4
utili per quella parte dei propri membri che persegue un carriera di questo
tipo.
Vista la scarsità di studi in Italia su questo tema, l’obiettivo primario era
quello di offrire una panoramica generale e completa di questo fenomeno.
Più nello specifico ho deciso innanzi tutto di analizzare le cause e i motivi
che hanno portato all’emergere di questo fenomeno, sconosciuto in epoca
fordista, e di individuare le variabili personali e di macrosistema che
favoriscono o inibiscono il perseguimento di questo modello di carriera.
Quindi ho deciso di analizzare come gli elementi fondamentali in una
carriera, quali le relazioni sociali, l’apprendimento, la fedeltà aziendale e la
sicurezza, sono variati in questo nuovo contesto, individuando spesso un
doppio legame: da una parte sono le carriere senza confini che generano
apprendimento e capitale sociale di un determinato tipo, ma dall’altra parte
un bagaglio di conoscenze e competenze versatile e un capitale sociale
ampio e forte sono indispensabili per perseguire una carriera secondo
questo modello.
L’approccio adottato per studiare queste tematiche è di natura
multidisciplinare: la sociologia dell’organizzazione, la psicologia
dell’organizzazione e l’economia aziendale sono stati strumenti utili per
analizzare questa tematica. Il focus si è quindi mantenuto sempre a livello
organizzativo e di comportamento organizzativo, utilizzando, nei vari
momenti, prospettive diverse che mi permettevano di individuare e
analizzare aspetti diversi di questo fenomeno.
Per l’analisi empirica ho deciso di intervistare quattro professionisti che
hanno costruito la propria carriera secondo il modello delle carriere senza
confini. Questo mi ha permesso di toccare i vari punti critici evidenziati
dall’analisi teorica e di approfondire le motivazione che hanno indotto
queste persone ad impostare il proprio percorso professionale secondo
questo modello. Le interviste complete sono disponibili alla fine della
relazione, mentre nei vari capitoli troverete riflessioni e citazioni tratte da
esse.
5
Da questa ricerca è emersa la forte rilevanza che il capitale sociale e
l’apprendimento hanno sulla possibilità di costruire un percorso di carriera di
successo. Questi sono i due principali elementi che garantiscono la libertà di
muoversi sul mercato e che permettono alla persona di non fallire nel
proprio percorso.
L’altro elemento che è emerso prepotentemente dalle interviste è la
necessità psicologica di rimettersi in gioco e di cambiare contesto per
mantenere vivo l’interesse e l’apprendimento. L’immagine, un po’ passiva,
che emergeva da tante trattazioni teoriche era quella di lavoratori costretti
a cambiare azienda per l’impossibilità di perseguire una carriera
organizzativa all’interno di una singola azienda. In poche parole la carriera
senza confini si configurava come una seconda scelta determinata
dall’impossibilità di perseguire la “ottimale” carriera organizzativa. Questa
immagine è stata sfatata dalle intervista in cui si vede come persone, che
stanno anche salendo i livelli gerarchici della piramide organizzativa,
preferiscano abbandonare la carriera organizzativa per perseguire una
carriera senza confini che ritengono più stimolante.
Le implicazioni di queste scoperte possono essere sia culturali che
gestionali. Il cambiamento culturale sta nel fatto che bisogna abbandonare
la visione secondo cui una persona cambia azienda perché non sa stare
dentro ad un’organizzazione, in favore di una visione per cui la persona
cambia azienda perché è capace di strare dentro al mercato. Ancora oggi
questi percorsi di carriera vengono spesso guardati in maniera negativa,
senza dargli la dignità pari a quella riservata ad una carriera organizzativa.
Il cambiamento a livello gestionale sta nel fatto che le aziende devono
imparare a relazionarsi con questo fenomeno e con le esigenze di questi
lavoratori che decidono di lavorare solo temporaneamente per
quell’organizzazione.
L’analisi dei motivi che portano un lavoratore ad abbandonare un’azienda,
può essere la base su cui l’azienda stessa sviluppa strumenti per indurre i
talenti a restare con lei.
6
Un esempio di questo tipo di gestione ci viene da Mario R., uno degli
intervistati:
“Oggi il sistema gestionale più moderno si chiama project management ed è il modo con cui
tu non fai abitudine. L’azienda tiene i manager di un certo livello perché, più che tenerli
gerarchicamente, li tiene funzionalmente e gli dice. “Tu fai questo progetto, poi quando il
progetto finisce ti diamo qualcos’altro”. Questo mantiene vitalità, curiosità, vivacità, gioventù
indipendentemente dall’età. Se tu gli dai questo, allora la persona si sente automaticamente
legata all’azienda, perché comunque l’azienda gli dà contesti, non uno, ma più contesti di
progetto.”
7
DALLE CARRIERE ORGANIZZATIVE
ALLE CARRIERE SENZA CONFINI
In latino il termine utilizzato per indicare la carriera, soprattutto quella
politica, era cursus (Castiglioni e Mariotti, 1981), che era anche usato per
riferirsi a viaggio, percorso, flusso, andatura rapida e corsa. Questa affinità
di significati ci fa comprendere che la carriera fosse vista come un percorso
affrontato a notevole velocità.
Se si chiede ad una persona di definire il termine “carriera”, questa adotterà
una definizione il cui senso è vicino a quello di “successione di posizioni
ordinate secondo una precisa gerarchia di prestigio, attraverso la quale una
persona si muove in una sequenza ordinata” (Wilensky, 1961) oppure
“sistemazione lavorativa raggiunta attraverso la coordinazione verticale,
soprattutto in grosse e stabili imprese” (Arthur e Rousseau, 1996) oppure
“relazione caratterizzata da una dipendenza di lungo periodo con un singolo
datore, che comprende vari movimenti attraverso una serie di lavori
interconnessi, e sempre più prestigiosi e ricchi di potere, all’interno di una
gerarchia” (Tolbert, 1996) oppure “processo continuo di ascesa verso
posizioni di crescente autorità e responsabilità” (Brousseau, Driver, Eneroth,
Larsson, 1998).
Nonostante queste siano possibili definizioni solo di un determinato tipo di
carriera, per molte persone rappresentano “la” carriera, perché legate
all’idealtipo dell’organizzazione burocratica (Tolbert, 1996) e perché quello a
cui ci si riferisce è stato il modello dominante per molti anni, un modello
caratterizzato dalla presenza di un’unica impresa, dalla crescita gerarchica e
dalla sicurezza del posto di lavoro. Attualmente questo non è più l’unico
modello di carriera, ma solo uno dei possibili modelli e quindi, quando si
parla di carriera, si crea la necessità di specificare di quale modello si sta
parlando. Per cui “la” carriera assume il nome di carriera organizzativa o di
carriera bounded, che in inglese significa carriera confinata, o più
pessimisticamente limitata.
8
Nel 1976 Hall inizia a parlare di Protean career, dal nome della divinità
greca Proteo, che cambiava le proprie sembianze a suo piacimento, per
indicare quelle carriere che si sviluppano movendosi fra più organizzazioni.
Da qui è nato il filone di studio delle boundaryless careers, carriere senza
confini o senza limiti, che, secondo la definizione classica, sono date dalla
“sequenza dinamica delle esperienze lavorative di un individuo nel tempo”
(Arthur, Hall e Lawrence, 1989). Infatti “senza limiti” non significa “senza
modelli” (Tolbert, 1996) e questa caratteristica rende questo fenomeno
studiabile.
In un primo momento, possiamo definire questi due diversi modelli di
carriera per opposizione, infatti col passaggio dalle carriere organizzative a
quelle senza confini, si passa dall’organizzazione come dato di fatto al
continuo organizzare, dalle grandi divisioni ai piccoli progetti, dalla reazione
passiva all’azione attiva, dal permanente al momentaneo, dal controllo
gerarchico e burocratico al disegno autonomo della propria carriera, dalla
lotta per la discontinuità alla lotta per continuità (Weick, 1996), dalla lealtà
organizzativa alla lealtà professionale, dalle ricompense estrinseche alle
soddisfazioni intrinseche, dall’affidamento all’impresa all’affidamento a sé
stessi (Sullivan e Emerson, 2000), dalla permanenza in un’azienda al
movimento fra varie aziende, dalla validazione del datore di lavoro alla
validazione di mercato, dalla carriera gerarchica al network interaziendale di
informazioni (Jones, 1996) e dalle carriere solo per i manager alle carriere
per tutti (Arthur e Rousseau, 1996).
La difficoltà nell’affrontare lo studio delle carriere senza confini è data dal
fatto che ad un medesimo termine corrispondono concezioni e forme di
carriera anche fortemente diverse fra loro e questo crea problemi di
focalizzazione del target di studio.
Ad esempio Best e Forrant sviluppano il loro studio sulla regione
metalmeccanica del Massachusetts occidentale (1996) facendo riferimento
ad un’idea di “carriera basata sulla comunità, nella quale i membri di una
comunità industriale possono lavorare per tutta la vita in un network di
piccole-medie imprese in una determinata regione geografica”. In questo
9
caso si abbandona il confine organizzativo, per utilizzare, come dimensione
di riferimento, il confine geografico e settoriale di un determinato distretto
industriale. Studi di questo tipo sono quello di Saxenien (1996) sulla regione
della Silicon Valley, di Jones (1996) sull’industria cinematografica americana
e di Bagdadli (2003) sul mercato italiano della New Economy. Vari autori
hanno evidenziato l’interesse che potrebbero avere studi in Italia sui vari
distretti industriali esistenti al Nord (Best e Forrant, 1996) e sul mondo della
moda (Jones, 1996).
Altri autori ricollegano il fenomeno delle carriere senza confini ai lavoratori
che hanno contratti a tempo determinato ed interinale e che quindi sono
contrattualmente vincolati all’azienda solo per un limitato periodo di tempo
(Tolbert, 1996; Robinson e Miner, 1996). Questa concezione si ricollega più
facilmente alle discussioni attualmente in atto sulla flessibilità, ma paiono
più legate ad una flessibilità subita che ad una flessibilità cercata come può
essere quella di un professionista che vuole gestire autonomamente la
propria carriera.
Raider e Burt (1996) nella loro argomentazione ammettono la possibilità sia
di carriere senza confini volontarie che involontarie. Quelle volontarie sono
l’esito del calcolo di opportunità fatto dalla persona che preferisce spostarsi
verso altre organizzazioni in vista di un maggior compenso economico o di
un più veloce avanzamento. Lo strumento che rende possibile tutto ciò è la
rete delle relazioni sociali che supera i confini aziendali. Le carriere senza
confini di carattere involontario sono invece l’esito di processi di downsizing,
ristrutturazioni e licenziamenti e difficilmente riescono a giungere al
successo, perché la persona, che per sua volontà perseguirebbe una
carriera organizzativa, ha reti sociali limitate ai confini aziendali. Però una
ricerca condotta su 1592 lavoratori americani, evidenzia come la proattività,
la forte motivazione e la determinazione siano tre caratteristiche
fondamentali per muoversi all’interno di percorsi di carriera non tradizionali
(Zaleska, Gratton e de Menezes, 2002) e questo ci fa comprendere come la
carriera senza confini non possa essere un destino subito, ma solo un
percorso scelto.
10
Ellig e Thatchenkery (1996) parlano di carriere senza confini anche nel caso
in cui la carriera si sviluppa in una singola organizzazione, ma seguendo
percorsi non prevedibili e soprattutto sviluppando nuove competenze. Essi
portano l’esempio di un medico a cui è stato chiesto di sostituire
l’amministratore dell’ospedale, in questo modo il medico ha accantonato le
proprie competenze legate alla pratica medica e ha sviluppato nuove
competenze come amministratore. Portano inoltre l’esempio di un ingegnere
in un’industria automobilistica che ha completamente abbandonato la
crescita verticale in favore di una crescita multidirezionale, movendosi dalla
progettazione verso la finanza e poi il marketing. In poche parole, i confini
che vengono a cadere non sono quelli interorganizzativi, ma quelli
intraorganizzativi, permettendo ai lavoratori di sviluppare la propria carriera
non tanto in base a criteri di promozione esterna, quanto di aspirazione ed
abilità personale. Questa accezione mi sembra però un po’ troppo vicina al
concetto di carriera organizzativa e forse più adatta ad essere considerata
coma una variante di questa che della carriera senza confini.
Una volta percorso l’ampio mondo delle carriere senza confini, è arrivato il
momento di analizzarle più nel profondo attraverso le definizioni articolate
che ci sono state fornite da alcuni studiosi.
Bird (1996) definisce la carriera come “accumulazione di informazioni e di
conoscenza incorporate in skills, sapere e reti di relazioni che si
acquisiscono attraverso una sequenza di esperienze di lavoro lungo un
periodo di tempo”. Nonostante le esperienze di lavoro costituiscano il
meccanismo primario attraverso il quale si realizza una carriera, esse non
rappresentano da sole la carriera; la natura e la qualità della carriera sono
definite, in verità, dalle informazioni e dalle conoscenze che si sono
accumulate. Per meglio comprendere la relazione fra esperienze di lavoro e
conoscenza all’interno del concetto di carriera, Bird differenzia l’aspetto
sintattico da quello semantico del termine carriera. L’aspetto sintattico della
carriera è dato dalla sua struttura che si manifesta attraverso la sequenza di
esperienze di lavoro e assume un aspetto universale, lontano dallo specifico
contesto.
11
Tutte le carriere infatti hanno alcune caratteristiche, quali il tempo passato
in una specifica posizione, che possono essere interpretate senza riferirsi
all’ambito di appartenenza del soggetto. All’opposto, l’aspetto semantico
riguarda il contenuto e il significato delle esperienze di lavoro ed è quindi
strettamente connesso al contesto di azione. Il contenuto e il significato
dipendono da ciò che la persona ha appreso dalle proprie esperienze di
lavoro ed è ciò che differenzia carriere apparentemente e sintatticamente
identiche. Bird pone quindi l’accetto della sua riflessione sulle carriere senza
confini sulla conoscenza, tanto da dire che le carriere sono depositi di
conoscenza.
De Filippi e Arthur (1996) affrontano lo studio delle carriere senza confini
partendo dalla loro visione dell’azienda basata sulle competenze. Le tre
competenze principali che essi individuano sono: knowing-why che sono le
competenze che riguardano le motivazioni, il significato personale e
l’identificazione; knowing-how che sono le skills e le conoscenze rilevanti
per la carriera e knowing-whom che riflette la crescita di network rilevanti
per la carriera e il contributo del lavoratore alla comunicazione
interaziendale. Basandosi su queste competenze i due autori individuano
due profili diversi per i lavoratori che perseguono una carriera organizzativa
e lavoratori che ne perseguono una senza confini (fig. 1).
modello di carriera
competenza organizzativa senza confini
knowing-why
identità dipendente dal datore indipendente dal datore
knowing-how
rispetto
al contesto specializzata flessibile
knowing-whom
locus intraziendale interaziendale
struttura gerarchica non gerarchica
processo prescritto emergente
Figura 1: profilo di competenze per la carriera organizzativa vs. senza confini.
12
Nella carriera organizzativa l’identità di carriera è basata sul contesto
lavorativo, l’accumulazione di conoscenza è specificatamente legata
all’impresa e i network si sviluppano in un’ottica intraziendale, gerarchica e
di prescrizione da parte dell’azienda. Nella carriera senza confini l’identità si
sviluppa indipendentemente dal contesto lavorativo, il knowing-how
accumulato è flessibile e il network si sviluppa in maniera interaziendale,
indipendente dalla gerarchia e secondo il volere del lavoratore .
Se si verifica un’asimmetria fra le competenze richieste da un determinato
modello di carriera e le competenze sviluppate, allora può risultare
compromesso il successo lavorativo; questo rischio è presente soprattutto
quando una persona persegue una carriera senza confini, ma per cultura e
abitudine è portato a sviluppare competenze utili per una carriera
organizzativa.
De Filippi e Arthur (1996) individuano alcuni valori che nel nuovo contesto
armonizzano fra loro le esigenze dell’azienda e dei lavoratori e che
riguardano rispettivamente la cultura aziendale e il knowing-who
individuale. Questi valori sono:
• La volontarietà, perché le scelte più efficaci sono quelle prese
liberamente senza costrizione gerarchiche e burocratiche e perché
solo in questo modo si sviluppano e si utilizzano pienamente le
competenze del lavoratore e dell’azienda. In quest’ottica le aziende
possono stabilire missioni e guide per lo sviluppo di progetti, mentre i
lavoratori possono scegliere ambienti di lavoro e progetti che
stimolano la loro personalità e le loro aspirazioni. Il rapporto di lavoro
dura solo fino a quando c’è un reciproco interesse a mantenerlo;
• La disciplina del mercato che bilancia la libertà dalla burocrazia e che
permette di valutare la performance in termini di risultati di mercato.
L’azienda deve cercare quelle competenze che danno vantaggio
competitivo e allo stesso tempo il lavoratore deve dimostrare di
essere competente sia nell’impresa che nel mercato;
• L’influenza che le possibili applicazioni legate al nuovo mercato
hanno sulle competenze e che le portano al di là delle applicazioni
13
originarie. Per sfruttare pienamente queste nuove opportunità le
imprese e i lavoratori devono coltivare network esterni multi-aziendali
che forniscono contatti e fonti di informazione;
• La collaborazione che permette di andare oltre le competenze dei
propri dipendenti e che permette di ottenere quello che in passato si
otteneva tramite lo sviluppo di competenze in un’ottica gerarchica;
• L’elasticità che è la capacità che permette di superare velocemente le
cose datate e di riprendersi in fretta dalle delusioni. A causa dei
continui cambiamenti tecnologici e di mercato, le competenze
acquisite possono perdere velocemente il proprio valore e quindi le
persone devono valutare autonomamente il proprio potenziale di
competenze rispetto al mercato e adeguarsi rispetto a trend
tecnologici e di mercato.
Ellig e Thatchenkery (1996) affrontano lo studio delle carriere senza confini
partendo dall’esperienza dell’economia austriaca; tale scuola di pensiero
cerca di comprendere l’economia partendo dalle percezioni dell’individuo che
sono alla base delle sue intenzioni e dei suoi obiettivi. Per i due autori
austriaci, le carriere senza confini sono “soggettivamente definite dalla
persona che continuamente scopre nuove opportunità di sviluppo e di
utilizzo delle proprie abilità”. I due concetti alla base dello studio di questo
fenomeno sono quindi il soggettivismo e la scoperta.
Per quanto riguarda il soggettivismo, possiamo affermare che per
comprendere le scelte di carriere delle persone, dobbiamo innanzitutto
comprendere come le persone percepiscono le varie opportunità che gli si
presentano. Ma il soggettivismo si mostra più radicalmente nel fatto che
ogni persona definisce autonomamente la propria carriera e nel fatto che la
carriera sia uno degli strumenti mentali che la persona utilizza per
organizzare e dare senso ad una sequenza di esperienze di lavoro. In poche
parole, il senso soggettivo ha occupato il posto delle strutture formali nel
definire le carriere.
L
14
a scoperta richiede l’abilità di immaginare il mondo e sé stessi in un modo
diverso da come attualmente sono. Le persone creano sé stesse nella
misura in cui cercano nuove vie per usare le proprie abilità e svilupparne di
nuove e quando individuano nuove opportunità, possono rivalutare ciò che
vogliono dal proprio futuro e quindi maturare le decisioni che riguardano la
propria carriera. La carriera, infatti, è data dalla contemporanea
interpretazione delle esperienze del proprio passato e della visione attuale
di ciò che si desidera per il proprio futuro. Soggettivismo e scoperta fanno sì
che la carriera sia una scoperta lungo la vita che non può essere pianificata
in anticipo.
Il passaggio dalla carriera organizzativa a quella senza confini, secondo Ellig
e Thatchenkery, ha portato ad alcuni cambiamenti. Innanzitutto, il
riconoscimento della carriera e di ciò che può essere definito come una
buona carriera, non viene più dall’esterno, ma dal senso soggettivo della
persona. Inoltre si ha un passaggio dalle competenze universalistiche, che
permettono l’immediata identificazione da parte di tutti della carriera e del
lavoro svolto, alle competenze eterogenee e specifiche, la cui acquisizione
non può essere pianificata anticipatamente, ma che è legata alla percezione
di bisogno.
Il passaggio dall’orientamento al compito all’orientamento all’obiettivo, ha
favorito l’affermarsi della definizione soggettiva della carriera, indipendente
dalla valutazione basata su categorie esterne. Infine, il principale
cambiamento è dato dalla caduta dell’avanzamento verticale in favore di
una crescita multidirezionale che permette alla persona di stabilire
autonomamente quale sia la migliore opportunità di crescita professionale.
In questa eterogeneità di definizioni e di estensioni del concetto delle
carriere senza confini, ho individuato, nella definizione data da Baker e
Aldrich (1996), quella che meglio poteva indirizzarmi nell’individuazione del
mio target di ricerca, grazie alla sua precisione e contemporanea
esaustività. Baker ed Aldrich vedono i processi di carriera come l’interazione
fra persone che si riferiscono alla loro abilità di fare scelte e influenzare le
proprie vite, cambiando le strutture di costrizione e d’opportunità.
15
Essi ritengono che esistano tre dimensioni lungo le quali classificare i vari
modelli di carriera: il numero di impieghi, l’estensione dell’accumulazione
della conoscenza e il ruolo dell’identità personale nella costruzione della
propria carriera.
Le carriere senza confini, nello specifico, sono quelle caratterizzate dalla
presenza di più impieghi, compreso l’auto-impiego, da elevata
accumulazione di conoscenza e da importante ruolo dell’identità. La
conoscenza si sviluppa in maniera cumulativa, ma perché si abbia una
carriera senza confini, è importante che questa sia trasferibile a diverse
realtà aziendali, altrimenti l’individuo resta intrappolato in una singola
organizzazione. Il ruolo dell’identità è duplice: da una parte è l’identità
personale a strutturare la storia di carriera, dall’altra sono le esperienze di
lavoro a strutturare l’identità personale. L’identità si basa sulle nozioni
d’autenticità e self-efficacy: l’autenticità è data dall’identità centrale che
rappresenta l’elemento comune fra multiple e facilmente cambiabili sub-
identità, mentre la self-efficay è data dalla percezione e dall’esperienza di sé
stessi come l’agente causale di un ambiente.
Altre caratteristiche, individuate da Baker e Aldrich come caratterizzanti le
carriere senza confini, sono: il ruolo dell’iniziativa personale, la parziale
indipendenza dalla gerarchia aziendale e la costruzione del senso comune
non attraverso le strutture aziendali, ma tramite associazioni volontarie e
network.
In conclusione, il mondo delle carriere senza confini è un mondo eterogeneo
a cui non corrisponde un unico modello di carriera, ma vari modelli (Arthur
e Rousseau, 1996) accomunati dalla non-linearità della progressione di
carriera.