1
1. Introduzione al tema
1.1. L’art. 117, I Cost. e la sua incidenza sulla forma di governo
«La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Co-
stituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi
internazionali». Questo il tenore dell’art. 117, I Cost., introdotto dall’art. 3, L.Cost. n. 3
del 18.10.2001.
La laconicità e le ambiguità del nuovo disposto costituzionale hanno creato sin dal
principio un certo imbarazzo sia alla dottrina – non solo costituzionalista – sia alla giu-
risprudenza, di legittimità e di merito. La prima ha tentato in vari modi d’inquadrare la
portata della novella, ma senza riuscire a conseguirne una lettura condivisa (
1
). La se-
conda ha per lungo tempo preferito ignorarla punto (
2
).
Le ragioni di tali atteggiamenti possono non apparire d’immediata evidenza. Dopo
tutto, l’imposizione di limiti all’esercizio della potestà legislativa è fenomeno per nulla
sconosciuto al nostro ordinamento, anzi consustanziale all’idea stessa di rigidità costitu-
(
1
) Sul dibattito dottrinale immediatamente sviluppatosi attorno all’interpretazione dell’art. 117, I
Cost., Cfr. G.F. FERRARI, Il primo comma dell’art. 117 della Costituzione e la tutela internazionale dei
diritti, in Dir. Pubbl. Comp. Eur., 2002, p. 1849 ss.; P. CARETTI, Il limite degli obblighi internazionali e
comunitari per la legge dello Stato e delle Regioni, in Id. (a cura di), Osservatorio sulle fonti 2002, Tori-
no, 2003, p. 2 ss.; L. ELIA, Introduzione, in T. Groppi, M. Olivetti (a cura di), La Repubblica delle auto-
nomie. Regioni ed enti locali nel nuovo Titolo V, Torino, 2003, p. 9 ss.; G. MELIS, Vincoli internazionali e
norma tributaria interna, in Riv. Dir. Trib., 2004, I, p. 1092 ss.; S. CATALANO, L’incidenza del nuovo ar-
ticolo 117, comma I, Cost. sui rapporti fra norme interne e norme comunitarie, in N. Zanon (a cura di),
Le Corti dell’integrazione europea e la Corte costituzionale italiana, Napoli, 2006, p. 133 ss.; C. PANA-
RA, I vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario cinque anni dopo: quid novi?, in Quad. Cost., 2006,
p. 797 ss.; ID., Il diritto internazionale nell’ordinamento interno: quid iuris?, in www.federalismi.it, 2007,
p. 7 ss.; G. SERGES, Art. 117, comma I, in R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti (a cura di), Commentario
alla Costituzione, Vol. III, Torino, 2006, p. 2215 ss.; D. PORENA, L’evoluzione dei rapporti tra ordina-
mento interno ed ordinamento internazionale alla luce della revisione costituzionale e della recente giu-
risprudenza della Corte costituzionale, in www.federalismi.it, 2008, p. 4 ss.
(
2
) Sui primi orientamenti della giurisprudenza di cassazione, Cfr. A. GUAZZAROTTI, Niente di
nuovo sul fronte comunitario? La Cassazione in esplorazione del nuovo art. 117 comma I, Cost., in Giur.
Cost., 2003, p. 467, che parla di atteggiamento “attendista” da parte dei Giudici della Suprema Corte, i
quali non si sarebbero voluti assumere la responsabilità di orientare in senso innovativo l’interpretazione
della disposizione prima che su di essa si pronunciasse la Corte costituzionale. Cfr., altresì, U. DRAETTA,
Il difficile rapporto della Cassazione con l’art. 117, comma I, della Costituzione, in Dir. Un. Eur., 2005,
p. 555 ss.; C. PINELLI, Effetti orizzontali di direttive comunitarie e rispetto degli obblighi comunitari e
internazionali ex art. 117, comma I, Cost., in Giur. Cost., 2006, p. 3512 ss.; R. MASTROIANNI, Le norme
comunitarie non direttamente efficaci costituiscono parametro di costituzionalità delle leggi interne?, ivi,
p. 3520 ss. Sul silenzio serbato invece dalla giurisprudenza costituzionale fino alla sentenza n. 406/2005,
Cfr. C. NAPOLI, La Corte dinanzi ai “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”: tra applicazione
dell’art. 117, primo comma e rispetto dei poteri interpretativi della Corte di Giustizia, in Reg., 2006, p.
483 ss.; A. CELOTTO, La Corte costituzionale finalmente applica il comma I dell’art. 117 Cost. (in margi-
ne alla sent. n. 406/2005), in Giur. It., 2006, p. 1123 ss.
2
zionale. Neppure è sconosciuto il fenomeno dell’individuazione indiretta (per relatio-
nem) di limiti legislativi, ricorrente nelle molteplici ed eterogenee ipotesi di “interposi-
zione normativa” (
3
). I limiti imposti dall’art. 117, I, poi, non possono considerarsi del
tutto inediti, trovando parziale riscontro in diversi disposti costituzionali (su tutti, gli
artt. 138, 11 e 10 Cost.) e, quanto al limite degli obblighi internazionali, negli Statuti di
alcune Regioni ad autonomia differenziata (
4
). Riscontri non mancano neppure in ottica
comparata: si pensi, solo per citare gli esempi più noti, all’art. VI della Costituzione
americana, all’art. 55 di quella francese, all’art. 96, I di quella spagnola (
5
).
L’inquietudine che ha colto gli interpreti, dunque, risponde a una ragione più pro-
fonda. Dietro il dibattito teorico sulla portata innovativa o no della novella, si cela in-
vero la consapevolezza della sua inevitabile incidenza sulle dinamiche istituzionali in-
(
3
) Di parametri di costituzionalità che, «pur essendo tratti da “testi” costituzionali, siano invoca-
bili solo indirettamente, inserendosi fra essi e le norme legislative che si ritengono viziate altre norme,
dotate di mera forza legislativa e che potrebbero chiamarsi norme interposte», parla per la prima volta C.
LAVAGNA, Problemi di giustizia costituzionale sotto il profilo della “manifesta infondatezza”, in Riv. It.
Sc. Giur., 1955-1956, p. 230 s., mettendo in risalto come la dottrina precedente fosse invece contraria
all’esercizio di un sindacato costituzionale sul rispetto di queste norme. Successivamente, V. CRISAFULLI,
Lezioni di diritto costituzionale, II, L’ordinamento costituzionale italiano, 2, La Corte costituzionale, Pa-
dova, 1984, p. 360, specificherà che possono fungere indirettamente da parametro costituzionale «persino
[…] regole non giuridiche (massime di esperienza, regole logiche, ecc.) purché ed in quanto – le une co-
me le altre – richiamate da disposizioni formalmente costituzionali quali specifiche condizioni di validità
di determinate leggi o di determinate norme di legge». Per più recenti studi sul fenomeno
dell’interposizione normativa, Cfr. l’esauriente monografia di M. SICLARI, Le “norme interposte” nel
giudizio di costituzionalità, Padova, 1992; e l’articolo di F. BIONDI, Oggetto e parametro, in R. Balduzzi,
P. Costanzo (a cura di), Le zone d’ombra della giustizia costituzionale. I giudizi sulle leggi, Torino, 2007,
p. 54 ss., nel cui par. 3.3 (p. 79 ss.) l’A. analizza se e come le fonti provenienti da ordinamenti esterni –
comunitario ed internazionale – siano utilizzate nella giurisprudenza costituzionale quali oggetto e/o pa-
rametro nei giudizi di legittimità, interrogandosi altresì su quale possa essere in questi ambiti l’incidenza
della nuova formulazione dell’art. 117, I Cost.
(
4
) Cfr. art. 3 Statuto Sardegna, art. 2 Statuto Valle d’Aosta, art. 4 Statuto Trentino-Alto Adige, i
quali, nell’elencare le materie di potestà legislativa regionale, specificano che essa debba essere esercitata
«col rispetto degli obblighi internazionali»; art. 4 Statuto Friuli-Venezia Giulia, che analogamente parla
di «armonia […] con gli obblighi internazionali dello Stato». Per quanto riguarda la Regione Sicilia, ben-
ché il suo Statuto di autonomia speciale non menzioni espressamente il limite degli obblighi internaziona-
li, la Corte costituzionale ha giudicato che «non può attribuirsi importanza al fatto», giacché «anche
quando non vi é alcuna disposizione espressa, come é del resto nel caso delle Regioni a statuto ordinario,
nessuno potrebbe supporre che a Regioni autonome siano attribuiti poteri sovrani. Poiché soltanto lo Stato
é soggetto nell’ordinamento internazionale e ad esso vengono imputati giuridicamente in tale ordinamen-
to gli atti normativi posti in essere dalle Regioni, non può dubitarsi della illegittimità degli atti da queste
compiuti senza l’osservanza delle regole prescritte»: sent. n. 49 del 04.04.1963, in Giur. Cost., 1963, p.
213 ss., C.i.d. n. 2.
(
5
) L’art. VI, II della Costituzione statunitense include «all treaties made, or which shall be made,
under the authority of the United States» tra le fonti che devono essere considerate «the supreme law of
the land». L’art. 55 della Costituzione francese della V Repubblica prevede che «Les traités ou accords
régulièrement ratifiés ou approuvés ont, dès leur publication, une autorité supérieure à celle des lois», sia
pure sotto riserva «de son application par l’autre partie». L’art. 96, I della Costituzione spagnola del 1978,
infine, statuisce che «Los Tratados internacionales válidamente celebrados, una vez publicados
oficialmente en España, formarán parte del ordenamiento interno», aggiungendo che «Sus disposiciones
solo podrán ser derogadas, modificadas o suspendidas en la forma prevista en los propios Tratados o de
acuerdo con las normas generales del Derecho Internacional».
3
terne. Da un lato, è evidente che imporre limiti alla potestà legislativa significa indebo-
lire l’organo cui essa spetta istituzionalmente: il Parlamento (
6
). Dall’altro, offrire spe-
ciale protezione a norme di fonte internazionale e sovranazionale significa, correlativa-
mente, rinsaldare la posizione dell’organo che a questi livelli forma ed esprime la vo-
lontà politica nazionale: il Governo (
7
). A ciò si aggiungano i possibili riflessi della no-
vella sul piano dei rapporti tra i poteri legislativo e giudiziario, specie nel caso in cui si
ravvisasse – come pure prospettato in letteratura (
8
) – una generale competenza dei giu-
dici a disapplicare le leggi in contrasto con alcuno dei limiti imposti dall’art. 117, I.
Ecco, allora, che nel dibattito sulla portata di questo articolo si gioca non solo il
rapporto tra fonti normative di diverso ordine o tra i rispettivi ordinamenti d’origine, ma
altresì l’equilibrio istituzionale nelle relazioni fra Parlamento, Governo e Magistratura.
Interpretare estensivamente la novella significa attribuire all’esecutivo un potente stru-
mento per sottrarsi al controllo e alla necessaria mediazione del Parlamento nell’attua-
(
6
) Cfr., con specifico riferimento ai trasferimenti di competenze operati nell’ambito del processo
d’integrazione europea, R. BUSTOS GISBERT, Integración europea y Constitución española: ¿tancredi-
smo, desnudez o invisibilidad?, in www.acoes.es, 2009, p. 7, secondo cui «frente a este desapoderamiento
competencial la posición del Parlamento se convierte en sustancialmente pasiva»; e T. OHLINGER, La
influencia del derecho comunitario sobre la legislación y la judicatura. Notas a un proceso de “america-
nización” del derecho europeo, in Anuario Iberoamericano de Justicia Constitucional, 2004, n. 8, p. 364
s., che, riferendosi a questo fenomeno, parla esplicitamente di «degradación del Parlamento».
Lo stesso indebolimento deve predicasi, ovviamente, anche per i Consigli regionali, cui potrebbero
estendersi molte delle problematiche esaminate in questo scritto. Per ragioni storico culturali, tuttavia, è
indubbio che costituisca oggetto di maggior apprensione il profilarsi di un possibile mutamento nei rap-
porti di forza fra le istituzioni statali, piuttosto che fra queste e le istituzioni regionali.
(
7
) Tale preoccupazione emerge ancor prima della pubblicazione ufficiale del disegno di legge co-
stituzionale contenente la riforma, tempestivamente segnalata da M. LUCIANI, Camicia di forza federale,
in La Stampa, 03.03.2001, p. 1. La consapevolezza circa l’incidenza della novella sulla forma di governo
viene poi ribadita sin dai primi commenti dottrinali sull’art. 117, comma I, Cost.: Cfr., in particolare,
M.A. SANDULLI, Due aspetti della recente riforma al Titolo V della Costituzione, in Rass. Parl., 2001, p.
949 s.; F. SORRENTINO, Nuovi profili costituzionali dei rapporti tra diritto interno e diritto internazionale
e comunitario, in Dir. Pubbl. Comp. Eur., 2002, p. 1357.
(
8
) Tale soluzione è stata in particolare prospettata, sia pure problematicamente, da G.F. FERRARI,
op. cit., p. 1854; L. VIOLINI, Il potere estero delle Regioni e delle Province autonome. Commento all’art.
1, comma I, e agli artt. 5 e 6, in G. Falcon (a cura di), Stato, Regioni ed enti locali nella legge 5 giugno
2003, n. 131, Bologna, 2003, p. 123.
T. OHLINGER, op. cit., p. 370 ss., evidenzia come il diritto comunitario, mediante l’attribuzione ai
giudici comuni del potere di disapplicare le leggi nazionali con esso contrastanti, abbia determinato una
forte rivalutazione del ruolo della Magistratura rispetto al Parlamento; con ciò si sarebbe in definitiva
prodotta una sorta di “americanizzazione” del diritto europeo, sull’esempio dei poteri riconosciuti ai giu-
dici americani sin dalla storica sentenza Marbury vs. Madison; ed una strutturale “americanizzazione” de-
riverebbe, inoltre, dal carattere instabile che per conseguenza assumerebbero le leggi interne, sempre e-
sposte al rischio di una loro disapplicazione a fronte di un diritto assai pervasivo – come quello comunita-
rio – su di esse prevalente. Sulla forte rivalutazione del ruolo della Magistratura da parte del diritto comu-
nitario, Cfr. altresì P. PÉREZ TREMPS, La Costituzione spagnola e l’Unione europea alla luce della giuri-
sprudenza del Tribunale Costituzionale, in S. Gambino (a cura di), Trattato che adotta una Costituzione
per l’Europa, Costituzioni nazionali, diritti fondamentali, Milano, 2006, p. 44 s.; A. ADINOLFI, L’applica-
zione delle norme comunitarie da parte dei giudici nazionali, in Dir. Un. Eur., 2008, p. 617 ss.
4
zione del proprio indirizzo politico, o rendere diffuso un grave potere – quello di sinda-
care la validità delle leggi – che il Costituente ha invece voluto mantenere accentrato in
un unico organo costituzionale di garanzia. Interpretare la novella in senso restrittivo si-
gnifica, al contrario, lasciare potenzialmente immutati o di poco alterati i rapporti fra
questi organi, al costo, però, di sacrificare gli obiettivi di politica costituzionale che ri-
sultino sottesi alla riforma. In questi bilanciamenti entra in gioco, dunque, la stabilità
della stessa forma di governo nazionale.
Ciò dice la delicatezza delle opzioni ermeneutiche che si spiegano dinanzi all’inter-
prete, a fronte di una disposizione dai contenuti talmente equivoci e precorsa da una di-
scussione pubblica talmente inconsistente, da rendere assai arduo ricostruire obiettiva-
mente tanto il suo significato letterale, quanto la volontà politica del legislatore costitu-
zionale. A questo si aggiunga la sua infelice collocazione sistematica nel Titolo della
Costituzione dedicato a Regioni ed autonomie locali (
9
). Tutto ciò fa sì che la novella si
tramuti, in sostanza, in un mandato a ridefinire, con ampia libertà, l’equilibrio delle rela-
zioni interistituzionali interne.
L’interprete si vede, così, assegnato un compito che non solo supera la portata dei
suoi modesti strumenti operativi – i tradizionali canoni dell’ermeneutica giuridica (
10
) –
ma che richiede, altresì, un fondamento di legittimazione del quale né la comunità
scientifica, né il potere giudiziario possono pretendere disporre. Comprensibile, dunque,
l’attesa per l’intervento di altri attori istituzionali, cui siffatte incombenze di carattere
(
9
) Sottolinea l’infelice collocazione B. CARAVITA DI TORITTO, La Costituzione dopo la riforma
del Titolo V. Stato, Regioni e autonomie fra Repubblica e Unione europea, Torino, 2002, p. 115 s., il qua-
le ritiene che, ciò malgrado, «proprio il nuovo art. 117, 1° comma, è diventato la disposizione centrale, in
luogo dell’art. 70 [Cost.], per la ricostruzione della funzione legislativa nell’Italia del XXI secolo»; Cfr.
altresì G.F. FERRARI, op. cit., p. 1852, che parla di «Discutibile […] approccio obliquo, attraverso una se-
des materiae che non è direttamente pertinente alla disciplina» trattata; G. SERGES, op. cit., p. 2215, se-
condo cui la collocazione della disposizione risulterebbe meramente «occasionale». Contra, Cfr. L.S.
ROSSI, Gli obblighi internazionali e comunitari nella riforma del titolo V della Costituzione, in
www.forumcostituzionale.it, 2002, secondo cui la collocazione sistematica di tale previsione in un articolo
dedicato alla ripartizione delle competenze normative fra livello statale e livello regionale si giustifiche-
rebbe nel senso di contemperare l’esercizio sostanziale di tali competenze con l’esistenza e la rilevanza
interna di fonti di produzione di livello ultranazionale, così che «la sussidiarietà può […] declinarsi in
maniera coerente in tutti i suoi livelli»; L. TORCHIA, I vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario nel
nuovo Titolo V della Costituzione, in Reg., 2001, p. 1204, secondo cui dalla collocazione della disposi-
zione nel Titolo V, Parte II, della Costituzione non deriverebbe «una sorta di “incidentalità” della que-
stione, ma piuttosto la necessità di leggerla all’interno del nuovo quadro costituzionale e in relazione alle
altre disposizioni del Titolo V». Per ulteriori approfondimenti al riguardo, V. infra, § 2.2.
(
10
) R. BIN, Le potestà legislative regionali, dalla Bassanini ad oggi, in Reg., 2001, p. 620, riferen-
dosi complessivamente alla L. Cost. n. 3/2001, afferma peraltro che «siamo di fronte ad un corpo norma-
tivo talmente informe e molle che non credo sia lecito né giusto procedere alla sua analisi con il sottile
bisturi dell’elegante esegesi giuridica».
5
latamente politico risultano senz’altro più congeniali: il Parlamento per un lato; la Corte
costituzionale per l’altro (
11
).
L’intervento del Parlamento per mezzo della L. n. 131 del 05.06.2003, tuttavia, non
ha certo risolto le prospettate difficoltà ermeneutiche. Le ha semmai aggravate, a causa
della ridondante ed interlocutoria formulazione dell’art. 1.1: «Costituiscono vincoli alla
potestà legislativa dello Stato e delle Regioni, ai sensi dell’articolo 117, primo comma,
della Costituzione, quelli derivanti dalle norme di diritto internazionale generalmente
riconosciute, di cui all’articolo 10 della Costituzione, da accordi di reciproca limitazione
della sovranità, di cui all’articolo 11 della Costituzione, dall’ordinamento comunitario e
dai trattati internazionali». Un intervento, questo, che dopo aver tentato, in chiara pro-
spettiva continuista, di collegare ad altri precetti costituzionali la portata della riforma –
intento confermato dai lavori preparatori (
12
) – parrebbe poi estenderla anche al di fuori
dei relativi ambiti, ma senza specificare a sufficienza il significato dei termini utilizzati
dal legislatore costituzionale (
13
).
La Corte costituzionale, dal canto suo, prima di pronunciarsi sulla portata della no-
vella ha significativamente atteso lo stabilizzarsi del contesto politico-costituzionale na-
zionale ed europeo, per non rischiare di compromettere con interventi affrettati la pro-
pria futura libertà di manovra. Libertà ampia, come si è detto, ma dai riflessi assai deli-
cati sugli equilibri della forma di governo nazionale.
Così, dopo aver serbato un rigoroso silenzio sulla portata del vincolo comunitario
durante tutto il processo di elaborazione, stipulazione e ratifica della Costituzione euro-
pea, la Corte ha ritenuto di estrarlo da questa sorta di limbo soltanto dopo i referendum
(
11
) Che anche la Corte costituzionale sia un attore in senso lato politico è stato opportunamente
messo in rilievo da G. ZAGREBELSKY, La Corte in-politica, in Quad. Cost., 2005, p. 273 ss., laddove de-
marca la differenza tra la politica (in senso stretto) intesa come conflitto, retta dal pactum subiectionis alla
volontà maggioritaria; e la politica (in senso lato) intesa come cooperazione, retta dal pactum societatis
sancito nella Costituzione, di cui la Consulta è tutore istituzionale. È nella stessa Costituzione, dunque,
che risiede il fondamento di legittimazione dell’operato “latamente politico” della Corte costituzionale.
Discorre di natura composita della Corte costituzionale, politica e giurisdizionale assieme, R. ROMBOLI,
La natura della Corte costituzionale alla luce della sua giurisprudenza più recente, in www.associazione-
deicostituzionalisti.it, 2007.
(
12
) Cfr. L. BARTOLOMEI, La garanzia costituzionale dei trattati alla luce della legge 5 giugno
2003 n. 131 contenente disposizioni per l’adeguamento alla Legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, in
Riv. Dir. Internaz. Priv. Proc., 2003, p. 856 ss.
(
13
) Assai critico è, in particolare, il commento di C. PINELLI, Art. 1. Attuazione dell’art. 117, pri-
mo e terzo comma, della Costituzione in materia di legislazione regionale, in C. Cittadino (a cura di),
Legge “La Loggia”. Commento alla L. 5 giugno 2003, n. 131, di attuazione del Titolo V della Costituzio-
ne, Rimini, 2003, p. 19 ss., secondo cui, in particolare, l’inutile duplicazione posta in essere affiancando
ai vincoli derivanti «da accordi di reciproca limitazione della sovranità, di cui all’articolo 11 della Costi-
tuzione», altresì i vincoli derivanti «dall’ordinamento comunitario», genererebbe un’inutile confusione.
Cfr. altresì P. CAVALERI, Diritto regionale, Padova, 2006, p. 136 s.
6
francese e olandese, che hanno affossato le velleità costituzionali dell’Unione (
14
). Con
la sentenza n. 406 del 24.10.2005, ha quindi dato per presupposta la violazione del di-
sposto costituzionale ogni qualvolta si accerti il contrasto di una legge (impugnata in via
principale) con una direttiva comunitaria (
15
). Con la sentenza n. 129 del 23.03.2006, si
è, peraltro, affrettata a precisare la funzione solo ancillare dell’art. 117, I rispetto all’art.
11 Cost., tuttora considerato vero principio fondamentale della materia (
16
). Ciò ha con-
sentito alla Corte di mantenere, su questo versante, un’impostazione essenzialmente
continuista, valorizzando il nuovo precetto solo per scopi non direttamente incidenti sui
rapporti Parlamento-Governo (
17
).
Parimenti significativo è il silenzio serbato sulla portata del limite degli obblighi in-
ternazionali, sino alla bocciatura referendaria della riforma organica della Parte II della
Costituzione, deliberata nel corso della XIV Legislatura, che avrebbe comportato la de-
(
14
) Poche settimane dopo l’approvazione referendaria della riforma costituzionale, con la Dichia-
razione di Laeken del 15.12.2001, il Consiglio europeo convocava ufficialmente la Convenzione sul futu-
ro dell’Europa, la quale concludeva i propri lavori il 10.07.2003 presentando una bozza del Trattato che
istituisce una Costituzione per l’Europa. Nel Consiglio europeo di Bruxelles del 18.06.2004, la Conferen-
za intergovernativa giungeva ad un accordo definitivo sul testo del Trattato, poi formalmente stipulato a
Roma il 29.10.2004 dai Capi di Stato e di Governo dei venticinque Stati membri. L’Italia lo ratificava con
L. n. 57 del 07.04.2005. In alcuni Stati, l’autorizzazione alla ratifica veniva invece subordinata al consen-
so popolare espresso mediante referendum; ma l’elettorato di Francia (29.05.2005) e Paesi Bassi
(01.06.2005) rispondeva negativamente. Ciò ha determinato il congelamento del processo di ratifica an-
che in altri Stati membri ed aperto la strada all’approvazione di un più tradizionale trattato di riforma, sti-
pulato a Lisbona il 13.12.2007 ed entrato in vigore, dopo un complesso iter di ratifica (Cfr. A. PADOA-
SCHIOPPA, Dopo il voto irlandese, in Mulino, 2008, p. 701 s.), soltanto il 01.12.2009.
(
15
) Sent. n. 406 del 24.10.2005, in Giur. Cost., 2005, p. 4429 ss., C.i.d. n. 3, con nota di R. CAL-
VANO, La Corte costituzionale “fa i conti” per la prima volta con il nuovo art. 117 comma 1 Cost. Una
svista o una svolta monista della giurisprudenza costituzionale sulle “questioni comunitarie”?, p. 4417
ss.
(
16
) Sent. n. 129 del 23.03.2006, in Giur. Cost., 2006, p. 1198 ss., C.i.d. n. 5.3, in cui si afferma che
l’art. 117, I «si ricollega al principio fondamentale contenuto nell’art. 11 Cost. e presuppone il rispetto dei
diritti e dei principi fondamentali garantiti dalla Costituzione italiana». Affermazione poi ribadita in sent.
n. 269 del 04.07.2007, in Giur. Cost., 2007, p. 2646 ss., C.i.d. n. 4.3, con nota di A. SCHILLACI, La Corte
torna sui “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”: scelta del parametro, interposizione norma-
tiva e processo di integrazione tra ordinamenti, p. 2655 ss. La successiva sent. n. 439 del 15.12.2008, in
Giur. Cost., 2008, p. 4995 ss., C.i.d. 7.1, peraltro, non torna a richiamare l’art. 11 Cost. come principio
fondamentale dei rapporti tra diritto interno e diritto comunitario, ma si limita a dichiarare l’illegittimità
costituzionale di una legge della Provincia autonoma di Trento «per violazione delle norme comunitarie
sulla tutela della concorrenza, come interpretate dalla Corte di giustizia CE, e, dunque, dell’art. 8,
comma 1, dello statuto speciale per il Trentino Alto-Adige e dell’art. 117, primo comma, Cost.». Per
un’ipotesi interpretativa che muove da questo inopinato revirement, V. infra, § 4.2.
(
17
) Si allude qui, in particolare, all’argomento utilizzato dalla Corte costituzionale in occasione del
suo primo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ex art. 234 TCE: «la legittimità costituzionale della
norma censurata non può essere scrutinata, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., senza che si
proceda alla valutazione della sua conformità al diritto comunitario». Cfr. sent. n. 102 del 13.02.2008, in
Giur. Cost., 2008, p. 1194 ss., C.i.d. n. 8.2.8.5, con nota di F. SORRENTINO, Svolta della Corte sul rinvio
pregiudiziale: le decisioni 102 e 103 del 2008, p. 1288 ss. Cfr. altresì la connessa ord. n. 103 di pari data,
ivi, p. 1292 ss., con nota di M. CARTABIA, La Corte costituzionale e la Corte di giustizia: atto primo, p.
1312 ss.
7
finitiva espunzione del limite stesso dall’art. 117, I (
18
). Con le sentenze nn. 348 e 349
del 22 e 24.10.2007, la Corte costituzionale ha finalmente preso posizione sulla consi-
stenza del limite affermando – con portata forse generalizzabile a tutte le fonti pattizie
di diritto internazionale – l’illegittimità costituzionale delle leggi che dispongano in
contrasto con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle
Libertà fondamentali (CEDU), in quanto l’art. 117, I l’assumerebbe a parametro integra-
tivo dei propri contenuti, alla sola condizione della piena conformità a Costituzione (
19
).
Benché la letteratura abbia rilevato come queste pronunce intendessero, in realtà, ri-
spondere a problematiche contingenti di politica costituzionale (
20
), non v’è dubbio che
(
18
) L’elaborazione del progetto di riforma prendeva avvio con la c.d. Bozza di Lorenzago dell’a-
gosto 2003, che il Governo Berlusconi II presentava al Senato come disegno di Legge Costituzionale in
data 17.11.2003. Dopo l’approvazione in seconda e definitiva deliberazione, a maggioranza assoluta,
l’art. 39.1, L.Cost. 18.11.2005, così recitava: «All’articolo 117 della Costituzione, il primo comma è so-
stituito dal seguente: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Co-
stituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”». Sottoposta la Legge Costituzio-
nale a referendum sospensivo (25-26.06.2006), il corpo elettorale si è espresso negativamente, precluden-
done così l’entrata in vigore.
(
19
) Sentt. nn. 348 e 349 del 22 e 24.10.2007, in Giur. Cost., 2007, p. 3475 ss. e, rispettivamente, p.
3535 ss., con note di C. PINELLI, Sul trattamento giurisdizionale della CEDU e delle leggi con essa con-
fliggenti, p. 3519 ss.; M. CARTABIA, Le sentenze “gemelle”: diritti fondamentali, fonti, giudici, p. 3564
ss.; A. GUAZZAROTTI, La Corte e la CEDU: il problematico confronto di standard di tutela alla luce del-
l’art. 117, comma 1, Cost., p. 3574 ss.; V. SCIARABBA, Nuovi punti fermi (e questioni aperte) nei rapporti
tra fonti e corti nazionali ed internazionali, p. 3579 ss.
Nell’argomentare contro il possibile ricorso all’art. 11 Cost. quale norma di copertura costituzionale
della CEDU, la sentenza n. 349/2007, C.i.d. n. 6.1, afferma che «i diritti fondamentali non possono consi-
derarsi una “materia” in relazione alla quale sia allo stato ipotizzabile, oltre che un’attribuzione di compe-
tenza limitata all’interpretazione della Convenzione, anche una cessione di sovranità» (corsivo aggiunto).
Si può notare come, ancora una volta, la Corte costituzionale abbia prestato la massima attenzione al fine
di non compromettere la propria posizione in vista dei possibili sviluppi futuri dell’integrazione europea
e, in particolare, della prospettata adesione dell’Unione europea alla CEDU (art. 6.2 TUE, come modificato
dal trattato di Lisbona). La soluzione ora indicata dalla giurisprudenza costituzionale è valida, dunque,
“allo stato”, ma potrebbe essere rivista alla luce delle future intese che interverranno in proposito: Cfr. C.
ZANGHÌ, La Corte costituzionale risolve un primo contrasto con la Corte europea dei diritti dell’uomo ed
interpreta l’art. 117 della Costituzione: le sentenze nn. 348 e 349 del 2007, in www.giurcost.org, 2007.
(
20
) Secondo A. BULTRINI, Le sentenze 348 e 349/2007 della Corte costituzionale: l’inizio di una
svolta?, in Dir. Pubbl. Comp. Eur., 2008, p. 177, la forte pressione esercitata dalla Corte di Strasburgo e
dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, affinché l’ordinamento italiano si uniformasse ai para-
metri CEDU eliminando in radice le violazioni strutturali evidenziate con riferimento ai temi trattati nelle
due pronunce in esame, non sarebbe di per sé sufficiente a spiegare l’adozione di un approccio così inno-
vativo rispetto alle soluzioni invalse nella pregressa giurisprudenza. Il reale intento della Corte costituzio-
nale sarebbe, allora, più verosimilmente legato alle dinamiche interne all’ordinamento italiano: in partico-
lare, essa avrebbe inteso arginare la tendenza diffusasi tra alcuni giudici comuni ad utilizzare lo strumento
della disapplicazione della fonte interna anche in caso di antinomie con norme CEDU; la scelta sarebbe
stata, dunque, quella di riportare nell’alveo del giudizio accentrato di costituzionalità tutte le questioni
relative al rispetto dei diritti fondamentali da parte di leggi e atti con forza di legge. Anche per C. PINELLI,
op. ult. cit., p. 3519 s., l’art. 117, I Cost. sarebbe stato strumentalmente interpretato, nell’ambito delle sen-
tenze nn. 348 e 349/2007, al fine di conseguire il prevalente obiettivo di troncare la tendenza, «incipiente
ma potenzialmente inarrestabile», dei giudici comuni a disapplicare le leggi interne confliggenti con nor-
me CEDU: siffatta tendenza avrebbe, infatti, recato in sé i germi di un inaccettabile – da parte della Con-
sulta – superamento del modello accentrato di giustizia costituzionale. Sulla stessa posizione, Cfr. altresì
M. CARTABIA, op. ult. cit., p. 3565 s., che però punta maggiormente l’attenzione sull’affermarsi di un ge-
8
siano nondimeno destinate a diventare i leading cases in materia. Esse non paiono, tut-
tavia, risolutive nella misura in cui omettono opportune chiarificazioni circa la portata
del limite degli obblighi internazionali: se esso operi anche a favore di trattati diversi da
quelli sui diritti umani, di quelli non ancora o non adeguatamente recepiti, di quelli sti-
pulati in forma semplificata, degli accordi con Stati esteri stipulati dalle Regioni ai sensi
dell’art. 117, IX Cost., e altre questioni ancora. Taluni aspetti delle stesse pronunce
paiono, poi, contraddittori o comunque discutibili, tanto che la letteratura ne invoca un
pronto ripensamento (
21
). È chiaro che si tratta di problemi non secondari, dalla cui de-
finizione vengono a dipendere, ancora una volta, delicati equilibri istituzionali.
Occorre considerare, infine, che le pronunce della Corte costituzionale su questi te-
mi non possono in ogni caso ritenersi punti d’approdo definitivi, tali e tante sono le di-
scordanze dottrinali emerse in letteratura sulla portata dell’art. 117, I: certo alleviate, ma
non sopite, neppure dopo gli interventi della Consulta.
nerale contesto “multilivello” di tutela dei diritti fondamentali, nel quale il sempre più fitto dialogo fra
Corti europee, da un lato, e giudici ordinari, dall’altro, avrebbe favorito la maturazione di tendenze volte
ad escludere la Corte costituzionale dai circuiti di tutela giurisdizionale; con le sentenze nn. 348 e
349/2007, dunque, la Corte avrebbe imposto ai giudici ordinari di contenere la propria azione nei limiti di
un’interpretazione adeguatrice del diritto interno ai contenuti delle Carte internazionali, così come inter-
pretate dalle Corti europee a ciò istituzionalmente preposte, precludendo con ciò la strada della disappli-
cazione delle leggi con esse contrastanti.
(
21
) Tra questi aspetti rileva, in primo luogo, la questione della dimensione intertemporale del limi-
te: Cfr. R. MASTROIANNI, Anche le leggi precedenti la Convenzione europea dei diritti dell’uomo debbo-
no essere rimosse dalla Corte costituzionale?, in Riv. Dir. Internaz., 2008, p. 456 ss.; V. SCIARABBA, Il
problema dei rapporti tra (leggi di esecuzione di) vincoli internazionali e leggi precedenti nel quadro
della recente giurisprudenza costituzionale (a margine della sentenza della Corte costituzionale n. 39 del
2008), in www.forumcostituzionale.it, 2008; B. CONFORTI, Atteggiamenti preoccupanti della giurispru-
denza italiana sui rapporti fra diritto interno e trattati internazionali, in Dir. Umani Dir. Internaz., 2008,
p. 584.
Altra dottrina invoca un radicale superamento dell’orientamento fatto proprio dalle sentenze nn. 348
e 349/2007, prospettando un parallelismo tra l’evoluzione dei rapporti tra diritto interno e diritto CEDU, da
un lato, e quella dei rapporti tra diritto interno e diritto comunitario, dall’altro. In particolare, A. GUAZZA-
ROTTI, La Consulta “guarda in faccia” gli obblighi internazionali e la CEDU, in Studium Iuris, 2008, p.
283, nota come, allo stadio attuale, la configurazione dei rapporti tra leggi interne e norme CEDU rispec-
chi quella della seconda tappa del “cammino comunitario” della Corte costituzionale (in ciò riprendendo
una propria previsione già avanzata tempo addietro, in ID., I giudici comuni e la CEDU alla luce del nuo-
vo art. 117 della Costituzione, in Quad. Cost., 2003, p. 39; sul punto, Cfr. altresì R. DICKMANN, Corte
costituzionale e diritto internazionale, in Foro Amm. C.d.S., 2007, p. 3594 s.; C. ZANGHÌ, op. cit.); e la
possibilità di uno sviluppo analogo risulterebbe alquanto probabile, giacché la forzata interposizione di un
giudizio di costituzionalità per sindacare il rispetto di alcune norme CEDU potrebbe sfociare nella viola-
zione dell’ulteriore norma convenzionale (art. 6.1) che impone la ragionevole durata dei processi.
9
1.2. Il possibile sovvertimento di un antico paradigma democratico: il principio di su-
premazia del Parlamento
Dinanzi all’interprete dell’art. 117, I Cost., si spiegano opzioni ermeneutiche non
prive di significativi riflessi sulla forma di governo nazionale. Le dinamiche istituziona-
li su cui queste ricadono concernono essenzialmente i rapporti tra Parlamento e Gover-
no da un lato, Parlamento e Magistratura dall’altro. Da un lato, il Governo vede profi-
larsi nuovi canali di possibile attuazione del proprio indirizzo politico, che prescindono
dalla mediazione e dal controllo parlamentare. Dall’altro, la Magistratura vede moltipli-
carsi i possibili parametri di controllo sull’attività legislativa, oltre che l’opportunità di
sindacarne direttamente il rispetto (
22
).
A fronte di ciò, le tradizionali funzioni parlamentari rischiano di subire un’intollera-
bile compressione. Per un verso, le competenze europee conoscono una capacità espan-
siva che va ben oltre le attribuzioni enumerate dai Trattati istitutivi, inducendo una pro-
gressiva riduzione degli spazi di autonoma determinazione riservati ai legislatori nazio-
nali (
23
). Per altro verso, potenzialmente illimitato è lo spessore dell’attività inter-
nazionale del Governo, tale – stratificandosi – da privare materialmente di possibili con-
(
22
) Cfr. M. SAVINO, Il cammino internazionale della Corte costituzionale dopo le sentenze n. 348 e
349 del 2007, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2008, p. 778 ss.
(
23
) G. GUARINO, Ratificare Lisbona?, Firenze, 2008, p. 21, rileva che le competenze dell’Unione
oggigiorno «coprono quasi per intero l’ambito della vita collettiva nazionale». Fenomeno aggravato dal
fatto che il criterio di riparto delle competenze tradizionalmente accolto dai Trattati istitutivi non è di tipo
materiale, bensì prettamente funzionale, nel senso che al livello sovranazionale vengono assegnate le
competenze ritenute necessarie per il perseguimento dei fini contemplati dai Trattati stessi e rientranti nel-
le “politiche” da essi stabilite; ciò che comporta, invero, un’elevata elasticità delle competenze comunita-
rie. Sono per giunta espressamente previsti diversi strumenti di dilatazione degli ambiti d’azione comuni-
tari, alcuni dei quali lasciati alla piena discrezionalità delle istituzioni: il riferimento è, principalmente,
alla clausola di flessibilità prevista dall’art. 308 TCE, ma altri strumenti di dilatazione del quadro di com-
petenze comunitarie sono la normativa di “riavvicinamento” di cui all’art. 94 TCE e, ovviamente, la modi-
fica dei Trattati istitutivi procedimentalizzata dall’art. 48 TUE. Accanto a quelli previsti dai Trattati, esiste
altresì uno strumento di fonte giurisprudenziale: la teoria dei poteri impliciti, adottata dalla Corte di giu-
stizia sin dalla sua prima giurisprudenza: anche in assenza di attribuzioni esplicite dei Trattati, in base a
tale teoria, ulteriori poteri delle istituzioni possono essere desunti dal complesso del diritto comunitario
(pattizio e derivato), riconoscendo alle stesse tutti i poteri che risultino indispensabili ai fini di un eserci-
zio efficace delle competenze attribuite.
Quanto alle potestà legislative che gli organi costituzionali degli Stati membri sono tuttora liberi di
esercitare, R. BUSTOS GISBERT, op. cit., p. 8, nota come, nel corso dell’VIII legislatura spagnola (2004-
2008), il 28% dell’attività parlamentare sia risultato carente di qualsiasi portato innovativo rispetto a deci-
sioni precedentemente assunte in sedi europee; il 41% in vario modo condizionato dall’attività normativa
comunitaria; e solo il 30% si sia esplicato in forma libera da condizionamenti diretti di questo tipo. G.
GUARINO, Sovranità della legge del Parlamento ed Unione europea. Criticità attuali e prospettive future
(L’Unione Europea quale Stato federale), in www.costituzionalismo.it, 2008, punto n. 23, rileva che,
quantunque non sussistano al momento statistiche dettagliate per ogni Stato membro circa il rapporto
quantitativo tra la legislazione di fonte statale e quella di fonte europea, si può «ragionevolmente ipotizza-
re che la seconda, anche dove non abbia già raggiunto la prevalenza, la conseguirà presto».
10
tenuti l’esercizio della funzione legislativa (
24
). Quest’ultima verrebbe, per giunta, a tro-
varsi in stato d’incessante precarietà, sempre soggetta all’insorgenza di nuovi parametri
e al sindacato sul loro rispetto. Non potrebbe, così, fornire certezza ai rapporti giuridici,
né limitare l’azione dei pubblici poteri, finendo col perdere alcuni dei suoi connotati più
tipici (
25
).
La funzione parlamentare di controllo verrebbe, a sua volta, a scontare la presenza
di canali esterni a disposizione dell’esecutivo, alternativi al Parlamento, capaci di elu-
derne l’efficacia: in parte, a causa della continuità politica tra Governo e maggioranza,
che rende improbabile un utilizzo invasivo degli strumenti a disposizione del Parlamen-
to nei settori della politica estera e comunitaria (
26
); in parte, a causa della tardività con
cui tali strumenti verrebbero comunque ad operare, perché neppure un atto di sfiducia
nei confronti del Governo potrebbe comportare la revoca di una volontà politica già e-
spressa in sedi internazionali od europee.
Nel procedere all’interpretazione della novella costituzionale, non deve allora sotto-
valutarsi il rischio che essa, incautamente maneggiata, possa convertirsi in potente
strumento da brandire nei confronti del legislativo, allo scopo di sovvertire un paradig-
ma fondamentale nella costruzione delle moderne democrazie, ma da tempo sottoposto
a un progressivo processo di obliterazione: il principio della supremazia del Parlamento.
Onde evitare letture interpretative affrettate, converrà prendere in considerazione questo
(
24
) V. SCIARABBA, Nuovi punti fermi (e questioni aperte) nei rapporti tra fonti e corti nazionali ed
internazionali, cit., p. 3590, nota come, configurando gli obblighi internazionali come limite di contenuto
alla produzione legislativa, il Parlamento che rendesse esecutivo un vincolo internazionale comprimereb-
be in tal modo la libertà dei Parlamenti futuri, restringendone così progressivamente gli spazi decisionali
e, in definitiva, erodendo la stessa sovranità popolare.
(
25
) Sull’attuale “crisi della legge”, derivante dall’affermarsi di pratiche legislative che, più o meno
consapevolmente, ignorerebbero alcuni o tutti gli attributi propri di questo tipo di atto come storicamente
affermatosi, Cfr. F.J. LAPORTA, El imperio de la ley. Una visión actual, Madrid, 2007, p. 151 ss. Tra i
principali fattori di crisi, emergerebbe in primo luogo il difetto della sovranità nei soggetti che oggi de-
tengono, o comunque esercitano, poteri normativi in luogo del legislatore rappresentativo, o a fianco del
medesimo: il riferimento è, per un lato, al potere normativo direttamente o indirettamente detenuto dagli
organi esecutivi degli Stati; per l’altro, ai poteri normativi conferiti alle organizzazioni di carattere sovra-
nazionale. Su quest’ultimo punto, inteso in senso più specifico quale fattore di crisi del “neocostituziona-
lismo”, Cfr. altresì T. MAZZARESE, Interpretazione della costituzione. Quali pregiudizi ideologici?, in Ars
Interpr., 2008, Le nuove frontiere del diritto internazionale, p. 237 s.
(
26
) Cfr. I. ORR, Who’s the Boss? Strategic Action Between National Parliaments and Governments
Over Supranational Policy in the European Union, in aei.pitt.edu, 2003, p. 7. Cfr. altresì C. TUCCIARELLI,
Parlamento italiano, forma di governo ed Unione europea al termine della XV legislatura, in Quad.
Cost., 2008, p. 627 ss., il quale rileva come continui a sussistere un profondo divario tra quanto previsto
dalle disposizioni di legge o regolamentari sulla partecipazione del Parlamento alle relazioni con l’Unione
europea e quanto si realizza concretamente in via di prassi, laddove si continua invero a registrare un pre-
dominio del peso specifico governativo.
11
principio, la sua origine e la sua ratio, per verificare se ad esso possa oggi ragionevol-
mente rinunciarsi in nome di nuove, supposte finalità di politica costituzionale.
In regime di democrazia rappresentativa, il principio di supremazia del Parlamento
trova giuridico fondamento nell’attribuzione istituzionale della funzione legislativa al-
l’organo politico rappresentativo del popolo. Detto principio può ricostruirsi, pur nella
sua ampiezza, tramite due enunciati essenziali (
27
):
I) soltanto il Parlamento può modificare o abrogare leggi dallo stesso preceden-
temente approvate;
II) nessun Parlamento può vincolare legislativamente i propri successori.
Il primo enunciato è diretta conseguenza della qualificazione del Parlamento come
fonte soggettiva primaria di produzione normativa: ulteriori fonti soggettive non posso-
no concorrere con essa e vi restano in ogni caso subordinate. Tradizionalmente, i sistemi
di democrazia rappresentativa affidano in via istituzionale la potestà normativa primaria
al Parlamento, in quanto organo direttamente legittimato dal voto dell’elettorato (
28
). La
sua massima generalità su base territoriale ne comporta una forza rappresentativa gerar-
chicamente sovraordinata rispetto a quella delle assemblee elettive esponenziali di co-
munità substatali (
29
). Le autorità governative, invece, nella forma di governo parlamen-
tare godono di legittimazione solo indiretta, in quanto espressione della maggioranza
riunitasi intorno ad un determinato indirizzo politico: ciò che si converte nella subordi-
nazione gerarchica della loro potestà normativa a quella esercitata dal Parlamento (
30
).
Nelle forme di governo presidenziali, l’elezione diretta del loro vertice non basta a con-
ferire sufficiente forza rappresentativa, giacché un organo monocratico «non può per
(
27
) Questi due enunciati risultano così efficacemente riassunti (in senso invertito rispetto a quanto
esposto nel testo) da J.A.D. HOPE, Integration between EC law and national law in the UK, in Corte cost.
(a cura di), Diritto comunitario e diritto interno. Atti del seminario svoltosi in Roma Palazzo della Con-
sulta, 20 aprile 2007, Milano, 2008, p. 309 s.: secondo l’A., il Parlamento è sovrano nel senso che «it has
power to legislate in any manner it wishes. Its legislation cannot be struck down by the courts».
(
28
) G.F. CIAURRO, Le istituzioni parlamentari, Milano, 1982, p. 10 s., su questa base ricostruisce
la supremazia del Parlamento «come solo organo costituzionale direttamente derivante dalla sovranità
popolare […]. All’interno delle istituzioni parlamentari, pertanto, questa primazia deve esercitarsi inter-
pretando al massimo grado la categoria del “politico”, e cioè sintetizzando e riducendo ad unità, in fun-
zione di scelte ispirate all’interesse nazionale, i molteplici interessi territoriali e settoriali interpretati da
altri livelli istituzionali: interessi che debbono trovare espressione in Parlamento, ma che debbono essere
in Parlamento superati». Queste considerazioni valgono qualunque sia la forma di governo adottata dagli
ordinamenti democratici: parlamentare, presidenziale, semipresidenziale o direttoriale. Sul punto, Cr. L.
SPADACINI, L’eclissi della rappresentanza all’origine della crisi del Parlamento italiano, in A. D’Andrea
(a cura di), Il Governo sopra tutto. Cattiva politica e Costituzione, Brescia, 2009, p. 80.
(
29
) Cfr. A. MANZELLA, Il parlamento federatore, in Quad. Cost., 2002, p. 42.
(
30
) Lo stesso può dirsi, evidentemente, per la forma di governo direttoriale e, in parte, per quella
semipresidenziale.
12
sua natura rappresentare, al pari di un parlamento, la pluralità delle forze e degli interes-
si in conflitto nella società, ma al massimo la parte vincente nelle elezioni» (
31
). La Ma-
gistratura, infine, titolare del potere giudiziario, è del tutto carente di legittimazione: la
sua necessaria imparzialità la rende istituzionalmente refrattaria agli interessi politico
rappresentativi e la sottrae, in linea di principio, all’esercizio di alcun tipo di potestà
normativa.
Quanto al secondo enunciato, esso si spiega generalmente rilevando che una “fun-
zione” è tale in quanto possa dispiegarsi diacronicamente: così è per la funzione legisla-
tiva, espressione di un potere giuridico permanente ed inesauribile (
32
). La sua inesauri-
bilità trova fondamento nel periodico rinnovarsi della legittimazione elettorale del Par-
lamento, cui spetta istituzionalmente il compito di rilevare, esprimere e tradurre in ter-
mini normativi la volontà del corpo che lo ha eletto (
33
). Se lo spazio di libera determi-
nazione parlamentare dovesse contrarsi progressivamente in ragione delle scelte pre-
gresse, ciò avrebbe l’effetto di «compromettere i meccanismi essenziali di un ordina-
mento democratico» (
34
).
È opportuno evidenziare come una radicale attuazione del principio di supremazia
del Parlamento, quale testé ricostruito, porterebbe ad esiti in parte improponibili negli
assetti costituzionali contemporanei. Esso poté, invero, trovare piena e completa appli-
cazione soltanto in Inghilterra, dove la forma di governo parlamentare si affermò defini-
(
31
) L. FERRAJOLI, Principia iuris. Teoria del diritto e della democrazia, II, Teoria della democra-
zia, Roma-Bari, 2007, p. 174. Cfr. altresì A. BARBERA, La rappresentanza politica: un mito in declino?,
in Quad. Cost., 2008, p. 853: «sebbene altri organi costituzionali ambiscano a svolgere una funzione an-
che rappresentativa – ad esempio il capo dello Stato, laddove eletto direttamente – solo il parlamento ha
continuato a costituire la sede preminente della rappresentanza politica, e su di esso si reggono i “governi
rappresentativi”»; infatti, «la collegialità è condizione necessaria […] della rappresentanza politica […]
perché solo essa consente di rispecchiare una pluralità, e perché solo essa può consentire l’assunzione di
decisioni “in pubblico” (Öffentlickeit) e attraverso un dis-correre razionale (government by discussion)».
Con riguardo alla forma di governo semipresidenziale, valgono ovviamente entrambe le osservazioni
compiute nel testo.
(
32
) Cfr. M. PEDRAZZA GORLERO, Il patto costituzionale, Padova, 2009, p. 98: il «modello normati-
vo», cui risponde la funzione legislativa, replica nel tempo il patto costituzionale di cui riassume i caratte-
ri ed i risultati, conferendovi la concretezza necessaria per l’esercizio quotidiano del potere, e al tempo
stesso supera la «”quinta” atemporale, astratta, ipostatica del patto» grazie alla sua «capacità di moltipli-
carsi e perpetuarsi nel tempo, di realizzare perciò la vita del patto, l’indefinita diacronia del contratto so-
ciale». Cfr. altresì S. PUGLIATTI, Abrogazione, (Teoria generale e abrogazione degli atti normativi) in
Enc. Dir., I, Milano, 1958, p. 142: afferma l’A. che il potere legislativo «per sua natura trascende ogni
momento del proprio esercizio […] e mantiene integro il proprio vigore, che non può essere compromes-
so né affievolito dal concreto esercizio».
(
33
) Cfr. M. PEDRAZZA GORLERO, op. cit., p. 90 ss.
(
34
) L. PALADIN, Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996, p. 88.
13
tivamente a seguito della rivoluzione del 1688 (
35
). Fu però solo in epoca tardo vittoria-
na, con la teorizzazione di A.V. DICEY, che la dottrina costituzionale britannica seppe
scrupolosamente trarre le estreme conseguenze dai suoi enunciati: s’impose, così, il
modello di un Parlamento inteso come legislatore onnipotente e sovrano, titolare del di-
ritto «di fare e disfare qualsiasi atto di legge» su qualunque materia ritenuta idonea a
formare oggetto di legislazione, e alla cui volontà la Magistratura e gli organi governa-
tivi erano obbligatoriamente tenuti a dare applicazione (
36
).
Per meglio comprendere questa peculiarità del modello inglese, occorre anzitutto
evidenziare l’utilizzo da parte dei costituzionalisti britannici di un lessico parzialmente
diverso da quello che si è qui voluto adottare: essi ragionano, infatti, in termini di “so-
vranità” – piuttosto che di “supremazia” – del Parlamento. Quantunque le due espres-
sioni possano, di primo acchito, apparire sinonimiche, esse presentano, invece, note dif-
ferenziali di portata sostanziale. Da un lato, già sotto il profilo testuale, la “sovranità”
implica una pretesa di carattere assoluto, che non necessita ed anzi rifiuta di rapportarsi
con pretese concorrenti; e, sotto il profilo concettuale, non può che richiamare il dogma
(
35
) La glorious revolution del 1688 segnò la trasformazione del regime inglese da monarchia asso-
luta a monarchia costituzionale: con il Bill of Rights del 1689, Re Guglielmo III d’Orange riconobbe i di-
ritti del Parlamento e intensificò la sua separazione dall’esecutivo. Il Parlamento inglese rafforzò ancor
più la propria autorità alla morte del nuovo sovrano, deceduto senza lasciare discendenti: con l’Act of set-
tlement del 1701, lo stesso Parlamento regolò infatti la successione al trono.
(
36
) Introduction to the Study of the Law of the Constitution, Londra, 1915, nel testo tradotto in lin-
gua italiana, ID., Introduzione allo studio del diritto costituzionale. Le basi del costituzionalismo inglese,
Bologna, 2003, p. 33: «Il principio di sovranità parlamentare vuol dire né più né meno che il Parlamento
[…] è titolare, nel sistema costituzionale inglese, del diritto di fare e disfare qualsiasi atto di legge; e, i-
noltre, che nessun soggetto o organo è legittimato dal diritto d’Inghilterra a non tenere conto della legisla-
zione parlamentare o a disapplicarla». La sovranità parlamentare presenterebbe un risvolto positivo nel
dovere di tutti i giudici di dare concreta applicazione agli atti del Parlamento, e un risvolto negativo nel
divieto, imposto a tutti i soggetti o organi titolari della funzione di produzione normativa, di emanare
norme contrastanti con i medesimi atti. Quest’impostazione non intendeva affatto rinnegare la capacità di
produzione normativa della giurisprudenza, in un sistema che rimaneva indiscutibilmente legato alla tra-
dizione di common law; ma la subordinava al consenso e alla supervisione del legislatore, così ricondu-
cendola a coerenza con il principio di supremazia del Parlamento: mentre gli atti del Parlamento (statute
law) potevano anche porsi in contrasto con il diritto di fonte giurisprudenziale (common law, qui intesa
come complesso delle tradizioni giuridiche inglesi sviluppatesi nella forma dei precedenti giurispruden-
ziali), al contrario, i giudici inglesi in nessun caso avrebbero potuto abrogare o disapplicare la legge par-
lamentare. Analoga subordinazione contraddistingueva altresì, nel modello descritto dal Dicey, tutti i cor-
pi dotati di potere normativo diversi dal Parlamento, che in quanto tali non detenevano la sovranità e le
cui norme potevano pertanto essere soggette a un sindacato di legittimità.
Coerentemente con queste premesse, il Dicey teorizzò non due ma «tre elementi della sovranità par-
lamentare come essa si è realizzata in Inghilterra: viene in primo luogo il potere del legislativo di modifi-
care liberamente qualsiasi legge, sia essa fondamentale o di altra natura, come avviene per tutte le altre
leggi; in secondo luogo si ha l’assenza di ogni distinzione giuridica tra le leggi costituzionali e le altre; e,
in terzo luogo, si ha l’inesistenza di autorità giurisdizionali o d’altra natura che abbiano il potere di porre
nel nulla un atto del Parlamento o di considerarlo nullo o incostituzionale» (op. ult. cit., p. 76). Se questo
terzo elemento coincide evidentemente con quello che si è poc’anzi presentato quale primo enunciato del
principio di supremazia parlamentare, i primi due elementi possono invece considerarsi corollari ricavabi-
li dal secondo enunciato in un sistema in cui il principio in parola abbia “valenza assoluta”.
14
della sovranità statale, intesa come sommo potere ordinante all’interno dello Stato e in-
dipendente verso l’esterno. Dall’altro lato, al contrario, la “supremazia” si presenta co-
me concetto relativo, che può compiutamente definirsi solamente in rapporto con prete-
se concorrenti, benché esiga di mantenere una posizione sovraordinata rispetto ad esse.
Nella tradizione costituzionale inglese, soltanto il Parlamento è sovrano, nel senso
che la sua attività non incontra alcun limite formale e resta quindi sottratta ad ogni va-
glio di legittimità, in assenza di un parametro legale che ad esso s’imponga (
37
). Questo
carattere gli derivava dalla sua stessa struttura, in esso convergendo gli assetti di vertice
di tutti i poteri dello Stato – monarchico, clericale, esecutivo, giudiziario – tenuti a con-
frontarsi con i rappresentanti eletti dalla borghesia, la quale attraverso la tassazione so-
steneva e finanziava l’intera attività statale (
38
). Proprio la sovranità del Parlamento con-
sentiva la coabitazione costituzionale dei diversi poteri, poiché solo quanto concordato
in tale sede comune era avvertito come reciprocamente vincolante da ciascuno di essi e
poiché, in ogni caso, restava nondimeno aperta la possibilità di sancire con nuove de-
terminazioni l’evolversi dei relativi rapporti di forza (
39
).
(
37
) H.W.R. WADE, The Basis of Legal Sovereignty, in Cambridge Law Journal, 1955, p. 174, nel-
l’illustrare come l’ortodossia giuridica inglese spiegherebbe la dottrina della supremazia del Parlamento,
esemplifica come un giurista britannico concluderebbe la propria esposizione: «there is one, and only one,
limit to Parliament’s legal power: it cannot detract from its own sovereignty». Nessun limite, dunque, si
opponeva alla libera attività del Parlamento britannico, se non il principio della rule of law e, dipendente
da questo, lo stesso dogma della supremazia parlamentare, che congiuntamente erano identificati come le
regole fondanti la democrazia rappresentativa. Ciò significa, invero, che anche l’ordinamento inglese di
epoca vittoriana presentava – in un certo senso – elementi di rigidità posti a salvaguardia dell’assetto co-
stituzionale vigente. Non si trattava, però, di limitazioni formali alla supremazia del Parlamento, bensì di
un «limite esterno all’effettività del potere di un ente sovrano», avente valenza generale e consistente
«nella possibilità o nella certezza del fatto che i suoi sudditi, o un numero elevato di essi, disobbediscano
o oppongano resistenza alle sue statuizioni» (A.V. DICEY, op. cit., p. 65).
(
38
) Il Parlamento britannico è tradizionalmente identificato con il King in Parliament ed è perciò
composto: dal Re; dalla Camera Alta, in cui siedono, tra l’altro, le più alte cariche episcopali inglesi, la
quale opera altresì quale Corte suprema; dalla Camera Bassa, a carattere elettivo. Nelle due Camere sie-
dono, per convenzione, anche i Ministri che compongono il Governo. P. PASQUINO, Il potere costituente,
il governo limitato e le sue origini nel Nuovo Mondo, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 2009, p. 319, sottolinea la
natura di «organo composito» del Parlamento britannico, «unitario e trinitario al tempo stesso, poiché de-
cideva all’unanimità delle tre parti disuguali ma ugualmente costitutive della società: la Corona, i Lords
ed i Comuni».
(
39
) La sovranità parlamentare non si estrinsecava, peraltro, unicamente attraverso la funzione legi-
slativa: vi si affiancavano, infatti, la funzione elettorale e di controllo nei confronti dei Ministri, la funzio-
ne pedagogica di educazione politica impartita alla nazione, la funzione ricognitivo espressiva della vo-
lontà popolare e quella informativa nei confronti del popolo. W. BAGEHOT, The English Constitution,
Londra, 1867, nel testo tradotto in lingua italiana, ID., La Costituzione inglese, Bologna, 1995, p. 141 ss.,
in merito alla funzione legislativa, ammetteva che «sarebbe ridicolo negare la grande importanza» della
stessa, ma contestava l’opinione «che essa sia importante quanto l’elezione dell’Esecutivo o quanto l’edu-
cazione politica impartita dal Parlamento alla nazione». Echi di questa convinzione paiono trovarsi ancor
oggi periodicamente espresse da esponenti dell’esecutivo, le cui affermazioni sembrano tuttavia dirette ad
indebolire, piuttosto che a rafforzare, l’autonomia del Parlamento rispetto al Governo, in capo al quale si
rivendica pari legittimazione elettorale e, in ultima istanza, la titolarità di una potestà normativa primaria
15
Nel costituzionalismo europeo continentale, invece, la supremazia parlamentare, af-
fermatasi con la rivoluzione francese, dovette immediatamente confrontarsi con altri
principi concorrenti che ne edulcorano la radicalità degli enunciati: la sovranità popola-
re, la separazione dei poteri, la protezione dei diritti umani (
40
). In epoca liberale, il Par-
lamento si presentava come l’organo statale elettivo, deputato in via esclusiva – quan-
tomeno negli ambiti ad esso riservati – a tradurre in norme giuridiche la volontà genera-
le, indipendente dagli altri poteri dello Stato e tuttavia pari ordinato agli stessi in un si-
stema di controllo e limitazione reciproca, a tutela della libertà e dei diritti dei cittadini.
La supremazia del Parlamento assunse un significato circoscritto alla titolarità del pote-
re normativo, risolvendosi nella primazia – e tendenziale esclusività – della fonte in
senso oggettivo da esso prodotta e, dunque, nel “primato della legge”. In tale contesto, il
principio operò nel senso di salvaguardare ed estendere l’esclusività della funzione par-
lamentare di produzione normativa, in contrapposizione alle avverse tendenze e pretese
accentratrici della Corona e del Governo.
Venne, in seguito, la rigidità costituzionale a sottrarre le progressive conquiste par-
lamentari alle opposte rivendicazioni che conniventi maggioranze politiche non avreb-
bero saputo contrastare, sancendo lo status quo dei rapporti fra poteri costituzionali e
ponendo limiti invalicabili al principio di maggioranza. In conformità con la scelta plu-
ralista che sta alla sua base, la rigidità costituzionale introdusse altresì fonti non parla-
mentari a competenza riservata, espressione del pluralismo istituzionale, aventi lo stesso
rango della legge ma non concorrenti con essa. Il Parlamento si mantenne, nondimeno,
al vertice delle fonti di produzione in senso soggettivo, in quanto titolare della funzione
di revisione costituzionale (
41
).
concorrente con quella parlamentare: Cfr. E. VITO, Il Parlamento non è solo legislatore, in www.gover-
no.it, 2008. Sull’incidenza dell’esercizio delle funzioni parlamentari non legislative sulla forma di gover-
no italiana, Cfr. R. DICKMANN, Le ragioni di uno studio sulle funzioni parlamentari non legislative, in Id.,
S. Staiano (a cura di), Funzioni parlamentari non legislative e forma di governo. L’esperienza italiana,
Milano, 2008, p. 3 ss.
(
40
) In questo senso deve interpretarsi l’affermazione di P. PASQUINO, op. loc. cit., secondo cui
«l’antica dottrina e la pratica inglese della supposta sovranità (senza limiti) del Parlamento precedono
storicamente e concettualmente il costituzionalismo moderno».
(
41
) Cfr. S. LABRIOLA, Sviluppo e decadenza della tesi della centralità del Parlamento: dall’unità
nazionale ai governi Craxi, in L. Violante, F. Piazza (a cura di), Il Parlamento, in Storia d’Italia. Annali
17, Torino, 2001, p. 386 ss.; L. ALBINO, Il sistema delle fonti tra ordinamento interno e ordinamento co-
munitario, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2001, p. 934 ss.; A. D’ANDREA, Gli affanni della democrazia ita-
liana, in Id. (a cura di), Il Governo sopra tutto, cit., 2009, p. 14 s. Anche in presenza di una Costituzione
rigida, malgrado la caduta di tutti i «presupposti della concezione piramidale dell’ordinamento giuridico»,
sottolinea R. BIN, Il sistema delle fonti. Un’introduzione, in www.forumcostituzionale.it, 2009, p. 5, che il
regime parlamentare che la Costituzione medesima introduce «non può che condividere la “dipendenza”
del Governo dal Parlamento […] e la prevalenza della procedura deliberativa parlamentare – connotata