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prevenzione della trasmissione sessuale dell’HIV attraverso
applicazione di formulazioni vaginali.
Interessanti anche gli inibitori dei corecettori CXCR4 e CCR5, tra
questi l’AMD-070, l’AMD-3465 e il SCH 35125.
I biciclami sono i più potenti tra i componenti antagonisti CXCR4
fino ad oggi studiati, conosciuti come potenti e selettivi inibitori
HIV da numerosi anni.
Da citare gli inibitori della fusione virale, dove alcuni componenti,
come il T-20, il T-1249 e il RPR-103611 interferiscono con la
fusione tra i due lipidi bilayers dell’envelope virale con la
membrana plasmatica cellulare, anche se i meccanismi d’azione
sono ad oggi non del tutto chiari. Il Fuzeon (già in commercio) è il
capostipite di questa potenziale classe di farmaci antiretrovirali.
Il Fuzeon agisce impedendo la fusione della membrana virale con
quella cellulare , a differenza dei convenzionali antiretrovirali che
agiscono impedendo la replicazione del virus all’interno della
cellula già infettata.
L’involucro virale contiene una proteina formata da due subunità,
gp120 e gp41, che media il processo di fusione.
Quando almeno due molecole di gp120 si legano alle molecole
situate sulla superficie dei linfociti CD4, nella subunità virale viene
introdotto un cambiamento conformazionale che consente
un’ulteriore interazione con i co-recettori espressi sulla membrana
dei linfociti T ( CXCR4 o CCR5 ).
Tale interazione induce un cambiamento conformazionale in gp120
che porta all’esposizione di gp41, consentendo al suo gruppo
idrofobico N-terminale di inserirsi nella membrana cellulare.
Successivamente, un’interazione tra le regioni HR1 ed HR2 della
subunità gp41 consente la formazione di una struttura elicoidale tra
le tre regioni HR1, stabilizzata dall’inserimento dei tre domini
HR2.
Avvenuta la stabilizzazione, la subunità gp41 si contrae e le
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membrane virale e cellulare si fondono.
Il Fuzeon ha la capacità di mimare la regione HR2 della subunità
gp41, e quando si lega alla regione HR1, rompe la formazione
della struttura elicoidale, impedendo la fusione tra virus e cellula.
I derivati del N-ossido di piridina rappresentano una classe
peculiare di componenti antivirali classificati come promessa e
come potenziali agenti anti-HIV.
Loro hanno un intero nuovo meccanismo di azione antivirale e la
capacità di mantenere l’attività antivirale contro ceppi virali che
avevano sviluppato una resistenza ai farmaci utilizzati , quali
NRTI, NtRTI, NNRTI e PI.
Diversi membri di questa classe di componenti interagiscono
funzionalmente con l’HIV-1 RT come NNRTI, altri distinti
membri inibiscono la replicazione dell’HIV.
Loro fanno questo, interagendo, addizionalmente o
alternativamente, con un target nel ciclo replicativo dell’HIV che è
situato, seguendo l’integrazione del DNA provirale, nei cromosomi
delle cellule ospite.
È stato effettuato un intenso studio sull’attività anti-HIV di una
larga varietà di derivati del N-ossido di piridina e dalle varie analisi
sembra che esistano diversi sottoclassi funzionali di componenti
derivati dentro gli N-ossidi di piridina.
Alcuni N-ossidi di piridina sono specificatamente ed
esclusivamente inibitori verso i ceppi di HIV-1 bersagliando
l’HIV-1 RT ma non l’HIV-2 RT; altri componenti intimamente
relazionati sono inibitori sia dell’HIV-1 che dell’HIV-2 come
anche del SIV (MAC251, il virus dell’immunodeficienza delle
scimmie).
Altri N-ossidi di piridina sono anche attivi contro il
citomegalovirus umano (ma non ad altri virus a DNA, come il
virus herpes simplex).
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E’ interessante notare che non ci sono relazioni struttura-attività
antivirali chiare correlabili a distinti sottogruppi funzionali.
Un’ulteriore classe di componenti è rappresentato dai
ciclotriazadisulfonammidi.
Uno degli effettivi approcci nel prevenire e inibire l’infezione
virale è bloccare i recettori delle cellule ospite sono usati dal virus
per entrare nella cellula.
Negli ultimi anni sono stati fatti progressi sulla comprensione dei
meccanismi molecolari nell’ingresso del virus dell’HIV nelle
cellule.
La glicoproteina gp120 sull’envelope esterno dell’HIV, interagisce
sequenzialmente con due molecole del recettore cellulare: la
glicoproteina CD4, e un recettore chemochinico, come il CCR5 o il
CCR4, che avvantaggia la fusione dell’envelope tra uin dominio
della gp41 con la membrana della cellula ospite, il cui risultato
finale è la fusione tra la membrana cellulare e quella virale.
Ognuno di questi steps nel processo d’ingresso virale rappresenta
un potenziale bersaglio per nuovi farmaci antivirali.
I correnti sforzi nello sviluppo di inibitori, efficaci e sicuri,
dell’ingresso dell’HIV nella cellula, sono focalizzati su ligandi
naturali e/o anticorpi monoclonali che interferiscono
nell’interazione gp120/CD4 o gp120/ co-recettore.
Esiste inoltre un approccio definibile come la farmacogenetica
nella terapia dell’HIV.
Gli studi dell’impatto della variabilità genetica umana alla risposta
agli antiretrovirali (ARV) sono complicati da parecchi fattori: è
necessario chiarire l’impatto funzionale della variazione genetica
umana e fatto ancora più importante come questo polimorfismo
possa influenzare l’evoluzione della malattia o la risposta al
trattamento, come ogni farmaco interagisce con numerosi targets,
come i carriers, gli enzimi metabolizzanti e altri tipi di recettori.
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Queste proteine determinano l’assorbimento del farmaco, la
distribuzione, l’escrezione, l’azione sul sito bersaglio, e la risposta
farmacologico.
Polimorfismi multipli in alcuni geni umani possono influenzare la
risposta al farmaco, richiedendo un ampio screening nel genoma,
alla ricerca dei geni responsabili.
In questo modo i grandi progressi nella genomica necessitano
prima di chiarimenti e poi di effettuare una precisa definizione del
meccanismo col quale gli alleli influenzano la risposta alla
farmaco-terapia.
Nella lotta all’HIV non poteva certo mancare la ricerca nel settore
dei vaccini. Nonostante gli sforzi, solo un vaccino anti-AIDS è
giunto alle prove di efficacia sugli umani ( fase III ) mentre un
altro è entrato in fase II. Sono state passete in rassegna diverse
tipologie di vaccini: vaccini a subunità ricombinanti, vaccini
peptidici, vaccino vettore vivo, vaccini a DNA, vaccino ucciso-
inattivato, vaccini con particelle virus-simili e vaccini-combinati.
Verranno qui di seguito riportati: un dossier che riassume
brevemente il corrente stato dell’epidemia globale d’AIDS,
sottolineando specialmente come questa si sia espansa negli ultimi
anni del secondo millennio; uno sguardo sull’efficacia a lungo
termine della potente terapia antiretrovirale nel prevenire l’AIDS e
la morte; quindi la validità dell’HAART.
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1) targets dei farmaci anti-HIV
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2) METODI
Questo studio, si è avvalso di un ampio screening di pubblicazioni,
in particolar modo quelle inerenti agli anni 2004 e 2005, in merito
a nuove terapie antiretrovirali..
È stato consultato il data base on-line Pubmed
(www.ncbi.nlm.nih.gov ), quindi la richiesta di documenti al
CIMEDOC (Università degli Studi-Bari) ed alla British Librery di
Londra. L’approfondimento ha riguardato sostanze e strategie che
sono accreditate di maggior successo.
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3) CENNI STORICI E MECCANISMO DI
REPLICAZIONE DEL VIRUS
Alla fine del 1980 Michael Gottlieb, ricercatore dell'Università
della California, svolgendo una ricerca sul sistema immunitario,
analizzando le cartelle cliniche dei pazienti ricoverati in ospedale
alla ricerca di eventuali deficit immunitari, scopre un giovane
paziente che soffre di un raro tipo di polmonite, dovuto al microbo
Pneumocystis carinii, che solitamente provocava la polmonite
soltanto in pazienti con un sistema immunitario depresso, per
esempio a seguito della chemioterapia. Nei mesi successivi scoprì
altri tre casi, tutti con un basso livello di linfociti T. Tra i pazienti
c'era una caratteristica in comune: erano omosessuali attivi.
Nel 1981 negli Stati Uniti, nella città di San Francisco, fu osservata
nelle popolazioni di omosessuali un brusco aumento del numero di
casi di rare malattie, quali sarcoma di Kaposi e linfomi cerebrali, e
di infezioni opportunistiche.Queste patologie inusuali per
frequenza e per l’età dei soggetti colpiti erano legate ad una
condizione di base di deficit del sistema immunitario comune a
tutti i pazienti e si manifestavano prevalentemente in chi aveva
avuto trasfusioni di sangue o comportamenti sessuali a rischio.Nel
luglio 1982 i ricercatori del Cdc ( Centers for Disease Control and
Prevention ) collegano la malattia al sangue a seguito del
verificarsi di alcuni casi tra gli emofiliaci, ipotizzando la presenza
di un agente infettivo trasmissibile.
Nel corso di un congresso promosso dalla Food and Drug
Administration (Fda) Bruce Voeller propone di chiamarla
Aquired immuno-Deficiency Sindrome (AIDS).
I casi accertati salgono a 1614 e le morti a 619.
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Poiché ci si trovava di fronte ad un’epidemia ristretta ad una
categoria particolare, si pensò immediatamente al coinvolgimento
eziologico di sostanze chimiche o di droghe e, in alternativa, di uno
o piu’ agenti virali a trasmissione sessuale.
In un primo momento il cytamegalovirus fu l’agente maggiormente
sospettato, in considerazione delle modalità di trasmissione e
soprattutto perché era già nota la capacità di questo virus di
provocare immunodepressione, sia pure transitoria.
Nel maggio 1983 un retrovirologo francese Luc Montagnier,
dell'Istituto Pasteur di Parigi, coltivando in
laboratorio le cellule di un paziente omosessuale
con linfonodi ingrossati, ma senza sintomi di
AIDS, riesce ad isolare un nuovo retrovirus che
chiama: Lynphoadenopathy-Associated Virus
(LAV). Per promuovere la sua scoperta, invia dati e campioni del
virus ad alcuni scienziati, tra cui Robert
Gallo, direttore del Laboratorio di biologia
cellulare dei tumori, già scopritore di due
retrovirus umani: Htlv-I e Htlv-II (Human T-
cell Leucemia Virus). Nell'aprile del 1984
Robert Gallo annuncia di aver scoperto un
retrovirus similare al LAV che chiamò Htlv-
III in pazienti affetti da AIDS.
L'annuncio suscita delle polemiche. Un'inchiesta giornalistica
rivela che le foto pubblicate dell'Htlv-III erano in realtà foto del
LAV francese, inoltre alcuni ricercatori notano che i virus di Gallo
e Montagnier sono così simili, che probabilmente provengono
dallo stesso paziente. I retrovirus infatti, se isolati da due persone
diverse, si distinguono l'uno dall'altro per piccole mutazioni.
Inizia così una battaglia legale con l'Istituto Pasteur che durerà
alcuni anni concludendosi con un accordo nel 1987. I presidenti
delle due Nazioni, R. Reagan e F. Mitterran si incontrano e
decretano l'attribuzione della scoperta del virus ex aequo a Gallo e
Montagnier. La conclusione sarà chiaramente di tipo politico e
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commerciale, anche se la comunità scientifica internazionale
riconosce allo scienziato francese il merito della scoperta. Nello
stesso anno un comitato di retrovirologi si riunisce e sceglie per il
virus un nuovo nome, più neutrale, Human Immunodeficiensy
Virus (HIV) Tale virus venne inizialmente denominato HTLV-III
(Human T-Lymphocytotropic Virus tipo 3), data la sua
somiglianza con l’HTLV-I, un Retrovirus responsabile di alcune
forme di leucemia. In seguito si scoprì che questo virus aveva delle
caratteristiche biologiche diverse da quelle dei Retrovirus noti fino
a quel momento, per cui venne chiamato con il nuovo termine di
HIV (Human Immunodeficiency Virus).
Nel marzo 1985 la FDA (Food and Drug Administration) approvò
il primo test per la determinazione degli anticorpi contro il virus
dell’HIV, che venne immediatamente introdotto tra gli esami
eseguiti per la sorveglianza di routine dei donatori di sangue.Nel
1986 viene pubblicato il primo report statunitense sull'AIDS che
mette in evidenza la necessità di dare informazioni sui rischi
connessi ai rapporti sessuali.
Si svolge a Parigi la seconda Conferenza internazionale sull'AIDS.
Nel 1987 alla III^ conferenza Internazionale sull'AIDS a
Washington con oltre 12.000 delegati da tutto il mondo in cui si
evidenzia la pericolosità della dipendenza da droghe assunte per
via endovenosa e si raccomandano nei rapporti sessuali l'utilizzo
del preservativo per evitare il contagio.
La Fda, l'organismo USA che autorizza l'immissione in commercio
di farmaci, su pressione degli attivisti, riduce i tempi di
applicazione del primo farmaco anti AIDS: l'AZT.
Scoperto da Jerome Horwitz nel 1964 nell'ambito della ricerca sul
cancro, l'ATZ (azidotimidina) agisce interrompendo la sintesi del
DNA.
Come è noto il DNA umano è una catena formata da quattro
mattoni base, nucleotidi, legati secondo sequenze complesse: A, T,
C e G. L'ATZ è analogo al nucleotida T, ma con un solo legame.
Perciò quando si inserisce, interrompe la sintesi del DNA.
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Come farmaco contro il cancro fu scartato per la bassa selettività e
per la sua eccessiva tossicità.
A causa della forte pressione emotiva per la gravità della diffusione
dell'AIDS, il farmaco fu testato in modo improprio, approvato e
subito commercializzato. Il farmaco, se usato da solo, mostrerà di
avere gravi effetti collaterali.
In quel anno in Italia i casi di AIDS erano 800 e nel mondo circa
50.000.
Si alza qualche voce di dissenso sull'approccio ufficiale alla
malattia. Il prof Peter Duesberg docente di biologia molecolare
dell'Università della California, in un articolo (e successivamente
in un libro) contesta l'HIV come causa dell'AIDS. La sua posizione
sarà rigettata dalla comunità scientifica e Duesberg isolato e
privato di finanziamenti per le sue ricerche
Nel 1988 la IV Conferenza Internazionale sull'AIDS a Stoccolma.
Per la prima volta viene celebrato il I° dicembre come Giornata
Mondiale AIDS.
I casi Italiani sono 1685, nel mondo 96.443
Nel 1991, dopo un decennio dall’inizio dell’epidemia, l’OMS
(Organizzazione Mondiale della Sanità) rese noto che circa 10
milioni di persone in tutto il mondo avevano contratto l’infezione,
e che circa la metà di queste erano già decedute per AIDS. Viene
approvato un nuovo farmaco anti-AIDS: la DDL, didanosina
Nel 1992 furono effettuati i primi studi finalizzati a dimostrare
l’efficacia di una terapia con due farmaci.