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significativa quella “sfida della complessità” che si è venuta sempre
più affermando come una struttura-chiave del mondo contemporaneo
e della cultura che esso viene edificando. Certamente tale sfida è una
sfida anche alla scuola e all’educazione, che devono ripensarsi in
modo radicalmente nuovo rispetto agli attori dell’educazione ( il
soggetto-docente e il soggetto-discente ), ai loro ruoli e ai contenuti
degli atti di insegnare che li coinvolgono, in modo da far emergere
una nuova idea di cultura, di mente, di cittadinanza.
“La complessità è la scoperta che i metodi semplici, lineari,
determinati di interpretazione dei fenomeni e della loro evoluzione
fanno cilecca, almeno in parte, quando l’oggetto dell’indagine è un
processo non lineare, un sistema in cui diverse parti interagiscono tra
loro: che cioè in ultima analisi il mondo è più complicato di quel che
si pensa.
Meglio ancora: che la conoscenza delle condizioni iniziali di un
fenomeno è limitata, in linea di principio, e non quindi sufficiente a
spiegare tutti i potenziali sviluppi del processo e le sue possibili
conclusioni”.
1
Giusto dunque il richiamo ad un atteggiamento non dogmatico e
sussiegoso, e l’adozione invece di una posizione tollerante,
responsabile e paziente, che è forse il primo e più importante
insegnamento di una riflessione responsabile sulla complessità, e
1
PRATTICO F. Una dea chiamata complessità, in Mercurio de la Repubblica, 1990, pag.10
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quindi sui rischi e le difficoltà odierne relative alla condizione socio-
politica, dello sviluppo della conoscenza, dell’articolazione e
dell’esercizio delle scienze, pervase da crescenti istanze pluralistiche,
da continue segmentazioni, dal venir meno di tradizionali certezze,
dall’incidenza del contingente, dell’imprevisto.
Quale senso sia da dare a questa sottolineatura del motivo della
complessità nella nostra realtà ambientale e culturale è motivo del
resto che è chiarito e affrontato in tutto questo lavoro.
Il discorso comunque è teso soprattutto a rispondere al quesito:
quale incidenza può avere ed ha tutto questo sulla pedagogia?
Quale per un’educazione che validamente non può porsi, ritengo, che
come educazione democratica?
Dall’analisi di questo lavoro, e in particolare del secondo capitolo,
appare che il senso e il concetto di complessità sono particolarmente
di casa in una prospettiva problematica ben intesa – quanto mai
disponibile al rischio, al possibile cambiamento, alla mediazione e al
dialogo – di democrazia e di pedagogia. Quanto alla prima, bene per la
sua impostazione garantistica, realistica e disincantata, contro
seduzioni totalistiche. Ma se la società democratica è particolarmente
predisposta e disponibile per la complessità, non lo è di meno la
pedagogia. Il suo statuto “debole”, la sua difficile, tormentata e non
schematizzabile collocazione, costituiscono insieme la sua forza e la
sua vitalità. In realtà, a guardare la questione in modo più
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approfondito il paradigma della complessità appare – al di là del suo
carattere d’interprete di un’epoca in cui si parla sempre più
diffusamente, come si è detto, di “società complessa”, di “saperi
complessi” (che devono così essere sviluppati secondo moduli
cognitivi sistemici, capaci di decantare le ricche connessioni interne a
ciascun sapere e gli intensi scambi tra saperi diversi ), di nuovi
problemi sociali e politici contraddistinti anch’essi dalla complessità –
anche, e forse prima di tutto, come un modello di autocomprensione e
di organizzazione interna dei saperi, come un modello epistemologico.
Si rileva che stanno tramontando, anzi sono già tramontate, le
immagini semplificate dei saperi ( e della loro storia ) che erano state
tipiche di una certa tradizione positivistica, classica e neo, che hanno a
lungo dominato la riflessione epistemologica. Oggi da più parti si
guarda ad un modello interpretativo come principio guida della stessa
riflessione epistemologica. Le epistemologie attuali tendono ad
assumere al centro una precisa connotazione interpretativa, anti-
riduzionistica e disponibile ad un pluralismo metodologico, nutrita di
coscienza storica e capace di cogliere, al di là della semantica e della
sintassi, anche il “senso” ( l’ideale costitutivo, il progetto cognitivo
fondante, l’orientamento di valore che funge da guida ) di ogni sapere.
Questo nuovo e aperto clima epistemologico è penetrato anche nella
pedagogia, in questa disciplina “di frontiera” ( tra scienza e filosofia,
tra teoria e prassi, tra scienza descrittiva e scienza prescrittivi ecc; e di
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frontiera nelle stesse scienze umane, nelle quali si colloca, ad
esempio, tra le scienze-tecniche ), storicamente emarginata (
riassorbita, per secoli, dalla filosofia, poi insidiata da altri saperi più
forti ) e teoreticamente, lo ripeto, “debole”, che con fatica proprio
negli ultimi decenni, potremmo dire dal secondo dopoguerra, si è
impegnata in una ricostruzione della propria identità come sapere,
attraverso un lavoro di critica dei riduzionismi e di auscultazione
intorno alle proprie categorie. Oggi questa ricerca di identità
attraverso l’epistemologia trova un preciso sostegno e ri-orientamento
nell’assunzione del paradigma della complessità. Ciò significa
pluralismo e dimorfismo, asimmetria e non linearità, ma anche, vien
notato, dinamismo e soprattutto autonomia, poiché non esistono mai
due complessità identiche. Anche la pedagogia, che si sa come sapere
intricato, sfuggente, problematico ecc., può trarre un indubbio
vantaggio a indagarsi in termini di complessità. E di fatto lo sta
facendo. Lo sta facendo per molte vie, adottando procedure diverse,
ma convergenti nel rilevare sia l’assunzione di un passaggio in
epistemologia dal Metodo definitivo e irrigidito a un tipo di ricerca
duttile, storica, paziente e rispettosa della varietà, sia la pregnanza
della complessità nel delineare la stessa identità della pedagogia.
Tra epistemologia, pedagogia e complessità esiste, quindi, una
significativa circolarità, che va sottolineata e potenziata, anzi, va
assunta come chiave-di-volta dell’identità di quel sapere e,
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conseguentemente, come asse di un programma di ricerca volto a
decantarne la specifica scientificità. Quindi, lo si voglia o no, siamo
oggi immersi in un travaglio radicale e autentico della pedagogia, che
vien vissuto soprattutto nel suo ambito epistemologico e sul quale il
paradigma della complessità può portare un po’ di luce. Soprattutto se
esso viene assunto nella sua forma, anch’essa, più autentica, quale
appare delinearsi nei modelli epistemologici ispirati a una prospettiva
critica adeguata, anche se molto varia.
Le linee di sviluppo di questo lavoro seguono orientativamente il
seguente percorso. Il primo capitolo ha carattere in qualche modo
introduttivo e d’insieme. Cura l’analisi, alla luce della chiave della
complessità, dei fenomeni e processi sociali, culturali, pedagogici e
educativi. In particolare si esamina il significato del termine e del
concetto di complessità per procedere alla decifrazione e alla lettura di
una serie di fenomeni che non presentano un’articolazione esplicita.
Questo anche in riferimento ad una presa di coscienza che la realtà (
naturale, sociale, storica, culturale ) non ha una struttura razionale e
non è soggetta a un’evoluzione con gradienti altrettanto espliciti.
Termini tradizionali come cambiamento, progresso devono essere
rivisti non solo per l’accentuata presenza di arresti, involuzioni, crisi
ma proprio per la complessità delle relazioni, dei rapporti, dei
confronti. Gli aspetti epistemologici della teoria della complessità
riguardano da un lato gli atteggiamenti interpretativi e dall’altro le
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modalità di inferenza operativa in termini di problematicizzazione, ma
anche di progettazione, di scelta, di impegno, di designazione di
obiettivi, di nuovi costrutti sociali, culturali, educativi, scolastici.
Si osserva poi, che non esistono e non sono mai esistite società
semplici; nel momento attuale assistiamo ad una ripresa della vitalità
in particolare delle società civili, con fenomeni quanto mai complesi
di emigrazione, immigrazione, ricerca di identità, richiesta di modelli
politici ed educativi multirazziali, multiculturali. Gli ideali di
uguaglianza, democrazia, giustizia, libertà, convivenza civile
riemergono in tutta la loro consistenza e nello stesso tempo sono
messi a dura prova per effetto della complessità delle situazioni
venutesi a creare. Emerge in chiusura del primo capitolo che da tutte
queste situazioni nasce l’esigenza di costruire una cultura, un insieme
di saperi educativi e pedagogici in grado di decifrare, interpretare la
complessità dei fenomeni, dei problemi, delle esigenze e, nello stesso
tempo, di indicare prospettive, obiettivi, metodi, istituzioni.
Il ruolo scolastico è in tale prospettiva considerato centrale e
insostituibile. Il secondo capitolo evidenzia che una pedagogia
strutturata per la complessità debba essere, come si diceva, una
pedagogia ( e metodologia ) orientata a una formazione democratica,
che con la sua elasticità, la sua duttilità, la sua disponibilità al nuovo e
agli altri, il suo spirito critico, il suo confronto costruttivo coi
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problemi desunti dall’esperienza meglio prepara, attraverso il concreto
esercizio, a cimentarsi con “la complessità del reale”.
2
Si comprendono allora i richiami alle posizioni di Dewey, che ha dato
com’è ben noto il maggior contributo alla costruzione di una
pedagogia come di una metodologia educativa democratica e quindi
ispirata a criteri di libertà, di solidarietà ed emancipazione personale e
sociale, del resto così strettamente collegate tra loro e quasi
inseparabili. Il secondo capitolo contiene inoltre alcune suggestioni
ricavate dall’incontro con le recenti riflessioni di E. Morin circa la
necessità di un’apertura, in ambito epistemologico, ad una dimensione
di pensiero che si configuri come complessa e problematica.
L’apprendimento nell’era planetaria deve far sua secondo Morin, la
policontestualità e la pluridisciplinarità che caratterizzano la
conoscenza più avanzata, quella che combatte la specializzazione
semplificatrice, senza dimenticare il problema della verità.
Il terzo capitolo vede nella notazione della complessità, la
caratterizzazione della condizione complessa della società e del sapere
del nostro tempo che ho cercato di tratteggiare, con le sue intricate
qualificazioni, a cavallo tra condizionamento e libertà, causalità e
casualità, vincoli e possibilità. Condivido il senso, anche in campo
educativo, di sfida che ne deriva per uno sforzo di comprensione,
conoscenza e illuminato comportamento impegnativo e svincolato da
2
Cfr. VISALBERGHI A., Educare alla complessità del reale, Scuola e Città, XXXVIII,n.1, 1987
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preconcetti, per una efficiente programmazione creativa che affronti e
risolva via via le peculiari tensioni della situazione attuale.
Nel quarto capitolo si è cercato di mettere a fuoco un tipo di
professionalità, quella del formatore reclamata dalla società attuale e
quindi necessariamente intenzionale e interpretativa, fatta di
competenze e di riflessività. Una professionalità critica e
comprendente; una professionalità complessa, in cui molti saperi e una
prassi intenzionale ( non solo tecnica ) guidano il processo del
formare, lo ispirano e lo strutturano.
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1 - SOCIETA’ COMPLESSA E NUOVA DOMANDA DI
FORMAZIONE
1.1 Società complessa. Considerazioni preliminari
Riteniamo occorra, in prima istanza, chiarire il significato di “società
complessa”
3
e verificare fino a che punto detta espressione
corrisponde alla situazione della società contemporanea, anche perché
la complessità può risultare un fatto oggettivo o essere semplicemente
la risultante della difficoltà di leggere e di interpretare, per mancanza
di metodi e di studi adeguati, l’insieme dei fenomeni, delle forze, delle
linee di tendenza che caratterizzano la nostra società.
Lo studio del rapporto tra società e modelli interpretativi, risulta molto
importante sul piano e del risultato delle indagini e del quadro
concettuale di riferimento.
Ci sembra che pedagogia contemporanea, fino a metà degli anni
sessanta, abbia assunto come schemi concettuali quelli del mutamento,
dell’evoluzione, dello sviluppo, della dialettica, cercando di
individuare le forze, le istituzioni, le idee in grado di contrastare e di
vincere le resistenze, gli interessi costituiti, i modelli educativi
conservatori e autoritari. Una forte sollecitazione è venuta dalle
3
Cfr. CAMBI, CIVES, FORNACA, Complessità, pedagogia critica, educazione democratica, La Nuova Italia,
Firenze, 1991
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filosofie e dalle pedagogie problematiche, ma soprattutto dai
movimenti culturali meno legati agli schematismi sociologici e
politici; la realtà sociale appariva sempre più intricata, non lineare,
non progressiva se non in ragione delle scelte, degli interventi e dei
valori proposti e perseguiti da gruppi e istituzioni.
Sempre più si prendeva coscienza che l’armamentario ideologico
utilizzato faceva acqua da tutte le parti ed anche i grandi movimenti
come la formazione degli stati nazionali, le rivoluzioni religiose,
sociali e politiche nonché economiche e tecnologiche, ai quali si
faceva capo per decifrare e catalogare interi periodi storici, ad un
esame più attento rivelavano sedimentazioni, fratture, durate molto
complesse e solo apparentemente strutturali.
Non per nulla a una settecentesca concezione razionale della società
(Montesquieu), la sociologia dell’Ottocento contrapponeva
l’inserimento studiale, evolutivo della razionalità e, quella
contemporanea, la razionalizzazione dei presunti sistemi sociali.
Mai come nel nostro tempo si è parlato tanto di progettazione,
pianificazione e razionalizzazione, non solo come effetto dello
sviluppo del pensiero scientifico e delle tecnologie, ma come esigenza
di controllare i fatti, gli avvenimenti, le forze egemoniche ed
emergenti; alla concezione della razionalità diffusa, al principio
dell’equilibrio delle forze, si è sostituita la convinzione della necessità
di controllare la dinamica sociale.
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E qui emerge uno degli aspetti più critici di tutte le teorie sociali
messe a punto: la difficoltà di gestire gli eventi e i fenomeni
irrazionali, problematici. La crisi del positivismo, della sociologia,
della psicologia e della pedagogia ad esso collegate sta, appunto, nel
non essere riuscito a far quadrare la visione razionale dello sviluppo
sociale, la formalizzazione scientifica, sistematica e l’insieme dei
fenomeni contradditori, irrazionali, critici, involutivi (malattie,
povertà, delinquenza, handicap fisici e psicologici, resistenza
all’educazione, analfabetismo, gestione della giustizia, tensioni
sociali, disuguaglianze, ecc.)
Si tenga presente che la pedagogia nata e sviluppatasi con il
positivismo ne condivise la crisi per tanti motivi, ma soprattutto
perché trovò una difficoltà estrema nel proporre interpretazioni e
strategie per affrontare i problemi relativi alle modalità e ai livelli di
apprendimento, agli handicap, allo scarso rendimento scolastico, agli
abbandoni, all’emarginazione.
La teoria della “complessità” nasce dall’avvertita coscienza del
coacervo di fatti, elementi, problemi, situazioni, forze e fenomeni che
contraddistinguono la vita sociale e, di conseguenza i problemi
educativi. E’ un punto di partenza problematico e non metafisico; non
si tratta tanto di trovare il bandolo della matassa, o di proporre una
razionalizzazione astorica, quanto piuttosto di affrontare con chiarezza
di idee e coerenza di propositi e di interventi, anche educativi, una
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realtà sociale che presenta, ormai, dei forti rischi naturali, umani,
culturali e, quindi di civiltà.
La stessa situazione si è ripetuta, ovviamente con connotazioni
diverse, a partire dalla fine dell’Ottocento e in condizioni
estremamente difficili durante tutto l’arco del nostro secolo.
Proprio ai primordi dell’educazione nuova emergeva con estrema
chiarezza che il confronto era sì filosofico, scientifico, metodologico,
ma soprattutto sociale, politico e istituzionale, perché risultava
impossibile dare spazio ad una educazione nuova, se contestualmente
non si costruiva una nuova società nella quale libertà, democrazia,
partecipazione e promozione umana devono costituire i valori e le
strutture portanti.
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1.2 Le vie della complessità
Vi sono due difficoltà preliminari quando si voglia parlare di
complessità. La prima sta nel fatto che il termine non possiede uno
statuto epistemologico. Ad eccezione di Bachelard, i filosofi della
scienza e gli epistemologi lo hanno trascurato. La seconda difficoltà è
di ordine semantico. Se si potesse definire la complessità in maniera
chiara, ne verrebbe evidentemente che il termine non sarebbe più
complesso.
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Cfr. LANZARA G., PARDI F., L’interpretazione della complessità, Napoli, Guida, 1980