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Introduzione
La complessità delle trasformazioni in atto a livello globale investe una quantità
di questioni che riguardano la dimensione economica, quella sociale, il quadro
ambientale, le dinamiche geopolitiche, con riflessi particolarmente rilevanti sulla
sostenibilità dei sistemi socioeconomici. In questo quadro, va affermandosi la necessità
di individuare un nuovo paradigma che riguardi i sistemi e i modelli produttivi, quanto i
modi d’uso delle risorse e gli impatti della dimensione antropica sugli ecosistemi.
La domanda alla quale cerca di rispondere questa tesi, si colloca in una duplice
direzione. In primo luogo, tenta di esplorare le geografie, o per meglio dire le nuove
geografie dell’innovazione: in quali ambiti essa si colloca? Quali paesi stanno
sperimentando strade innovative di trasformazione dei propri processi economici? In
quale misura tali mutamenti investono i sistemi sociali e le questioni occupazionali?
In secondo luogo, questo lavoro cerca di capire in che modo le istituzioni
dovrebbero interpretare il proprio ruolo, con lo scopo di creare le basi affinchØ si sviluppi
l’innovazione e quali funzioni può ricoprire quest’ultima per favorire la transizione da
una economia lineare ad una circolare, punto di arrivo indispensabile per la salvaguardia
dell’ecosistema globale.
La tesi si articola come segue. Nel primo capitolo è stata compiuta una disamina
delle principali macrotendenze a livello globale che tenderanno a stimolare ed influenzare
i processi d’innovazione nei prossimi decenni, trattando tematiche come le dinamiche
socio demografiche tra cui l’incremento della popolosità e l’invecchiamento della
popolazione con conseguente valorizzazione della silver economy, gli scenari economici
e occupazionali, tra cui la crescita di una classe media a livello globale e la diffusione
della gig economy, la sempre maggiore importanza ricoperta dal capitale umano e dal
ruolo dell’istruzione terziaria, specie in un mercato del lavoro tendente ad una
polarizzazione sempre più spiccata e, infine, i temi legati all’ambiente, in particolare gli
effetti sulle risorse naturali dettate dal loro sfruttamento per produrre energia e dai
cambiamenti climatici, che introducono le sfide che attenderanno la green economy.
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Nel secondo capitolo si traccia l’inquadramento teorico ripercorrendo il pensiero
degli economisti che più di altri hanno investigato ed analizzato la natura
dell’innovazione, per poi approfondire il pensiero dell’economista italiana Mariana
Mazzuccato, che ha studiato a fondo le cause che, a livello globale, e più in particolare
negli Stati Uniti, hanno originato innovazione offrendo, ne “Lo Stato Innovatore” (2014),
una originale lettura del ruolo che lo Stato dovrebbe ricoprire per garantire ai paesi
innovazione, crescita e sviluppo.
Dopo il contributo della Mazzuccato, passiamo ad osservare le riflessioni di un
altro economista italiano, Enrico Moretti, che, ne “La nuova geografia del lavoro” (2013),
studia i fattori che portano alla agglomerazione dei centri dell’innovazione in determinate
aree piuttosto che in altre, evidenziando la tendenza alla divergenza ed alla path
dependency ed approfondendo l’importanza del capitale umano e della mobilità
geografica, ritenuti entrambi di fondamentale importanza per la creazione di innovazione,
ricchezza e per la prosperità dei paesi.
Il secondo capitolo si chiude con una ricerca sui ruoli e la distribuzione dei
clusters a livello mondiale e su un quadro d’insieme dell’indice di innovazione a livello
paese, con l’obiettivo di avere una panoramica su dove l’innovazione sta avvenendo e
dove, presumibilmente, avverrà nel prossimo futuro.
Nel terzo e conclusivo capitolo, l’attenzione si sposta sul cambiamento di
paradigma da una cultura lineare ad una circolare, spiegando inizialmente le
caratteristiche peculiari di una economia circolare e offrendo una panoramica del quadro
normativo di riferimento sia a livello internazionale che comunitario. Successivamente il
focus si sposta sul nostro paese e l’attenzione viene posta sul quadro italiano, cercando di
esaminare le politiche che le istituzioni hanno posto in essere per favorire l’innovazione
ed il passaggio a tecnologie innovative.
Viene, in seguito, analizzata la realtà delle piccole medie imprese italiane per
comprendere se l’economia circolare ha davvero le potenzialità di rappresentare, per il
made in Italy, non solo un’opportunità per evolversi dal punto di vista tecnologico e
cogliere le occasioni offerte dal cambio di visione proposto dai decisori politici europei,
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ma anche una leva per favorire la competitività del nostro sistema produttivo e come
posizionamento strategico nella scena globale.
Il capitolo si chiude osservando come lo Stato italiano si sta preparando ad
interpretare il ruolo a sostegno dell’innovazione e del cambio di paradigma, con lo scopo
di comprendere le direttrici intraprese dal nostro Paese per correggere i fallimenti di
mercato, ovvero se è uno Stato, riprendendo la prospettiva di indagine di Mazzuccato,
che si farà carico di spingere in maniera profonda l’innovazione e i suoi processi in modo
da garantire uno sviluppo economico che sia al contempo sostenibile, giusto ed inclusivo.
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1.2 Gli scenari economici e occupazionali
Altri fattori che, presumibilmente, determineranno importanti trasformazioni a
livello socio economico, sono l’aumento del reddito e della ricchezza nelle economie in
via di sviluppo, che stanno già portando all’emergere di una classe media a livello globale
e a forti disuguaglianze a livello locale, il progresso tecnologico, la polarizzazione del
mercato del lavoro e la crescente gig economy.
Dalle attuali proiezioni OCSE (2016), la classe media dovrebbe raddoppiare tra
il 2009 e il 2030 passando da circa 1,8 miliardi d’individui a quasi 5,0 miliardi, pari a
circa il 60% della popolazione mondiale, e circa due terzi di questi cittadini si troveranno
probabilmente in Asia (OECD, 2016).
Figura 9
Fonte: OECD (2016), OECD Science, Technology and Innovation Outlook 2016
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¨ previsto, infatti, che la quota dell'Asia nella spesa della classe media globale
salga da circa il 25% di oggi a quasi il 60% nel 2030 (OECD, 2016), determinando un
enorme cambiamento nelle decisioni di consumo passando da un mercato basato
prevalentemente su beni di prima necessità come cibo e vestiti ad un modello di consumo
maggiormente choice-based guidato da categorie come elettrodomestici e ristoranti.
I prossimi 50 anni, sempre secondo ricerche OCSE (OECD, 2016), dovrebbero
essere testimoni dello spostamento del centro di gravità dell'economia mondiale verso
Sud-Est; entro il 2030, infatti, i paesi in via di sviluppo potrebbero arrivare a contribuire
ai due terzi della crescita globale e a metà della produzione globale e saranno le principali
destinazioni del commercio mondiale (OECD, 2016).
Nonostante gli analisti prevedano che entro il 2060 le disparità tra paesi per
quanto riguarda il PIL pro capite dovrebbero ridursi in quanto i livelli di reddito pro capite
delle economie attualmente più povere sono destinati a quadruplicare mentre nelle
economie più ricche si limiteranno a raddoppiare (la Cina e l'India, addirittura, è previsto
sperimenteranno un aumento di circa sette volte il loro reddito pro capite attuale), le
disuguaglianze all’interno dei paesi sono destinate a perdurare se non addirittura a
peggiorare ed è prevedibile che contribuiscano ad alimentare rischi politici, sociali ed
economici nei prossimi anni.
Figura 10
Fonte: ESPAS, 2013
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Nella grande maggioranza dei paesi avanzati il divario tra ricchi e poveri, ha
raggiunto il massimo livello da tre decenni a questa parte. Oggi, il 10% più ricco della
popolazione dei paesi dell'area OCSE guadagna quasi dieci volte il reddito del 10% più
povero, anche se il rapporto varia ampiamente tra i vari paesi. Nei paesi nordici e in molti
Paesi europei continentali, infatti, il rapporto è significativamente inferiore alla media,
ma in Italia, Giappone, Corea, Portogallo e Regno Unito, il rapporto è molto vicino a 10
a 1, tra il 13 e il 16 a 1 in Grecia, Israele, Turchia e Stati Uniti e addirittura tra 27 e 30 a
1 in Messico e Cile (OECD, 2016).
Di seguito si riporta un grafico che offre una panoramica d’insieme del grado di
disuguaglianza nel reddito a livello mondiale (Buffett Institute for Global Studies, 2016).
Il coefficiente utilizzato è quello di Gini, introdotto dallo statistico italiano Corrado Gini,
che misura la disuguaglianza di una distribuzione. Nel caso specifico è utilizzato come
indice di concentrazione per misurare la disuguaglianza nella distribuzione della
ricchezza. ¨ un numero compreso tra 0 ed 1 dove un coefficiente pari a 0 indica che i
redditi sono uniformemente ripartiti per tutta la popolazione mentre un coefficiente pari
ad 1 indica che l'intera ricchezza viene accentrata nelle mani di una sola persona.
Come si può vedere, i paesi più virtuosi sono tendenzialmente i paesi del centro
e nord Europa mentre quelli dove le disuguaglianze sono più marcate sono quelli
appartenenti ai continenti americano e africano, soprattutto localizzati nelle aree centrali
e meridionali.
Figura 11
Fonte: Buffett Institute for Global Studies, 2016
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La disuguaglianza mina le opportunità d’istruzione per le persone svantaggiate
e, come analizzeremo in maniera più approfondita nel secondo capitolo, ne riduce la
mobilità sociale, portando ad un rallentamento nell'accumulazione di capitale umano.
Gli analisti suggeriscono che l'aumento della disuguaglianza in reddito e
ricchezza continuerà molto probabilmente a crescere negli anni a venire, aumentando
nell’area OCSE di oltre il 30% entro la metà del secolo, portando i paesi che ne fanno
parte, nel loro complesso, allo stesso livello di disuguaglianza già ampiamente osservata
negli Stati Uniti (OECD, 2016).
Un ulteriore fattore che, secondo le previsioni OCSE, determinerà importanti
trasformazioni a livello socio-economico, è rappresentato dal progresso tecnologico, che
è destinato a cambiare i mercati del lavoro rendendo superflue alcune classi di lavoratori.
Per quanto riguarda le operazioni routinarie, infatti, dove le procedure da seguire
sono precise e chiare, la manodopera è già stata in parte sostituita dai calcolatori
elettronici.
Al momento restano difficili da automatizzare quelle mansioni laddove i compiti
sono di natura più astratta, con operazioni da eseguire più difficili da descrivere o limitate
a determinate circostanze, dove quindi risultano essere essenziali la capacità di problem
solving, le intuizioni, la creatività ed altri caratteri peculiari del genere umano che ancora
non sono replicabili tramite computer.
¨ previsto, però, che i progressi nell'apprendimento automatico e
nell'intelligenza artificiale dovrebbero arrivare ad espandere le capacità di automazione
delle attività e portare a cambiamenti più radicali rispetto a quanto accaduto fino a oggi
e, in particolare, un ulteriore svuotamento dell'occupazione ed una riduzione dei salari
(OECD, 2016). Gli stessi studi suggeriscono, infatti, come circa un posto di lavoro su
dieci in tutta l’area OCSE sia ad alto rischio di automazione e mostra come, allo stesso
tempo, queste innovazioni nutrano la grande promessa di portare a una maggiore crescita
della produttività e nuovi posti di lavoro che ancora non sono neanche stati immaginati.
I posti di lavoro a rischio sono essenzialmente quelli che necessitano di
lavoratori con abilità intermedie in quanto le trasformazioni in atto dovrebbero tendere a