particolarmente artificiosi, più o meno invasivi, influenti sulle caratteristiche fisiche e
mentali dell'atleta allo scopo di migliorarne le prestazioni.
La storia
Il doping ha probabilmente la stessa età dello sport, dal momento in cui
l’uomo ha desiderato confrontarsi attraverso le proprie abilità col suo simile o con gli
animali non soltanto a scopo bellico o per badare al proprio sostentamento, dal
momento in cui la trasposizione della battaglia e della caccia in eventi e
manifestazioni a scopo ludico hanno costituito un elemento fondamentale
nell’evoluzione dell’essere umano, l’uomo ha probabilmente quasi da subito,
cercato di prepararsi al confronto tentando di migliorarsi con qualsiasi sistema.
Sono numerosissime le testimonianze di cerimonie propiziatorie prima della
prestazione, l’assunzione di pozioni simbolicamente preparate con ingredienti
richiamanti la vittoria o il vincitore di precedenti confronti. E’ ben noto l’esempio dei
gladiatori che, prima di scendere nell’arena dell’anfiteatro Flavio, erano soliti
assumere una bevanda preparata con una miscela composta dal sudore dei
“colleghi” risultati vincitori negli incontri del giorno precedente e dalla sabbia del
“campo di gioco” che aveva accolto il sangue dei vinti. Al di là di preparazioni
galeniche di questo tipo, puramente simboliche ed a significato pseudo-magico,
presso i Romani e presso numerosi altri popoli dell’antichità erano diffuse pratiche
“dopanti” dotate anche di un certo significato farmacologico. Si ha notizia di
preparati a base di frutta fermentata ad elevato contenuto alcolico per conferire
all’atleta euforia e ridurre la paura dello scontro, alimenti preparati con interiora e
testicoli di toro, dotati di vago significato anabolizzante, estratti di passiflora e tiglio
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ad effetto ansiolitico ed altre improbabili misture dotate di più o meno blanda
efficacia farmacologica. Col tempo le competizioni e le discipline sportive si sono
evolute, l’esito della gara non è più stato segnato dalla vita o morte dei partecipanti.
Premi in danaro, proprietà dello stato devolute, esenzione dal servizio di leva, per i
giovani atleti dell’antica Grecia che parteciparono alle prime olimpiadi, costituirono
la posta più ambita dai concorrenti. Nell’età moderna l’invenzione del motore e della
luce elettrica hanno consentito lo svolgimento di gare ad alta velocità ed in
ambientazione notturna proponendo nuove alternative, lo sviluppo di ulteriori abilità
e l’organizzazione di un maggior numero di competizioni in varie discipline. Il
doping, più o meno subdolamente, si è però sempre insinuato come pratica sleale e
pericolosa per il raggiungimento del risultato sportivo e quindi per il conseguimento
di premi ed onori nel modo più facile e rapido possibile. La prima morte
documentata di un atleta a causa dell’uso sconsiderato di sostanze risale al 1896. Il
ciclista Arthur Linton, durante la corsa Bordeaux-Parigi fu colpito da una crisi
cardiaca in seguito ad overdose di stimolanti. Fu molto in uso, in particolare nei
primi decenni del 1900, soprattutto tra i ciclisti, la pratica di preparare e consumare
anche nel corso della gara stessa le cosiddette “bombe”, veri e propri miscugli
composti con associazioni di stimolanti naturali o artificiali diluite in borraccia con
vino o acqua.
Il primo steroide anabolizzante fu introdotto alla fine degli anni ’40 nella pratica del
doping ed il suo utilizzo si diffuse rapidamente in molte categorie di atleti.
I primi tentativi di definire in termini legali in Italia la pratica del doping risalgono
all’inizio degli anni ’60. Fu la Federazione Medico-Sportiva Italiana, nel 1962, a
proporre per prima una definizione di doping come: “l’assunzione di sostanze dirette
ad aumentare artificiosamente le prestazioni in gara del concorrente
pregiudicandone la moralità, l’integrità psichica e fisica”; una definizione che pone
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in risalto l’aspetto etico e la lealtà dell’atleta ed i suoi principi morali. Il Consiglio di
Europa nel 1966 suggerì una definizione differente proponendo la seguente:
“Costituisce doping l’impiego di qualsiasi sostanza (…) da parte di individui sani al
solo scopo di migliorare artificiosamente il rendimento in una competizione “ Tale
definizione pone in risalto invece la assoluta inutilità dell’assunzione di farmaci e
sostanze da parte di individui non affetti da alcuna patologia, e qualunque
assunzione di farmaci da parte di atleti sarebbe stata configurata come doping
secondo tali indicazioni. Nel 1967 la morte dell’atleta Tommy Simpson, avvenuta
proprio al traguardo della tappa del Mont Ventoux del Tour de France, scosse
l’opinione pubblica. Il ciclista Simpson aveva assunto una dose consistente di
amfetamine procurando al suo organismo una grave ipertermia che, in
concomitanza con l’elevata temperatura ambientale (estate del 1967) risultò in un
esito fatale: il ciclista morì a causa di un collasso cardiocircolatorio poco dopo aver
completato la sua prova. Il Comitato Internazionale Olimpico, fondato nel 1894 dal
Barone Pierre de Coubertin, decise in tale occasione di dedicarsi con maggiore
attenzione ad un fenomeno così pericoloso e già all’epoca, da anni, dilagante,
istituendo la pratica dei controlli antidoping e preoccupandosi di stilare un elenco di
sostanze la cui assunzione doveva essere vietata agli atleti nel contesto delle
competizioni sportive di qualsiasi livello e disciplina. Da allora tale lista è stata
completata, aggiornata, revisionata, fino all'attuale ultima edizione dello scorso
gennaio 2003.(Tab. 1).
Dalla morte di Simpson ad oggi la storia del doping ha conosciuto momenti diversi.
Tra i più drammatici ritorna alla memoria il periodo della guerra fredda tra Stati Uniti
ed Unione Sovietica nel corso degli anni ’80. All’epoca lo scontro e la sete di
supremazia tra le due superpotenze fu caratterizzato, oltre che dalla corsa agli
armamenti, anche dalla bramosia di mostrare al mondo la rispettiva paternità della
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gioventù sportiva più sana e forte possibile. Per gli atleti Russi ed Americani furono
impiegati i prodotti più pericolosi, furono utilizzate cavie umane per la
sperimentazione di sostanze dopanti, fino alla possibilità di intervento sulla
regolazione dello sviluppo fisico e sessuale dell’individuo, secondo un’etica distorta
dalla mente di ricercatori privi di ogni scrupolo.
I - Sostanze VIETATE
A. Stimolanti
B. Narcotici
C. Agenti anabolizzanti
1. Steroidi anabolizzanti
2. Beta-2 agonisti
D. Diuretici
E. Ormoni peptidici, sostanze ad azione mimetica e analoghi
F. Agenti con attività anti-estrogenica
G. Agenti Mascheranti
II – METODI VIETATI
A. Aumento di trasporto di ossigeno
B. Manipolazioni farmacologiche, chimiche e fisiche
C. Doping genetico
III. CLASSI DI SOSTANZE VIETATE IN DETERMINATE
CONDIZIONI
A. Alcool
B. Cannabinoidi
C. Anestetici locali
D. Glucocorticosteroidi
E. Beta-bloccanti
Tab. 1 Lista del C.I.O. aggiornata al gennaio 2003
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Aspetti legali
In Italia la prima legge definita e dedicata alla prevenzione ed alla lotta al
doping è la n. 376 del 14 dicembre 2000, "Disciplina della tutela sanitaria delle
attività sportive e della lotta contro il doping". Nel testo redatto dal legislatore la
definizione di doping è così espressa: "Art. 1, Comma 2: Costituiscono doping la
somministrazione o l'assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o
farmacologicamente attive e l'adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non
giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psico-
fisiche o biologiche dell'organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli
atleti.
Comma 3: Ai fini della presente legge sono equiparate al doping la
somministrazione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente
attive e l'adozione di pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche,
finalizzate e comunque idonee a modificare i risultati dei controlli sull'uso dei
farmaci, delle sostanze e delle pratiche indicati nel comma 2".
La suddetta legge propone un elenco, completo e definito, suddiviso in 10 classi, di
sostanze vietate agli atleti, ed una ulteriore sezione relativa ai metodi di doping
(emotrasfusioni, somministrazione di trasportatori artificiali di ossigeno). L’elenco
delle sostanze vietate dalla legge italiana, pur basandosi su quello redatto dal
C.I.O., risulta alquanto differente soprattutto per una particolare e fondamentale
caratteristica. Nell’elenco stilato dal Comitato Olimpico ogni classe di sostanze
vietate presenta una parziale lista delle principali molecole e termina con la dicitura
"and related substances". Il C.I.O. cioè si riserva di vietare l'assunzione delle
sostanze elencate e di tutte le relative affini per struttura ed effetto farmacologico in
modo da non permettere all'atleta di ricercare prodotti dopanti a base di molecole
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non espressamente citate. Ogni classe presente nella lista della legge italiana è
priva della dicitura “...e sostanze affini”; a tale mancanza la legge italiana
sopperisce (o dovrebbe sopperire) con periodici aggiornamenti semestrali della lista
delle sostanze vietate parallelamente ai più recenti progressi della ricerca
scientifica. La lista della legge italiana è dunque una lista chiusa. L’ultimo
aggiornamento della lista italiana è stato pubblicato sulla G.U. n.222 del 24
settembre 2003 – “DECRETO 10 luglio 2003 Modifiche al decreto ministeriale 15
ottobre 2002” recante "Approvazione della lista dei farmaci, sostanze
biologicamente o farmacologicamente attive e delle pratiche mediche, il cui impiego
e' considerato doping, ai sensi della legge 14 dicembre 2000, n. 376".
In Italia dunque, l’applicazione delle due liste è da differenziare: per le sanzioni
sportive da comminare agli atleti trasgressori nell’ambito delle competizioni
organizzate sotto l’egida del C.I.O. e della World Anti-Doping Agency ha valore la
relativa lista aperta, per le sanzioni penali ha valore la lista italiana; per tutte le
competizioni nazionali non gestite da C.I.O. e/o W.A.D.A. ha valore la lista italiana,
sia per le sanzioni sportive che per quelle penali.
La legge 376/2000 infatti, prevede anche interventi penali con sanzioni pecuniarie e
fino alla reclusione nei confronti dell’atleta o di chiunque favorisca il ricorso al
doping (Tab.2).
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Art. 9 Disposizioni penali (legge 376/2000)
1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da tre
mesi a tre anni e con la multa da lire 5 milioni a lire 100 milioni chiunque
procura ad altri, somministra, assume o favorisce comunque l’utilizzo di
farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive,
ricompresi nelle classi previste all’articolo 2, comma 1, che non siano
giustificati da condizioni patologiche e siano idonei a modificare le
condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo, al fine di alterare le
prestazioni agonistiche degli atleti, ovvero siano diretti a modificare i
risultati dei controlli sull’uso di tali farmaci o sostanze.
2. La pena di cui al comma 1 si applica, salvo che il fatto costituisca più grave
reato, a chi adotta o si sottopone alle pratiche mediche ricomprese nelle classi
previste all’articolo 2, comma 1, non giustificate ………
3. La pena di cui ai commi 1 e 2 è aumentata:
a) se dal fatto deriva un danno per la salute;
b) se il fatto è commesso nei confronti di un minorenne;
c) se il fatto è commesso da un componente o da un dipendente del CONI
ovvero di una federazione sportiva nazionale, di una società, di un’associazione
o di un ente riconosciuti dal CONI.
4. Se il fatto è commesso da chi esercita una professione sanitaria, alla
condanna consegue l’interdizione temporanea dall’esercizio della
professione.
Tab. 2 Disposizioni penali secondo la legge italiana antidoping
Nel marzo 2003, la World Anti-Doping Agency (WADA) e il C.I.O. hanno deciso di
istituire un nuovo codice di regolamentazione per la lotta al doping (World Anti-
Doping Code) proponendo nuove strategie di intervento, nuove misure di controllo,
nuovi programmi di vigilanza. Il Codice, redatto e controfirmato dalle maggiori
federazioni sportive internazionali entrerà completamente in vigore nel corso del
2004.
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