante il corso del tempo percepite sì come un’eccezionale fonte di ricchezza per
sostentamento e commercio, ma al contempo sotto forma di elemento ostile e potenzialmente
mortifero, verso il quale fosse necessario rimanere vigili e diffidenti. Detto questo, è facile
comprendere come abbiano potuto svilupparsi e attecchire nell’immaginario collettivo ideologie
filosofico-religiose, che percepivano il mare come uno spazio ambiguo dal forte potenziale simbolico
e che vedevano negli abissi la dimora di infernali creature leggendarie, pronte ad avventarsi su
chiunque avesse osato sfidare le acque in cerca di fortuna per un proprio tornaconto personale.
La conoscenza dell'oceano era, letteralmente parlando, superficiale.
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Il verso originale è in inglese e recita: «Praise the Sea, but keepe on land».
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George Herbert è stato un poeta inglese vissuto tra il 1593 e il 1633.
Per un approfondimento consultare: https://it.wikipedia.org/wiki/George_Herbert_(poeta).
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Solamente in seguito alla Rivoluzione Industriale iniziò a diffondersi dalla Gran Bretagna un
rinnovato interesse verso l’argomento marino, favorito da teorie mediche incentrate sulla
balneoterapia e da un nuovo gusto collettivo, prevalentemente di carattere estetico, rivolto al
collezionismo di conchiglie. Un ulteriore passo in avanti avvenne nell’Ottocento, quando il desiderio
di stabilire una comunicazione telegrafica tra America ed Europa attraverso un cavo transatlantico
ebbe una straordinaria risonanza mediatica e diede il primo impulso diretto verso l’esplorazione
sistematica del mondo sottomarino; che divenne oggetto d’interesse per autori di opere
enciclopediche e narrative, rispettivamente come Glaucus, or The Wonders of the Shore (Glauco, o
Le Meraviglie della Riva) di Kingsley e Vingt Mille Lieues sous les Mers (Ventimila Leghe sotto i
Mari) di Verne, volte a raccordare letteratura e scienza. Ad ogni modo, il riconoscimento
dell'oceanografia come autonoma disciplina si è soliti attribuirlo alla prima indagine organica dei
fondali: la spedizione Challenger, che John Murray
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definì «il più grande progresso per la
conoscenza del nostro pianeta dopo le celebrate scoperte del quindicesimo e del sedicesimo secolo»,
documentando l’esistenza di oltre quattromila specie fino ad allora sconosciute.
Come accennato in precedenza, al giorno d’oggi l’interesse talassografico ricopre un ampio spettro
d’indagine: dalla morfologia e distribuzione di tutte le aree marine sulla superficie del globo ai
processi fisici e geologici ad esse connessi, inoltre monitorandone la biodiversità e gli effetti
comportati dall’antropizzazione. Tutto questo vasto insieme di conoscenze intreccia, quindi, aspetti
di geografia, geologia, fisica, chimica e biologia, costituendo la moderna scienza dell'oceanografia.
Questo progetto di tesi si articolerà in tre parti distinte che approfondiranno l’idea di Oceani e abissi
negli ambiti di storiografia antica, letteratura e scienza.
Il primo capitolo riguarderà infatti la concezione di Oceani, Mari e abissi nel mondo antico e, partendo
dalle origini etimologiche del termine “Oceano”, analizzerà la forte valenza simbolica che da sempre
ha contraddistinto l’ambiente marino quale spazio ambiguo e pericoloso, in grado di nascondere nelle
sue profondità creature mostruose e civiltà sommerse. Nei paragrafi iniziali verranno quindi esplorati
i nessi tra ritualità e pratiche sociali che contraddistinguevano le culture del passato.
Diversamente, il secondo capitolo interesserà il romanzo di genere marino, ricostruendo il contesto
storico in cui si è sviluppato, per poi soffermarsi in modo particolare su Jules Verne con Vingt Mille
Lieues sous les Mers.
Infine, nel terzo capitolo verranno ripercorsi i progressi della comunità scientifica, introducendo le
principali teorie geologiche e seguendone l’evoluzione nel tempo. Una particolare attenzione sarà
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Oceanografo, biologo marino britannico scozzese vissuto tra il 1841 e il 1914. Fu anche il supervisore della
pubblicazione del Rapporto dei Risultati Scientifici del Viaggio di Esplorazione dell'H.M.S. Challenger (1873-1876).
Per un approfondimento consultare: https://en.wikipedia.org/wiki/John_Murray_(oceanographer).
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inoltre rivolta alle figure di Alfred Wegener e Harry Hess, fondamentali per lo sviluppo delle attuali
conoscenze in materia di scienze naturali, mentre l’ultimo paragrafo si concentrerà sulle difficoltà
che ancora oggi ostacolano la comprensione degli Oceani e sulle più recenti iniziative che prevedono
di riuscire a oltrepassarle nei prossimi anni.
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L’IDEA DI OCEANO, MARE E ABISSI NEL MONDO ANTICO
1.1 LE ORIGINI ETIMOLOGICHE DI OCEANO
Nell’antichità le popolazioni del Mediterraneo a partire dai Fenici e proseguendo con Greci,
Cartaginesi e Romani, instaurarono un rapporto molto stretto col mare, che svolgeva un ruolo centrale
nel favorire loro un florido sviluppo, garantendogli le risorse per il commercio e il vivere quotidiano,
tanto che, secondo Herder
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«Sulle isole, penisole e coste, meglio disposte, era sorto un maggior
spirito di iniziativa e una civiltà più libera di quelle che non fossero potute sorgere nella terraferma»
(J.G. HERDER, 1971, p.283). L’Ellade era completamente esposta alle acque, che nell’immaginario
comune si riteneva fossero connesse con le diverse manifestazioni della volontà divina, suscitando
così nell’uomo quel sentimento, misto di rispetto e timore, conforme alla sfera sacrale. Ad ogni modo,
appare naturale che gli antichi Greci avessero una moltitudine di termini per indicare il mare in ogni
sua caratteristica, infatti: se hals stava per sale, vale a dire il mare in quanto materia, allora, pelagos
indicava la distesa, ossia l’immagine percepita dalla vista; e ancora, pontos ne esprimeva la vastità
attraversabile in viaggio, mentre laitma la profondità degli abissi. Infine, esisteva un’ulteriore
distinzione tra thalassa, parola probabilmente di derivazione cretese per definire il Mediterraneo,
ormai legato ad una concezione quasi domestica del mare, e Okeanos, riferito, invece, alla massa
d’acqua inesplorata, che si pensava circondasse le uniche terre emerse di Africa ed Eurasia. A questo
punto, dobbiamo però precisare come nell’immaginario collettivo greco non vi fosse una nozione di
Okeanos quale grande mare esterno, ma che esso identificasse piuttosto un immenso corso fluviale
anulare (L. DE FIORE, 2013, p.18). Per approfondire la questione e ottenere maggiore chiarezza può
essere significativo prendere in esame l’Odissea omerica: infatti nel diciottesimo libro del celebre
poema epico è narrato che Efesto
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volle far avere ad Achille uno scudo saldo, ma anche
splendidamente ornato e dalla funzione didascalica, cosicché il dio vi incise sopra la raffigurazione
dell’intero cosmo, rispettando l’allora concezione della Terra: «Vi scolpì la terra ed il cielo ed il mare,
il sole che mai non si smorza, la luna nel pieno splendore, e tutte le costellazioni, di cui s’incorona
il cielo, le Pleiadi, le Iadi, la forza d’Orione e l’Orsa, detta anche Carro per soprannome, che gira
su sé stessa guardando Orione, ed è l’unica a non immergersi nelle acque d’Oceano. […] In fine
metteva la grande corrente del fiume Oceano lungo l’orlo estremo dello scudo ben costruito»
(OMERO, VII sec. a.C., vv.483-489, 607-608). Quindi, il poeta greco attraverso un’ekphrasis
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presenta
l’antica visione del globo: un sistema di terre emerse, abitate dagli uomini e facenti parte di un
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Johann Gottfried Herder è stato un filosofo, teologo e letterato tedesco vissuto tra il 1744 e il 1803. Per un
approfondimento consultare: https://it.wikipedia.org/wiki/Johann_Gottfried_Herder.
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Dio del fuoco e della metallurgia secondo la mitologia greca.
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Struttura stilistica di origine greca, tipica della poesia alessandrina (III sec. a.C.) e consiste nella descrizione
accuratissima di oggetti o monumenti.
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continuum sostanzialmente ininterrotto, nonostante la presenza al suo interno dei mari mediterranei;
mentre, tutto intorno al blocco continentale scorre l’Oceano, immenso fiume circolare, che delimita
esternamente il confine stesso del mondo, come un precipizio sull’abisso cosmico «che fa orrore
anche agli dèi» (ESIODO, VIII-VII sec. a.C.), restituendo così l’immagine di Okeanos quale «mare
non mare, dato il suo carattere liminare di acqua non navigabile, pena il naufragio certo e data
anche la sua forma, che lo assimila piuttosto ad un fiume, una fiumana sconfinata che scorre su sé
stessa, che ha in ogni suo punto la sorgente e la foce» (CERRI, 2013, p.14).
L’ideologia cosmologico-geografica dell’anello oceanico (Fig. 1.1) non apparteneva unicamente al
pensiero greco, ma la si poteva riscontrare, essenzialmente invariata, anche presso le antiche civiltà
semitiche del Vicino e Medio Oriente, dai Sumeri ai Babilonesi, agli Assiri, Persiani ed Egizi, tanto
che appare ben lecito ipotizzare si trattasse di un mito comune, per mezzo del quale tutti questi popoli
immaginavano il confine estremo della Terra.
Fig. 1.1: Il fiume Oceanus secondo la tradizione omerica,
fonte: https://landkartenindex.blogspot.com/2012/04/die-geschichte-der-weltkarten-homer.html.
Inoltre, come la maggior parte delle culture primitive, i Greci giustificavano i fenomeni naturali
inscrivendoli nella dimensione del divino e anche Okeanos era presente nella mitologia preolimpica
sotto forma del più antico tra i titani: il figlio primogenito di Urano e Gea
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, nonché padre di tutte le
divinità fluviali. La tradizione esiodea immaginava come dalla sua bocca fuoriuscissero e si
raccogliessero tutte le acque terrestri; mentre nelle rappresentazioni artistiche elleniche spesso era
ritratto con la coda arricciata di un pesce (Fig. 1.2), secondo un modello figurativo poi ereditato dai
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Rispettive personificazioni di Cielo e Terra, ritenute dalla cosmogonia (mitologia della Creazione) la coppia divina
primigenia (https://www.treccani.it/enciclopedia/urano_%28Enciclopedia-dei-ragazzi%29/).