II
La violazione da parte degli Stati delle norme istitutive degli obblighi erga omnes,
comporta la commissione di crimini internazionali.
Questi ultimi7, infatti, erano genericamente intesi, secondo l’art. 19 del Progetto di
articoli sulla responsabilità degli Stati del 1976, come “gravi violazioni, da parte
di uno Stato, di obblighi essenziali facenti capo alla Comunità internazionale”.
Tuttavia, vedremo come il Progetto, subendo numerosi cambiamenti nel corso
della sua formazione, testimonia, nella sua definitiva redazione del 2001, la
scomparsa sia della nozione di “crimini internazionali” come pure di quella di
“obblighi erga omnes”.
Dai crimini internazionali degli Stati si distinguono quelli imputabili agli
individui, i quali consistono in quelle attività individuali di rilevanza
internazionale, che costituiscono un attentato a quei valori che la generalità degli
Stati tutela con apposite norme interne o convenzioni internazionali.
Le norme sia generali che convenzionali che disciplinano tali crimini, danno
luogo ad una responsabilità propria delle persone fisiche che li commettono; si
tratta, quindi, di norme che direttamente si indirizzano agli individui, concorrendo
alla formazione della soggettività internazionale di questi ultimi. È dunque
affermato il principio della responsabilità penale individuale, in base al quale sono
gli individui in prima persona e in quanto tali ad essere sottoposti a processo, e
non nel loro ruolo in veste di funzionari dello Stato eventualmente ricoperto al
momento della commissione dei crimini8. Tale principio è stato affermato nel
corso del famoso processo di Norimberga che ha avuto luogo dopo la fine della
seconda guerra mondiale e ha visto come imputati i feroci criminali nazisti.
Dalla necessità degli Stati di cooperare sempre più strettamente nell’ambito della
giustizia penale e della repressione del crimine nasce dunque il diritto penale
internazionale, il quale costituisce il risultato della formazione di un’importante
classe di giudici e di pratici impegnati in corti internazionali e intenti a sviluppare
una giurisprudenza “sovranazionale” (cioè attinente non solo ai rapporti giuridici
interstatali ma coinvolgente dimensioni di sovranità ulteriori)9.
7
RAGAZZI, The Concept of International Obligations Erga Omnes, Oxford, 2001, p. 1 ss.
8
Sul principio della responsabilità penale individuale si veda il sito www.solidea.org.
9 DE STEFANI, Profili di diritto penale internazionale nella prospettiva dei diritti umani, Venezia,
2000, p. 25 ss.
III
Più precisamente, si è cercato di elaborare nel tempo un diritto penale
internazionale sostanziale, parallelamente al quale si è sviluppato il progetto di
creare una giurisdizione penale internazionale, le cui rudimentali fondamenta
furono appunto rappresentate verso la fine degli anni ’40, dal Patto di Londra,
istitutivo del Tribunale militare internazionale di Norimberga e dalla prassi dei
Tribunali di Norimberga e di Tokyo.
Inoltre, sono stati molteplici i tentativi di creare un Codice sui crimini contro la
pace e la sicurezza dell'umanità, nonché di istituire una Corte penale
internazionale permanente con piena autonomia giurisdizionale nella repressione
di tali crimina juris gentium, i quali fanno sorgere sia la responsabilità individuale
che quella dello Stato.
In particolare, un tentativo di repressione di tali crimini internazionali si è
realizzato pure attraverso l’istituzione di Tribunali ad hoc per l'ex Iugoslavia e
per il Ruanda, oltre che, soprattutto, dopo anni di discussioni e negoziati,
attraverso l'elaborazione nel 1998 del c.d. Statuto di Roma per la creazione di una
Corte penale internazionale permanente.
In base a quanto detto, il presente scritto, suddiviso in due parti, ha lo scopo di
rendere un quadro generale circa il mutamento del diritto internazionale rispetto
all’influenza esercitata dagli obblighi erga omnes e dalla commissione di crimini
internazionali.
Nella prima parte esso infatti tratterà la nascita e l’evoluzione di tali nozioni
considerando come la reciproca influenza tra obblighi erga omnes e obblighi
incombenti sugli Stati ai sensi della Carta ONU abbia prodotto sia delle aperture
del sistema dell’ONU a competenze estranee alla Carta (attraverso la
legittimazione di comportamenti degli Stati mediante le autorizzazioni all’uso
della forza); sia la possibilità che i comportamenti stessi vengano legittimamente
attuati “unilateralmente” dagli Stati, attraverso l’uso della forza militare.
Nella seconda parte, invece, ci si occuperà, in primo luogo, della responsabilità
internazionale degli Stati, della responsabilità penale internazionale degli
individui e della conseguente applicazione del diritto penale internazionale;
affrontando, inoltre, anche la questione della repressione dei crimini internazionali
e delle sanzioni ad essi applicabili, tenendo tuttavia ben presente che i primi non
IV
sono il prodotto di un organo legislativo ma «derivano dal sistema internazionale
attraverso convenzioni, consuetudini e principi generali»10. Ciò comporta che a
tali crimini è data esecuzione attraverso un sistema interno di giustizia penale
(inteso come ricezione dello Stato, nella propria legge interna, delle prescrizioni
internazionali e cooperazione degli Stati nell’indagare, procedere e giudicare gli
autori di reato); più raramente attraverso un sistema di esecuzione diretta
(mediante il quale lo Stato dà esecuzione ai propri provvedimenti senza ricorrere
alla mediazione dell’autorità degli altri Stati).
È chiara dunque la necessità di una piena e concreta attuazione di una
giurisdizione penale internazionale, pur sempre in concomitanza ad un processo
“simbiotico” di integrazione tra legislazione interna e legislazione nazionale al
fine di evitare una sorta di “stagnazione o deresponsabilizzazione” del legislatore
nazionale11.
10
BASSIOUNI, Le fonti e il contenuto del diritto penale internazionale, Milano, 1999, p. 3 ss.
11
Per quest’ultimo concetto si veda il sito www.diritto.it.
PARTE PRIMA
Disciplina dei crimini internazionali e degli obblighi erga omnes
1
Capitolo I – CRIMINI INTERNAZIONALI E OBBLIGHI ERGA OMNES
1. Norme di jus cogens e obblighi erga omnes
1.1. Le norme di jus cogens nella Convenzione di Vienna del 1969
Mentre negli ordinamenti statali esiste una gerarchia tra le fonti (intese come
procedimenti atti a creare norme giuridiche) e, di conseguenza, una gerarchia tra
le norme prodotte da tali fonti, caratteristica peculiare del diritto internazionale è
l’assenza di una gerarchia formale sia tra le fonti primarie, sia tra le fonti
secondarie12.
Più precisamente, le fonti in questione sono definite primarie quando esse sono
direttamente contemplate dalle norme fondamentali o di base dell’ordinamento
internazionale: è questo il caso delle consuetudini, dei trattati e degli atti
unilaterali degli Stati di natura normativa. Sono invece definite fonti secondarie
quelle previste da norme prodotte da una fonte primaria; ossia le norme poste
attraverso il procedimento consuetudinario e la stipulazione di trattati
internazionali: è questo il caso delle fonti previste da accordi e delle decisioni
giudiziarie emanate ex aequo et bono13.
Ebbene, fino alla seconda guerra mondiale queste norme, sotto il profilo della loro
forza giuridica, erano poste tutte sullo stesso piano e tra loro derogabili: sicché
una norma contenuta in un trattato poteva derogare ad una norma consuetudinaria,
e viceversa. Più precisamente, in caso di contrasto tra una norma consuetudinaria
e una convenzionale, era necessario applicare i principi generali tutt’ora regolanti
i rapporti tra norme di pari grado, ossia: quello temporale (la norma successiva
modifica o abroga la precedente) e quello di specialità (la norma speciale prevale
su quella a carattere generale; la norma successiva generale non modifica né
abroga la norma speciale precedente).
Questo stato di cose era giustificato sia dalla concezione positivistica del diritto
internazionale (in base alla quale le norme consuetudinarie e convenzionali
12
CASSESE, Diritto internazionale. I lineamenti, in GAETA (a cura di), Diritto internazionale,
Bologna, 2003, p. 234.
13
CASSESE, Diritto, cit., p. 217.
2
traevano origine da un atto di volontà degli Stati) sia dall’opinione comune
(tutt’ora vigente, in base alla quale le norme consuetudinarie sono flessibili e
pertanto derogabili mediante accordo)14.
Poiché norme primarie e secondarie sono dotate di diversa forza giuridica, in
passato la derogabilità tra norme internazionali operava soltanto nei rapporti tra
norme primarie (cioè quelle di origine consuetudinaria o convenzionale); non
invece relativamente ai rapporti tra norme appartenenti a categorie differenti
(come nel caso dei rapporti tra norme contenute nel trattato istituivo di
un’organizzazione internazionale e quelle derivanti da un atto vincolante di un
organo dell’organizzazione medesima).
Alla fine degli anni ’60, sotto la pressione dei Paesi socialisti e in via di sviluppo,
si è andata man mano affermando l’idea che alcune norme fondamentali
dovessero avere una posizione gerarchicamente superiore rispetto alle altre norme
internazionali e rendere nulli i trattati con esse contrastanti15. Si è così formato un
nucleo di norme di diritto internazionale generale eccezionalmente cogenti, non
negoziabili dagli Stati e incorporanti valori supremi dell’ordinamento giuridico
internazionale nel suo complesso. Le norme poste a tutela di questi valori
fondamentali costituiscono il cosiddetto jus cogens.
Tale concetto, letteralmente tradotto come “diritto che costringe”, si riferisce a
norme o principi imperativi ai quali non è consentito derogare, capaci pertanto di
determinare la nullità di un trattato o di un accordo tra Stati “sotto il profilo del
contrasto con taluno di quei principi o norme”16.
La prima consacrazione a livello internazionale delle norme di jus cogens si è
avuta nell’art. 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969, che
dispone: «È nullo qualsiasi trattato che, al momento della sua conclusione, è in
conflitto con una norma imperativa del diritto internazionale generale. Ai fini
della presente Convenzione, una norma imperativa del diritto internazionale
generale è una norma accettata e riconosciuta dalla Comunità internazionale degli
Stati nel suo complesso come norma alla quale non è consentita alcuna deroga e
14
CONFORTI, Diritto internazionale, Napoli, 2006, p. 164.
15
CASSESE, Diritto, cit., p. 233 ss.
16
BASSIOUNI, Le fonti, cit., p. 75.
3
che può essere modificata soltanto da un'altra norma del diritto internazionale
generale avente lo stesso carattere».
Trattasi di una definizione che ricalca esplicitamente un’affermazione di Dioniso
Anzilotti, secondo il quale: «norme cogenti sono quelle al cui valore obbligatorio
non è dato sottrarsi»17.
Le interpretazioni dell’articolo sopraccitato sono più o meno discordanti in
dottrina. Infatti, la dottrina maggioritaria (in questo senso: Conforti, Cassese e
Scovazzi) sostiene essere evidente che si tratti di un articolo che non brilla per
tecnica redazionale, innanzitutto perché si è di fronte ad una manifesta
“tautologia”: in sostanza si viene a sapere che “sono inderogabili le norme alle
quali non si può fare alcuna… deroga”18; in secondo luogo, come è stato messo in
evidenza da un Autorevole giurista argentino, E. Jéménez de Aréchaga, la
definizione di jus cogens di cui all’art. 53 della Convenzione di Vienna non coglie
a pieno l’essenza delle norme imperative, poiché essa fa riferimento agli effetti
giuridici della norma e non alla sua intrinseca natura. In particolare: «non è che
una regola è considerata di jus cogens, in quanto non può essere derogata;
piuttosto nessuna deroga è consentita perché la regola ha natura cogente»19.
Di tutt’altro parere è la dottrina minoritaria (in tal senso Ronzitti), la quale invece
sostiene che l’art. 53 della Convezione contiene una definizione di jus cogens
“niente affatto tautologica”; anzi, essa individua due criteri identificativi delle
norme imperative, condivisi tra l’altro unanimemente dalla dottrina.
Il primo criterio è la generalità, nel senso che una norma, per poter essere
qualificata come imperativa, deve appartenere alla categoria delle norme del
diritto internazionale generale, che vincolano tutti i membri della Comunità
internazionale e, poiché l’unica fonte idonea a produrre norme generali è la
consuetudine, ne consegue che le norme di jus cogens sono necessariamente
norme di fonte consuetudinaria20. (Va tuttavia sottolineato che lo jus scriptum sta
acquistando crescente rilievo in funzione della individuazione di norme
17
ANZILOTTI, Corso di diritto internazionale, Padova, 1955, p. 90.
18
SCOVAZZI, Corso di diritto internazionale, parte II, Milano, 2006, p. 93.
19
CASSESE, Diritto, cit., p. 236.
20
RONZITTI, Introduzione al diritto internazionale,Torino, 2004, p. 131 ss.
4
internazionali generali, in seguito soprattutto al moltiplicarsi di fenomeni di
“codificazione” della materia)21.
Il secondo criterio è l’accettazione e il riconoscimento, quale norma inderogabile
da parte della Comunità internazionale nel suo insieme. È, in altri termini,
necessario che gli Stati più importanti e rappresentativi delle varie aree del mondo
nutrano la “convinzione della natura inderogabile della norma”. In breve, le norme
imperative sono norme di diritto internazionale generale sorrette da una
particolare opinio iuris della Comunità internazionale nel suo insieme, tanto che
gli Stati sono convinti non solo dell’universale applicabilità della norma, ma
anche della sua inderogabilità.
Al di là delle interpretazioni dottrinali, la Commissione di Diritto Internazionale
ha dato giustificazione alla “lacunosità” della formula redazionale dell’art. 53
della Convenzione, adducendo che, l’identificazione concreta delle regole di
diritto cogente in un testo normativo avrebbe potuto costituire “una griglia
scritta”, di ostacolo all’evoluzione del diritto internazionale nella materia22.
È da precisare che, oltre all’art. 53, la Convenzione di Vienna contempla altri
articoli inerenti alle norme di jus cogens. Tra queste, ricordiamo la norma
riportata nell’art. 64, inerente alle cause di estinzione dei trattati e in base al quale,
in caso di sopravvenienza di una nuova norma imperativa di diritto internazionale
generale, qualsiasi trattato esistente che sia in conflitto con essa, è nullo e si
estingue.
Importante è pure l’art. 66, inerente alle procedure di regolamento giudiziario, di
arbitrato e di conciliazione, che attribuisce alla Corte internazionale di giustizia la
giurisdizione obbligatoria in materia di controversie inerenti alla nullità dei trattati
per contrasto con le norme di jus cogens. Tale disposizione fu giustificata dal fatto
che, non esistendo un criterio univoco e certo per stabilire se delle norme generali
fossero o meno di jus cogens, si doveva accertare la loro esistenza esaminando
ogni singola fattispecie concreta23.
21
PICONE, Obblighi reciproci ed obblighi erga omnes degli Stati nel campo della protezione
internazionale dell’ambiente marino dall’inquinamento, in PICONE (a cura di), Comunità, cit., p.
11.
22
TANZI, Introduzione al diritto internazionale contemporaneo, Padova, 2003, p. 148.
23
CASSESE, Diritto, cit., p. 237.
5
In base quanto detto finora, possiamo concludere con la constatazione che l’unico
criterio certo, capace di qualificare una norma generale come norma imperativa o,
appunto, di jus cogens, è quello dell’accettazione e del riconoscimento della
norma in tal senso, da parte della Comunità internazionale “nel suo complesso”;
precisando però che con tale espressione, la Commissione di Diritto
Internazionale non ha voluto intendere l’unanimità o totalità degli Stati; piuttosto
essa si e è voluta riferire ai componenti essenziali della medesima24.
Si evita così il pericolo che la causa di invalidità dei trattati espressa dall’art. 53
possa essere invocata con eccessiva larghezza, essendo richiesto un
convincimento, circa il carattere imperativo della norma, da parte di un insieme
preponderante non solo in senso numerico ma anche sostanziale dei membri della
Comunità internazionale25.
1.2. Individuazione ed effetti delle norme di jus cogens
Rispetto alla Convenzione di Vienna è stata fatta molta strada, sino ad arrivare al
riconoscimento dell’esistenza di un insieme di norme di natura inderogabile e di
efficacia giuridica gerarchicamente superiore a tutte le altre.
Conforti ritiene che, un criterio capace di rendere omogeneo il gruppo di norme
appartenenti allo jus cogens potrebbe essere individuato per mezzo dell’art. 103
della Carta delle Nazioni Unite, in base al quale: «In caso di contrasto tra gli
obblighi contratti dai Membri delle Nazioni Unite con il presente Statuto e gli
obblighi da essi assunti in base a qualsiasi altro accordo internazionale,
prevarranno gli obblighi derivanti dal presente Statuto».
Ritenendo che, nella prassi internazionale, gli Stati non metterebbero mai in
dubbio l’intangibilità e la superiorità dei principi contenuti nella Carta delle NU,
Conforti deduce che la regola della prevalenza degli obblighi da questa derivanti
sugli altri obblighi internazionali, finirebbe con l’apparire non più semplice
disposizione pattizia, quale è quella contenuta nell’art. 103, bensì norma
24
Tale ultima affermazione è reperibile sul sito www.acader.unc.edu.ar.
25
SCOVAZZI, Corso di diritto, cit., p. 93.
6
consuetudinaria cogente, cui proprio lo stesso art. 103 avrebbe dato la spinta
iniziale.
La riprova di siffatta consuetudine, che attribuisce carattere cogente ai principi
della Carta, sarebbe fornita dall’art. 30 della Convenzione di Vienna sul diritto dei
trattati che, nel codificare la regola per cui le norme successive abrogano le
anteriori, fa espressa riserva dell’art. 103.
Secondo Conforti, le norme della Carta che potrebbero farsi rientrare nella sfera di
applicazione dell’art. 103 e dalle quali discenderebbero veri e propri obblighi per
gli Stati, si individuerebbero soprattutto in principi generali aventi ormai carattere
consuetudinario. Egli in particolare si riferisce ai seguenti obblighi: rispetto della
dignità umana (art. 1, par. 3 e art. 55); principio di autodeterminazione dei popoli;
obbligo che impone agli Stati di astenersi dalla minaccia o dall’uso della forza nei
rapporti internazionali (art. 2, n. 4 della Carta), salva l’autotutela individuale e
collettiva; collaborazione in capo economico e sociale (art. 56).
Tuttavia, Conforti sostiene pure che, restando nell’ambito di principi così
generali, le applicazioni dell’art. 103 sarebbero scarse, essendo molto poco
probabile la formazione di accordi aventi palese carattere aggressivo rispetto ai
suddetti obblighi. Dunque, solo se dai principi generali si scendesse a norme che
disciplinassero fattispecie più circoscritte e dettagliate, sarebbe possibile dare un
senso di concretezza all’art. 103. Pertanto, gli obblighi rispetto ai quali la
preminenza di tale articolo sembrerebbe maggiormente suscettibile di applicazioni
sarebbero solo quelli connessi al potere di decisione del Consiglio di Sicurezza,
previsto dal cap. VII della Carta, e in particolare al potere di decidere misure non
implicanti l’uso della forza26.
Un’ulteriore individuazione delle norme cogenti, è rinvenibile nel testo
dell’originario art. 19 del Progetto di articoli sulla responsabilità internazionale
degli Stati (come adottato nella prima lettura dalla CDI nel 1996), oggi eliminato.
Esso faceva riferimento ad alcune norme «così essenziali per la protezione di
interessi fondamentali della Comunità internazionale, che la loro violazione è
riconosciuta come un crimine da tale comunità nel suo insieme».
26
CONFORTI, Diritto , cit., p. 166 ss.
7
Possono pertanto essere considerate norme di jus cogens: quelle che pongono il
divieto di aggressione; quelle che vietano l’istituzione o il mantenimento con la
forza di una dominazione coloniale; quelle che vietano la schiavitù, il genocidio e
l’apartheid; e infine quelle che vietano l’inquinamento massiccio dell’atmosfera o
dei mari27.
Il concetto di norme generali imperative ha inoltre ricevuto varie conferme anche
nella pratica internazionale. Tale dato è evidente soprattutto per quanto riguarda:
la norma generale che vieta l’uso o la minaccia della forza nelle relazioni tra Stati
(il cui carattere inderogabile è confermato, ad esempio, dalla sentenza della CIG
del 1986 sulla controversia tra Nicaragua e Stati Uniti); e le norme generali poste
a tutela di fondamentali diritti dell’uomo (la cui inderogabilità è rinvenibile, ad
esempio, nella sentenza del Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia
del 1998 nel caso Furundzija)28.
Nel Progetto di articoli sulla responsabilità internazionale degli Stati adottato dalla
CDI nel 2001 in forma di raccomandazione agli Stati, troviamo il logico sviluppo
del concetto di diritto imperativo elaborato nell’ambito del diritto dei trattati.
Infatti l’art. 26 sulla conformità degli Stati alle norme imperative, dispone che
nessuna delle cause escludenti l’illiceità di un determinato comportamento in
violazione di regole internazionali può operare a giustificazione della violazione
di una norma di diritto cogente.
Nel commento29 a questa disposizione, la CDI si è riferita al concetto di diritto
cogente secondo la redazione di cui all’art. 53 della Convenzione di Vienna
sostenendo: «Sino ad oggi, relativamente poche norme sono state riconosciute di
jus cogens. Ma vari tribunali sia nazionali sia internazionali hanno affermato
l’idea di norme imperative al di là del contesto del diritto dei trattati. Le norme
imperative chiaramente accettate e riconosciute come tali, comprendono il divieto:
dell’aggressione, del genocidio, della schiavitù, della discriminazione razziale, dei
crimini contro l’umanità e della tortura e il diritto all’autodeterminazione (…)».
27
CASSESE, Diritto, cit., p. 238.
28
SCOVAZZI, Corso di diritto, cit., p. 95.
29
Il commento all’art. 26 è contenuto nel “Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati per
atti illeciti internazionali con commenti” del 2001, adottato dalla CDI nel corso della sua 53-esima
sessione. Il Progetto commentato è reperibile sul sito: http://untreaty.un.org.
8
Sebbene l’art. 53 della Convenzione potrebbe apparire come un deterrente
rispetto alla stipulazione di accordi in conflitto con regole di diritto imperativo, la
debolezza di tale causa d’invalidità dei trattati non attiene tanto alla formula
redazionale dell’art. 53, quanto ai limiti relativi all’ammissibilità del suo
accertamento giudiziale30. Infatti, le disposizioni della Convenzione di Vienna
sullo jus cogens possono essere invocate soltanto da uno Stato che sia al
contempo parte della Convenzione medesima e parte di un trattato bilaterale o
multilaterale di cui si sostiene la contrarietà ad una norma imperativa.
Pertanto, uno Stato terzo alla Convenzione, oppure uno Stato che non sia parte al
trattato bilaterale o multilaterale in questione, non può invece invocare
l’applicazione dell’art. 53 o dell’art. 64 della Convenzione. Di conseguenza, le
norme e i principi in questione hanno una rilevanza solo potenziale e non possono
dispiegare tutti i loro effetti nei rapporti internazionali.
Tuttavia, parte della dottrina (in tal senso Cassese) sostiene che tali limiti iniziali
delle disposizioni della Convenzione in materia di jus cogens sarebbero oggi in
gran parte attenuati grazie all’operare di due fattori.
In primo luogo, il diritto consuetudinario consentirebbe anche agli Stati che non
sono parti di un trattato di invocare la nullità per contrasto con una norma
imperativa. Ciò sarebbe dovuto alla circostanza in base alla quale le norme
consuetudinarie corrispondenti alle disposizioni della Convenzione di Vienna in
materia di nullità, riguarderebbero un’area di valori che la Comunità
internazionale considera meritevole di una tutela particolare.
In secondo luogo, si sarebbe progressivamente formata una norma
consuetudinaria sullo jus cogens corrispondente all’art. 53 della Convenzione di
Vienna, comprovata da numerose manifestazioni della prassi. In particolare, il
raggiungimento di un ampio consenso in merito all’esistenza di norme imperative
di diritto internazionale si desumerebbe non soltanto dall’adozione nel testo della
Convenzione degli articoli 53, 64 e 66, ma anche dalla giurisprudenza interna di
alcuni Paesi che ha espressamente dichiarato la natura cogente di talune norme
30
TANZI, Introduzione, cit. p. 152 ss.
9
internazionali, nonché l’affermazione dell’esistenza dello jus cogens da parte dei
tribunali internazionali 31.
Altra parte della dottrina (in tal senso Picone) sostiene invece che vi sono
numerosi elementi che inducono a ritenere che, le norme internazionali di jus
cogens, se da un lato tutelano per definizione valori inderogabili dalla volontà
degli Stati, dall’altro esse possono limitarsi a tutelare i medesimi nei soli rapporti
“reciproci” degli Stati. Tra gli elementi più significativi possono menzionarsi: la
storia stessa della categoria delle norme internazionali di jus cogens (che ha avuto
notoriamente inizio in un momento anteriore a quello in cui si è registrato
l’affermarsi di un’altra categoria di norme internazionali: quelle istitutive di
obblighi erga omnes); il fatto che le norme di jus cogens si siano originariamente
affermate al fine di porre dei limiti alla libertà contrattuale degli Stati; l’esistenza
di alcuni elementi di carattere strettamente positivo (per quanto concerne
l’invalidità dei trattati contrastanti con norme imperative), quali quelli ricavabili
dal regime normativo previsto dalle disposizioni della Convenzione di Vienna sul
diritto dei trattati.
Pertanto, questa parte della dottrina sostiene che non può essere affatto accolta la
proposta di quanti ritengono che la contrarietà dei trattati a norme inderogabili
possa esser fatta valere sia dagli Stati contraenti il trattato viziato, che da qualsiasi
altro Stato parte della Convenzione.
In verità, malgrado i tentativi da parte dell’intera dottrina di precisare il contenuto
delle norme internazionali generali che vadano ritenute di jus cogens, la categoria
possiede ancora dei contorni assai imprecisi; forse anche come conseguenza del
fatto che, come già precedentemente osservato, la stessa definizione tautologica
accolta dall’art. 53 della Convenzione di Vienna, sembra consigliare un tipo di
indagine da effettuare “caso per caso”.
Possiamo pertanto concludere, affermando che la categoria delle norme
internazionali imperative o di jus cogens non è omogenea ed unitaria, ma contiene
sia norme inderogabili che pongono obblighi meramente “reciproci” in capo agli
31
CASSESE, Diritto, cit., p. 240 ss.