2
Senza voler anticipare quello che sarà il nostro percorso è necessario però accennare al
fatto che si aderirà in questo scritto al pensiero di quanti postulano che solo un uso delle
tecnologie telematiche che si porrà come primo obiettivo quello di dare spazio a discussioni
argomentate e che tengano conto della diversità delle posizioni, nel rispetto dei tempi
fisiologici necessari perché una discussione acquisisca una certa ricchezza e complessità,
prima che, eventualmente, se ne possano trarre delle conseguenze pratiche, può essere
ritenuto un approccio valido affinché la rivoluzione tecnologica in corso possa realmente
avere degli effetti positivi ed allargare la partecipazione collettiva ai discorsi di pubblico
interesse.
Avremo modo di apprendere nel corso del lavoro che tra i tanti nomi attribuiti a questo
tipo di approccio ne esiste uno coniato da uno studioso italiano, Stefano Rodotà, che è quello
di “democrazia continua”. Questo termine sarà scelto anche da noi, per parlare nel prosieguo
del lavoro di questa filosofia di fondo, con l’idea che esso, forse più di altri, è capace di
sintetizzare molto efficacemente in una così semplice formula la complessità della posizione
da noi adottata e privilegiata.
Effettuata questa scelta sarà poi nostro dovere chiederci se alla semplice teorizzazione del
concetto di “democrazia continua” siano poi succediti dei tentativi di applicazione pratica di
questo, e se questi abbiano effettivamente soddisfatto le premesse e le aspettative di un simile
approccio.
Come vedremo si individuerà nelle esperienze di “community netwoking” il tentativo più
ambizioso e allo stesso tempo completo di realizzazione di un simile ideale. Dopo che si sarà
cercato di definire che cosa si intenda con questo termine, ed in cosa consistano
effettivamente gli utilizzi delle nuove tecnologie telematiche che possono essere annoverati in
questa categoria, si cercherà di gettare uno sguardo sul corpus delle esperienze di “community
networking” accumulatesi fino ad oggi.
Come è abbastanza facile intuire anche solo dal termine utilizzato poc’anzi, è chiaro che la
nostra analisi comincerà dal contesto nordamericano, e questo è in un certo senso scontato,
visto che è in quel continente che si è diffuso, prima che altrove sul pianeta, l’uso delle reti
telematiche, e che, tra i vari utilizzi che ne sono stati fatti, si sono sviluppate anche le prime
iniziative di “community networking”. Interessandoci a queste iniziative avremo inoltre modo
di scoprire che, anche se tutte possono essere incluse nella categoria generale sopra indicata,
è possibile scorgere all’interno del corpus delle diverse esperienze una serie di sottoclassi e di
modelli, differenti per singoli aspetti tra di loro.
3
Anche in questo caso si cercherà di analizzare gli elementi che caratterizzano e
differenziano gli specifici modelli, ma, al contrario di quanto sarà stato fatto nella seconda
parte del lavoro, non si privilegerà nessuno specifico modello, indicandosi in una specie di
forma ibridata che sappia racchiudere in sé gli elementi più positivi delle singole categorie, la
formula ritenuta da noi maggiormente appropriata.
Lo studio continuerà poi spostandosi ad analizzare quanto è accaduto e tutt’ora sta
accadendo nel nostro Paese, e tra gli elementi che emergeranno ci sarà anche una piacevole
sorpresa nello scoprire che, contrariamente alla tendenza generale che vede l’Italia
decisamente in ritardo rispetto agli altri paesi occidentali nell’uso delle nuove tecnologie, in
questo campo possiamo vantare il fatto di essere all’avanguardia nell’intero contesto europeo,
e che talvolta quello che è stato fatto da noi eguaglia i risultati ottenuti negli stessi Stati Uniti.
Apprenderemo così che la formula italiana di “community networking” che ha avuto
maggiore successo e che più si è diffusa è quella delle “reti civiche”, ossia dell’utilizzo degli
strumenti telematici radicato in specifici contesti locali ed in special modo nelle città, per lo
più promosso dalle Pubbliche Amministrazioni deputate al governo delle città stesse.
Sarà abbastanza facile scorgere un’analogia di fondo tra le reti civiche e le città, tanto che
sono in molti a teorizzare, e noi con loro, che la “rete civica” deve tendere infine a divenire
una vera e propria riproduzione virtuale della città, e soprattutto di una sua idea come spazio
pubblico di incontro e di interazione tra le diverse anime che la popolano e la arricchiscono.
Dall’analisi dell’esistente in Italia, che sarà fortemente aiutata da una serie di rapporti su
questo fenomeno stilati da uno dei più importanti centri di ricerca statistica italiana, si
cercherà quindi di capire se e quanto, al momento, “le reti civiche” stiano favorendo
l’affermarsi di quell’ideale di “democrazia continua” da noi ritenuto come l’uso delle nuove
tecnologie che più di tutti potrebbe rendere maggiormente democratiche le nostre società.
E, naturalmente, ci si interrogherà anche sulle prospettive future di questo fenomeno
emergente, eppur già così radicato nell’intero panorama nazionale, alla ricerca di quelli che ci
paiono essere i punti più problematici per una evoluzione delle “reti civiche” che permetta la
piena affermazione concreta della “democrazia continua”, ed allo stesso momento cercando
di scorgere quelli che invece ci paiono essere i segnali più positivi che, se opportunamente
considerati, potrebbero permettere la realizzazione di quanto in questo studio si auspica.
Esaurita l’opera di monitoraggio sull’intero territorio nazionale stringeremo ancor di più il
fuoco della nostra ricerca, interessandoci da vicino ad un’esperienza singola di “telematica
civica” italiana. Ci occuperemo della “rete civica” Iperbole, di Bologna, innanzitutto perché
essa è da più parti indicata come l’iniziativa maggiormente all’avanguardia all’interno del
4
contesto nazionale, tanto da figurare tra le esperienze europee più interessanti; in più perché
si ritiene che in essa più che in ogni altra “rete civica” si siano compiuti i primi passi
necessari perché effettivamente si possa cominciare a parlare di “democrazia elettronica” e di
un utilizzo delle reti telematiche per dare un maggiore spazio di intervento e di espressione ai
cittadini; e, infine, si sceglierà di occuparsi di Iperbole perché il sottoscritto ha svolto nello
scorso inverno uno stage formativo proprio a Bologna presso questa “rete civica”, esperienza
che ci permetterà quindi di esaminare questo caso con un’ottica che possa dirsi maggiormente
profonda di altre che sarebbero derivate da un’osservazione solo “esterna” delle iniziative.
Anche nell’analisi di Iperbole, naturalmente, si cercherà di evidenziare quelli che paiono
essere gli aspetti maggiormente positivi, soprattutto per quello che concerne l’ipotesi di
affermazione e di incarnazione nella “rete civica” dell’ideale di “democrazia continua”, e,
allo stesso tempo, ci si concentrerà su quelli che ci sembrano i maggiori nodi problematici e
le lacune più preoccupanti che potrebbero portare alla non realizzazione di quanto da noi
auspicato.
Terminato infine questo lungo discorso incentrato sulla rivoluzione telematica e sulle sue
applicazioni che potrebbero e dovrebbero favorire l’affermarsi della “democrazia
elettronica”, ci si interesserà nell’ultima parte del nostro lavoro ad un argomento che
potrebbe apparire poco collegato con il resto dei temi che saranno da noi trattati. Ci si
interrogherà infatti sul rapporto tra le città e le nuove tecnologie, prendendo spunto dal fatto
che proprio i cambiamenti economici e tecnologici in corso stanno trasformando la fisionomia
delle città, almeno per quanto riguarda il mondo occidentale.
In pratica, affidandoci alle analisi e agli studi di alcuni sociologi urbani americani ed
italiani, si cercherà di dimostrare che è in atto un profondo mutamento che sta ridiscutendo il
ruolo e la funzione delle città, e soprattutto di quelle maggiormente inserite nei nuovi flussi
economici ed informativi dell’economia globalizzata. Potremo così apprendere che all’interno
delle città si stanno acutizzando ed inasprendo delle differenze, soprattutto tra le classi sociali
più agiate e quelle povere, entrambe in progressiva crescita, proprio mentre si cominciano ad
avvertire i primi segni di declino delle classi medie, tradizionalmente egemoni a livello
quantitativo dal dopoguerra ad oggi.
Come se ciò non bastasse sono molti gli studiosi a denunciare il fatto che a questa
polarizzazione si starebbe accompagnando un uso delle nuove tecnologie e dell’architettura
che starebbe sempre di più mettendo in discussione il tradizionale ruolo delle città quali
luoghi di incontro (e scontro) tra soggetti appartenenti a diverse culture, e quindi portatori di
esperienze eterogenee e non sempre facilmente conciliabili. In pratica le città, per millenni
5
luoghi pubblici per eccellenza, starebbero perdendo questa loro funzione, ed al loro interno
sarebbero in crescita le linee di demarcazione e di fortificazione per evitare che le diverse
classi sociali che le popolano entrino in contatto.
Ci si interrogherà allora su questa ipotesi, e si cercherà anche di proporre un diverso uso
delle tecnologie telematiche che potrebbe invertire questa tendenza, cercando di renderle
degli strumenti che permettano alle diverse anime della città di entrare in contatto tra loro, di
modo che si inneschi una serie di scambi fecondi che potrebbe arricchire la vita cittadina,
riuscendo allo stesso tempo a ridefinire in maniera processuale l’identità delle città, proprio in
un momento storico come il nostro nel quale l’identità e le specificità culturali dei diversi
contesti locali possono divenire fondamentali nel decretare il successo o il fallimento delle
città stesse.
E proprio in un periodo come questo, inoltre, nel quale ci pare di poter dire che troppo
spesso i discorsi sulla valorizzazione dell’identità e delle peculiarità dei luoghi fisici paiono
essere condotti in maniera eccessivamente superficiale, mentre a livello profondo si starebbe
assistendo ad inquietanti fenomeni di omologazione planetaria.
In conclusione di questo discorso infine, così come nella parte di lavoro dedicata alla
rivoluzione telematica ci si interessa ad un’esperienza singola, e cioè ad Iperbole¸ allo stesso
modo ci si concentrerà brevemente su una città, nel tentativo di capire se in essa è possibile
sorgere un utilizzo delle tecnologie che porti effettivamente alla fortificazione degli spazi e
allo svilimento del suo ruolo tradizionale di spazio pubblico, o se, al contrario, si può dire che
l’uso delle reti di comunicazione sia maggiormente finalizzato affinché i diversi soggetti che
la compongono possano stringere relazioni tra di loro, ed eventualmente impegnarsi nella vita
quotidiana della città per renderla ancora più ricca e soddisfacente. È inutile dire che la città
della quale si tratterà, seppur solo fugacemente, è Bologna.
Delineato per sommi capi quello che sarà il percorso da noi proposto, non ci resta che
intraprenderlo, cominciando dal dibattito teorico internazionale che scaturisce dalla domanda
che ha costituito anche lo spunto per la realizzazione di questo lavoro, e cioè se la telematica
ed Internet possano realmente rendere più democratiche le nostre società, e possano offrire a
tutti noi un più ampio spazio di intervento per la libera manifestazione del pensiero.
6
1 Apocalittici e integrati nell’era di Internet
“La tecnologia non è né buona né cattiva. E non è neppure neutrale”
1
Introduzione
Si cercherà di capire in questo capitolo, analizzando parte del dibattito teorico in corso, se
e di quanto la rivoluzione telematica in atto porti con sé dei profondi cambiamenti nella vita
di chi è in qualche misura investito da questo fenomeno. E ciò soprattutto per quanto riguarda
la possibilità di una maggiore partecipazione attiva dei cittadini ai dibattiti di pubblico
interesse, che la diffusione di questa tecnologia potrebbe consentire..
Non è una novità quella per cui alla comparsa di un nuovo mezzo di comunicazione siano
in molti ad argomentare, con metodi più o meno raffinati, che grazie ad esso si permetta
finalmente agli individui della società intera, o almeno ad una sua larga maggioranza, di
intervenire direttamente per esprimere le proprie opinioni e di prendere parte alle decisioni
che riguardano l’intera collettività o parte di essa; e, naturalmente, neanche mancano di solito
coloro che in risposta a simili posizioni cercano di dimostrare quanto fittizie possano essere
simili idee, e quanto in realtà al cambiamento tecnologico non corrisponda affatto una
maggiore democraticizzazione della società. E, ancora, di come addirittura questo possa
talvolta favorire un ulteriore linea di demarcazione tra un’esigua fascia di cittadini chiamati ad
intervenire nel dibattito pubblico e a decidere, ed il resto della popolazione che sarebbe
sempre più tagliato fuori da quello che pare essere un esercizio vitale per ogni società che
voglia dirsi effettivamente democratica.
Senza volere andare troppo indietro nel tempo si potrebbero ad esempio rievocare i
discorsi di Mc Luhan sulla televisione che avrebbe permesso un’emancipazione mondiale
delle masse favorendo la crescita di un dibattito collettivo e planetario
2
, o ancora le
argomentazioni di Meyrowitz che abbastanza lucidamente cercavano di dimostrare quanto il
mezzo televisivo, con la sua capacità di svelare i retroscena, avesse reso pubbliche
informazioni ed ambienti che prima erano possedute esclusivamente da piccole caste di
invididui e di come questo, naturalmente, avesse reso le società occidentali interessate dal
1
Krantzberg M., The information Age: evolution or revolution?, citato in Martinotti Guido, Squinternet . Ordine
e disordine nella società digitale, in Ceri Paolo e Borgna Paola (a cura di) , La tecnologia per il XXI secolo,
Torino Einaudi, 1998, pag. 111.
2
Mc Luhan Marshall, War and Peace in the Global Village, New York Bantam, 1968.
7
fenomeno più aperte e democratiche
3
. Possiamo citare a tale proposito le seguenti
affermazioni di Arturo di Corinto:
Da questo punto di vista è doveroso notare che all’introduzione di ogni nuovo medium
comunicativo autori, politici, intellettuali, hanno parlato della nuova democrazia che verrà
senz’altro a costituirsi con la nuova tecnologia che avanza […] Negli anni 20, 30, 50, la
tecnologia nuovissima e rivoluzionaria per la vita democratica di cui costoro hanno parlato
è la televisione, il telefono o addirittura la radio
4
.
Ma, allo stesso tempo, sono i molti ad avere affermato che un simile approccio entusiastico
e deterministico alla nascita di nuovi mezzi di comunicazione tralasciava di notare come
questi potessero essere utili per ben altri scopi, e come spesso essi siano stati addirittura
funzionali a progetti miranti a diminuire il livello di partecipazione dei cittadini e a limitare il
loro grado di libertà di intervento. Riprendendo le parole di Di Corinto bisogna infatti
riconoscere che…
…Con il tempo abbiamo appreso che queste tecnologie da sole non garantivano una
maggiore democrazia. Noti studiosi hanno individuato una relazione tra lo sviluppo delle
tecnologie di comunicazione di massa (come quella radiofonica e cinematografica) e
l’avvento dei totalitarismi, e il dibattito attuale sulla par-condicio chiarisce i rischi che
presenta l’appropriazione integrale dello spazio televisivo da parte dei professionisti della
politica
5
.
Naturalmente non è compito di questo lavoro ripercorrere l’intera storia di questo ciclico
entusiasmarsi e raffreddarsi alla comparsa di innovazioni tecnologiche nel campo della
comunicazione, anche perché la trattazione dell’argomento richiederebbe una mole di studi
non indifferente
6
, e questa breve introduzione torna ad esserci utile solo per affermare che la
sterminata quantità di discussioni sulla presunta democraticità dell’Internet e delle reti
telematiche in genere non è una novità assoluta dei giorni nostri, bensì semplicemente la
ripresa di una tematica classica nel dibattito teorico sui mezzi di comunicazione.
3
Meyrowitz Joshua, No Sense of Place, New York Oxford University Press, 1985 (trad. it., Oltre il Senso del
Luogo, Bologna Baskerville, 1995).
4
Di Corinto Arturo, Reti civiche e nuove forme di partecipazione politica, testo presentato ad un workshop
tenutosi a Bologna sull’argomento reti civiche il 28 febbraio del 2000. L’intero documento può essere reperito su
Internet all’indirizzo www.cittadigitali.it/autogov/demoele/articoli/bologna_28_2_00.html .
5
ibid.
6
A tale proposito si possono citare ad esempio l’articolo di Lucien Sfez “Miti e realtà di Internet”, pubblicato
su Le Monde Diplomatique nel suo numero del marzo 1999, ed il paragrafo Tante rivoluzioni inavvertite, in
Carlini Franco, Internet, Pinocchio e il Gendarme, Roma Manifestolibri, 1996, pag. 215-217.
8
Quello che cambia forse è il numero di interventi sul tema, decisamente maggiore oggi con
le reti che in passato a proposito degli altri mezzi, e questo anche a causa delle reti stesse. Se
infatti negli anni scorsi il dibattito teorico si dipanava quasi esclusivamente per mezzo del
veicolo editoriale e quindi della produzione saggistica, oggi una massiccia fetta di questo può
essere reperita in rete, canale che permette di scavalcare i limiti fisiologici propri della
produzione editoriale, e che in virtù dei bassissimi costi di immissione di informazione in esso
alimenta ed amplia le possibilità individuali di poter esprimere la propria posizione
sull’argomento.
Affermazione quest’ultima che potrebbe farci subito ritenere plausibile l’ipotesi secondo
la quale grazie ad Internet e alla rivoluzione telematica in atto le possibilità per ognuno di noi
di intervenire su qualsivoglia argomento e di esprimere liberamente la nostra opinione con la
consapevolezza di essere ascoltati da un numero rilevante di altri individui siano cresciute a
dismisura. Ma in questo modo saremo portati a generalizzare gli effetti positivi di una tra le
tante caratteristiche delle reti telematiche, ossia il fatto che è relativamente facile, qualora si
abbia accesso ad esse, immettervi informazioni con la quasi certezza che esse raggiungeranno
un numero soddisfacente di potenziali ascoltatori ed interlocutori.
Ma già nella prima condizione posta nel periodo precedente, ovvero la possibilità di
accedere o meno al mezzo telematico, si annida uno dei più potenti freni per la diffusione
collettiva e generalizzata dei vantaggi di cui si scriveva in alto.
9
1.1 L’accesso
Nel prossimo secolo, con ogni probabilità, il dibattito sull’accesso sarà tanto
appassionato quanto quello sui diritti di proprietà lo fu nell’era moderna. Questo perché,
potenzialmente l’accesso è un problema di portata ancora più generale: la proprietà riguarda
il ristretto mondo materiale del mio e del tuo; l’accesso, invece, tocca la più ampia
questione, di natura culturale, del controllo delle esperienze
7
.
Eccoci giunti ad uno dei temi più spinosi e problematici relativi alla diffusione delle
tecnologie telematiche. Cominceremo ad esplorare questo intricato e denso dibattito dalla
precondizione necessaria ed ineludibile perché si possa poi parlare del resto: solo nel
momento in cui è possibile accedere alle reti telematiche, infatti, ci si può poi interrogare se
questo comporti un arricchimento delle proprie esperienze personali, e nella fattispecie una
maggiore capacità di essere informati e soprattutto di poter influire personalmente ed in
maniera incisiva sul dibattito pubblico. Ma, cifre alla mano, subito siamo portati a dover
ammettere che questa condizione iniziale è tutt’altro che realizzata e che nonostante il fatto
che siano in molti a presentare il fenomeno Internet come una realtà concreta per l’intera
popolazione mondiale, in effetti attualmente, e secondo le previsioni ancora per molto, la sua
portata è tutt’altro che globale.
Se ritorniamo ad esempio alle argomentazioni di Jeremy Rifkin possiamo scoprire, senza
neanche sorprenderci più di tanto, che “la realtà è che il 65% della popolazione mondiale non
ha mai fatto una telefonata e che il 40% non ha accesso all’energia elettrica” e ancora che “ci
sono più linee telefoniche nella sola Manhattan che in tutta l’Africa subsahariana”
8
. Si tratta
solo di alcune cifre abbastanza evocative e capaci di illustrare concretamente quanto poco
generalizzata sia la diffusione non soltanto della più recenti innovazioni tecnologiche, quanto
di quelle, quali il telefono e l’elettricità, che molti di noi ritengono quasi “naturali”,
intendendosi con ciò il fatto che si faticherebbe molto ad immaginarsi una vita normale che
prescindesse dalla loro esistenza
9
.
7
Rifkin Jeremy, The Age of Access, New York Penguin Putnam, 2000 (trad. it., L’età dell’accesso, Milano
Mondadori 2000, pag. 293).
8
ibid., pag. 305.
9
Riferendosi ad esempio al telefono ed ai macrosistemi tecnici in generale (rete elettrica, idrica, fognaria ecc.)
Alain Gras afferma che “…la modernità può essere concepita solamente attraverso di loro, metaforicamente essi
aderiscono alla pelle della società contemporanea”. Il passo è tratto da Gras Alain, Grandeur et dépendance,
Paris Presse Universitaires de France, 1993 (trad. it., Nella rete tecnologica, Torino Utet-Telecom 1997, pag. 81-
82).
10
Continuando con le statistiche, concentrandoci esclusivamente sul fenomeno Internet, è
possibile apprendere ancora che “…nel 1998 i paesi più industrializzati costituivano più
dell’88% del traffico su Internet, anche se hanno meno del 15% della popolazione mondiale.
Nel solo Nord America, che ha meno del 5% della popolazione mondiale, si trova la metà
degli utenti di Internet, mentre l’Asia meridionale, con più del 20% della popolazione, ha
meno dell’un per cento degli utenti Internet”
10
.
Dati che non hanno bisogno di ulteriori spiegazioni e che da soli smentiscono qualsiasi
entusiastico commento sulla capacità di Internet di rivoluzionare il pianeta e di garantire una
migliore qualità della vita per la maggioranza dei suoi abitanti. Qualità della vita che, per
inciso, è talmente disastrosa nella maggior parte del mondo da rendere persino superfluo per il
momento il problema dell’accesso alle reti telematiche. Infatti nel momento in cui la
principale preoccupazione per molte di queste popolazioni è quella della semplice
sopravvivenza, messa in discussione dalla cronica carenza dei beni primari di sussistenza, il
fatto che queste siano tenute lontane dalle principali infrastrutture di comunicazione del
pianeta potrebbe apparire anche irrilevante
11
.
È bene però precisare che si tratta di un’irrilevanza solo apparente, poiché la creazione di
questa nuova barriera non fa altro che rafforzare il divario tra i ricchi ed i poveri, ponendo i
primi in posizioni ancora più privilegiate per ampliare le loro relazioni e per sfruttare le
potenzialità offerte dai nuovi mezzi di comunicazione, e condannando invece i secondi alla
totale esclusione dall’uso di una risorsa che, più di qualsiasi altra nell’attuale fase storica,
potrebbe permettere l’emancipazione individuale e collettiva
12
.
Si sta facendo esplicito riferimento alla famosa tesi del knowledge gap, proposta nel 1970
da Tichenor, Donhoue e Olien secondo la quale…
10
Rifkin Jeremy (2000), op. cit., pag. 306.
11
A tale proposito si possono citare le parole di Ernesto Mezzetti durante il suo intervento dal titolo Appunti per
una geopolitica dei nuovi divari: “Il villaggio metropolizzato e lo spazio non connesso”, al convegno
“Comcities”, tenutosi a Bologna il 18 ed il 19 maggio del 2000: “La connessione integrale, diffusa nell’ecumene,
è un’ipotesi teorica, tecnicamente possibile […] Le grandi multinazionali della comunicazione, le grandi
imprese che guardano a Internet come a un mercato,sono interessate alla geografia delle aree a più alto
prodotto lordo pro capite. E nelle aree in cui la maggioranza della popolazione ha redditi largamente al di sotto
di quella che nell’emisfero nord è considerata la soglia di povertà, quello della connessione in rete non è certo
visto come il problema prioritario”. L’intero documento può essere reperito in Internet al sito:
www.baskerville.it/comcities/mezzetti.html .
12
Risulta essere abbastanza imbarazzante a tale proposito la seguente posizione trovata in un documento
informativo dell’Unione Europea, reperibile in rete, intitolato “L’Europa in movimento. La Società
dell’informazione”, secondo la quale “anche se finora al mondo due abitanti su tre non hanno ancora mai avuto
in mano un telefono, lo sviluppo della società dell’informazione va visto come un fenomeno globale”. L’intero
documento può essere reperito in Internet al sito:
www.europa.eu.int/comm/dg10/publicat…ochures/move/infoeduc/infso/txt_it.html .
11
…A mano a mano che aumenta la penetrazione dei media di informazione in un sistema
sociale, i segmenti di popolazione con status socio-economico più alto tendono ad acquisire
l’informazione più velocemente dei segmenti di più basso livello socio-economico, così che
lo scarto di conoscenza tra questi due segmenti tende a crescere piuttosto che a diminuire
13
.
Problematica acuita ancor di più dal fatto che…
…L’innovazione tecnologica e le sue modalità di commercializzazione e di ingresso sul
mercato, costituiscono chiaramente dei vettori che riproducono certi scarti di conoscenza
che si stavano magari chiudendo in riferimento alle tecnologie comunicative più “vecchie”.
La diffusione su base socialmente ristretta di una nuova tecnologia riapre la “forbice” e
rilancia nuove differenze nell’acquisizione di conoscenze
14
.
A sostegno dell’ipotesi che le nuove tecnologie amplino il divario tra chi già in passato era
in possesso di maggiori informazioni e competenze e chi invece risultava esserne tagliato
fuori troviamo, tra molti altri, anche Stefano Rodotà quando afferma che…
…Diverse ricerche hanno confermato che, fino a questo punto momento, negli Stati
Uniti le nuove tecnologie hanno creato nuove disuguaglianze, sì che si è segnalato il
pericolo dell’emergere di una vera e propria “information apartheid”
15
.
E se un simile scenario non bastasse già ad allarmare riguardo al fatto che si sta scavando
un divario sempre più incolmabile tra gli “inforicchi” e gli “infopoveri” ci sarebbe, a nostro
avviso, da aggiungere che rispetto al passato la mancata possibilità di accedere alle tecnologie
della comunicazione risulta essere ancor più penalizzante oggi, e proprio perché in questo
modo si perde l’opportunità, non solo di entrare in possesso di informazioni che potrebbero
13
Tichenor P., Donhoue G., Olien C., Mass Media and Differential Growth in Knowledge, in Public Opinion
Quarterly 34, 1970, pag. 158-70, citato in Wolf Mauro, Gli effetti sociali dei media, Milano Bompiani, 1992,
pag. 80.
Sensibilmente diversa a tale proposito è invece l’opinione di Antonio de Lillo secondo il quale “nelle società
contemporanee le disuguaglianze di tipo distributivo stanno diventando sempre meno importanti rispetto a
quelle relazionali”, cosa che sembrerebbe indicare il fatto che non per forza ci sia una corrispondenza biunivoca
tra le forme di povertà tradizionali e quelle recenti, legate alla diffusione delle innovazioni tecnologiche.
Il passo citato è tratto da De Lillo Antonio, Nuove generazioni e strumenti telematici, in Catanzaro Raimondo e
Ceri Paolo (a cura di), Comunicare nella metropoli, Torino Utet-Telecom, 1995, pag. 65.
14
Wolf Mario (‘92), op. cit. pag. 82.
15
Rodotà Stefano, Tecnopolitica, Roma Laterza, 1997, pag. 91. Sono molto interessanti, a tale proposito, i dati
riportati nella stessa pagina dalla quale è stato tratto il passo sopra citato, e che si riferiscono ai risultati di una
ricerca della Rand Corporation che ha coperto il decennio 1984-1993.
12
risultare rilevanti per il proprio vissuto, ma, e soprattutto, perché si vede sfumare la propria
concreta possibilità di intervenire direttamente in questi mezzi nel ruolo di produttori di
informazioni, cosa che viene ad essere consentita dalla bidirezionalità intrinseca di queste
tecnologie
16
.
Il fatto che ci si sia concentrati finora sulle forti differenze che si incontrano a livello
planetario non deve farci dimenticare inoltre che anche all’interno degli stessi paesi definiti
sviluppati l’accesso alle tecnologie della comunicazione, ed in special modo quello relativo
alle nuove tecnologie telematiche, non è affatto un fenomeno generalizzato, per cui si
potrebbe postulare anche all’interno di queste aree la presenza di due segmenti di popolazione
caratterizzati dalla possibilità o meno di poter usufruire dei benefici offerti dall’esplosione
del fenomeno Internet. Stando ad esempio alle cifre del Censis nell’aprile del 2000, in Italia il
popolo dei navigatori non supera i 9 milioni e mezzo di individui
17
. Dati che, se da un lato
confermano il fatto che il fenomeno sia in forte crescita (in settembre del 1999 gli internauti
italiani erano circa 5 milioni), non possono nascondere che in Italia infine accede ad Internet
meno di un sesto della popolazione totale.
Se poi si prova a verificare la distribuzione nella popolazione di queste statistiche, ossia
quali sono le categorie sociali che maggiormente utilizzano i nuovi media, si scopre ad
esempio che gli utenti risultano essere per lo più maschi (29,4% della popolazione contro il
14% delle donne) e che in media tra chi ha meno di 35 anni ci sia il doppio di navigatori
rispetto agli over 35. Ed ancora che solo il 5% del campione di anziani utilizza le nuove
tecnologie
18
.
16
Citando nuovamente Rodotà possiamo trovare una conferma a quanto sostenuto: “Riflettendo su questi dati si
è osservato che se i nuovi media fossero soltanto beni di consumo, le disuguaglianze ampie e crescenti
potrebbero essere considerate accettabili. Essendo, invece, strumenti indispensabili per la partecipazione
culturale, sociale, politica ed economica, le nuove disuguaglianze diventano un rischio reale per la
democrazia”. Il passo citato è tratto da Rodotà Stefano (’97), op. cit., pag. 91.
17
Censis: sono 9 milioni e 400 mila gli internauti italiani, in La Repubblica del 9 giugno 2000.
18
A tale proposito può essere interessante citare l’idea di Philippe Breton sul perché di una tale esclusione delle
fasce di popolazione anziana dall’utilizzo della rete. Ciò avverrebbe perché “il culto di Internet è un culto
giovane, un culto di giovani per i giovani. È concepito come una sorta di rivoluzione permanente dove sono i
giovani che determinano la direzione del movimento. Nicholas Negroponte è l’autore che approfondisce di più
l’emergere di questo fenomeno: «Scorgo la stessa mentalità di decentramento in atto nella nostra società, sotto
l’impulso della gioventù dell’universo digitale […] si tratti del popolo di Internet, dell’uso di Nintendo e di Sega
o di capire a fondo cosa sono i microcomputer, l’importante sarà l’appartenenza non più a una categoria
sociale, razziale o economica, ma alla generazione giusta. Oggi i ricchi sono i giovani, e i vecchi i diseredati»
[…] Leggendo alcuni articoli o dichiarazioni, è lecito chiedersi quale spazio questo «nuovo mondo» lascerà ai
vecchi (agli ultra trentacinquenni). Una nostra ricerca dell’ente nazionale di previdenza per la vecchiaia rivela
l’esistenza, nel campo delle nuove tecnologie dell’informazione, di un vero e proprio discorso di esclusione degli
anziani, dovuto essenzialmente al culto della giovinezza su cui poggia questo settore”. Il passo citato è tratto da
Breton Philippe, Le Culte de Internet. Une menace pour le le lien social?, Paris La Dècouverte, 2000, pag. 128.
A loro volta le parole di Nicholas Negroponte sono tratte da, Negroponte Nicholas, Being Digital, New York
Alfred A. Knopf, 1995 (trad. it. Essere digitali, Milano Sperling & Kupfer, 1995, pag. 214).
13
Differenze sensibili si riscontrano anche per quanto riguarda il livello di istruzione, per cui
se il 40% dei laureati usa Internet, solo lo 0,2% dei possessori di licenza elementare fa lo
stesso e tra questi il 27,3% non sa affatto cosa è Internet. Esclusi ancora paiono essere i
disoccupati (8,3% di collegati alla rete) e le casalinghe (2,9% di connessioni), ed infine, e
ancora una volta senza alcuna sorpresa, mentre al nord è collegato alla rete il 24,8% della
popolazione queste cifre scendono al 24,4% al centro e ad un disarmante 14,3% al sud
19
.
A questi dati si possono aggiungere anche delle statistiche fornite dall’Istat secondo le
quali solo il 20,9% delle famiglie italiane possiede un computer, e che anche nel mondo
dell’impresa solo il 22,2% di queste si avvaleva, nel momento in cui è stata effettuata la
ricerca, di risorse informatiche
20
.
Alla luce di questi dati appare dunque fin troppo evidente quanto non solo l’idea di un
intero globo solcato dalle reti di comunicazione sia, se non disonesta, quantomeno altamente
ingenua
21
, ma anche che negli stessi paesi occidentali Internet non è affatto una realtà
concreta per la maggioranza delle persone, come invece pare emergere da gran parte degli
interventi sul tema.
Cosa che forse può essere spiegata col fatto che la maggior parte di questi proviene proprio
da quel mondo che potremo definire genericamente intellettuale, e che risulta essere
largamente coinvolto dal fenomeno Internet
22
, ma che non può comunque giustificare simili
distorsioni percettive, secondo le quali ormai chiunque può accedere all’utilizzo delle reti
telematiche e può usufruire dei presunti vantaggi derivanti da ciò.
Si tratta, in fin dei conti, di uno scenario tutt’altro che sorprendente e che chiunque di noi
può esperire nel proprio quotidiano, mentre quel che sorprende è il fatto che nonostante la
realtà dei numeri ci dica questo, sono moltissimi gli interventi teorici che sottolineano quanto
il bene informazione sia ormai fondamentale nella società contemporanea, tanto che in molti
cominciano a paragonarlo ad altri beni considerati indispensabili per i cittadini quali ad
esempio l’aria o l’acqua.
19
Internet, oltre nove milioni di utenti in Italia, in Il Resto del Carlino del 6 maggio 2000.
20
Istat: solo una famiglia su 5 ha un computer, in La Repubblica del 15 novembre 2000.
21
Sempre dall’intervento di Mezzetti prima citato: “ Circa la valenza politica dell’uso della rete, è comunque
opportuno valutare l’arbitrarietà di estendere l’analisi all’intero globo. È certo più giusto parlare del globo
«connesso»: se economicamente e tecnologicamente esso rappresenta la parte preminente dell’ecumene, per
superficie e popolazione ne è solo una parte modesta”. IL passo è tratto da Mezzetti Ernesto (2000), op. cit.
22
Più in generale possiamo affermare, seguendo il ragionamento di Guido Martinotti, che “…per la prima volta
dall’introduzione del macchinismo, le nuove tecnologie dell’informazione investono direttamente non solo il
lavoro intellettuale in genere, ma in modo specifico il lavoro degli intellettuali – cioè di quanti per mestiere
producono ed elaborano simboli”. Il passo è tratto da Martinotti Guido (’98), op. cit., pag. 107.
14
Senza pretendere naturalmente di citare gli innumerevoli interventi che testimoniano
quanto detto ci limitiamo a riportare una definizione del termine “società dell’informazione”
presente nel Libro Bianco dell’Unione Europea presentato nel dicembre del ’93 dall’allora
presidente della Commissione Europea Delors, e nel quale per la prima volta a livello ufficiale
compare in un documento europeo il riferimento a questa nuova realtà:
A new "information society" is emerging in which the services provided by information
and communications technologies (ICTs) underpin human activities
23
.
Una definizione che sottolinea, a livello istituzionale, quanto ormai i servizi di
informazione e di comunicazione siano necessari per sostenere le attività umane in generale.
Siamo di fronte insomma ad una sorta di paradosso: se da un lato tutti, indistintamente,
sottolineano in maniera sempre più marcata l’importanza fondamentale del bene informazione
ed il fatto che solo nel momento in cui si può avere accesso alle moderne reti tecnologiche di
comunicazione si evita il rischio di essere tagliati fuori da un circolo virtuoso di relazioni e di
risorse che potrebbe scaturire dall’uso di queste, dall’altro emerge lampante il dato secondo il
quale in realtà la maggioranza della popolazione mondiale, ed anche quella dei paesi definiti
sviluppati, non dispone di alcuna possibilità di collegamento alla nuova infrastruttura
comunicativa tanto esaltata.
Viene da chiedersi allora se l’informazione, o più generalmente l’accesso alle nuove
tecnologie comunicative, debba essere considerato una sorta di bene pubblico del quale tutti
dovrebbero poter usufruire
24
, e se di conseguenza ci si sia attivati a livello istituzionale per
garantire una sorta di servizio universale in questo ambito.
23
White Paper on growth, competitiveness, and employment: The challenges and ways forward into the 21st
century, Brussels 5-12-93.
24
E’ questa la posizione di tantissimi teorici e tra loro di Rifkin che afferma: “Nell’economia delle reti […] dove
l’integrazione in una relazione è il cardine intorno a cui ruota l’organizzazione delle attività, la libertà ha un
significato affatto differente: inclusione e accesso – non autonomia e possesso – sono gli indici più importanti
della vita dell’individuo. In questo nuovo contesto la funzione dello Stato è quella di garantire a ciascuno il
diritto individuale ad accedere alle infinite reti […] attraverso cui gli uomini interagiscono, comunicano,
gestiscono le attività economiche e creano cultura.” Il passo citato è tratto da Rifkin Jeremy (2000), op. cit., pag.
319.
15
1.1.1 L’informazione come bene pubblico ed il servizio universale
Il “servizio universale”, definito come l’accesso ad un servizio di telecomunicazioni è
considerato come un diritto fondamentale di tutti i cittadini, essenziale per la piena
appartenenza alla collettività sociale, e come un elemento costitutivo del diritto alla libertà
d’espressione e di comunicazione, che quindi, come il servizio sanitario e l’istruzione, deve
essere assicurato dal potere centrale con le risorse fiscali. In questa ottica, l’obiettivo della
fornitura del “servizio universale” prevale su considerazioni di pura efficienza economica
e il problema che si pone ai poteri pubblici, insieme alla definizione dell’area dei servizi
universali, è quello di stabilire se è preferibile attingere i fondi necessari per il servizio con
l’imposizione fiscale diretta o indirettamente, tramite le strutture tariffarie delle
telecomunicazioni
25
.
C’è bisogno di chiedersi quindi se alla diffusa retorica secondo la quale l’informazione è
uno dei beni fondamentali della nuova era (non a caso definita spesso dell’informazione),
corrisponda una reale politica sia a livello internazionale che all’interno dei singoli Stati che
permetta in effetti alla maggioranza dei cittadini di poterne usufruire, senza che ciò comporti
per essi uno sforzo economico che in alcuni casi potrebbe risultare essere insostenibile.
Sarebbe quasi lecito chiedersi, anche se in questo modo ci accingiamo ad utilizzare un
termine che non attraversa un periodo particolarmente felice, se esista una sorta di Welfare
nel campo della comunicazione
26
, che tuteli soprattutto le fasce sociali più deboli, facendo in
modo che esse non siano escluse dagli effetti dei cambiamenti tecnologici in atto (se poi
questi effetti debbano essere considerati positivi, negativi, o in un certo senso neutri, è un
argomento che verrà ampiamente dibattuto in seguito), così come nel passato, in gran parte
del mondo occidentale, e non solo, si era cercato di garantire anche alla fasce di popolazione
più povere, attraverso meccanismi di redistribuzione del reddito, il possesso di beni
fondamentali quali ad esempio la casa ed un livello minimo di sussistenza; o, per rimanere nel
25
Ocse, Le service universel et la restructuration des tarifs dans les télécommunications, Paris, 1991, pag. 24. Il
corsivo nel testo è del sottoscritto.
26
Locuzione utilizzata però da Vincenzo Vita, Sottosegretario al Ministero delle Telecomunicazioni durante il
governo Prodi, proponendola addirittura come titolo per il terzo capitolo del suo libro L’inganno multimediale,
Roma Meltemi, 1998.