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Capitolo I
Introduzione
L‟andamento dell‟economia e del mercato del lavoro sono da sempre temi di
attualità in grado di suscitare un grande interesse, questo poiché tendenzialmente
riguardano ciascuno di noi.
In questo periodo storico stiamo attraversando una fase economica ancora
influenzata dalla crisi finanziaria del 2008, la quale col tempo si è ripercossa sulle
economie reali di tutti gli stati, in particolare su quelle dei paesi più avanzati. Un
simile shock economico ha avuto pesanti conseguenze sia sulle imprese sia sui
lavoratori.
Nei capitoli che seguono analizzeremo un settore specifico del mercato del lavoro,
cioè quello riguardante i giovani laureati, con uno sguardo particolarmente attento
rivolto verso coloro che hanno conseguito una laurea in giurisprudenza.
La tesi inizia con lo studio della teoria economica riguardante il mercato
concorrenziale al fine di comprendere quali fattori influenzano la domanda e
l‟offerta di lavoro, come avviene l‟incontro tra domanda ed offerta, come si
determina l‟equilibrio di mercato (da cui dipende un dato grado di occupazione
ed un dato livello salariale medio), ed infine quali fattori determinano il tasso di
disoccupazione, sia nel breve sia nel lungo periodo.
Per quanto riguarda quest‟ultimo fenomeno, analizziamo le diverse forme in cui
esso si manifesta ed i fattori che possono influire sulla sua entità. Inoltre,
confrontiamo i dati italiani con quelli europei e statunitensi, al fine di avere un
quadro più globale del fenomeno.
2
Successivamente osserviamo il comportamento dei lavoratori all‟interno del ciclo
economico, le loro preferenze ed i problemi relativi ai processi di ricerca
dell‟occupazione, i quali sono una delle cause della disoccupazione frizionale.
Quest‟ultima si distingue dalla disoccupazione strutturale, la quale sembra
generare una sorta di tasso di disoccupazione fisiologico ed ineliminabile, anche
all‟interno di un‟economia sana.
Analizziamo poi il rapporto tra tasso di disoccupazione ed inflazione, al fine di
capire perché negli ultimi decenni la celebre curva di Phillips non sia più
applicabile, soprattutto nell‟ottica di un governo che abbia intenzione di compiere
scelte economiche volte a regolare l‟andamento del tasso di disoccupazione.
In seguito studiamo il rapporto tra grado di istruzione e mercato del lavoro,
nonché tra il livello di formazione di un lavoratore e la sua produttività, al fine di
comprendere quanto sia conveniente investire nel capitale umano e quali siano i
rendimenti di un simile investimento, specie se confrontati con quelli che si
possono ricavare dai mercati finanziari.
Al termine del quadro teorico di riferimento, anche sulla base dei dati empirici
raccolti, appare chiaro che in ogni caso, avendone l‟opportunità, conviene
investire sulla propria istruzione, sia durante l‟università che successivamente.
Tale scelta per altro non è conveniente solo per il singolo, a livello privato, ma è
un‟opportunità concreta per la società nel suo complesso. Infatti l‟istruzione non
genera soltanto rendimenti privati (maggiori guadagni a livello individuale), ma
anche rendimenti sociali e fiscali (maggiori entrate per l‟erario e minore spesa
pubblica): una società più istruita è allo stesso tempo una società più libera,
consapevole, democratica e sana. Alla luce di questo, ogni buon policy maker
dovrebbe intervenire al fine di promuovere e sostenere l‟istruzione.
Per quanto riguarda la formazione e il capitale umano poi, ci concentriamo in
particolare sulla situazione italiana, confrontandola con quella di altri paesi
avanzati. In questo modo possiamo capire quanto investono in istruzione,
formazione e ricerca le famiglie, lo Stato e le imprese italiane, rispetto agli altri
competitors sulla scena internazionale.
3
Ci siamo concentrati inoltre sulle le differenze tra laureati e diplomati ai fini della
carriera lavorativa, nonché sull‟importanza dei titoli di studio come segnali per le
imprese della capacità, e quindi della produttività, di un individuo.
Per quanto riguarda le scelte relative all‟investimento in istruzione, esaminiamo
l‟importanza, in Italia, della famiglia. Questa da un lato rappresenta l‟unica vera
fonte di sostegno economico per un giovane che intende affrontare un percorso di
studi lungo ed impegnativo, e dall‟altro indirizza le scelte relative ai percorsi
scolastici ed universitari dei ragazzi. Non solo, la famiglia di origine si rivela
molto importante anche ai fini della ricerca del posto di lavoro, la quale in Italia
sembra ancora molto legata a logiche di networking più che di meritocrazia.
Infine analizziamo ed elaboriamo i dati statistici più recenti messi a disposizione
da Istat
1
, Banca d‟Italia, OECD
2
, ed Almalaurea al fine di ottenere un profilo dei
laureati italiani e di monitorare la loro condizione occupazionale. L‟obbiettivo è
fare dei confronti paragonando i differenziali salariali ed occupazionali tra
studenti residenti al Nord e al Sud, nonché tra uomini e donne.
Infine, attraverso delle serie storiche relative al periodo 2003-2010, analizziamo
l‟andamento delle retribuzioni reali e del tasso di occupazione dei laureati a 1, 3 e
5 anni dal conseguimento del titolo di studio. Questo permette di confrontare i dati
degli studenti che si sono laureati in giurisprudenza presso l‟Ateneo di Firenze,
con quelli relativi a tutti gli studenti che si sono laureati in giurisprudenza nei vari
Atenei del paese, ed infine con i dati di tutti i laureati italiani.
L‟indagine ci permetterà di raccogliere non solo informazioni fondamentali in
merito alla qualità dell‟istruzione, l‟entità degli investimenti in capitale umano ed
i relativi ritorni economici, ma soprattutto dati originali riguardanti i laureati in
Giurisprudenza in Italia, nonché le loro prospettive retributive ed occupazionali
dopo il conseguimento del titolo.
1
Istituto centrale di statistica
2
Organisation for Economic Cooperation and Development (conosciuta anche con l‟acronimo
2
Organisation for Economic Cooperation and Development (conosciuta anche con l‟acronimo
italiano OCSE: Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico)
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Capitolo II
Mercato del lavoro, capitale
umano e disoccupazione
1 – Il mercato del lavoro
Negli ultimi 30 anni il tasso di partecipazione al lavoro maschile è rimasto
generalmente stabile, oppure è diminuito; al contrario quello femminile è
cresciuto notevolmente. Questo fenomeno ha modificato sia la struttura della
famiglia che la capacità produttiva dell‟economia.
Gli individui ottimizzano il proprio benessere consumando beni e tempo libero.
Tuttavia normalmente, non essendo abbastanza ricchi, devono sacrificare del
tempo libero lavorando, in modo tale da guadagnare i soldi necessari per
procurarsi i beni che desiderano. Come vediamo si delinea chiaramente per tali
soggetti un trade-off
3
fra lavoro e tempo libero.
1.1 – La forza lavoro
Prima di tutto è opportuno introdurre alcuni concetti generali. La forza lavoro
(LF) è pari alla somma degli individui occupati (O) e disoccupati (D):
LF = O + D
3
In economia un trade-off indica una scelta che, allo stesso tempo, comporta una rinuncia
5
Il tasso di partecipazione alla forza lavoro (TP) è pari alla percentuale della
popolazione (P), di età maggiore o uguale ad anni 15, che fa parte della forza
lavoro:
TP = LF / P
Il tasso di occupazione (TO) invece è pari alla percentuale della popolazione (di
età maggiore o uguale ad anni 15) che è occupata:
TO = O / P
Infine, il tasso di disoccupazione (TD) è la percentuale dei partecipanti alla forza
lavoro che è disoccupata o in cerca di occupazione:
TD = D / LF
Da notare che chi ha rinunciato o smesso di cercare lavoro non è considerato
disoccupato, ma fuori dalla forza lavoro. Questo gruppo di potenziali membri
della forza lavoro, secondo l‟Istat, è composto essenzialmente da donne e da
individui la cui istruzione non supera la licenza media.
FIG. 1
Tasso di partecipazione alla forza lavoro in Italia 1960-2008
Anno Tasso di partecipazione % maschile Tasso di partecipazione % femminile
1960 95,3 39,6
1965 90,4 34,6
1970 86,7 33,4
1975 34,3
1980 82,7 39,6
1985 79,2 41
1990 79,7 45,9
1995 74,8 42,8
2000 75,5 46,7
2005 75,8 50,7
2008 74,4 51,6
NOSTRE ELABORAZIONI SUI DATI OECD DEL 2008
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FIG. 2
NOSTRE ELABORAZIONI SUI DATI OECD DEL 2008
Osservando la figura 1 e 2, notiamo che dal 1960 al 2008 il tasso di partecipazione
maschile alla forza lavoro è calato dal 95% al 75%, questo a causa del fatto che in
molti hanno preferito andare in pensione precocemente. Il tasso di partecipazione
al lavoro femminile invece è calato continuamente dal 1960 fino ai primi anni „70,
passando a 39% al 33%, per poi incrementare di anno in anno fino ad attestarsi al
51% nel 2008. Questo fenomeno è stato generato da vari fattori: in primo luogo,
negli anni ‟60 i mariti guadagnavano abbastanza da poter mantenere l‟intera
famiglia con un solo stipendio; in secondo luogo, all‟epoca non esistevano servizi
per l‟infanzia in grado di aiutare le donne a conciliare le esigenze di lavoro e
famiglia; ed infine, quest‟ultime avevano uno livello di istruzione molto scarso.
Come vediamo, in Italia, il tasso di partecipazione alla forza lavoro maschile è
molto più elevato di quello femminile, ed inoltre gli uomini lavorano per un
numero di ore superiore rispetto alle donne (43 ore a settimana contro 40). Da
0
20
40
60
80
100
120
1960 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 2008
Andamento del tasso di partecipazione alla
forza lavoro per genere 1960-2008
Tasso di partecipazione maschile Tasso di partecipazione femminile
7
notare infine che solo il 30% delle donne occupate riprende a lavorare dopo aver
avuto un figlio.
4
Esistono tuttavia dati recenti che mostrano una correlazione positiva tra offerta di
lavoro ed istruzione, valida sia per gli uomini che per le donne. Infatti partecipano
alla forza lavoro l‟89% dei laureati uomini (contro l‟87% dei diplomati) ed il 79%
delle laureate donne (contro il 68% delle diplomate).
5
1.2 – Le preferenze dei lavoratori
Le preferenze dei lavoratori vengono studiate mediante il modello neoclassico
della scelta lavoro/tempo libero. Quest‟ultimo ci mostra come l‟utilità del
lavoratore sia funzione dei beni che può consumare (che rendono più piacevole la
sua vita) e del tempo libero di cui può godere:
U = f(C,T)
A questo punto è possibile immaginare che diverse combinazioni di consumo tra
beni e tempo libero diano la stessa soddisfazione al lavoratore (ad esempio 500€
di beni e 100 ore libere a settimana, oppure 400€ di beni e 125 ore libere).
Partendo da queste considerazioni possiamo costruire le curve di indifferenza di
un certo individuo, caratterizzate dal fatto che in ogni punto della stessa curva il
lavoratore ha lo stesso grado di soddisfazione dato dai beni consumati e dal tempo
libero a disposizione. Le curve di indifferenza sono disposte su più livelli e non si
intersecano mai. Ai punti che fanno parte delle curve poste più in alto
corrispondono livelli di soddisfazione maggiori rispetto a quelli appartenenti alle
curve sottostanti.
L‟utilità marginale del tempo libero è definita come la variazione di utilità
derivante da un‟ora in più dedicata al tempo libero, mentre l‟utilità marginale del
consumo è legata alla variazione della quantità dei beni consumati dal lavoratore.
A questo punto possiamo individuare il tasso marginale di sostituzione del
4
Istat, Essere madri in Italia (2005)
5
Dati Eurostat (2007)
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lavoratore, il quale è pari al rapporto tra le utilità marginali del consumo dei beni e
del consumo di tempo libero:
∆C / ∆T = - (umT / umC)
In questo modo possiamo sapere, ad esempio, quanto denaro (da destinare al
consumo di beni) desidera il lavoratore per rinunciare a un‟ora di tempo libero.
Graficamente il tasso marginale di sostituzione è rappresentato dal valore assoluto
dell‟inclinazione della curva di indifferenza in un certo punto. E‟ chiaro che se il
lavoratore si trova in una posizione estrema di una certa curva di indifferenza, e
quindi ad esempio può consumare molti beni ma ha pochissimo tempo libero,
rinuncerà facilmente ad un po‟ del suo guadagno per avere delle ore libere in più.
Viceversa, se si trova in una posizione più equilibrata, sarà più difficile
convincerlo a lavorare di meno (e guadagnare di meno), oppure a rinunciare al suo
tempo libero per guadagnare qualcosa in più.
Chiaramente ogni lavoratore avrà delle preferenze diverse, quindi a livello
individuale avremo diversi trade-off tra tempo libero e consumo di beni. Le
differenze interpersonali tra i vari lavoratori, le quali si riflettono nelle loro scelte,
sono molto importanti ai fini dell‟analisi del mercato del lavoro. Tuttavia è
difficile tenerne conto, essendo queste assai difficili da osservare, misurare e
quantificare con esattezza.
Il vincolo di bilancio del lavoratore (C) dipende essenzialmente da tre fattori,
ovvero: dalle ore che questo offre nel mercato del lavoro in un certo periodo (H),
dal salario orario (W) che percepisce ed infine da altri eventuali redditi (V) non
derivanti dall‟attività lavorativa (rendite patrimoniali, dividendi, vincite). Di
conseguenza il vincolo di bilancio può essere espresso dalla formula:
C = WH + V
Il lavoratore può consumare beni dal valore complessivo inferiore o uguale al suo
vincolo di bilancio. Se decide di non lavorare potrà consumare solo quello che gli
è consentito da eventuali rendite patrimoniali o finanziarie preesistenti. Se invece
decide di rinunciare a parte del suo tempo libero, al diminuire delle ore libere
corrisponderà un aumento di denaro disponibile, derivante dalla moltiplicazione
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delle ore di lavoro per il salario orario stabilito, cosicché avrà maggiori risorse
economiche da destinare al consumo di beni.
Graficamente il vincolo di bilancio può essere rappresentato da una retta di
bilancio, tracciata in rosso nella figura 3, la quale rappresenta la frontiera delle
opportunità del lavoratore. Questi potrà accedere ai panieri di consumo e tempo
libero che si trovano al di sotto di tale retta, mentre non potrà raggiungere quelli
posti al di sopra della stessa.
FIG. 3
VINCOLO DI BILANCIO E CURVE DI INDIFFERENZA DEL LAVORATORE
Se assumiamo che un certo individuo agisca in modo razionale, allora è lecito
ritenere che questi sceglierà la combinazione di beni e tempo libero che
massimizza la propria utilità. Tale massimizzazione si ha nel punto in cui la retta
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del vincolo di bilancio tange la curva di indifferenza più alta tra quelle
raggiungibili dal lavoratore. In tale punto l‟inclinazione della curva di indifferenza
è uguale all‟inclinazione della curva di bilancio.
Mantenendo costanti i prezzi, se all‟aumentare del reddito il consumo di un bene
cresce, allora questo è considerato un bene normale; se invece il suo consumo
diminuisce viene considerato inferiore. Un eventuale aumento del reddito non da
lavoro può generare conseguenze diverse a seconda delle preferenze
dell‟individuo: se il tempo libero è considerato un bene normale le ore di lavoro
diminuiranno, al contrario se il tempo libero è considerato un bene inferiore
quest‟ultime aumenteranno.
Varie osservazioni empiriche fanno ritenere che sia fondata l‟ipotesi in base alla
quale il tempo libero è un bene normale; di conseguenza un aumento del reddito
non da lavoro farà diminuire le ore di lavoro del soggetto che ne beneficia.
Lo stesso discorso sembrerebbe valere anche in caso di aumento del salario orario,
e dunque del reddito da lavoro. Questo infatti dovrebbe determinare un aumento
del consumo di tempo libero, con relativa diminuzione delle ore lavorative.
Dobbiamo sottolineare però che l‟aumento del salario orario fa aumentare anche il
costo del tempo libero, in particolare per i lavoratori ad alto salario. In questo caso
abbiamo quindi due effetti che si contrappongo: l‟effetto reddito e l‟effetto
sostituzione. Il primo è determinato dall‟aumento del reddito e tende a portare il
lavoratore a consumare più tempo libero, il secondo invece fa sì che il lavoratore
scelga di sostituire il consumo di costoso tempo libero col consumo di altri beni, e
quindi di lavorare di più. Poiché l‟effetto sostituzione sembra dominante
sull‟effetto reddito, all‟aumento del salario corrisponde un aumento delle ore di
lavoro. Difatti l‟alto costo del tempo libero incentiva il lavoratore a consumarne di
meno, sfruttando il maggior reddito per consumare altri beni.
La decisione di lavorare o meno dipende essenzialmente dalle condizioni di
scambio, ovvero il tasso al quale il tempo libero può essere scambiato per il
consumo di più beni. Se tali condizioni appaiono favorevoli è probabile che un
individuo decida di iniziare a lavorare.
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Possiamo pensare ad un individuo che beneficia di una dotazione di partenza: una
sorta di reddito base non derivante da attività lavorativa. Data questa situazione
iniziale, tale soggetto potrà consumare un certo numero di beni ed una grande
quantità di tempo libero. Se per rinunciare a parte delle sue ore libere gli verrà
offerto un salario troppo basso, egli tenderà a rifiutare. Questo perché i beni in più
che potrà consumare (grazie al salario che si aggiungerà al suo reddito base) sono
troppo pochi rispetto alle ore di tempo libero che dovrà sacrificare nell‟attività
lavorativa. In sostanza, se accettasse di lavorare per un salario troppo basso,
l‟individuo si ritroverebbe su una curva di indifferenza inferiore a quella di
partenza, ottenendo quindi un‟utilità complessiva inferiore. Questo perché l‟utilità
è data dal consumo di beni e tempo libero, e lui, accettando il lavoro, perderebbe
molte ore libere per poter consumare soltanto pochi beni in più.
Dunque, per convincere un individuo ad entrare nel mercato del lavoro, è
necessario offrirgli un salario tale da consentirgli di balzare su una curva di
indifferenza superiore a quella di partenza. In sostanza il nuovo vincolo di
bilancio del lavoratore deve consentirgli di aumentare la sua utilità complessiva,
poiché il vantaggio dato dai beni in più che può consumare è superiore allo
svantaggio derivante dalla perdita di ore libere.
E‟ definito salario di riserva l‟aumento minimo del reddito, derivante dall‟offerta
di un salario in cambio di ore di lavoro, che rende indifferente il lavoratore tra
rimanere disoccupato o iniziare a lavorare la prima ora. Per convincere un
soggetto ad iniziare a lavorare dunque sarà necessario offrirgli un salario orario
superiore al suo salario di riserva.
Da notare inoltre che, se il tempo libero è un bene normale, all‟aumentare del
reddito non da lavoro aumenta anche il salario di riserva, riducendo così le
possibilità che un soggetto decida di entrare nel mercato del lavoro. Così le
persone che godono di un alto reddito non da lavoro avranno bisogno di un
incentivo maggiore (a livello salariale) per iniziare a lavorare.
Infine, se il salario di riserva di un certo gruppo di individui è costante,
all‟aumentare dei salari aumenterà anche la loro disponibilità a rinunciare a parte
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del proprio tempo libero per lavorare. Pertanto un aumento dei salari può
contribuire a far crescere il tassi di partecipazione alla forza lavoro.
1.3 – L’offerta di lavoro
Come abbiamo visto in teoria, l‟offerta di lavoro aumenta all‟aumentare del
salario offerto. Tuttavia questo disegno è influenzato dall‟effetto sostituzione e
dall‟effetto reddito. In particolare si ritiene prevalente per i salari più bassi
l‟effetto sostituzione, per quelli più alti invece si reputa dominante l‟effetto
reddito. Avremo così una curva dell‟offerta di lavoro crescente finché prevale
l‟effetto sostituzione e decrescente dal punto in cui diviene dominante l‟effetto
reddito.
L‟elasticità dell‟offerta di lavoro misura la risposta delle ore di lavoro alle
variazioni del salario, essa corrisponde al rapporto tra la variazione percentuale
delle ore di lavoro e la variazione percentuale del salario.
In tale ambito sono stati posti in essere diversi studi, i quali hanno portato ad una
ingente quantità di stime spesso in contrasto fra loro. Si è cercato di capire come
l‟offerta di lavoro sia influenzata dall‟aumento del salario offerto (restando fisso il
reddito non da lavoro), e dall‟aumento del reddito non da lavoro (restando fisso il
salario).
Le stime effettuate sono spesso distanti tra loro a causa delle difficoltà legate alla
misurazione ed alla quantificazione esatta dei parametri essenziali di tali indagini,
ovvero: le ore di lavoro, il salario ed il reddito non da lavoro.
Una stima ampiamente condivisa indica che mediamente un aumento del 10% del
salario riduce l‟offerta di lavoro maschile dell‟1%. Questo perché da un lato le ore
di lavoro salgono dell‟1% a causa dell‟effetto sostituzione, ma dall‟altro calano
del 2% a causa dall‟effetto reddito.
6
Come vediamo questa è un‟ulteriore
conferma della prevalenza dell‟effetto reddito sull‟effetto sostituzione.
6
Borjas, Economia del lavoro (2010)
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Alcune indagini a livello nazionale hanno registrato un dato interessate,
specialmente per quanto riguarda la forza lavoro femminile. Risulta infatti che
l‟elasticità dell‟offerta di lavoro maschile sia praticamente pari a zero, questo
perché in genere gli uomini lavorano a tempo pieno tutte le settimane dell‟anno.
Per quanto riguarda le donne invece, ed in particolar modo per coloro che hanno
un basso reddito ed un basso grado di istruzione, l‟elasticità dell‟offerta di lavoro
è sensibilmente più elevata. Dunque eventuali agevolazioni fiscali per questo
target di individui potrebbero incentivare positivamente la loro partecipazione al
mercato del lavoro.
In Italia nel 2009 solo il 47% delle donne tra i 15 e i 64 anni ha partecipato alla
forza lavoro, mentre in alcuni paesi europei come Gran Bretagna, Danimarca,
Olanda, Finlandia e Svezia tale percentuale supera il 65%. Negli ultimi 30 anni il
tasso femminile di partecipazione alla forza lavoro è cresciuto nel nostro paese
meno che nel resto dei paesi europei, cosicché ad oggi l‟Italia occupa il penultimo
posto nella classifica europea (UE-27) dei tassi di occupazione femminile.
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Tale crescita dell‟occupazione femminile è stata determinata da un complesso di
fattori.
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In primo luogo l‟aumento dei salari, il quale ha incentivato le donne ad
abbandonare l‟ambito domestico per intraprendere un‟attività lavorativa.
In secondo luogo i progressi della tecnologia applicata ai processi di produzione
domestica (come il forno elettrico, il microonde, la lavatrice, la lavastoviglie,
ecc.), i quali hanno consentito un notevole risparmio di tempo da investire sia
nello svago che nel lavoro retribuito. La semplicità delle nuove tecnologie inoltre
ha fatto sì che fosse sempre meno necessaria la specializzazione di uno dei due
coniugi nel settore domestico.
In terzo luogo dobbiamo considerare anche la diminuzione della fertilità, la quale
ha consentito alle donne di avere più ore libere da poter investire nel lavoro
retribuito.
Tra questi tre fattori il più significativo sembra essere il primo, ovvero l‟aumento
dei salari. Alcuni studi condotti negli Stati Uniti hanno dimostrato che il 60%
7
Borjas, Economia del lavoro (2010)
8
Del Boca, Offerta di lavoro femminile e sviluppo economico (2010)