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PARERE LEGALE.
La società Alfa spa impugna l’avviso di rettifica n. 15554 di un
accertamento definitivo, emesso ai sensi dell’art. 78 del Regolamento CEE
n. 2913/92, dall’Ufficio delle Dogane di Firenze, a seguito di un controllo
eseguito dagli Uffici delle Dogane di La Spezia e di Livorno nei confronti
della società Beta srl. Lo stesso Ufficio aveva accertato che le lampade
dichiarate in bolletta non erano di origine tunisina, bensì cinese e pertanto
aveva liquidato maggiori diritti doganali. La ricorrente società,
coobbligata in solido con la società Beta, importatrice, eccepisce carenza
di motivazione perchè nessun documento contenente la provenienza cinese
delle suddette lampadine è allegato all’avviso di rettifica.
Il candidato, dopo aver osservato la fattispecie in questione, rediga un
parere per risolvere la questione proposta, soffermandosi sull’obbligo di
motivazione dell’avviso di accertamento.
Svolgimento.
Il caso illustrato impone una disamina nell'ambito dell'istituto
dell'accertamento tributario doganale e del relativo avviso di rettifica
nonché degli obblighi di motivazione da parte dell'amministrazione. Si
impone, al fine di ben inquadrare le possibili soluzioni, una premessa di
inquadramento generale.
1. Inquadramento generale.
Il prelievo di un tributo in connessione con l’attraversamento da parte di
beni o di persone di una linea di confine costituisce una forma risalente di
imposizione. Nel caso dei dazi doganali, infatti, il territorio, profilo che più
direttamente si collega ad una nozione di tributo come manifestazione di
sovranità, costituisce il nucleo centrale della fattispecie del tributo. Questa
forma di prelievo, benché antica e caratterizzata da elevato tecnicismo,
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presenta il vantaggio di poter essere applicata nell’espletamento di attività
indispensabili nell’ambito dell’organizzazione dello Stato connesse ai
movimenti di beni e persone: la sicurezza nazionale, l’igiene, la tutela di
interessi economici, la sanità, il controllo dei flussi migratori etc. La parte
più rilevante della disciplina è contenuta in tre regolamenti: il Reg. C.E.E.
12 ottobre 1992 n° 2913 (c.d. codice doganale comunitario), le successive
disposizioni attuative di cui al Reg. C.E.E. 2 luglio 1993 n° 2454 nonché,
in ordine alla fissazione della tariffa comune, il Reg. C.E.E. 23 luglio 1987
n° 2658. In questo quadro, le norme di fonte interna (ad esempio il Testo
Unico delle disposizioni in materia doganale approvato con il D.P.R. n° 43
del 1973) rivestono un ruolo meramente suppletivo rispetto a quelle di
fonte comunitaria. Sebbene i criteri di composizione dell’insieme delle
fonti non siano specificamente disciplinati, il principio della priorità del
diritto comunitario e la esclusiva attribuzione di competenza operata dal
Trattato a favore della Comunità, inducono a ritenere che la materia sia
interamente disciplinata dalle fonti comunitarie. Sono fatti salvi, però, i
casi in cui sia lo stesso legislatore comunitario a rinviare alla disciplina
interna, come avviene per le procedure in materia di risoluzione delle
controversie per le quali l’art. 245 del Reg. C.E.E. 12 ottobre 1992 n°
2913 dispone espressamente il rinvio alle norme dei singoli Stati membri.
Si chiarisce, poi, che, in relazione alla possibile configurazione del reato
di contrabbando relativamente ai comportamenti diretti ad aggirare
l'applicazione dei dazi doganali nonché delle norme antidumping, è
opportuno menzionare l'art. 282 “T.U. Leggi doganali”, il quale fa
riferimento al contrabbando nel movimento delle merci attraverso i confini
della terra e gli spazi doganali. Tale ipotesi delittuosa è punita con una
sanzione consistente nella multa non minore di due e non maggiore di
dieci volte i diritti di confine dovuti e si applica nei confronti di chiunque:
introduce merci estere attraverso il confine di terra in violazione delle
prescrizioni, divieti e limitazioni stabiliti a norma dell’art. 16 in cui si
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dispone che le merci possono attraversare la linea doganale soltanto nei
punti stabiliti; scarica o deposita merci estere nello spazio intermedio tra la
frontiera e la più vicina dogana; asporta merci dagli spazi doganali senza
aver pagato i diritti dovuti; porta fuori del territorio doganale, nelle
condizioni frodatorie, merci nazionali o nazionalizzate soggette a diritti di
confine; detiene merci estere per il contrabbando e non è in grado di
dimostrare la legittima provenienza delle stesse. Per quanto riguarda la
competenza giurisdizionale, nell’ipotesi di introduzione di merce nel
territorio della Comunità, in violazione della obbligazione doganale,la
giurisdizione e la competenza si radicano nel luogo ove la merce viene
introdotta. Inoltre, quando l’autorità doganale, che per prima accerti la
violazione, abbia elementi per stabilire il luogo più lontano ove si sarebbe
verificata l’entrata, è a tale luogo che deve farsi riferimento per stabilire
giurisdizione e competenza (cfr. Cassazione penale, sez. III, 13 novembre
1995, n. 3863). E', poi, necessario precisare che, ex art. 295 bis, “T.U.
Leggi doganali”, se l'ammontare dei diritti dovuti non supera 3.999,96
euro e non ricorrono le circostanze aggravanti indicate nell'art. 295, il
delitto di contrabbando è depenalizzato in illecito amministrativo.
2. Il procedimento di revisione.
L’avviso suppletivo e di rettifica dell’accertamento (che costituisce avviso
di accertamento e avviso di liquidazione secondo la classificazione degli
atti suscettibili di ricorso operata dall’art.19, comma 1, lettera a) e lettera
b) del D.Lgs. n° 546/1992) viene emesso in esito al procedimento di
controllo a posteriori delle singole dichiarazioni d’importazione o
immissione in libera pratica. Si chiarisce subito che l’avviso di
accertamento è l’atto con il quale l’Amministrazione finanziaria, verificato
un inadempimento da parte del contribuente negli atti dell’accertamento,
determina autoritativamente l’imponibile e, solitamente, l’imposta dovuta
dal contribuente medesimo. Ebbene, tale procedimento di accertamento è
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disciplinato dall’art. 78 del Reg. C.E.E. n° 2913/1992. Esso ha lo scopo di
verificare l’esattezza delle indicazioni figuranti nella dichiarazione, può
essere iniziato d’ufficio o su istanza del dichiarante e può portare alla
revisione dell’accertamento della dichiarazione nonché alla
rideterminazione dei diritti dovuti dal dichiarante (dazi, eventuale accisa
ed i.v.a.). Solitamente, gli elementi più frequentemente presi in esame per
una revisione riguardano le componenti oggettive, quelle cioè connesse
alla merce (quantità, qualità, valore, origine, trattamenti preferenziali,
aliquote agevolate e ridotte, ecc.) e che si riflettono sull’applicazione del
tributo o su altre normative non tributarie – la cui applicazione è
demandata alla Dogana - quali le norme sanitarie, fitopatologiche, di
politica industriale e commerciale, di tutela dei brevetti e dei marchi.
Possono, inoltre, essere presi in esame elementi soggettivi, connessi cioè
all’intestatario dell’operazione. Se nel corso della revisione emergessero
inesattezze, omissioni o errori rispetto a qualsiasi elemento annotato sulla
dichiarazione doganale (D.A.U.), la Dogana provvederebbe con le
necessarie operazioni di rettifica (redigendo apposito “avviso di
accertamento suppletivo e di rettifica”), procedendo al recupero dei
maggiori diritti, se dovuti, oppure rimborsando quelli pagati in più dalla
parte. La differenza assume rilevanza sotto l'aspetto sanzionatorio in
quanto la revisione d'ufficio comporta l'applicazione delle eventuali
sanzioni dovute in funzione delle irregolarità commesse dall'operatore
mentre la revisione su istanza di parte può comportare il solo recupero
degli eventuali diritti doganali (maggiorati degli eventuali interessi di
mora) non corrisposti dall'operatore ma non può comportare l'applicazione
di alcuna sanzione così come espressamente previsto dall'art.20, comma 4,
legge n° 449/97. Quindi è possibile sintetizzare che la revisione
dell’accertamento è il procedimento amministrativo mediante il quale
l’Autorità Doganale sottopone a riesame una procedura di accertamento
già conclusa al fine di rilevare eventuali errori od omissioni in essa
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contenuti provvedendo, se del caso, alla liquidazione di maggiori diritti
che risultassero dovuti
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.
3. L’avviso di accertamento e l’avviso di rettifica.
Ebbene, l’esito dell’attività di revisione è notificato al contribuente con
apposito avviso di rettifica che dovrà indicare i mezzi di impugnazione
utilizzabili dal contribuente e gli organi, giurisdizionali o amministrativi,
competenti a ricevere l’eventuale ricorso, ex art. 7 della legge n° 212/2000,
c.d. Statuto del contribuente. Inoltre, l’importo dei maggiori dazi dovuti
deve essere comunicato al debitore con un avviso di accertamento, da
notificarsi nel termine di prescrizione di tre anni dalla data in cui è sorta
l’obbligazione doganale
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, ovvero dalla data di presentazione della
dichiarazione di immissione in libera pratica delle merci soggette
all’applicazione dei dazi all’importazione, ex art. 201, lett. a), Reg. C.E.E.
n° 2913/1992. L’avviso di accertamento utilizzato dalla Dogana per
comunicare al debitore l’importo dei maggiori dazi accertati a seguito
dell’esito del controllo a posteriori è, appunto, l’avviso di rettifica
dell’accertamento, previsto dall’art. 11, comma 5, del D.lgs. 8 novembre
1990, n. 374. La mancata applicazione della procedura di cui all’art. 11 del
D.Lgs. n. 374 del 1990, riferibile a tutte le ipotesi di revisione
dell’accertamento divenuto definitivo, comporta l’illegittimità della
rettifica dell’accertamento. In relazione alla competenza, la Commissione
tributaria provinciale di Milano, con la sentenza 7 luglio 2011, n. 194,
osserva che il codice doganale comunitario, con gli articoli 201, comma
secondo, e 215, individua i criteri per l’individuazione del luogo e del
momento della nascita dell’obbligazione, vale a dire l’Ufficio competente,
dopo la presentazione della dichiarazione, a procedere alla verifica
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Riferimenti normativi, art. 78 C.D.C., D. Lgs. n° 374/’90, circolare n.79/D del 19.04.2000,
n.13/D del 10.03.2003 e n. 3/D del 04.02.2004.
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Art. 221, par. 3, Reg. C.E.E. n° 2913/1992 e art. 11 del D. Lgs. n° 374/’90.