II. NUOVE TECNOLOGIE E SCRITTURA
1. Il superamento della tecnologia libro
Se un monaco dell’XI secolo avesse potuto leggere una versione a stampa della Bibbia o del
Vangelo, probabilmente, sarebbe inorridito stringendo in mano uno di quei volumi maneggevoli, e
certo si sarebbe chiesto dove fossero finite le grazie dei caratteri, i decori preziosi o le note degli
studiosi.
Ogni cultura, così come ogni periodo storico, ha una sua metodologia e una sua economia di
scrittura, entrambe dipendenti da relazioni dinamiche tra materiali, tecniche e strutture sociali.
La scrittura inizia a fare la sua comparsa durante il IV millennio a.C. (3500 a.C. circa) nell’area
Mesopotamica ed Egizia. I primi esempi di scrittura sono sequenze di segni pittografici incisi su
pietra. Gradualmente la scrittura iconica è stata poi sostituita da sistemi fonetici che facevano
corrispondere i segni ai suoni del parlato, come la scrittura cuneiforme dei Sumeri o quella
geroglifica degli egiziani (3000 a.C. circa). Sia i Sumeri sia gli Egiziani svilupparono segni che
significavano talvolta intere parole, talaltra combinazioni di vocali e consonanti in modo più
astratto.
Nella prima metà del II millennio a.C., i Minoici di Creta utilizzarono una scrittura non ancora
decifrata di chiara derivazione egizia. Quando i Micenei conquistarono Creta, adattarono questa
scrittura per scrivere nella loro lingua, il greco antico. Nel XIII e nel XII secolo a.C. le grandi civiltà
dell’età del bronzo crollarono improvvisamente facendo morire con loro la cultura della scrittura.
La Grecia ritrovò l'uso della scrittura solo quattro secoli dopo, importando l’alfabeto fenicio e il
papiro egiziano. Nel mondo romano si diffuse poi il libro antico: un rotolo composto da fogli di
papiro, incollati per le estremità, sui quali erano scritti i testi in colonne parallele e perpendicolari
alla larghezza del foglio. Il rotolo divenne così un’unità strutturale per la composizione dei testi, e
gli autori greco-latini concepirono le loro opere suddividendole in unità compatibili con questo
supporto.
Il manoscritto impaginato entrò in uso nel II e III secolo d.C., aprendo alla scrittura nuove
possibilità e ridefinendone gli spazi. Si tratta però ancora di una scrittura senza punteggiatura, senza
spazi vuoti tra le parole e senza impaginazione: una scrittura bustrofedica
1
, che non ha un
andamento fisso, ma procede in un senso fino al margine del foglio e poi a ritroso nel senso
opposto.
Solo con l’introduzione della carta, nel tardo medioevo, si cominciarono a utilizzare la divisione
delle parole, la punteggiatura e l’organizzazione della pagina in paragrafi e capitoli. Nei manoscritti
medioevali erano però inserite anche miniature decorative, note critiche e glosse a margine del
testo, così che ogni documento era un pezzo unico e di altissimo valore.
L’invenzione della stampa nel XV secolo ha segnato l’inizio della concezione moderna di scrittura e
di libro.
Organizzando lo spazio dello scritto in modo standardizzato e gerarchico, la stampa, ha favorito la
leggibilità del testo, anche se ha sacrificato la bellezza dei manufatti amanuensi.
La stampa si è imposta sulle altre tecnologie di scrittura per gli innumerevoli vantaggi che ha
apportato alla produzione e alla fruizione dei testi, così che per circa mezzo millennio è rimasta la
principale tecnologia di scrittura.
1 Bustrofedica (dal greco βους, "bue", e στρεφειν, "girare, invertire")
5
Questo non significa però che resterà tale in eterno. Le nuove tecnologie digitali minacciano
l’equilibrio dell’economia della stampa, e anche se ci vorranno secoli perché possano sostituirla (la
pietra è stata usata per millenni come supporto alla scrittura), stanno gia cominciando ad affiancarla.
1.1 La scrittura come tecnica interiorizzata
Scrivere è da sempre uno strumento di conservazione e trasmissione dell’esperienza umana, e,
anche se non ha una praticità d’uso immediata, può essere considerata una tecnica, così come quelle
agricole o industriali.
Se non è difficile riconoscere che la stampa o la macchina da scrivere sono strumenti tecnologici lo
è di più accettare che l’arte della scrittura (eseguita con qualsiasi mezzo) è una procedura tecnica
artificiale.
Il termine tecnica
2
indica l’insieme delle norme su cui si basa l’esercizio di una certa attività
intellettuale o mentale e la loro applicazione.
Non sbagliava Platone quando nel “Fedro” chiamava “téchne” l’alfabeto, perché esso non è altro
che un insieme di simboli che fanno da norme per l’arte della composizione verbale.
La scrittura è definita come un sistema di rappresentazione del linguaggio tramite segni grafici
convenzionali (collezionati appunto nell’alfabeto). E il linguaggio non è altro che la facoltà umana
si apprendere una o più lingue e servirsene per comunicare.
Da queste definizioni è facile dedurre che la scrittura è la tecnica, costituita dall’insieme di norme
grammaticali e sintattiche che formano una lingua, che viene utilizzata per fissare su un supporto
fisico (o comunque diverso dallo spazio della mente) i pensieri verbali.
Ma allora perché siamo portati a pensare che scrivere sia un atto naturale, come mangiare o
respirare?
Walter J.Ong
3
sostiene che la scrittura sia una tecnica interiorizzata.
Ogni abilità umana con la pratica viene interiorizzata. E’ esperienza comune che dopo anni di
pratica risulta naturale guidare l’automobile, e ci si scopre a farlo anche soprappensiero.
Ma la differenza tra la scrittura e qualsiasi altra tecnica consiste nel fatto che se in tutti gli altri casi
per l’uomo è semplice staccarsi dalle sue protesi tecnologiche e riconoscerle come estranee da se,
per la scrittura non è così automatico. Non che non si possa smettere di scrivere e depositare la
penna sul tavolo; ma la scrittura agisce sull’uomo anche quando questo non ne fa direttamente uso.
Le culture dotate di tradizione scritta tendono a comporre anche il linguaggio parlato sul modello di
quello scritto: i membri alfabetizzati della società scrivono con le proprie menti come sulla carta. Le
differenze tra lingua parlata e scritta continuano ad esistere, ma sicuramente i due mondi
s’influenzano, e prescindono difficilmente l’uno dall’altro.
Scrivere ci sembra un atto naturale come parlare, perché entrambe sono diventate forme della stessa
azione comunicativa, anche se la prima si avvale di strumenti fisici e la seconda di suoni verbali.
2 tecnica (dal greco téchne, arte come mestiere, perizia)
3 W.J.Ong(1912-2003)
filosofo e antropologo che ha studiato i mutamenti nelle società causati dall’avvento della scrittura.
6
Il processo con cui usiamo la scrittura nella mente è inconscio e rende difficile accettare l’idea che
essa sia una tecnologia artificiale. Oltre a questo siamo portati a differenziare anche tra i prodotti
della scrittura: da una parte quelli ottenuti con tecnologie in uso da millenni o da secoli (la carta e
l’inchiostro o la stampa), che consideriamo i frutti naturali dello scrivere; dall’altra i prodotti dei
nuovi strumenti digitali, guardati sempre con diffidenza.
La tecnologia moderna è guardata con occhio critico specialmente dalle persone non esperte che vi
si avvicinano con diffidenza, come se si sentissero minacciati dalla sua potenzialità.
Il sentimento di diffidenza verso gli strumenti digitali o elettronici nasce dall’impostazione della
relazione che si instaura con essi. Come sostiene A.Normann
4
nel suo saggio “Emotional Design”,
gli uomini instaurano relazioni tra loro e con gli oggetti inanimati basandosi sulla fiducia.
Affinché si stabilisca fiducia, occorre che i membri della relazione si comportino rispettando certe
norme: che a determinate richieste facciano corrispondere determinate azioni e viceversa.
Con gli oggetti meccanici che funzionano in modo semplice il rapporto di fiducia si instaura
facilmente: il loro comportamento è semplice e preciso, facile da gestire e intuire. La mancanza di
fiducia entra in gioco quando si ha a che fare con dispositivi complessi, specialmente se elettronici,
dei quali ci sfugge il meccanismo di funzionamento.
“Il problema è che non sappiamo cosa aspettarci […] la tecnologia e il suo modo di operare sono
invisibili […] spesso arbitrari, segreti e talvolta contradditori”.
5
Di fronte agli oggetti che sfuggono alla nostra comprensione ci si può sentire privi di controllo,
frustrati e, di conseguenza, assumere un atteggiamento diffidente, rifiutandoci di instaurare relazioni
di collaborazione: manca la fiducia.
Ma non solo l’uomo moderno è scettico di fronte alle nuove tecnologie: Socrate è rinomato per la
sua diffidenza verso la tecnica della scrittura, che riteneva inferiore alla memoria.
“Chi crede di poter tramandare un’arte affidandola all’alfabeto e chi a sua volta l’accoglie
supponendo che dallo scritto si possa trarre qualcosa di preciso e di permanente, deve esser pieno
d’una grande ingenuità”.
6
Allo stesso modo molti studiosi e intellettuali di oggi rifiutano le tecnologie digitali, considerandole
aliene a se e al loro lavoro, non adatte alla letteratura, all’arte o alla ricerca scientifica.
Ma stabilito che la scrittura è una tecnica artificiale usata per ottenere un certo prodotto; che i mezzi
con cui è esercitata mutano e si evolvono secondo condizioni socio-tecnologiche; e che il computer
non è più artificiale di un papiro egiziano, si arriva alla conclusione che la tecnologia del libro e la
cultura che vi è legata sono solo una fase della storia umana, e come ogni fase sarà seguita da
un’altra con le sue differenze e analogie.
Per mezzo millennio la stampa è stata la tecnologia dominante del leggere e dello scrivere e ha
delineato uno spazio della scrittura preciso e limitato. I nuovi media minacciano questo equilibrio, e
anche se è impossibile prevedere gli effetti a lunga durata, di sicuro comporteranno cambiamenti
radicali nel modo di registrare, diffondere e fruire conoscenza all’interno della società.
4 Donald ArthurNormann psicologo e ingegnere statunitense, vicepresidente del gruppo di ricerca sulle tecnologie avanzate per la Apple Computer
e professore alla Northwestern University.
5 D.A.Normann
,
Emotional Design,
2004, (trad.it. emotional design, 2004)
6 Platone, Opere, vol. I, Laterza, 1967, pagg. 790-792
7
1.2 Cambiamenti fisici e astrazione
La tecnologia elettronica modifica i supporti che permettono la scrittura e la lettura di un testo.
Scrivere ha sempre significato fissare manualmente o meccanicamente dei simboli alfanumerici su
materiali più o meno durevoli e standardizzati.
La scrittura elettronica aggiunge a questo processo qualche passaggio in più. Per incidere un testo
su supporti tecnologici come dischi ottici, transistor, nastri o dischi magnetici ci serviamo di una
codifica diversa dall’alfabeto, e di procedure che vanno oltre l’impressione a inchiostro o
l’incisione.
I bits
7
, che corrispondono a differenze di voltaggio nei transitor, a parti di materiale magnetizzato
nel disco magnetico o punti impressi nel disco ottico, sono l’unità di misura utilizzata dai computers
per immagazzinare qualsiasi tipo di informazione.
E’ chiaro che i bits sono su una scala diversa da quella umana: la macchina deve leggere
l’informazione in questa codifica e presentarla poi all’utente sotto forma di altri caratteri
alfanumerici che gli permettano di leggerla e interpretarla.
Un testo, ma anche un’immagine o un suono, sono recuperati dal disco rigido del computer e inviati
allo schermo o alle casse attraverso una serie di passaggi che sfuggono all’utente. Questo fa si che
le strutture di memorizzazione dell’informazione non siano più direttamente accessibili né a chi
scrive né a chi legge, e che i testi siano visibili solo su copie provvisorie e infinitamente
modificabili. C’è un allontanamento dalla fisicità della scrittura.
La scrittura elettronica ha un grado di astrattezza che la rende velocemente modificabile, non
deteriorabile, adattabile a qualsiasi esigenza e presentabile sotto svariate forme.
Nel medioevo scrivere implicava una serie di conoscenze tecniche e di lavoro su materiali grezzi;
con la stampa la scrittura è diventata il prodotto d’ingranaggi meccanici; con il computer si è
oltrepassata la dimensione meccanica e si è ottenuto una flessibilità di prodotto inimmaginabile
prima.
2. Cultura multimediale
Con il termine cultura s’intende la somma delle abilità tecniche, delle conoscenze e dei valori
accumulati dagli individui; un’eredità trasmessa da generazione in generazione e che si trasforma
continuamente.
La cultura genera flussi di informazioni che permettono alla società di funzionare e progredire, e ciò
che è trasmesso dipende dai media a disposizione del gruppo.
Come sostiene Marshall McLuhan “il mezzo è il messaggio”.
8
ogni medium cioè va studiato in base
ai criteri strutturali sui quali organizza la comunicazione. La struttura comunicativa di ogni medium
lo rende messaggio, perché suscita negli utenti-spettatori determinati comportamenti e modi di
pensare, portando alla formazione di una certa forma mentis.
Ogni cultura utilizza supporti informativi che dipendono dal proprio livello tecnico e dai codici che
le appartengono.
7
dall’ inglese "binary digit" , unità di misura del sistema binario.
8 Marshall Mc Luhan, Understanding Media: The Extensions of Man, 1964
(trad.it.:
gli strumenti del comunicare, 1976 )
8
Le società orali non avevano bisogno di alcuno strumento, ma avevano aree e tempi di diffusione
informativa molto limitati. Con la scrittura l’uomo ha cominciato trionfare sul tempo e sullo spazio,
conservando la memoria culturale su supporti fissi. Anche il disegno, specialmente quello tecnico,
ha permesso di cogliere il mondo in modo diverso e ha garantito la propagazione dei modelli della
civiltà occidentale. Dal XIX secolo, con l’introduzione dei nuovi mezzi di comunicazione (dalla
radio al cinema alla telematica) il modo di comunicare dell’uomo si è trasformato ulteriormente.
La rivoluzione dei media ha reso possibile la diffusione generalizzata e a lunga distanza di ogni tipo
di messaggio, uniformando a livello mondiale la fruizione delle informazioni.
I mass media si possono suddividere in asimmetrici e simmetrici: i primi, di cui fanno parte radio,
tv e cinema, sono controllati da uno stretto gruppo di professionisti che realizzano e diffondono
prodotti per miliardi di ascoltatori; i secondi, come il telefono, il fax o il computer, sono strumenti
in grado di mettere in relazione due o più persone distanti in modo diretto e istantaneo.
Le tecniche di produzione e diffusione di informazioni influiscono in modo sostanziale nei
cambiamenti culturali della società: secondo i mezzi a disposizione cambia il modo di esperire la
realtà.
Le società senza scrittura sono definite società fluide perché non hanno memoria storica o coscienza
di cambiamento; sono culture labili perché si affidano esclusivamente all’oralità e alla memoria per
tramandarsi. La diffusione della scrittura ha fatto si che le società si organizzassero su due registri
culturali: quello popolare, prevalentemente orale, e quello colto, dominio di chi padroneggiava
l’arte del leggere e dello scrivere. Su questo dualismo si sono composte molte dicotomie sociali:
città/campagna, centro/periferia, elite/popolo; e contemporaneamente si sono creati modelli assiali
di diffusioni del sapere, dall’alto verso il basso.
Solo con la società moderna (dalle rivoluzioni industriali in poi) si è raggiunto un buon livello di
diffusione dell’alfabetizzazione e con esso il superamento delle dicotomie culturali.
L’estensione dell’accesso alla cultura, la generalizzazione dell’istruzione e la diffusione attraverso
mezzi economici del sapere, hanno fatto si che i dualismi culturali si appianassero e si
democratizzasse la diffusione di cultura.
Nel XX secolo, con i nuovi mass media, si è aperta una nuova fase di cambiamento: si parla di
ritorno all’oralità, grazie a mezzi come il telefono o la radio; di comunicazione istantanea o
asincrona e di diffusione non centralizzata del sapere, grazie al modello rete di internet che si
oppone al broadcasting
9
.
L’esperienza del mondo però appare oggi sempre più distante, la stessa distinzione tra realtà e
simulazioni di essa è precaria. L’uomo vive una nuova dimensione del tempo e dello spazio che si
riducono e si sovrappongono; il passato diventa un’enorme banca dati sempre fruibile, il futuro una
continuazione del presente, e lo spazio cessa di identificarsi con un luogo specifico.
Questo modo di vivere il reale determina un forte senso di complessità e relatività delle
conoscenze. Ne deriva la crisi dei sistemi globali di pensiero, la fine della fiducia nella scienza e il
proliferare degli specialismi nei saperi. La fine del 1900 è, infatti, determinata dalla coscienza della
complessità e della relatività, che provocano un senso di disorientamento e incertezza nella società.
La cultura multimediale è quella che sembra caratterizzare il nuovo millennio; e con la definizione e
presa di posizione di questa dovremo aspettarci ulteriori cambiamenti nel modo di trasmettere
informazione e nell’organizzazione stessa della società.
9 Broadcasting: trasmissione di informazioni da un sistema trasmittente (server) ad un insieme di sistemi riceventi (client) non definito a priori.
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