5
distinzione netta tra emittente e destinatario del messaggio, il messaggio stesso perde
la sua natura e si trasforma in rumore? Oppure è possibile pensare ad un sistema dei
media in cui l’asimmetria tra produttore e utente della notizia sia ridotta fino ad
essere quasi annullata? Ammesso che la natura stessa dell’informazione lo permetta,
l’utente, immerso 24 ore su 24 nel sistema dei media e quindi di fatto interno alla sua
logica, ha diritto a partecipare alla costruzione del messaggio?
Oggi sarebbe impossibile affrontare le questioni relative alla partecipazione
democratica all’informazione, se negli ultimi decenni non fossero state sviluppate
tecnologie della comunicazione che rendono possibile un’interazione orizzontale tra
mittente e destinatario del messaggio. Le potenzialità aperte dai nuovi media, rispetto
alla costituzione di una sfera pubblica caratterizzata da un maggior livello di
democrazia, sono immense. I mezzi di comunicazione basati sulla trasmissione
digitale di dati, internet su tutti, permettono che il flusso di informazioni viaggi in
senso bidirezionale e in tempo reale. Anche i costi delle apparecchiature necessarie
per una comunicazione potenzialmente in grado di raggiungere qualsiasi parte del
mondo si abbassano radicalmente. Ogni utente è un potenziale broadcaster di
contenuti e il potenziale destinatario di qualsiasi altro utente -broadcaster connesso
alla rete. Tutti possono comunicare con tutti e tutti possono partecipare in tempo
reale alla costruzione d’informazione condivisa. La differenza rispetto ai mass media
analogici, come radio e televisione, è evidente. Questo non significa che i nuovi
media non scontino limiti rispetto ai mezzi di comunicazione tradizionali: la tesi si
pone l’obbiettivo di analizzare quali siano i pregi e quali i limiti reciproci.
Per fare il punto sul tipo e sul livello di maturazione del rapporto tra nuovi media e
grado di partecipazione al flusso informativo, ho ritenuto necessario confrontare
diverse esperienze comunicative che in maniera differente l’una dall’altra entrano in
relazione con questa tematica. Nella maggior parte di casi si tratta di agenzie
d’informazione indipendenti che tentano un approccio sperimentale alle possibilità di
partecipazione democratica. Dalle considerazioni conseguenti a questa analisi, ho
tratto indicazioni utili sul livello di maturità attuale del rapporto tra media digitali e
partecipazione democratica al processo di costruzione dell’informazione e sui
possibili sviluppi legati all’evoluzione della tecnologia.
6
- CAPITOLO 1
Democrazia e partecipazione nell’era mediale
1.1 Crisi della democrazia rappresentativa
1.1.1 Democrazia
Il vocabolo democrazia, proveniente dal greco demokratia, composto da demos
(popolo) e da kratia (potere), è comunemente inteso con il senso di “governo del
popolo”.
La prima forma di governo democratico fu sperimentata nell’Atene di Pericle. Su
quella base Aristotele, un secolo dopo, attuò la prima grande teorizzazione politica,
distinguendo tra la monarchia (il governo di uno solo), l’aristocrazia (il governo dei
migliori) e la democrazia, intesa come governo di tutti i cittadini.
Bisogna attendere la seconda metà del Settecento, con la rivoluzione francese per
attestare il passaggio del termine democrazia da forma di organizzazione politica di
un periodo remoto a parola diffusa nel linguaggio comune: A questo vengono
associati quelli di libertà, uguaglianza e fraternità, principi posti alla base del nuovo
sistema politico. Per i fautori della democrazia, per essere libera, una nazione deve
essere anche democratica. Le tragiche vicende legate al Novecento, le dittature
nazifasciste in Europa e il regime stalinista in Russia, le due guerre mondiali, hanno
rafforzato nelle nazioni occidentali l’idea che la democrazia sia il miglior sistema
politico e sociale possibile.
Le definizioni di democrazia, come tutti sanno, sono molte. Fra tutte io preferisco quella che
la presenta come il «potere in pubblico». Uso questa espressione sintetica per indicare tutti
quegli espedienti istituzionali che costringono i governanti a prendere le loro decisioni alla
luce del sole e permettono ai governati di «vedere» come e dove la prendono. Nella memoria
storica dei popoli europei la democrazia si presenta la prima volta attraverso l’immagine
dell’agorà ateniese, l’adunanza all’aria aperta dove si riuniscono i cittadini ad ascoltare gli
oratori e quindi ad esprimere la loro opinione alzando la mano. Nel passaggio dalla
democrazia diretta alla democrazia rappresentativa (dalla democrazia degli antichi a quella
dei moderni) scompare la piazza ma non l’esigenza della «visibilità» del potere, che viene
soddisfatta in altro modo, con la pubblicità delle sedute del parlamento, con la formazione
di una pubblica opinione attraverso l’esercizio della libertà di stampa, con la sollecitazione
rivolta ai leader politici a fare le loro dichiarazioni attraverso il mezzo della comunicazione
di massa. Con la fiducia che forse oggi non possiamo più condividere, François Guizot, il
primo grande storico del governo rappresentativo, aveva scritto: «La pubblicità dei dibattiti
7
nelle Camere sottopone i poteri all’obbligo di cercare la giustizia e la ragione sotto gli occhi
di tutti, allo scopo che ogni cittadino sia convinto che questa ricerca è stata fatta in buona
fede». La stessa rappresentanza, com’è stato detto autorevolmente, «può svolgersi solo nella
sfera della pubblicità. Non c’è nessuna rappresentanza che si svolga in segreto e a
quattr’occhi»; «rappresentare significa rendere visibile […] un essere invisibile per mezzo
di un essere che è presente pubblicamente».
1
Questa riflessione di Norberto Bobbio contiene due spunti di analisi molto importanti
per il rapporto tra media e partecipazione sociale: le differenze tra democrazia diretta
e democrazia partecipativa e la necessità della pubblicità del potere.
Democrazia liberale
Nei maggiori paesi industrializzati, nel periodo 1870-1939, il modello democratico si
caratterizza come "democrazia liberale", che sotto il profilo economico e'
"capitalista", e si fonda su principi quali la sovranita' popolare, le elezioni, i
parlamenti, l'indipendenza dei giudici, le liberta' civili, il pluralismo dei partiti
2
.
Nella democrazia rappresentativa e costituzionale, il compito di fare le leggi spetta a
un corpo ristretto di rappresentanti eletti dai cittadini, tenuti al rispetto dei vincoli
costituzionali. Quella rappresentativa è stata considerata per secoli l'unica forma di
democrazia compatibile con lo Stato liberale.
Crisi di legittima del sistema
La crisi di legittimità del sistema di rappresentanza avvenuta negli ultimi decenni ha
riaperto la discussione in merito alla possibilità di applicare forme di democrazie
alternative o complementari come quella diretta.
È innegabile, oggi, che nella maggioranza dei paesi della democrazia liberale, il
sistema di rappresentanza vive un processo di crisi di legittimità, che si esprime
nell'astensione elettorale, nell'apatia e nella non partecipazione politico-sociale e nei
bassi indici di adesione ai partiti. Le cause principali risiedono nel processo di
burocratizzazione e nel carattere autoritario delle amministrazioni e dei parlamenti,
nella mancanza di controllo degli elettori e del partito sugli eletti, nei sistemi
1
N. Bobbio, Teoria generale della politica, Einaudi, Torino 1999, p. 339.
2
M. Duverger, I sistemi politici, 1955/ed. Laterza, Bari 1978, p. 165.
8
elettorali che distorcono la rappresentanza, non corrispondendo alla volontà
popolare
3
.
Dalla democrazia alla postdemocrazia
Da più parti si è parlato di passaggio da democrazia a “postdemocrazia”. Stefano
Bonaga afferma che in una società mobile e instabile come la nostra non ha senso la
democrazia rappresentativa perché non c’è più nulla da rappresentare stabilmente
4
.
Secondo Sabino Acquaviva «l'involucro vuoto della democrazia continua e
continuerà ad esistere. La democrazia muore ma gli individui restano liberi perché
muore la libertà come fatto sociale ma non come evento individuale»
5
. Il concetto di
Acquaviva e quello ancor più pessimista di Franco Cardini partono dalla stessa
constatazione dell’abdicazione della democrazia liberal-parlamentare nelle sue
funzioni essenziali.
«La libertà sta morendo anche come fatto individuale, circondata, condizionata e
svuotata dal di dentro dai mass media, dalle sollecitazioni esterne, dalla pubblicità,
dall'imposizione di "mode" che diventano costumi, dallo smarrirsi generale del senso
della tradizione, dello stato e del limite. Magari sarà eutanasia: ma sempre di morte si
tratta. Il cittadino occidentale, ridotto a consumatore, praticamente abdica alla sua
libertà politica - cioè al diritto-dovere di prendere parte alle decisioni pubbliche -
rispetto alla quale si sente disinteressato, demotivato, alienato. Ma dal momento che
non vi sono né partito unico né polizia politica né apparato propagandistico-
repressivo a condizionarlo - poiché insomma non vede attorno a sé nessuno di quei
segnali che, secondo la cultura media corrente sono quelli del totalitarismo e/o della
mancanza di libertà - si sente libero»
6
. Per Cardini i nostri parametri di libertà/non-
libertà sono rimasti fermi o quasi al vecchio conflitto fra libertà demoliberale e
demoparlamentare e totalitarismo nazista o comunista. Da ciò la difficoltà ad
individuare i tratti del totalitarismo liberistico, basato sul "pensiero unico".
3
S. Acquaviva, La democrazia impossibile. Monocrazia e globalizzazione della società, Marsilio,
Venezia 2002, pp. 36-47.
4
S. Bonaga, “La nuova nave dei folli”, in F. Berardi, a cura di, Cibernauti. Tecnologia,
comunicazione, democrazia. Posturbania: la città virtuale, ed. Castelvecchi, Roma 1995, p. 90.
5
S. Acquaviva, La democrazia impossibile. Monocrazia e globalizzazione della società, op. cit., p.
49.
6
F. Cardini, La democrazia mutante. Dove risiede realmente il potere?, articolo presente sul sito
www.golem.it, 2004.
9
Per Focault avviene un passaggio dalle società disciplinare alle società del controllo
7
.
Le prime, che hanno aggiunto l’apice all’inizio del ventesimo secolo, si basano
sull'organizzazione di grandi ambienti di reclusione. l'individuo non cessa di passare
da un ambiente chiuso all'altro, ciascuno dotato di proprie leggi: dapprima la
famiglia, poi la scuola, poi la caserma, poi la fabbrica, ogni tanto l'ospedale,
eventualmente la prigione: l'ambiente di reclusione per eccellenza. La società del
controllo partono dalla crisi generalizzata di tutti gli ambienti di reclusione, prigione,
ospedale, fabbrica, scuola e famiglia. La famiglia è un "interno" in crisi come tutti gli
altri interni, scolastici, professionali ecc. Anche Paul Virilio non smette di analizzare
le forme ultrarapide di controllo all'aria aperta, che rimpiazzano le vecchie discipline
operanti nella durata di un sistema chiuso. «Nelle società disciplinari non si finiva
mai di ricominciare (dalla scuola alla caserma, dalla caserma alla fabbrica), mentre
nelle società del controllo non si è mai finito con nulla, in quanto l'impresa, la
formazione, il servizio sono gli stati metastabili e coesistenti di una stessa
modulazione, come di un deformatore universale»
8
.
Le società disciplinari hanno due poli: la firma che indica l'individuo, e il numero di
matricola che indica la sua posizione in una massa. Le società disciplinari non hanno
mai riscontrato incompatibilità tra i due, il potere è al tempo stesso massificante ed
individualizzante, cioè costituisce come corpo quelli sui quali si esercita e modella
l'individualità di ciascun membro del corpo.
Nelle società del controllo, al contrario, l'essenziale non è più né una firma né un
numero, ma una cifra: la cifra è una password (codice d'accesso) mentre le società
disciplinari sono regolate da mot d'ordre, slogan, sia dal punto di vista
dell'integrazione che della resistenza. Il linguaggio digitale del controllo è fatto di
cifre che segnano l'accesso all'informazione o il rifiuto. Non ci si trova più di fronte
alla coppia massa/individuo. Gli individui sono diventati dei "dividuali": l'uomo
delle discipline era un produttore discontinuo di energia, mentre l'uomo del controllo
è piuttosto ondulatorio, messo in orbita su un fascio continuo. Per Deleuze, che
condivide il concetto di società del controllo di Focault, quest’ultime trovano
corrispondenza nelle macchine informatiche e nei computer.
Le parole di Cardini, Focault, Deleuze sembrano constatare la realizzazione nel
presente di allarmi e previsioni “vecchi” di mezzo secolo, come quelli della teoria
7
G. Deleuze, Focault, ed. Feltrinelli, Milano 1987, pp.99-107.
8
G. Deleuze, Pourparlers (1972-1990), Minuit, Paris 1990, p. 240.
10
critica della scuola di Francoforte. A cos’altro rimandano la crisi degli stati e delle
organizzazioni sovrastatali a vantaggio del "potere anonimo" delle multinazionali, la
selezione dell’elettorato passivo da rigide minoranze elitarie, il voto di scambio, i
vari sistemi di controllo del voto, le decisioni effettive prese sempre più da enti e
organi sottratti al controllo dell'elettorato attivo, se non al tanto temuto processo di
svuotamento democratico avviato dal sistema socio-economico liberista basato sul
consumo
9
?
E di cosa parla Cardini quando descrive una società che ha quasi del tutto perduto
l'identità, che sta dimenticando tutte le sue radici e le sue tradizioni, che ha fatto
proprio il principio del primato dell'economia su tutto il resto, che ritiene che tutto
sia mercificabile e monetizzabile, che vive immersa nei miti massmediali della
bellezza, della ricchezza, del successo, della ricerca della felicità; Una società in
realtà profondamente angosciata dalla pervasività del sentimento immanente e
inconfessato della morte, che ha smarrito sotto ogni riguardo la "cultura del limite",
se non di una società-prodotto dell’industria culturale teorizzata da Marcuse e
Adorno.
La crisi dei partiti storici di massa intesi come espressione organizzata di reti civiche,
organizzazioni collaterali e conseguenti forme di rappresentanza sociale, evidenziata
da una crescente disaffezione al voto, ha nel tempo costruito un “vuoto” tra società
civile e Stato. Questo “vuoto” ha determinato, per contrappeso, una mobilitazione
spontanea, alla ricerca di nuove rappresentanze.
1.1.2 Democrazia diretta e democrazia partecipativa
Democrazia diretta
Partendo dallo slittamento della democrazia rappresentativa verso la postdemocrazia,
da più parti è stata espressa la necessità di reinventare la democrazia diretta attuata
da Pericle nell’antica Atene.
9
M. Horkheimer - T. Adorno, Dialettica dell’Illuminismo, ed. Einaudi, Torino 1966, p. 156.
11
Democrazia diretta come antidoto all’alienazione e al disinteresse del cittadino alla
vita sociale e politica della sua comunità, come superamento della crisi della
democrazia come forma di governo.
Quando Benjamin Constant individuava il contenuto della libertà degli antichi
“nell’esercitare collettivamente ma direttamente molte funzioni dell’intera
sovranità”, non aveva dubbi che quell’esercizio “diretto” della sovranità si risolvesse
“nel deliberare sulla piazza pubblica”, in assenza di significativi intermediari che si
frapponessero fra il decisore e la decisione, e in compresenza fisica dei consociati
10
.
Anche per Rousseau una forma di governo fondata sulla sovranità popolare
richiedeva il “popolo adunato”, tanto che la legge non approvata dal “popolo in
persona” doveva ritenersi nulla e che l’intermediazione dei magistrati del popolo
doveva essere ridotta al minimo
11
. Per Jean Rosseau, esponente della concezione
liberale "egalitaria" della democrazia nel Settecento, il contratto sociale presuppone
l'idea del diritto naturale alla libertà, ma anche dell'eguaglianza come condizione
umana.
Oggi appare impensabile un ritorno alla democrazia diretta come sperimentato
dall’Atene di Pericle o teorizzato da Rosseau. Quello che Mcluhan chiamava
“villaggio globale”
12
negli anni Sessanta è oggi un sistema economico e politico
integrato che intreccia in maniera strutturale sempre di più la dimensione locale e
quella globale. Per questo si parla oggi di democrazia partecipativa piuttosto che di
democrazia diretta.
Democrazia partecipativa
Secondo Machperson, il modello di democrazia partecipativa nasce negli anni
Sessanta dalla constatazione che vi e' uno stretto collegamento fra ingiustizia sociale
e bassa partecipazione
13
. Ma una maggiore partecipazione comporta un problema di
dimensioni, la formulazione di domande non incongruenti, il ruolo dell'iniziativa
popolare. I movimenti svolgono un ruolo importante nel favorire la partecipazione
attiva; la democrazia partecipativa si configurerebbe come un sistema piramidale alla
10
B. Constant, Principi di politica, Editori Riuniti, 1982, pp.22-29.
11
J-J. Rosseau, Il contratto sociale, ed. Einaudi, Torino 1994, pp. 120-129.
12
M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, ed. Garzanti, Milano 1986, pp. 39.
13
C.B.Machperson, La vita e i tempi della democrazia liberale, ed. il Saggiatore, Milano 1980, p. 96.
12
cui base vi sarebbe la democrazia diretta ed ai livelli superiori quella delegata. Tale
sistema pero', osserva Machperson, non eliminerebbe differenze di potere e sarebbe
incompatibile con l'apatia politica. Occorrerebbe allora combinare il sistema
piramidale con quello partitico competitivo.
Negli ultimi anni l’incontro fra municipalità e nuovi movimenti, sorti in seguito alla
protesta di Seattle nel 1999, ha costituito un inizio di superamento della debolezza
della democrazia rappresentativa, costruendo nuovi spazi pubblici nelle città, nuovi
istituti di democrazia, nuove forme di autogoverno delle comunità locali.
L’esperienza partecipativa di Porto Alegre, in Brasile, è stato di esempio anche per
un numero sempre crescente di comuni italiani, dal bilancio partecipativo a forme di
decisioni collettive più generalizzate.
Questa pratica di relazione fra istituzioni locali e movimenti, in quanto costruzione di
nuovi spazi pubblici funzionali al cambiamento radicale dei modelli di vita, di
produzione e di consumo, pone apertamente il problema di quali rappresentanze
degli attori socioeconomici far accedere al tavolo costituente, in particolare dando
visibilità e potere decisionale ad attori che solitamente non sono interlocutori delle
amministrazioni.
Questa problematica si lega alla progressiva sovrapposizione della sfera pubblica con
la sfera mediale e alla conseguente internalizzazione dell’opinione pubblica
nell’arena mediatica.
13
1.2 Sfera pubblica e opinione pubblica nell’era mediale
Si dice comunemente che viviamo in una “società dell’informazione”, una società cioè dove
il lavoro si basa principalmente sui servizi e dove l’informazione di ogni tipo è la chiave del
benessere e del potere. Le società moderne dipendono sempre più da complessi sistemi di
comunicazione di cui la comunicazione di massa è solo una parte. Tuttavia, ciò che sta
avvenendo ai mass media è sintomatico di enorme interesse e ricoprono un ruolo notevole
nella vita politica, sociale ed economica. L’importanza dei mass media va oltre l’effettivo
potere che essi possiedono o che possono rivendicare.
14
1.2.1 Opinione pubblica
Il libro di Jürgen Habermas Storia e critica dell’opinione pubblica è il testo più citato
nelle analisi del concetto di opinione pubblica. È noto come per Habermas una vera e
propria opinione pubblica si sviluppi solo con l’avvento della sfera pubblica
borghese nel Settecento inglese e francese
15
.
Per Ferdinand Tönnies, «l’opinione pubblica è l’espressione più intellettuale della
stessa volontà collettiva che si esprime nella convenzione e nella legislazione.
Possiamo determinare il suo soggetto, che si accoda dunque alla società e allo Stato
come soggetti di quella, come il “pubblico” o, più precisamente, se si tratta di un
pubblico sapiente, istruito, informato, come la “repubblica degli eruditi [...]»
16
.
Mentre Floyd H. Allport critica la personificazione del concetto di opinione pubblica
che viene comunemente diffusa: «[...]secondo questa finzione, è pensata come una
specie di essere che dimora nel o al di sopra del gruppo, e lì esprime i suoi punti di
vista sui vari problemi via via che essi sorgono. [...]Questa finzione, quando è
osservata da un punto di vista scientifico, naturalmente scompare, e troviamo solo
raggruppamenti di individui con un certo accordo comune in un periodo e un
differente tipo d’accordo in un altro»
17
. Paul F. Lazarsfeld riporta come per molti
autori classici il termine in questione si riferisca a persone non appartenenti alla
classe dirigente, nella quale vengono reclutati i governanti, e che tuttavia rivendicano
14
D. McQuail, Sociologia dei media, ed. il Mulino, Bologna 2001, p. 48.
15
J. Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica, ed Laterza, Bari 1988, pp. 45-60.
16
F. Tönnies, Kritik der öffentlichen Meinung, ed. Springer, Berlin 1922, p. 78.
17
F. H. Allport, 1937, “Verso una scienza dell’opinione pubblica”, in M. Livolsi, a cura di,
Comunicazioni e cultura di massa, ed. Hoepli, Milano 1969, p. 267.
14
una voce negli affari pubblici
18
. Nel saggio del ’70 Oeffentliche Meinung, Niklas
Luhmann partendo dalla constatazione che il concetto di opinione pubblica fa
riferimento ad un oggetto «divenuto dubbio, forse addirittura inesistente», sostiene
che ormai le funzioni principali dell’opinione pubblica siano condizionare la scelta di
un tema sociale e articolare le opinioni relative a quel tema
19
. Elisabeth Noelle-
Neumann , in contrasto con Habermas, sostiene che certamente vi era stata
un’accellerazione della sfera pubblica in seguito all’affermazione della modernità
capitalistica, ma in effetti segnali dell’opinione pubblica si perdevano nella notte dei
tempi. E riporta l’esempio dell’imbarazzo come forma di disagio comunicativo
universale collegato ad una reazione del soggetto nei confronti dell’ambiente
sociale
20
.
La funzione generale dell’opinione pubblica rispetto alla diminuzione
dell’insicurezza sociale si ricollega alla teoria degli “stereotipi” di Walter Lippmann,
secondo cui questi ultimi sarebbero un meccanismo per aumentare la comprensione e
ridurre l’ansia verso un sistema sociale sempre meno controllabile direttamente
21
.
Fino ad arrivare alla provocazione di Pierre Bourdieu, che intitola un suo intervento
nel primo numero della rivista Problemi dell’informazione (1976) “L’opinione
pubblica non esiste”. Per Bourdieu, che parte dall’analisi sull’efficienza e
sull’efficacia dei sondaggi, l’opinione pubblica non è altro che un campo di forze, in
continuo conflitto, che rispondono ad una logica di riconferma dei rapporti sociali
esistenti
22
.
1.2.2 Sfera pubblica
Spesso si fa riferimento alla nozione di “sfera pubblica” come ad uno spazio
metaforico che costruisce un’arena più o meno autonoma e più o meno aperta per il
dibattito
23
. Questo spazio trova posto tra la base e il vertice della società, dove la
base corrisponderebbe grossomodo alla sfera privata della vita dei singoli cittadini,
18
P. F. Lazarsfeld, Metodologia e ricerca sociologica, a cura di V. Capecchi, ed. il Mulino, Bologna
1967, pp. 891-894.
19
N. Luhmann, “Opinione Pubblica”, in N. Luhmann, Stato di diritto e sistema sociale, ed. Guida,
Napoli 1978, pp.17-24.
20
E. Noelle-Neumann, La Spirale del silenzio, ed. Meltemi, Roma 2002, pp. 56-59.
21
W. Lippmann, L’Opinione Pubblica, ed. Donzelli, Roma 2000, p. 117.
22
P. Bourdieu, “L’opinione pubblica non esiste”, in Problemi dell’informazione, n. 1, 1976, p. 71.
23
D. McQuail, Sociologia dei media, op. cit., p.153.
15
mentre le istituzioni politiche centrali stanno al vertice e fanno parte della vita
pubblica.
Curran parla di «un modello di sfera pubblica come zona neutrale con ampio accesso
all’informazione riguardante il bene pubblico, dove la discussione è libera e tutti i
partecipanti al dibattito pubblico sono allo stesso livello»
24
. Quando Dahlgren parla
di sfera pubblica come di “società civile”, in cui diverse istituzioni intermediate
ispirate alla libera partecipazione costituiscono una zona “protetta” per i cittadini
nelle loro relazioni con lo stato
25
, cita Michael Walzer e il suo «spazio di
associazione umana volontaria e l’insieme di reti relazionali [...] che riempie tale
spazio»
26
.
A questo punto, dovendo fare una scelta convenzionale che ci permetta di analizzare
i mutamenti avvenuti nell’ultimo secolo almeno nel rapporto tra i cittadini e la vita
sociale del paese, proviamo a dare una definizione utile di sfera pubblica e opinione
pubblica.
Per sfera pubblica intenderemo lo spazio sociale condiviso in cui i cittadini in forma
individuale o associata partecipano alle decisioni riguardanti la loro comunità (fisica
o culturale che sia) con una mera espressione della propria opinione o con strumenti
decisionali effettivi.
Per opinione pubblica intenderemo un orientamento di giudizio unanime, o in gran
parte concorde, di fasce maggioritarie della società riguardo una tematica di rilevante
interesse pubblico.
1.2.3 Dall’opinione pubblica all’opinione di massa
La sfera dell’opinione pubblica, secondo Habermas, si costituisce in Europa nella
seconda metà del XVIII secolo. Una borghesia sostanzialmente esclusa dal potere
politico ma con un ruolo di crescente importanza nella società civile, comincia a
24
J. Curran, “Mass Media and Democracy Revisited”, in J. Curran e M. Gurevich, a cura di, Mass
Media and Society, ed. Edward Arnold, London 1996, p. 119.
25
P. Dahlgren, Television and the Public Sphere, ed. Sage, London 1995, pp.66-79.
26
M. Walzer, “The Civil Society Argument”, in C. Mouffe, Dimension of Radical Democracy, ed.
Verso, London 1992, p. 20.
16
pressare per avere un controllo sulle decisioni dei sovrani e dei governanti
27
. «La
circolazione dei giornali, l’abolizione dell’istituto della censura preventiva e la
diffusione dei club, sono gli avvenimenti che consentono la formazione dell’opinione
pubblica borghese, quella dei capitani d’industria, dei ricchi commercianti, dei liberi
professionisti e degli intellettuali» (Renato Parascandolo
28
).
Pochi, infatti, hanno la possibilità e la capacità di pubblicare articoli o di leggerli.
Eppure, grazie alla stampa, si costituisce, in Europa, un focolaio d’irrequietezza
culturale: una prima opinione pubblica che predilige l’argomentazione razionale. Un
momento importante per il passaggio verso la massificazione dell’opinione è
costituito dalla diffusione della radio negli anni Venti del XX secolo. Non perché -
come sostengono alcuni - i cittadini potessero per la prima volta esprimere e rendere
pubbliche le loro idee, a prescindere dalla loro classe d’appartenenza, e della loro
alfabetizzazione. Tecnicamente era possibile, ma la pratica prese rapidamente una
strada diversa. La radio, infatti, era stata inizialmente creata per una comunicazione
bidirezionale e, basandosi sull’oralità, permetteva in effetti a chiunque di esprimersi
dai suoi microfoni. Ma i tempi richiedevano altro al nuovo medium. Per ragioni
diverse in America e in Europa si decise di indirizzare la radio verso una forma di
comunicazione unidirezionale e di massa (da uno a molti). Negli States si diede largo
spazio al carattere commerciale del mezzo, a discapito della sua funzione di servizio
comunitario, in Europa le dittature avevano bisogno di un mezzo di propaganda
efficace con le masse. Il passo importante apportato dalla radio verso l’opinione di
massa venne da questa esigenza: i proclami dei governanti potevano ormai
scavalcare la sfera circoscritta e critica dell’opinione pubblica tradizionale per
arrivare direttamente nella dimensione privata di una massa di persone.La
televisione, in particolare quella commerciale, consoliderà questa metamorfosi della
figura del cittadino nella categoria di “gente” (Parascandolo
29
). Secondo studiosi
meno lungimiranti, la radio e la televisione si sarebbero limitate ad allargare la
cerchia dell’opinione pubblica.
27
J. Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica, op. cit., pp. 41-54.
28
R. Parascandolo, Opinione pubblica e opinione di massa, articolo presente su www.filosofia.it, 2004
.
29
Ibidem.
17
Nel ’39 Herbert Blumer definisce la massa, contrapponendola al pubblico. Mentre
quest’ultimo «si forma attorno a un problema o a una causa [...] è un elemento
essenziale della democrazia politica, fondata sull’ideale di razionalità in un sistema
politico aperto, e spesso comprende la parte più informata della popolazione», la
massa era «disaggregata [...], priva di autocoscienza e identità»
30
. È questo per
Visentin l’aspetto che impedisce alla “massa” degli individui di quelle moderne
società che si definiscono, appunto, “di massa” di esprimere una pubblica opinione
nel senso tradizionale della parola. «L’opinione di massa, diversamente dalla
tradizionale opinione pubblica, non emerge dalla somma delle opinioni individuali,
sottoposte all’influenza dei medesimi fattori, attraverso l’elisione degli aspetti e degli
elementi che rendono personale e soggettiva ciascuna di esse. Una tale opinione,
piuttosto, si impone ai singoli individui come un orientamento generale, che non
promana dalla loro esperienza particolare, che li travalica e che viene accolto proprio
perché già condiviso, senza bisogno di confrontare le rispettive posizioni e i relativi
punti di vista. Ciò cambia completamente il ruolo e la natura dell’opinione pubblica
– continua Vicentin - In quanto opinione di massa, essa non rappresenta più il frutto
di un’elaborazione sociale che si produce nello scambio di idee e nel pubblico
dibattito[...] L’opinione di massa è, al contrario, il frutto dell’isolamento e
dell’atomismo sociale, essa viene recepita e registrata attraverso la relazione che ogni
singolo individuo, in quanto individuo-massa, intrattiene con le fonti
dell’informazione collettiva»
31
. Di conseguenza un’opinione di massa, diversamente
dalla tradizionale opinione pubblica, si costituisce attraverso l’incontro fra quel
bisogno di “senso” e di radicamento che abbiamo chiamato “ansia di salvezza” e le
rappresentazioni (idee, programmi, manifestazioni, immagini) che sono in grado di
intercettarlo, offrendogli uno sbocco.
La cosiddetta opinione di massa è strettamente connessa all’industria culturale, di cui
per primi cominciarono a parlare gli intellettuali della scuola di Francoforte. Il
termine “industria culturale” viene usato da Horheimer e Adorno per la prima volta
nella Dialettica dell’Illuminismo (1947). La realtà dell’industria culturale è
30
H. Blumer, “The Mass, The Public and Public Opinion, in A.M. Lee, a cura di, New Outlines of the
Pinciples of Sociology, ed. Barnes and Noble, New York 1939, p.87.
31
M. Visentin, Opinione pubblica e democrazia di massa, articolo presente su www.filosofia.it, 2004.
18
totalmente diversa dal termine “cultura di massa” , che nasce spontaneamente dalle
masse.
Film, radio e settimanali costituiscono un sistema. Ogni settore è armonizzato in sé e tutti
tra loro [...] (È) in questo circolo di manipolazione e di bisogno che ne deriva, che l’unità
del sistema si stringe sempre di più [...] La razionalità tecnica, oggi, è la razionalità del
dominio stesso[...] La stratificazione dei prodotti culturali secondo la loro qualità estetica o
il loro impegno è perfettamente funzionale alla logica dell’intero sistema produttivo. [...].
32
E la logica dell’intero sistema produttivo, secondo la teoria critica, è il profitto. Tutto
ciò ha conseguenze inevitabili sul ruolo del cittadino all’interno della società di
massa. Nell’era dell’industria culturale l’individuo non decide più autonomamente,
in quanto il conflitto tra impulsi e coscienza è risolto con l’adesione acritica ai valori
imposti
33
.
Quella che un tempo i filosofi chiamavano vita si è ridotta alla sfera del privato e poi del
puro e semplice consumo, che non è più se non un’appendice del processo materiale della
produzione, senza autonomia e sostanza propria.
34
l’individualità è sostituita dalla pseudo-individualità. La ripetitività, l’ubiquità e la
standardizzazione dell’industria culturale ne fanno un mezzo di straordinario
controllo di massa
35
. Se, per Adorno, “nel XVIII secolo il concetto stesso di cultura
popolare, diretto verso l’emancipazione dalla tradizione assolutistica e semi feudale,
aveva un significato di progresso, accentuando l’autonomia dell’individuo come
essere capace di prendere le sue decisioni”
36
, nell’epoca attuale l’industria culturale e
una struttura sociale gerarchica e autoritaria renderebbero l’obbedienza il valore
dominante.
Tutti gli studiosi che hanno parlato di passaggio dall’opinione pubblica all’opinione
di massa sembrano concordare su un punto: passando alla nuova fase l’individuo
perde la sua capacità critica, accompagnato spesso dalla sostituzione della propria
coscienza di classe con la condizione di consumatore.
32
M. Horkheimer - T. Adorno, Dialettica dell’Illuminismo, op. cit., p. 130.
33
M. Wolf, Teorie delle comunicazioni di massa, ed. Bompiani, Milano 2000, p. 84.
34
T. Adorno, Minima Moralia, ed. Einaudi, Torino 1954, p. 3.
35
M. Wolf, Teorie delle comunicazioni di massa, op. cit., p. 85.
36
T. Adorno, “Televisione e modelli di cultura di massa”, in M. Livolsi, a cura di, Comunicazione e
cultura di massa, op. cit., p. 383.