2
ξ la propensione a attribuire ai livelli di competitività e produttività un enfasi
maggiore per quanto riguarda le loro ripercussioni sullo sviluppo regionale;
ξ l’evoluzione dei processi di decentramento, che hanno permesso una maggiore
applicazione del principio della sussidiarietà
2
;
ξ la spinta a una politica regionale rivolta all’intero paese e non più a singole
aree, avente il duplice obiettivo di esaltare sia il potenziale endogeno delle
regioni sia le sempre più intense interazioni che le legano (Rivista economica
del Mezzogiorno 2003).
Emerge, dalla letteratura scientifica e dalle analisi istituzionali, come queste spinte
riformatrici, costringendo ad una più rapida modificazione di quelle che erano le regole di
governo all’interno degli Stati membri, abbiano generato una propensione alla
riorganizzazione amministrativa e gestionale che però non sembra essersi ancora pienamente
consolidata e approfondita. Oggetto del presente studio che fa proprie le motivazioni alla base
delle spinte riformatrici, sono gli sviluppi e le implicazioni dell’applicazione dei nuovi
modelli di governance per lo sviluppo territoriale sostenibile al quadro nazionale.
L’analisi che viene svolta intende fornire, nelle battute iniziali, la chiara definizione del
termine governance, o quantomeno l’interpretazione di quella che appare essere la definizione
maggiormente corrispondente, per passare poi all’analisi dei suoi effetti sulle politiche di
governo del territorio e sui rapporti tra le istituzioni. Qualsiasi analisi scientifica deve inserire
l’oggetto esaminato, segnatamente la governance, in un sistema di riferimento che, nel nostro
caso, è rappresentato dai territori in cui viene applicata; lo studio contiene quindi una, sia pure
sintetica, contestualizzazione sociale ed economica dei territori in cui la governance è
applicata. Maggiore spazio di analisi su queste problematiche è stato dato alla situazione
italiana, laboratorio complesso di spinte alla modernità e di difese di regole antiche,
collegandola agli eventi storico-politici determinanti per l’evoluzione della governance.
Gli spunti teorici sono stati infatti applicati allo studio di tre casi territoriali specifici: il Polo
tecnologico tiburtino (Lazio), il PIT “Città del Fare” (Campania), il PIT “Palermo capitale
dell’EuroMediterraneo” (Sicilia).
2 EVOLUZIONE STORICA DELLE POLITICHE REGIONALI EUROPEE
Le spiccate diversità regionali presenti all’interno dei territori della Comunità prima e
dell’Unione poi si manifestano, oltre che a livello geografico-culturale-sociale, anche a livello
economico. Queste differenze, ulteriore ostacolo al rafforzamento della coesione economica e
sociale dell’UE, si evidenziano particolarmente se vengono presi in considerazione
determinati indicatori macroeconomici quali, ad esempio, il Prodotto Interno Lordo (PIL)
medio pro capite, il tasso di occupazione/disoccupazione (complessivo, giovanile, femminile),
2
In Italia i recenti cambiamenti costituzionali hanno accresciuto il rilievo della politica gestita dalle Regioni
3
la coesione sociale. Sin dal 1957 uno degli obiettivi della Comunità economica europea è
stato il conseguimento di uno sviluppo armonioso . Si è quindi storicamente generata la
necessità, focalizzatasi nei più alti gradi istituzionali a livello europeo, di costituire delle
politiche di supporto verso quei territori appartenenti all’Unione, inizialmente quantificabili in
una mezza dozzina e poi cresciuti di numero, che presentassero delle problematiche di tipo
economico. Dopo aver circoscritto il problema, la neonata Unione Europea, decise di operare
per risolverlo utilizzando delle modalità d’intervento anche molto differenti tra di loro. Nel
fare ciò non sempre ha ottenuto i risultati sperati ed anzi, a volte, il semplice non
raggiungimento di obiettivi intermedi ha compromesso l’intera economicità dell’intervento,
ma ciononostante non ha mai dismesso le sue politiche.
Gli errori commessi sono forse serviti di maggiore esempio rispetto alle politiche attuate in
modo ottimale ed oggi, l’Unione Europea, grazie sia ai primi che alle seconde, si sta fornendo
di nuovi strumenti per affrontare le sfide attuali.
L’obiettivo appare ora duplice per l’Unione: da un lato deve portare a termine il recupero di
quei territori non ancora in grado di produrre un reddito in media con quello comunitario e
dall’altro deve permettere ai nuovi Paesi membri
3
, che presentano economie storicamente più
fragili e meno orientate al libero mercato, di innalzare il loro reddito pro capite.
L’espressione «innalzare il reddito pro capite» può sembrare mero gergo tecnico proprio degli
economisti, ma in realtà quello che si intende esprimere con questa affermazione è «elevare la
qualità della vita dei cittadini» di quelle nazioni. Questo non si ottiene semplicemente
«innalzando il reddito pro capite», anche se questo aspetto rappresenta una parte sostanziale
del problema, ma da questa premessa si possono ottenere quelle migliorate opportunità, o
come afferma il premio Nobel per l’economia Amartya Sen, in Lo sviluppo è libertà, quelle
«capacitazioni», in grado di dare maggiori occasioni di successo alle persone.
Da qui la necessità di creare una vera e propria politica strutturale, al fine di colmare il divario
in materia di sviluppo e di livello di vita. Nel corso degli anni oltre all’azione del Fondo
sociale europeo, sono stati istituiti e nel tempo modificati altri Fondi detti “strutturali”: il
Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG), per il finanziamento della
politica agricola comune, il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), i cui aiuti sono
destinati segnatamente alle regioni che presentano ritardi nello sviluppo e, infine, lo
Strumento finanziario di orientamento della pesca (SFOP).
La costante crescita, registrata in questi ultimi decenni dell’integrazione economica e sociale,
ha ridotto sempre più la funzione divisoria delle frontiere interne ed ha agevolato relazioni e
scambi sempre più intensi tra le città e le regioni degli Stati membri. Ne consegue, tra l’altro,
che progetti regionali, nazionali o comunitari realizzati in uno Stato possono, al di là del
territorio strettamente nazionale, esercitare sempre più spesso un influsso anche sulla struttura
3
Allargamento avvenuto il 1 maggio 2004 nei confronti di Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia,
Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia ed Ungheria
4
del territorio e della popolazione di altri Stati membri. Nell’attuare, in futuro, le politiche
comunitarie, sembra diventato ineludibile tener conto, per tempo, anche di tali effetti.
La strategia territoriale a livello europeo è quindi oggi ancor più finalizzata alla realizzazione
di uno sviluppo equilibrato e sostenibile, rafforzando in particolare la coesione economica e
sociale
4
.
La relazione Brundtland delle Nazioni Unite definisce lo sviluppo sostenibile non solo come
sviluppo economico nel rispetto dell’ambiente, che preservi le attuali risorse per le
generazioni future, ma anche come sviluppo equilibrato dello spazio (World Commission on
Environment and Development 1987). Ciò significa, in particolare, conciliare le esigenze
sociali ed economiche in materia di spazio con le sue funzioni ecologiche e culturali, e
contribuire in tal modo alla realizzazione di uno sviluppo territoriale duraturo ed ampiamente
equilibrato. In tal modo, l’UE si svilupperà progressivamente, da unione economica, in unione
ecologica e, successivamente, in unione sociale, rispettando la diversità regionale (cfr.
Figura1).
Figura 1 Triangolo degli obiettivi: sviluppo equilibrato e durevole dello spazio
4
Vedasi in dettaglio: Trattato che istituisce la Comunità europea, Principi, articolo 2
Società
Economia Ambiente
Sviluppo
durevole
dello spazio
5
Il triplice obiettivo implica il perseguire congiuntamente le tre seguenti finalità politiche:
ξ la coesione economica e sociale;
ξ la salvaguardia delle risorse naturali e del patrimonio culturale;
ξ una competitività più equilibrata dello spazio europeo.
La complementarietà dei differenti progetti di sviluppo degli Stati membri appare quindi più
facilmente attuabile se tali progetti perseguiranno obiettivi comuni di sviluppo dell’assetto
territoriale. Le politiche nazionali in questo campo e quelle settoriali dell’UE sembrano
richiedere, pertanto, modelli chiari di integrazione del territorio che si potranno ottenere in
tempi più rapidi mediante la piena attuazione dei principi europei di riforma della governance
espressi all’interno della comunicazione della Commissione europea Agenda 2000, Rafforzare
ed ampliare l’Unione europea.
Importanti modificazioni sono state presentate dall’Unione europea nel corso degli anni per
quanto concerne le politiche strutturali: tra queste una delle maggiormente significative è la
valutazione dei programmi dei Fondi Strutturali.
Mentre nel 1988 l’attenzione si focalizzava prevalentemente sul mero controllo del
funzionamento dei Fondi, nel tempo il concetto è andato oltre, fino ad includere la verifica dei
risultati a fronte della spesa effettuata, esattamente nella maniera in cui viene descritta nel
regolamento
5
tuttora in vigore; la proposta di modifica del regolamento generale dei Fondi
strutturali da parte della Commissione non ha interessato in modo sostanziale la valutazione
delle politiche. Va tenuto conto del fatto che ancora oggi, mentre tutti gli Stati membri
rispettano il requisito che prevede la realizzazione di una valutazione dell’utilizzo dei Fondi e
a volte hanno introdotto la prassi in altre aree politiche, il modo in cui essa è attuata varia
tuttora considerevolmente tra Stati membri (riflettendo le diverse tradizioni e culture proprie
dei singoli paesi).
Nel 2006, alla conclusione dell’attuale generazione di programmi, gli obiettivi delle politiche
di coesione saranno probabilmente ancora lungi dall’essere compiuti. Il futuro riserva ancora
molte sfide dovute al grande aumento delle disparità economico-sociali all’interno
dell’Unione dopo l’allargamento, a una probabile accelerazione del ritmo dei cambiamenti
economici in seguito alla maggior concorrenza portata dalla globalizzazione, all’effetto della
rivoluzione delle nuove tecnologie e allo sviluppo della nuova economia della conoscenza. A
questi cambiamenti economici di carattere globale si aggiungono quelli conseguenti
all’invecchiamento della popolazione e gli effetti dei flussi migratori dai paesi terzi verso le
città dell’Unione. Inoltre, i capi di Stato e di governo dell’Unione, riunitisi a Lisbona nel
marzo 2000, si sono fissati, tra gli altri, l’ambizioso obiettivo di fare dell’Europa l’economia
della conoscenza più dinamica e competitiva del mondo.
5
Regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio del 21 giugno 1999 recante disposizioni generali sui Fondi
Strutturali, GUCE del 26 giugno 1999, n. L 161
6
Per far fronte a queste sfide politiche ed economiche, la Commissione europea propone
all’interno della Terza relazione sulla coesione
6
, per il periodo 2007-2013, una nuova politica
di coesione che permetta a tutti gli Stati membri e a tutte le regioni di operare in qualità di
partner per una crescita sostenibile e per una maggiore competitività. Gli sforzi futuri devono
continuare a concentrarsi sugli aiuti alle regioni più povere dell’Unione, soprattutto nei nuovi
Stati membri dove i problemi strutturali, che sono all’origine del modesto PIL pro capite e del
basso tasso di occupazione, sono al tempo stesso sostanziali e di vasta portata. La sfida per la
politica di coesione consiste nell’aiutare queste nazioni a rinnovare l’infrastruttura,
ammodernare i sistemi d’istruzione e formazione e creare un ambiente professionale
favorevole agli investimenti. In tal modo, esse potranno sostenere gli elevati tassi di crescita
che sono loro necessari per avvicinarsi ai livelli di occupazione e di reddito dell’UE in un arco
di tempo accettabile.
Appare oramai evidente che le politiche economiche, occupazionali e sociali si rafforzino
reciprocamente e che lo sviluppo economico debba andare di pari passo con l’impegno di
ridurre la povertà e di lottare contro l’esclusione. Promuovere l’integrazione sociale e
combattere la discriminazione sembra essere divenuto cruciale per contrastare l’esclusione
sociale e conseguire più alti tassi d’occupazione e di crescita economica, in particolare a
livello regionale e locale, anche, e non solo, nelle zone più povere. La nuova generazione di
politiche di coesione dovrebbe essere attuata attraverso un sistema di gestione più semplice e
più decentrato. Soltanto coinvolgendo tutti gli interessati e mobilitando le capacità e le risorse
di tutte le sue regioni e di tutti i suoi cittadini l’Europa potrà avere successo. Viene quindi
promosso un decentramento “graduale e differenziato” che parta dalle “reali capacità delle
singole regioni” di essere autonome. Questo appare essere l’obiettivo del nuovo partenariato
per la coesione promosso nel documento
7
della Commissione.
Il dibattito sul futuro delle politiche regionali è però tutt’altro che concluso all’interno
dell’Unione e le opinioni in contrapposizione al rinnovato spirito riformista della
Commissione europea, ferma sostenitrice di queste politiche, vengono espresse sia da alcuni
esperti che da Stati membri, tra cui spicca quella del Regno Unito, che propongono una
sostanziale rinazionalizzazione delle politiche regionali.
Questa proposta, che assume la forma di una vera e propria inversione del processo di
costituzione dell’insieme di politiche attuate a livello europeo, si fonda sulla convinzione che
siano i singoli Stati membri i migliori artefici possibili del rilancio dell’economia europea.
Questa ripresa avverrebbe mediante la gestione di quelle risorse non più destinate ad una
ridistribuzione di stampo comunitario, che verrebbe quindi a cessare di essere.
6
Commissione europea, comunicazione della Commissione 107 definitivo Terza relazione sulla coesione
economica e sociale: un nuovo partenariato sulla coesione, Bruxelles 2004
7
Commissione europea, comunicazione della Commissione 107 definitivo Terza relazione sulla coesione
economica e sociale: un nuovo partenariato sulla coesione, Bruxelles 2004
7
Come convincentemente viene messo in luce dalle moderne teorie della “nuova geografia
economica” (Fujita, Krugman, Venables 1999), e coerentemente con la tradizione classica
delle teorie dello sviluppo economico regionale (Kaldor 1970), lo scenario contemporaneo
appare caratterizzato da diffuse imperfezioni di mercato (Grossman, Helpman 1991) e da
conseguenti rendimenti crescenti, i processi di crescita del territorio sono sovente cumulativi e
storicamente determinati (Ottaviano 1999) e la crescita futura dipende dalla crescita passata
(David 1999); essa dipende in misura rilevante dalla disponibilità di economie esterne e dalla
possibilità di interazioni fra imprese ed istituzioni, ad esempio dalla famosa triade
marshalliana divisione del lavoro fra le imprese, specializzazione dell’offerta di lavoro,
circolazione delle tecnologie e delle conoscenze (Henderson 1999). La crescita è dunque per
sua natura irregolare nel tempo e nello spazio (Protta, Viesti 2003).
I futuri problemi, in prospettiva sempre più complessi, connessi con lo sviluppo territoriale
dell’Europa, appaiono essere risolvibili unicamente grazie alla cooperazione delle autorità di
governo e amministrative centrali e locali, dal momento che, con l’avanzamento
dell’integrazione europea, si intensificano i rapporti a tutti i livelli (tra le diverse regioni e tra
le regioni e gli organismi nazionali ed europei).
3 LA GOVERNANCE E LE SPINTE ALL’EVOLUZIONE DELLA
PROGRAMMAZIONE: PARTENARIATO E NUOVE NORME ISTITUZIONALI
Partendo dalla sua origine etimologica il termine governance ha la stessa radice greca del
verbo governare, kubernao, che fa riferimento all’arte del tenere il timone, del pilotare. Il
richiamo, esplicitamente espresso, sembra essere quello del guidare qualcuno verso degli
obiettivi, che se per gli antichi greci erano rappresentati da quegli approdi mediterranei dove
poter commerciare, adattati al nostro tempo potrebbero acquistare valori ben più variegati, sui
quali soffermarsi a riflettere. Il merito del contenuto multidisciplinare tipico della governance,
si può definire essersi affermato scientificamente e istituzionalmente, ma non sempre come
tale viene percepito dai soggetti attuatori.
Quella a cui ci si trova di fronte è, in ultima analisi, una nuova espressione verbale che
racchiude in se differenti significati, a seconda del contesto che la vede protagonista.
Nell’ambito della definizione della governance si ritiene inoltre opportuno sottolineare la
chiara e netta distinzione tra i “modelli di governo” ed i “modelli di governance”, in quanto la
differenza sostanziale tra i due concetti può non apparire nell’immediato.
Nel tentativo di essere il più possibile sintetici ed esaustivi si è ricondotta questa
differenziazione ad un solo aspetto, ritenendolo l’essenziale: i modelli di governance sono
assimilabili a quelle metodologie di governo che però non risultino cristallizzate ad un solo
livello istituzionale ma comprendano un processo decisionale strutturato su vari livelli.
8
L’aspetto discriminante fra i due concetti risulterebbe essere, quindi, il collegamento del
processo decisionale con i soggetti che agiscono per attuarlo; nel caso dei modelli di governo
questo è unitario, mentre in quello dei modelli di governance è composito.
È proprio questa molteplicità di soggetti interessati ed allo stesso tempo partecipi che
caratterizza i modelli di governance e li rende innovativi ed unici all’interno di tutte quelle
strutture che presentano carattere di governo dei processi decisionali.
All’interno del documento La governance europea. Un libro bianco
8
vengono esplicitati
quelli che sono, a parere della Commissione, i cinque principi alla base della buona
governance:
1. apertura;
2. partecipazione;
3. responsabilità;
4. efficacia;
5. coerenza.
A questi principi se ne devono aggiungere altri due che sono stati formulati nel corso dei
dibattiti e delle consultazioni pubbliche che sono seguite alla pubblicazione del Libro bianco:
6. legittimità democratica;
7. sussidiarietà.
Semplicisticamente, sono inoltre sinteticamente descrivibili (nel quadro concettuale
comunitario), per ogni livello istituzionale (UE, Stato, Regioni, Enti locali), almeno tre “stili”
di governance:
ξ governance interna: orientamento della macchina amministrativa verso il
pensiero strategico e la cultura del risultato;
ξ governance esterna: integrazione degli enti strumentali e delle agenzie nella
strategia della istituzione, apertura della istituzione alle interazioni strumentali,
strategia di collaborazione verso l’ambiente esterno;
ξ governance istituzionale: orientamento sinergico e convergente dei diversi
soggetti istituzionali non più legati da un rapporto gerarchico (Stato, Regioni,
Enti locali) verso obiettivi condivisi (ANCI 2003).
L’intuizione della Commissione europea è quella di cercare di risolvere uno dei
maggiormente sentiti problemi dell’Unione, quello della sfiducia delle popolazioni nelle
politiche da essa promosse, riformando il modo di governare della comunità.
8
COMMISSIONE EUROPEA 2001B comunicazione della Commissione 428 definitivo La governance
europea. Un libro bianco, Bruxelles
9
Ciò di cui si rese conto la Commissione, e con lei gli organi istituzionali dell’Unione, era che
i cittadini degli Stati membri non sentivano vicine le istituzioni europee. Essi le percepivano,
viceversa, come organi che dall’alto imponevano delle politiche, applicate poi dagli Stati
membri, che non rispecchiavano però le loro esigenze e soprattutto non apparivano
controllabili dai cittadini stessi, come era viceversa da loro possibile nei confronti di quelle
nazionali.
Questo rapporto di sfiducia verso le istituzioni viene analizzato anche in funzione delle sue
gravi ripercussioni sull’adempimento delle politiche e sul raggiungimento degli obiettivi.
Il rinnovato metodo di governo che ha elaborato la Commissione, esplicitato nel White paper,
era pertanto volto a colmare questo divario comunicativo alla base della tanto bramata
democrazia europea. Questo metodo di governo, improntato sul principio di sussidiarietà e di
legittimità democratica prevede una elaborazione delle politiche dal basso, e non più dall’alto,
e, con una serie di strumenti finanziari, promuove direttamente a livello locale questo tipo di
approccio. All’interno dello studio il tentativo che è stato fatto è stato poi quello di applicare
questi principi comunitari al livello amministrativo locale, specificatamente in Italia, di
concerto con quello che è stato un cambiamento sostanziale della nostra legislazione: la
riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione italiana.
L’analisi conclusiva del lavoro attiene sostanzialmente a due domande: quali sono stati gli
effetti socio-economici delle politiche di coesione europee sul territorio italiano? Quali effetti
ha prodotto la governance riguardo le politiche e le relazioni inter-istituzionali e intra-
istituzionali in Italia?
Quello che sembra apparire dal quadro generale del sistema istituzionale italiano è che lo
sforzo prodotto dal “sistema Italia” nel suo complesso sta producendo molteplici effetti
positivi mediante l’utilizzo di vari spunti induttivi generati da tutti i diversi livelli di governo.
4 I FONDI EUROPEI NELLA CULTURA ISTITUZIONALE ITALIANA E NELLA
SUA ESPERIENZA DI VALUTAZIONE
La valutazione
9
degli investimenti pubblici è una prassi che si è ampiamente diffusa negli
ultimi anni in Europa e in Italia sia per merito delle procedure previste dai programmi
comunitari, sia in considerazione delle politiche di risanamento dei bilanci pubblici che hanno
richiesto una più efficiente allocazione delle risorse destinate all’accumulazione di capitale
pubblico (Petrina, Virno 2002).
In particolare la valutazione delle politiche strutturali, partendo da quelle che sono le
indicazioni teoriche fornite dalla Commissione europea, assume un grado di importanza
sempre maggiore.
9
Valutazione intesa come «un’operazione concettuale che permette di ricondurre i diversi effetti a una comune
dimensione, per poi giungere alla sintesi rappresentata dalla decisione» (Mozzanti 2003)
10
Dopo aver illustrato il quadro normativo, sia a livello europeo che nazionale, ed aver descritto
brevemente quali sono le metodologie suggerite si è proposta una chiave di lettura incentrata
sui nuovi modelli di governance stimolati dalla nascita dell’Unità di valutazione (UVAL) e
verifica (UVER) degli investimenti pubblici e particolarmente dalla genesi della Rete dei
Nuclei di valutazione e verifica (NUVV).
Importanti modificazioni, in particolare nel campo della governance istituzionale, sono sorte
intorno a questa assolutamente nuova tipologia di enti. Segnatamente è stata creata una
struttura apposita per la valutazione di quelle politiche legate ai Fondi Strutturali, e non solo,
che vede un Nucleo centrale, con funzioni di coordinamento generale, ed una rete capillare a
livello regionale di specifici organi di valutazione. Si è venuta quindi a creare, dietro la spinta
delle indicazioni comunitarie, una importante sinergia di intenti su di una tematica, la
valutazione ed il controllo, che vede aumentare in modo esponenziale la sua importanza a
livello politico, economico e sociale.
L’analisi è poi proseguita soffermandosi maggiormente su quello che è uno dei problemi alla
base della valutazione: la definizione di indicatori chiari, sintetici ed esaustivi. Nel tentare di
proporre una sintesi di quelli che sono gli indicatori proposti dalla letteratura ufficiale non ci
si è soffermati solo sul loro mettere in luce quelle che sono le conseguenze in termini
quantitativi dell’applicazione di questi metodi di governance ma anche, e soprattutto, quelle
in termini qualitativi.
Segnatamente si è scritto di alcuni indicatori quantitativi che misurano, però, aspetti
qualitativi di alcuni parametri poco utilizzati all’interno della letteratura: l’esempio utilizzato
è stato quello del tenore di vita.
Lo studio ha quindi cercato di effettuare una scelta, senza avere la pretesa di voler essere
esaustivi, tra la molteplicità di indicatori proposti dagli esperti, anche all’interno di tipologie
valutative differenti, per individuare quelli che sembrano essere i maggiormente significativi
ai fini di una valutazione quantitativa della qualità della vita.
A riguardo appare di indubbio rilievo l’analisi svolta dal Dipartimento per le Politiche di
Sviluppo e di Coesione del Ministero dell’Economia e delle Finanze che aveva come
obiettivo quello di misurare il disagio sociale. All’interno di questo indicatore composito si
trova sia il PIL, che è l’indicatore chiave, ma anche, ed è questa la vera novità, indicatori di
altri aspetti del disagio sociale quali la qualità abitativa (valutata sulla base delle
caratteristiche, più o meno fatiscenti, dell’abitazione e della zona di residenza); le difficoltà di
accesso a servizi sanitari, a asili nido e scuole materne; le difficoltà nell’effettuare spese
necessarie. Si ritrova, quindi, quella unitarietà, almeno parziale, di indicatori che può condurre
ad una analisi mirata della qualità della vita. Di seguito si riportano alcuni esempi possibili di
indicatori utilizzabili.
11
Tabella a Alcuni possibili indicatori utilizzabili per il calcolo del tenore di vita
Indicatore Definizione tecnica indicatore Variabili associate
Raccolta
differenziata dei
rifiuti solidi urbani
Percentuale di rifiuti solidi
urbani oggetto di raccolta
differenziata sul totale dei rifiuti
solidi urbani
Rifiuti urbani oggetto di raccolta
differenziata (migliaia di ton.); rifiuti
urbani totali (migliaia di ton.)
Interruzioni del
servizio elettrico
Frequenza delle interruzioni
accidentali lunghe del servizio
elettrico
Frequenza delle interruzioni accidentali
lunghe del servizio elettrico (numero
medio per utente)
Grado di
insoddisfazione
dell’utenza per
l’erogazione di
gas
Percentuale di famiglie poco o
per nulla soddisfatte del servizio
di erogazione di gas sul totale
delle famiglie allacciate alla rete
Famiglie molto o abbastanza soddisfatte
per i servizi di erogazione del gas nel
complesso (migliaia); totale famiglie
allacciate alla rete
Indice di povertà
regionale
Famiglie che vivono al di sotto
della linea di povertà (%)
Famiglie che vivono al di sotto della linea
di povertà relativa; totale famiglie
Tasso di
partecipazione
nell’istruzione
secondaria
superiore
Totale degli iscritti alle scuole
secondarie superiori sulla
popolazione residente nella
classe di età 14-18 anni (%)
Studenti iscritti nelle scuole secondarie
superiori (statali e non statali);
popolazione residente nella classe di età
14-18 anni
Incidenza della
certificazione
ambientale
Siti con certificazione
ambientale ISO 14001 sul totale
dei siti certificati (%)
Organizzazioni con certificazione EMAS-
ISO 14000; totale organizzazioni
certificate
Difficoltà delle
famiglie nel
raggiungere
negozi alimentari
e/o mercati
Famiglie che dichiarano molta o
abbastanza difficoltà nel
raggiungere negozi alimentari
e/o mercati sul totale famiglie
(%)
Numero di famiglie che dichiarano molta
o abbastanza difficoltà nel raggiungere
negozi alimentari e/o mercati; totale
famiglie
Indice di
criminalità
violenta
Crimini violenti per 10.000
abitanti
Delitti di criminalità violenta (stragi,
omicidi, lesioni e violenze, rapine,
sequestri e attentati incendiari);
popolazione residente media nell’anno
Indice di
criminalità
minorile
Minorenni denunciati per ogni
tipologia di reato sul totale delle
persone denunciate (%)
Totale minorenni denunciati per ogni
tipologia di reato; totale persone
denunciate dalle Forze dell’ordine
all’Autorità giudiziaria
Grado di
soddisfazione del
servizio di
trasporto
ferroviario
Media delle persone che si
dichiarano soddisfatte delle sette
diverse caratteristiche del
servizio rilevate sul totale degli
utenti del servizio (%)
Numero di persone soddisfatte secondo le
sette modalità di utilizzo del treno
(frequenza corse, puntualità, possibilità di
trovare posto a sedere, pulizia delle
vetture, comodità degli orari, costo del
biglietto, informazioni sul servizio) ;
totale utenti del treno (lo hanno utilizzato
almeno una volta)
Inquinamento
causato dai mezzi
di trasporto
Emissioni di CO
2
(anidride
carbonica) da trasporto su strada
(tonnellate per abitante)
Emissioni di CO
2
da trasporto su strada
(valori in tonnellate); popolazione
residente media nell'anno
Indicatore Definizione tecnica indicatore Variabili associate
Indice di
diffusione
dell’informatizza-
zione nei comuni
Percentuale di popolazione
residente in comuni con anagrafe
collegata al SAIA (Sistema di
accesso e interscambio
anagrafico) sul totale della
popolazione regionale
Popolazione dei comuni con anagrafe
collegata al SAIA; popolazione residente
media nell'anno
12
Grado di
diffusione di
Internet
Percentuale di famiglie che
dichiarano di possedere
l’accesso a Internet sul totale
delle famiglie
Famiglie che dichiarano di possedere
l'accesso a Internet; totale famiglie
Tasso di
irregolarità del
mercato del lavoro
Unità di lavoro irregolari sul
totale delle unità di lavoro in %
Unità di lavoro irregolari (medie annue in
migliaia); unità di lavoro totali (medie
annue in migliaia)
Indice di
partecipazione
sociale
Persone di 14 anni e più che
hanno partecipato a riunioni di
volontariato, di associazioni
ecologiche, per i diritti civili, per
la pace o hanno svolto attività
gratuita per associazioni di
volontariato sul totale della
popolazione di 14 anni e più (%)
Persone di 14 anni e più che hanno
partecipato a riunioni di volontariato, di
associazioni ecologiche, per i diritti civili,
per la pace o hanno svolto attività gratuita
per associazioni di volontariato; totale
della popolazione di 14 anni e più
Fonte: pagine web del sito istituzionale dell’ISTAT
5 L’APPLICAZIONE DELLA PROGRAMMAZIONE E DELLA VALUTAZIONE
NEI PIT: ALCUNI CASI DI STUDIO
Ai fini di una più completa analisi di queste tematiche, si è ritenuto opportuno effettuare una
ricerca, il più possibile approfondita dato il contesto di studio, riguardo tre progetti inerenti i
Fondi Strutturali ed i nuovi modelli di governance da essi promossi. I casi di studio analizzati
sono:
ξ il Polo Tecnologico della Tiburtina: progetto facente parte dell’ex-Obiettivo 5b
della programmazione 1994-1999 della Regione Lazio;
ξ il PI «Città del fare»: progetto facente parte dell’Obiettivo 1 della
programmazione 2000-2006 della Regione Campania;
ξ il PIT «Palermo, capitale dell’EuroMediterraneo»: progetto facente parte
dell’Obiettivo 1 della programmazione 2000-2006 della Regione Sicilia.
L’analisi che è stata condotta ha avuto, come obiettivo quello di cercare di fare luce sulle
problematiche emerse nelle varie fasi del processo (programmazione, progettazione ed
attuazione), tentando, al contempo, di fare emergere i possibili comportamenti risolutivi delle
stesse. Si è cercato inoltre di capire se le norme europee in tema di Fondi Strutturali abbiano
fornito un reale supporto metodologico e pratico ai soggetti interessati; se queste norme e
queste buone pratiche, molto enfatizzate e promosse in ambito UE, siano risultate essere
effettivamente migliorative per lo sviluppo territoriale, e se si in che misura rispetto alle
pratiche gestionali del passato. I tre casi sono analiticamente rappresentati nella seguente
tabella:
13
Tabella b Tabella riepilogativa dei casi di studio
Area bersaglio
del progetto
Roma
Acerra, Afragola,
Brusciano, Caivano,
Cardito
Casalnuovo di Napoli,
Castello di Cisterna,
Marignanella,
Pomigliano d’arco
Palermo
Nome progetto Tecnopolo Tiburtino
PI: Sistema Locale
«Città del fare»
PIT: «capitale
dell’EuroMediterraneo»
Argomenti e
settori
d’intervento
Ricerca innovazione
tecnologica e supporto
alle imprese
Sviluppo multisettoriale
aree interne
Sviluppo integrato area della
città, settori: innovazione
tecnologica, cultura e
turismo
Popolazione
area di
riferimento
2.810.931 282.339 686.772
PIL pro capite
(euro)
29.400 11.683 15.900
PIL per
addetto (euro)
77.000 54.188 70.500
Costo totale
progetto (euro)
55.000.000 71.127.913 102.099.395
Fonte
documenti
utilizzati
Camera di Commercio
di Roma; interviste;
dati CENSIS 2003,
ISTAT 2003, Comune
di Roma 2004
Sito ufficiale PIT; interviste;
dati CENSIS 2003, ISTAT
2003
Sito ufficiale comune di
Palermo; interviste; dati
CENSIS 2003, ISTAT 2003
La comparazione vede confrontarsi due Progetti Integrati Territoriali (PIT) ed un Progetto
facente parte dell’Obiettivo 2 dei Fondi Strutturali 1994-1999. Si è scelto un PIT non urbano
della Campania (il PIT «Città del fare») ed uno urbano della Sicilia (il PIT «Palermo capitale
dell’EuroMediterraneo») ed il progetto di costituzione di un Polo tecnologico sulla via
Tiburtina nei pressi di Roma. Per effettuare una più accurata analisi di quelle che sono le
effettive problematiche riscontrate nella pratica programmatoria, progettuale ed esecutoria si è
scelto di intervistare dei soggetti privilegiati: i responsabili di questi progetti, degli esperti di
programmazione e dei rappresentanti del partenariato.
5.1 Caso di studio 1 Il Polo Tecnologico della Tiburtina
Il Polo Tecnologico di Roma è un progetto facente parte dell’Obiettivo 2 dei Fondi Strutturali
2000-2006 (a sua volta ex-Obiettivo 5b della programmazione precedente).
Questo esempio di progettazione risulta essere importante per almeno due considerazioni:
ξ essendo un progetto dell’Obiettivo 2, del periodo di programmazione 2000-
2006
10
, il fine ultimo della programmazione è la riqualificazione di un’area
10
In seguito semplicemente indicato con: 2000-2006
14
industriale in declino. Questo genere di programmazione ha interessato la quasi
totalità delle Regioni del Centro-Nord Italia ed inoltre, nel caso di specie,
appare rappresentativo di quelle che sono le peculiarità dell’Italia nel campo
delle produzioni industriali ad alto valore tecnologico;
ξ le difficoltà di programmazione, progettazione e particolarmente di attuazione
che sono emerse nel corso degli anni risultano essere tipiche di molte realtà
similari. Queste criticità possono condurre, nella peggiore delle ipotesi, al
completo fallimento dell’iniziativa. In questo caso, seppure a distanza di un
decennio, il fallimento completo è ancora incerto.
Il Sistema dei Tecnopoli
11
nasce dall’iniziativa della Tecnopolo S.p.A., creata nel 1995 per
volontà della Camera di Commercio di Roma che ne è azionista al 95%. Obiettivo primario
della Tecnopolo S.p.A. è rimettere in moto a Roma quel circolo virtuoso che vede
strettamente legati ricerca, formazione e impresa, fondamentale per assicurare una stabile e
duratura fase di sviluppo economico. L’investimento iniziale realizzato direttamente dalla
Società del “Tecnopolo”, pari a 55mln di euro, comprendente il costo delle aree e le opere di
urbanizzazione primaria e secondaria, ha dato vita ad una realtà in grado di attrarre ulteriori
investimenti per un valore di circa 450mln di euro, di cui circa 350mln di euro per le attività
produttive e circa 100mln di euro per la parte relativa ai servizi.
La superficie complessiva interessata ammonta a 70 ettari, sui quali si insediano ben 265.000
mq dedicati all’estensione dell’area industriale, di cui due terzi destinati alle software house.
Il Tecnopolo Tiburtino offre agli investitori diverse soluzioni: lotti di terreno urbanizzato a
partire da 5.000 mq, spazi di varie metrature in immobili edificati dalla Società stessa o da
realizzare secondo le esigenze specifiche delle imprese, dai progetti “chiavi in mano” alla
cessione di terreni o uffici. Vengono quindi previste varie formule per acquistare, locare o
sfruttare i vantaggi del leasing.
Questa struttura, destinata ad ospitare attività produttive innovative nei settori hi-tech
(elettronico, aerospaziale e ICT), è stato quindi ideata con l’idea di promuovere la
riqualificazione di Roma capitale attraverso il rilancio del settore industriale tecnologicamente
avanzato. Il Tecnopolo Tiburtino offrirà alle società che si insedieranno non solo strutture ed
infrastrutture tradizionali, ma anche una rete di servizi che creano valore aggiunto, quali l’alta
formazione, l’innovazione ed il trasferimento tecnologico.
Un Consorzio di gestione, appartenente alla Tecnopolo S.p.A., assicura la gestione completa
ed il funzionamento dei servizi offerti.
11
Il Tecnopolo Tiburtino, si innesta nel sistema di tecnopoli della capitale, costituito anche dal Tecnopolo di
Castel Romano, orientato ad attività di studio e ricerca nel campo ambientale e delle biotecnologie e al
trasferimento tecnologico
15
5.2 Caso di studio 2 Il PI «Città del fare»
Il PI «Città del fare», Progetto Integrato promosso dai Comuni di Acerra, Afragola,
Brusciano, Caivano, Cardito, Casalnuovo di Napoli, Castello di Cisterna, Mariglianella e
Pomigliano d’Arco della Regione Campania, è un progetto facente parte dell’Obiettivo 1 dei
Fondi Strutturali 2000-2006. Le sue caratteristiche generali sono similari a molti dei PIT delle
aree facenti parte dell’Obiettivo 1 2000-2006, sia perché questi sono territori con
caratteristiche specifiche (dal punto di vista del PIL medio pro capite) in quanto appartenenti
a questo specifico obiettivo, sia perché:
ξ è un PIT al quale partecipano più Comuni;
ξ insiste su un’area sulla quale già il precedente periodo di programmazione
aveva previsto dei progetti per lo sviluppo o la riqualificazione del territorio.
Nel caso di specie un Patto territoriale per l’occupazione;
ξ è un PIT che si è rivolto al programma POSTIT dell’ANCI per il supporto
tecnico ricevendo adeguate risposte alle criticità emerse.
Risulta essere un esempio significativo anche per le sue specifiche peculiarità:
ξ è un soggetto produttore complesso, in quanto la domanda del territorio è una
domanda integrata, non si esauriva, cioè, nell’asse industria ma necessitava di
altre misure di intervento facenti capo al POR;
ξ potrebbe essere il primo caso di PIT in Campania la cui attuazione viene
affidata all’organo di assistenza tecnica, l’Agenzia di sviluppo Città del fare,
che ha curato la programmazione e la progettazione del progetto integrato. Se
ciò avvenisse si potrebbero generare quelle esternalità positive tali da
permettere una più efficace ed efficiente gestione dell’attuazione del progetto.
Rafforzare la capacità competitiva del Sistema Locale a Nord-Est di Napoli, un territorio di
quasi 300mila abitanti che si caratterizza come “soggetto produttore complesso”. È questa
l’idea-forza posta alla base del Progetto Integrato.
Il macro-obiettivo di favorire il “salto di competitività” del territorio e delle imprese viene
perseguito attraverso una strategia di complessivo potenziamento del sistema produttivo
locale, articolata su alcune principali direttrici di sviluppo, strettamente interconnesse, quali il
potenziamento e la riqualificazione, anche in senso ecosostenibile, della dotazione
infrastrutturale a servizio del sistema produttivo locale, la messa in rete delle aree industriali,
il rafforzamento delle più importanti filiere produttive, la valorizzazione e la promozione di
pacchetti localizzativi, il sostegno ai processi di trasferimento tecnologico, innovazione ed
internazionalizzazione delle imprese locali.
Nella fase di ideazione e progettazione del PIT non si sono riscontrate criticità evidenti in
quanto il PIT insisteva su di un territorio che sin dal 1976 era oggetto di progetti di sviluppo,
16
mediante varie tipologie di interventi. In particolare dal 1999 al 2001 è stato attuato il Patto
Territoriale per l’Occupazione dell’Area a Nord-Est di Napoli.
Schematicamente si possono riassumere gli interventi programmati in:
ξ 32 progetti per l’infrastrutturazione primaria e secondaria del Sistema Locale a
Nord-Est di Napoli, di cui 11 realizzabili con le risorse disponibili (circa 6
milioni e mezzo di euro);
ξ 3 progetti per l’allestimento di Centri di servizio alle imprese da localizzare in
contesti urbani, di cui 2 realizzabili con le risorse disponibili (circa 2 milioni e
600 mila euro);
ξ iniziative per la concessione di regimi di aiuto e la produzione di fonti
rinnovabili di energia, realizzabili con risorse “entro tetto” pari a circa 5
milioni di euro;
ξ 9 progetti per la costruzione di reti e infrastrutture immateriali (servizi,
formazione, azioni per la promozione delle pari opportunità), di cui 8 attivabili
con i quasi 2 milioni e mezzo di euro disponibili.
A questi interventi si aggiungono due proposte di “contratto di investimento” ed una
piattaforma di progetti per la realizzazione di un sistema innovativo di smaltimento dei rifiuti,
non finanziabili entro il tetto di spesa assegnato.
Questo elenco di progetti indica nella sua complessità come il territorio presenti varie
emergenze, e che esse debbano essere affrontate contestualmente, per poter avere una
possibilità di successo nell’avviare una situazione di sviluppo autosostenuto. Si ha quindi che
il PIT esprima come la governance debba essere tagliata sulle circostanze di contesto da cui
scaturisce la sua domanda, e non possa essere ritenuta un ripiego parziale a “insufficienze” di
altre istanze istituzionali pubbliche o private di intervento.
5.3 Caso di studio 3 Il Progetto Integrato Territoriale «Palermo capitale
dell’EuroMediterraneo»
La linea guida metodologica portante del PIT «Palermo capitale dell’EuroMediterraneo» è la
ricerca della migliore articolazione del ruolo e della funzione della città metropolitana di
Palermo, al fine di cogliere in pieno l’opportunità di sviluppo locale (e non solo locale) che
può derivare al territorio dall’apertura nel 2010 dell’area di libero scambio
12
.
12
Il partenariato EuroMediterraneo è nato con la Dichiarazione di Barcellona, adottata il 28 novembre 1995 dai
15 Ministri degli Affari Esteri dell’Unione Europea e da quelli dei 12 Partner mediterranei beneficiari dei Meda:
Algeria, Cipro, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Malta, Marocco, Siria, Tunisia, Turchia e Autorità palestinese
Si tratta di un patto politico tra l’Unione Europea e i Paesi del bacino mediterraneo. Grazie ai nuovi accordi
euromediterranei e agli accordi di libero scambio stipulati tra gli stessi paesi terzi mediterranei è prevista
l’instaurazione di una zona di libero scambio. Le parti hanno fissato la data del 2010 come meta per la graduale
realizzazione di questa zona che coprirà la maggior parte degli scambi, nel rispetto degli obblighi risultanti
17
L’obiettivo strategico guida del PIT è infatti la preparazione della Città di Palermo ad
assumere il ruolo di capitale dell’EuroMediterraneo, ovvero l’organizzazione di un sistema di
interventi, strettamente integrati tra loro, in grado di affermare Palermo quale luogo di
attrazione di funzioni e servizi specializzati funzionali al decollo dell’area euromediterranea
ed al contempo lo sviluppo di un circuito economico virtuoso in grado di generare una
effettiva discontinuità nei comportamenti e negli atteggiamenti degli operatori economici
locali funzionale ad attivare il finanziamento privato soprattutto nei settori ritenuti strategici
per lo sviluppo dell’economia locale. L’obiettivo globale del PIT, che mira dunque ad
organizzare il processo di internazionalizzazione della città, si traduce operativamente nella
riorganizzazione funzionale della città di Palermo finalizzata a dotare il territorio urbano delle
infrastrutture di base, delle strutture ricettive e dei servizi a valore aggiunto necessari a
sostenere questo ruolo, nonché nell’organizzazione a sistema di questi necessaria a fare
assumere alla città capoluogo della Regione il ruolo strategico di capitale
dell’EuroMediterraneo. Il tutto dovrebbe essere ricompresso in una strategia integrata e
condivisa ad ogni livello (sia pubblico sia privato) tesa a valorizzare tutto il patrimonio
progettuale esistente, incentivare l’integrazione funzionale tra soggetti e sviluppare un circuito
economico virtuoso in grado di attivare il finanziamento privato e quindi superare le
debolezze di relazione pubblico/privato che ancora caratterizzano il sistema economico locale.
Il Progetto si articola in cinque linee di intervento strettamente interconnesse tra loro.
1. Affermazione di un polo della cultura euromediterranea in grado di incentivare in città lo
sviluppo di circuiti produttivi nel settore artistico-culturale
2. Organizzazione di un sistema di supporto all’innovazione tecnologica del sistema
produttivo locale
3. Organizzazione di un sistema di supporto al potenziamento e all’internazionalizzazione del
tessuto produttivo locale
4. Diversificazione e potenziamento del sistema turistico locale
5. Investimento sul capitale umano e di conoscenza
5.4 Considerazioni sui casi di studio
Dei tre casi di studio sono state analizzate rispettivamente le caratteristiche del territorio
bersaglio del progetto, l’ammontare delle risorse impiegate, le linee di intervento ed il parere
dei soggetti privilegiati. Sulla base di queste informazioni si sono analizzate le caratteristiche
specifiche di ogni soggetto per quel che riguarda le metodologie di governance ed i loro
aspetti nella pratica utilizzati. Sebbene i tre casi di studio siano stati ideati e sviluppati in
dall’Organizzazione mondiale per il commercio (OMC). Saranno progressivamente eliminati gli ostacoli tariffari
e non tariffari al commercio per quanto riguarda i prodotti manufatti, secondo scadenzari che saranno negoziati
tra i partner. Il commercio dei prodotti agricoli e gli scambi in materia di servizi saranno progressivamente
liberalizzati
18
ambiti territoriali differenti, e nonostante il fatto che questo abbia generato delle
caratteristiche peculiari per ogni caso, si è riscontrato che sono state praticate
indifferentemente alcune comuni buone pratiche di governance. Va sottolineato che tutti e tre
i casi, seppur con alcune differenze, hanno maturato una progettazione che si è rilevata
adeguata rispetto alle esigenze del territorio su cui insistevano i progetti. Viceversa la capacità
di progettazione integrata non è stata sviluppata in modo egualitario: è stato un punto di
criticità per il caso romano mentre negli altri due ha assunto un ruolo portante per lo sviluppo
territoriale. Il partenariato ha esercitato un ruolo di primo piano sia in Sicilia che in
Campania, mentre ha svolto un ruolo limitato nel Lazio.
Il ruolo delle istituzioni, che ha un’importanza fondamentale per una programmazione che sia
all’altezza degli obiettivi proposti, è stato radicalmente differente nei singoli casi analizzati:
nel caso siciliano è stato molto forte e rispondente alle aspettative; in Campania sono emerse
delle importanti criticità che stanno condizionando in parte l’attuazione dei progetti; nel Lazio
è in atto una ridefinizione di questo ruolo, che finora ha operato in modo insoddisfacente.
In ultimo si è operata un’analisi delle valutazioni prodotte (in ambito regionale, locale e
progettuale) che ha rilevato come sia ancora gravemente insufficiente la cultura alla
valutazione, intesa come strumento di controllo in itinere della pertinenza del progetto agli
obiettivi prefissati, all’interno di tutti i livelli di governo.
Dallo studio effettuato viene bene in evidenza come i processi di governance seguano, nelle
applicazioni operative, percorsi metodologici non perfettamente corrispondenti alla teoria e
normativa proposta, sia in sede scientifica che regolamentare UE.
Questo approccio parziale è sicuramente limitante riguardo all’efficacia ed all’efficienza dei
processi di governance. Resta però anche sul campo, in positivo, il fatto che una serie di
iniziative siano state portate oltre il livello di pura “indicazione programmatica” (criticità che,
unita al non completamento delle opere nei tempi previsti, era stata particolarmente sentita nel
precedente periodo di programmazione), fino all’inizio dei cantieri in alcuni casi, e che tali
opere siano vissute sinergicamente dalla comunità antropica di riferimento.
Si deve infatti sottolineare che nei tre casi di studio, il processo di governance sia stato
applicato, ed anche bene in molte sue parti, ma ha implementato quelli che erano elementi già
vissuti e presenti nei vari territori (quali: la capacità di lettura del territorio e delle sue
problematiche; un partenariato forte (escludendo il caso di Palermo); la capacità gestionale);
mentre elementi completamente nuovi come la valutazione non sono risusciti ad inserirsi nel
processo culturale prima che gestionale e operativo. Inoltre solo sporadicamente, si veda il
caso di Palermo, si è istituito un apposito ufficio comunale, inserendo un livello istituzionale
maggiormente decentrato, che registri risultati di gestione buoni.
19
6 Conclusioni
Dallo studio effettuato, emerge che i modelli di governance innovativa non si basano più su di
una negoziazione tradizionale dello sviluppo ma sulla promozione di esperimenti di
“democrazia deliberativa”, in cui attori istituzionali e associativi, locali e sovralocali,
utilizzano particolari meccanismi e procedure per generare un “gioco a somma positiva”
capace di ridisegnare un progetto di sviluppo socio-economico basato sull’individuazione di
mutue responsabilità e di priorità condivise
13
.
Risaltano, all’interno di queste differenti concezioni di governance, almeno due questioni di
fondamentale importanza inerenti il ruolo delle istituzioni:
ξ l’importanza che assume il ruolo istituzionale, a tutti i livelli di governo,
particolarmente quello di spinta allo sviluppo integrato svolto dai governi
locali. Senza di esso non si sarebbero generate quelle sinergie positive, che
sono il volano dello sviluppo territoriale integrato;
ξ il ruolo di alto profilo che deve essere assunto dalle istituzioni: come ad
esempio il caso siciliano, nel quale si sono create le condizioni che hanno
permesso la realizzazione di tutte le buone prassi legate a quella governance
che vede nella sussidiarietà il suo fulcro portante.
Queste considerazioni portano alla conclusione che non sembra essere affatto confermato il
modello “governance without goverment” che alcuni autori hanno recentemente ipotizzato.
Appare altresì ineludibile il ruolo centrale di quel governo locale che sia strettamente
correlato, mediante intense relazioni di partenariato, alla società civile.
Elemento critico è viceversa risultato il ruolo marginale che ha assunto la valutazione in
questi nuovi processi.
Sull’evidente diffuso non convincimento all’utilizzo della valutazione, segnatamene la
valutazione intesa come controllo in corso d’opera della corrispondenza degli obiettivi
prefissati, da parte di tutti i soggetti coinvolti influiscono fondamentalmente due aspetti, che
esulano dal presente studio, ma che comunque vanno citati:
1. la valutazione riapre certamente le condizioni di discussione e di condivisione
dell’intero quadro progettuale, e questo talvolta viene vissuto come un pericolo
14
;
2. la valutazione richiede costi e capacità scientifiche gestionali che non sempre si è in
grado di supportare ed inoltre è ancora in corso l’opera di coordinamento e di
omogeneizzazione svolta a livello centrale per selezionare e mettere a punto le
migliori tecniche disponibili.
13
Nello stesso senso si è pronunciato il FORMEZ all’interno del seminario La public governance in Europa
svoltosi a Roma il 19 novembre 2004
14
«Dire però che un’azione fortemente necessaria è politicamente o socialmente impraticabile è la prima (e
talvolta unica) linea di difesa di chi si oppone al cambiamento» Galbraith 1996
20
L’obiettivo strategico da perseguire è quello di consentire che i metodi della programmazione
e valutazione diventino modalità di intervento ordinario di tutte le Amministrazioni
pubbliche. In questa direzione si sono mosse le istituzioni centrali anche attraverso la
creazione di unità specifiche presso le amministrazioni pubbliche (come ad esempio l’UVAL,
l’UVER o i NUVV) e la ricerca della più ampia conoscenza di metodi e tecniche sviluppate a
livello nazionale e comunitario da trasmettere poi ai livelli decentrati di governo. Un discorso
analogo vale anche a livello europeo dove, nonostante l’impegno verso una più larga
diffusione di una cultura della valutazione (programma MEANS) non si è giunti ad
identificare metodologie comuni e procedure di calcolo standardizzate, che risultino essere
esaustive, per il trattamento delle più rilevanti problematiche valutative.
Aspetto estremamente positivo sembra essere, viceversa, la diffusione della “cultura del
partenariato dal basso”, inteso come la più ampia rappresentanza possibile degli interessi che
insistono sul territorio. Il partenariato, sotto il coordinamento degli organi di governo locali,
acquisisce quindi una importanza fondamentale per l’incremento del capitale sociale, che tutti
gli esperti considerano un bene immateriale indispensabile allo sviluppo.
Questa cultura sembra si stia diffondendo all’interno della programmazione. Si pratica così
una concertazione attivata prima dell’inizio della programmazione in modo da poter porre
sullo stesso piano gli attori coinvolti ed attuare, non solo a parole, una governance condivisa
dal basso. Il consenso e l’intesa non sono difatti un requisito da ricercare a posteriori, dopo
che il programma è già stato elaborato dai tecnici e dagli esperti, ma sono una condizione
essenziale di fattibilità fin dalla fase della selezione dei temi e delle modalità di intervento.
Alla luce di queste considerazioni si può affermare che la governance applicata in Italia sta
facendo risaltare le capacità intrinseche di programmazione, e contemporaneamente i difetti,
culturali e gestionali, presenti nelle istituzioni e nei soggetti economici e sociali.
Malgrado nel prossimo futuro l’allargamento ponga alle Regioni italiane problemi di
allocazione dei Fondi Strutturali, la sfida permane e si trasferisce sempre di più alla scala
regionale o locale. Si tratterà di verificare se, dopo questa prima stagione di esperienze, il
metodo della Progettazione Integrata Territoriale potrà essere rilanciato dai governi locali con
l’obiettivo di raggiungere livelli di efficienza (compresa la valutazione) oggi non visibili, ma
che risultano essere ineludibili nella competizione a 25 che ci aspetta. Questa sarebbe una
prova indiscutibile della maturità e rilevanza conseguite sul campo dalle attuali esperienze.
«Soltanto mobilitando gli sforzi di tutti, grazie ad una giusta collaborazione tra le varie sedi di
governo, locale e centrale, come fra pubblico e privato, potremo rafforzare quei territori e quei
settori della nostra Italia che sono più deboli (Carlo Azeglio Ciampi 2002) ».