3
Fonti e fortuna critica
La memoria di Nunzio Rossi, artista poco noto, è affidata innanzitutto alle guide bolognesi
del XVII secolo. In primis quella del Masini che, in quanto contemporaneo del nostro
pittore, si colloca tra le fonti più autorevoli
1
.
Dalla sua Bologna Perlustrata, edita nel 1650, veniamo a conoscenza di “un Muzio Rossi
napoletano” segnalato come autore diciottenne di una Natività di Cristo dipinta nella chiesa
di San Girolamo alla Certosa (scheda n. A3). Più avanti, nell’indice dei pittori riportato
all’interno del testo, la notizia è indicata con il riferimento cronologico del 1648, una
datazione che risulta inesatta giacchè il dipinto è firmato e datato 1644. Sono comunque di
estrema importanza le notizie che il nostro autore riferisce in merito all’età e alla
provenienza del pittore, la cui opera viene ricordata accanto alle prove dei più noti bolognesi
Giovanni Andrea ed Elisabetta Sirani, Domenico Canuti e Giovanni Bibiena, menzionati
dallo scrittore nella descrizione di quanto era conservato nel complesso religioso. Ad ogni
modo non possiamo disconoscere la sua impassibile diligenza d’informatore e la chiarezza
delle indicazioni, qualità ammirevoli se si considera che provengono da un autore che non
aveva cultura artistica, ma in compenso una smisurata passione ed una grande volontà di
documentare lo straordinario patrimonio storico-artistico e monumentale della sua nativa
Bologna
2
.
Più tardi, nel 1686, nelle Pitture di Bologna, Carlo Cesare Malvasia interverrà ad ampliare
questa prima informazione parlando di due dipinti con santi (scheda n. A5) che egli ricorda
collocati lateralmente alla Natività. Ma le notizie relative a quest’ultima sono palesemente
ricavate dal Masini come è dimostrato dai diciotto anni assegnati all’artista al momento
dell’esecuzione di questo primo dipinto
3
.
Le testimonianze sin qui ricordate sono senza dubbio la prova evidente di una attenzione che
ha accompagnato il nostro artefice sin dalla sua prima comparsa e, in una certa misura, delle
qualità pittoriche riconosciute alle sue opere, come risulta dal termine elogiativo “risoluta
troppo” con il quale Malvasia indica il suo primo lavoro documentato. Ci sembra oltremodo
curioso il fatto che un maestro già indicato come napoletano presso gli scrittori emiliani
abbia avuto in patria un tardivo ricordo. Occorrerà attendere infatti ancora sei anni per avere
un primo riscontro meridionale: nel 1692, a Napoli escono Le Notizie del Bello, dell’Antico
1
D. A. Masini, Bologna perlustrata, Bologna 1650, pp. 140 e 143.
2
A. Arfelli, Appunti inediti del Malvasia, Bologna 1961, p. 25.
3
C. C. Malvasia, Le Pitture di Bologna, Bologna 1686, p. 341.
4
e del Curioso di Carlo Celano che vedono il pittore operante nella chiesa di San Pietro a
Maiella, precisamente nella tribuna (scheda n. A16): “le dipinture a fresco che stanno nella
tribuna sono opera di un tal Nunzio Rosso napoletano che le dipinse in età di venti anni e
morì poco dopo”. Con il Celano viene introdotta la prima variante onomastica al nome di
Rossi, cioè Rosso, fatto di nessun rilievo dal momento che si fa riferimento alla medesima
personalità. Notizia di maggiore importanza è quella relativa ai vent’anni che l’artista
avrebbe avuto al tempo di questi affreschi e alla morte avvenuta poco dopo la loro
esecuzione
4
.
Sul versante delle varianti anagrafiche si porrà anche il Susinno che nella biografia, la prima
dedicata all’artista, documenterà la sua presenza a Messina e a Palermo identificandolo
come Nunzio Russo. Più importanti sono invece le informazioni che il biografo fornisce
circa la formazione artistica di Rossi a Napoli che egli ricorda avvenuta presso lo Stanzione
e lo Spagnoletto. Oltre che per la citazione di dipinti a noi pervenuti, come la Madonna della
Lettera, già nella chiesa dei Crociferi, oggi conservata presso il Museo regionale di Messina
(scheda n. A11), Susinno si rivela una fonte altrettanto preziosa per la conoscenza di opere
purtroppo irrimediabilmente perdute come ad esempio gli affreschi di palazzo Ruffo, nonchè
l’informazione sulla produzione pittorica palermitana oggi dispersa, prova evidente di un
particolare apprezzamento riservato alla pittura del Rossi da parte di personaggi certamente
di non mediocre livello nell’ambiente siciliano
5
. Ma il biografo è oltremodo attento a
delineare alcuni aspetti della personalità del Nostro ignorati dai precedenti scrittori,
ritraendolo come un “dipintore così dedito al vino che non sapeva dare una pennellata se non
avea alla destra e alla sinistra bocali di buon vino”, o nella valutazione delle opere che il
biografo definisce “di un impasto gustoso e carico di una gran massa di colori”, senza
dimenticare i giudizi che fanno riferimento all’assenza di una struttura disegnativa e
soprattutto di “manierosità”, una parola che potrebbe essere variamente interpretata se non
fosse il Susinno a chiarirne il senso altrove in rapporto all’arte del Caravaggio: “la maniera
altro non è se non quella graziosità e gentilezza che dassi al naturale, il quale viene per essa
spogliato da tutta la rusticità nella pittura”
6
. A completare il giudizio critico sul pittore il
biografo aggiunge le osservazioni sul colore, del quale, come dice, “egli fu maestro
felicissimo”, a sottolineare una maggiore padronanza del mezzo pittorico rispetto al disegno.
Si tratta chiaramente di rilevazioni fatte dal vivo delle quali ancora oggi, a tre secoli di
distanza, possiamo constatarne l’esattezza.
4
C. Celano, Notizie del Bello, dell’Antico e del Curioso della città di Napoli, Napoli 1692, p. 725.
5
F. Susinno, Vite de’ pittori messinesi (ms 1724), ed. a cura di Valentino Martinelli, Firenze 1960, p. 233.
6
F. Susinno 1725, p. 233.
5
Gli anni trenta del Settecento si aprono all’insegna dei ricordi più sbiaditi, come quelli
dell’Orlandi
7
che nell’Abecedario Pittorico si limita a riportare la prima notizia fornita dal
Masini a proposito della Natività della Certosa bolognese con lo stesso giudizio estetico
formulato da Malvasia, richiamando in causa i su nominati Sirani, Canuti, Bibiena quasi
nell’intento di suggerire l’idea di un confronto tra il giovane napoletano e queste più
accreditate personalità
8
. Una breve menzione degli affreschi napoletani ricordati dal Celano
ritroviamo ancora nella Nuova guida de’ forestieri di Domenico Antonio Parrino.
Nel raccogliere questa informazione, Bernardo De Dominici nel 1742 imbastirà una
ricostruzione del tutto confusa dell’opera del nostro pittore, incorrendo in una serie di
inesattezze ed omissioni (come quella del periodo messinese), oppure cita l’artista ora con il
nome di Muzio (prima nella Vita dello Stanzione, poi nelle Memorie di Onofrio Palomba),
ora con quello di Nunzio, (menzionato nelle Memorie di Francesco Ruviale), per non dire
delle frequenti sviste cronologiche che si incontrano un po’ dovunque nella lettura del testo,
errori che, beninteso, nascono da un’errata valutazione delle fonti e non vanno interpretati
come il sintomo di una scarsa considerazione per le personalità semisconosciute. Resta
comunque da chiarire da quali testimonianze il De Dominici recupera la notizia che il Rossi
“ebbe i principi dal Cavalier Massimo Stanzione”.
Si tratta di un problema che non possiamo risolvere ipotizzando una fortuita conoscenza
dell’opera allora inedita di Susinno perché ci troveremmo nella difficoltà di spiegare per
quale ragione il nostro autore abbia omesso di inserire l’attività siciliana a completamento di
un profilo che, sia pure disordinato, avrebbe avuto il merito di presentarsi come un’utile
base di lavoro per gli scrittori successivi. Al momento possiamo solo congetturare che una
simile ricostruzione sia frutto di una tradizione orale, tramandata nelle botteghe, ma diffusa
anche presso antiquari e pittori dilettanti, che legava al nome dello Stanzione quello del
Rossi. Altrettanto oscura è l’origine della notizia di un periodo di studio condotto presso la
prestigiosa scuola di Guido Reni, grazie all’intercessione di un “facoltoso” quanto
misterioso zio, durato, come ci informa il biografo, due anni ed interrottosi per la morte del
grande maestro emiliano. Secondo il De Dominici sarebbe stato proprio in seguito ai
progressi raggiunti in questo decisivo momento che l’artista ricevette la prima importante
commissione dai monaci della Certosa
9
.
Nel 1755, nel IV volume degli Annali della città di Messina, Caio Domenico Gallo riporterà
all’attenzione la ricordata Madonna della Lettera e l’altra di medesimo soggetto, un tempo
7
P. A. Orlandi, Abecedario pittorico, Bologna 1733, p. 332.
8
D. A. Parrino, Nuova guida dei forestieri, Bologna 1751, p. 175.
9
B. De Dominici, Vite dei pittori, scultori ed architetti napoletani, Napoli 1742-45, vol. III, p. 243.
6
nella chiesa di Sant’Elena e Costantino (scheda n. C1), ricavando le notizie dal manoscritto
del Susinno, fonte accreditata per la conoscenza del momento siciliano
10
.
Verso la metà del secolo il catalogo di Rossi si arricchisce ulteriormente, grazie ad un
attento studio condotto da Luigi Crespi sulla base di alcuni pagamenti ritrovati nella Certosa
di Bologna e dal recupero del Giornale del Monastero datato 1644, dal quale risulta che in
quell’anno Nunzio Rossi era pensionante presso i certosini
11
. Alle opere già note qui
eseguite l’autore aggiunge i quattro Evangelisti (scheda n. A2), sei quadretti di mezze figure
(scheda n. A1), “un paese grande e due piccoli” e riferisce che “intagliò tre rami
all’acquaforte”. Per il resto la messe di conoscenze che si ricava dal Crespi deriva in gran
parte dalle notizie del De Dominici al quale il canonico attinge riportandone il testo,
correggendolo nelle datazioni e nelle altre sviste che attribuisce ad errori di trascrizione. Dal
medesimo si ha però il primo tentativo di fissare alcuni termini cronologici per il nostro
artista, a cominciare dalla data di nascita che lo scrittore fissa al 1626 ricavandola dai
diciotto anni attribuiti al Rossi dal Masini al tempo della Natività oltre che dalle carte
relative ai compensi per questo ed altri dipinti; per quella di morte, invece, tiene presenti i
venticinque anni di vita ricordati dal De Dominici, nel quale però, come si sa, non possiamo
riporre un’eccessiva fiducia per le scarse informazioni di cui disponeva e per gli errori di
cronologia sopra ricordati.
Le informazioni anagrafiche così ricavate dal Crespi verranno poi raccolte agli inizi
dell’Ottocento da Stefano Ticozzi insieme a quelle riguardanti il periodo bolognese,
rammentato peraltro assai genericamente, e alla menzione degli affreschi di San Pietro a
Maiella.
Nello stesso secolo, ritorna invece a parlare dell’importante tappa siciliana Grosso
Cacopardi nelle Memorie dei pittori messinesi dove oltre a ricordare le opere già citate dal
Susinno, ci fa notare che nella Madonna della Lettera il pittore dipinse “a guisa di paesaggio
parte del porto e della città di Messina”
12
. Di estremo interesse sono le sue considerazioni
sulle opere che l’autore definisce “di uno stile franco e vigoroso”, e gli accenni alla misera
condizione economica dell’artista sopratutto durante il soggiorno a Palermo “ove molto
dipinse, ma sempre povero, ed ove forse finì di vivere”. La notizia fa riferimento ad un
periodo della vita del nostro pittore del quale nulla sappiamo ma che induce a riflettere su un
aspetto non ancora considerato sino a questo momento: le alterne fortune che l’attività del
Rossi conobbe presso la committenza del suo tempo non meno che nei ricordi della
10
C. D. Gallo, Annali della città di Messina, Messina 1755, p. 214.
11
L. Crespi, La Certosa di Bologna descritta nelle sue pitture, Bologna 1772, p. 13.
12
G. Grosso Cacopardi, Memorie de’ pittori messinesi, Messina 1821, p. 233.
7
storiografia. Del resto già il passaggio da una città come Messina, dalla quale aveva ricevuto
importanti commissioni da parte di autorevoli esponenti della classe aristocratica e del
mondo mercantile, a Palermo potrebbe essere interpretato come indice di una situazione
finanziaria non fiorentissima.
Un ricordo ancor vivo dell’opera di questo artefice si ritrova nella Storia Pittorica di Luigi
Lanzi che, sebbene nulla aggiunga al patrimonio di conoscenze sin qui accumulato, è
testimonianza non trascurabile di un interesse che la letteratura artistica continua a
riservargli a due secoli di distanza dalla sua prima comparsa
13
.
Lo stesso si dica di Giuseppe La Farina, che nel suo breve excursus delle opere presenti
nella chiesa di Sant’Elena e Costantino ricorderà: “una tela nella quale dipingeva il
napoletano Nunzio Russo una Vergine con Bambino con i santi Pietro e Paolo”
14
.
Se si eccettua la generica, ma comunque importante segnalazione di Galante nella Guida
sacra della città di Napoli, una particolare attenzione all’opera del Rossi, limitata però al
ciclo di San Pietro a Maiella, dimostra Gaetano Filangieri nei Documenti per la Storia, le
Arti e le Industrie delle province napoletane
15
. Questi infatti, nel correggere le inesattezze
del De Dominici riguardo al nome dell’autore, ci offre un’identificazione ed una descrizione
puntuale e corretta dei soggetti che ha giovato non poco alla comprensione di questi
affreschi. Suscitano invece maggiori perplessità quei venticinque anni che l’autore assegna
al pittore al tempo di questi lavori, che potremmo spiegare solo ipotizzando una mancata
conoscenza della menzione del Celano, mentre di estremo interesse sono quelle
considerazioni che fanno riferimento allo stato conservativo dell’opera: “due grandi storie a
fresco in uno stile largo e grandioso della metà del XVII secolo, solcate vandalicamente,
come diremmo, da tagli a croce per assestarvi sopra telai di posteriori dipinti ad olio, sotto
furono un bel pezzo sepolte, distendendovi coi loro ornamenti di stucco lungo le due laterali
pareti della tribuna”. Anche all’attento Principe di Satriano, come del resto a buona parte
della critica più recente, sono apparse inspiegabili le pesanti manomissioni subite
dall’affresco che ne hanno definitivamente compromesso la leggibilità, allo scopo di
inserirvi tele che il Filangieri ascrive ad Andrea Malinconico.
13
L. Lanzi, Storia pittorica della Italia dal risorgimento delle belle arti fin presso al fine del XVIII secolo,
Bassano 1809, ed. cons. a cura di Martino Capucci, 3 voll., Firenze 1968-1974.
14
G. La Farina, Messina e i suoi monumenti, Messina 1840, p. 31.
15
G. Filangieri, Documenti per la Storia, le Arti e le Industrie delle province napoletane, Napoli, 1884, rist.
anastatica a cura di G. Filangieri, vol. II, pp. 308-312.
8
Accenni all’opera del pittore si rilevano negli autori dei primi anni del Novecento: primo fra
questi è La Corte Cailler
16
che nel catalogo del Museo Civico di Messina ricorda la già
ricordata Madonna proveniente dalla distrutta chiesa dei Crociferi, e il dipinto di analogo
soggetto già nella chiesa di Sant’Agata dei Minoriti. Dal momento che Grosso Cacopardi fu
probabilmente l’unica fonte alla quale il nostro autore attinse non deve meravigliarci che
fosse all’oscuro di tutta la restante produzione del Rossi e dei fatti inerenti la sua vita.
Non mancano in questa prima decade del secolo segnalazioni di autori che di questo artista
hanno indicato una patria di provenienza diversa da quella solitamente ricordata. Il Rolfs
17
riteneva molto probabile che il Rossi fosse nativo di Bologna e che di là si fosse portato a
Napoli, mentre il Frangipane
18
ha voluto fissare i natali a Reggio Calabria sulla base di
elementi a noi sconosciuti. Ma la questione dell’origine geografica rimarrà aperta per molti
decenni ed ancora oggi sembra non essersi risolta completamente.
Nel 1916 viene pubblicato l’importante studio di Vincenzo Ruffo, elaborato sulla base delle
carte recuperate nell’archivio di famiglia, dal quale si possono ricavare notizie più
approfondite sull’attività svolta da Rossi presso don Antonio Ruffo, principe della Scaletta,
oltre alla conferma dell’origine napoletana del pittore tramandata dalle fonti locali delle
quali si è già parlato
19
. Dei perduti affreschi di palazzo Ruffo l’autore specifica i soggetti e
l’ubicazione all’interno della nobile dimora terminata, verosimilmente, poco prima che il
pittore intraprendesse questo impegnativo lavoro che lo vedeva alle prese con temi profani
di origine ovidiana (scheda n. C16): “Nella sala era dipinto il mare con diverse figure”;
nell’anticamera “Nettuno con diversi mostri marini”. Nella seconda camera, di mano del
napoletano Russo, vi era “Giove trasformato in pioggia d’oro ed altre figure a completare la
favola di Danae”. Le dimensioni dell’opera, che dalla lettura del testo possiamo dedurre
considerevoli, e, diciamo anche, la complessità del tema, ci danno la prova di quanto fosse
grande l’apprezzamento che il nostro artista riscosse presso un personaggio che poteva
vantare una delle più importanti collezioni del tempo e dove, guarda caso, accanto alle opere
dei grandi maestri della pittura italiana e straniera, figuravano, come risulta da un primo
“Notamento” degli anni tra il 1646 e il 1649, anche quattro Baccanali di Rossi (scheda C
14)
20
.
16
G. La Corte Cailler, Museo Civico di Messina, Messina (dattiloscritto 1901), ed. a cura di N. Falcone,
Messina 1981, p. 92.
17
W. Rolfs, Geschichte der Malerei Neapels, Leipzig, 1901, p. 286.
18
A. Frangipane, Per l’arte in Calabria, in “Archivio Storico di Calabria”, 23, 1915, a. III, pp. 6-7.
19
V. Ruffo, La Galleria Ruffo nel secolo XVII, in Messina in “Bollettino d’Arte”, X, 1916, pp. 25-26, 41, 306,
309-310, 312, 318.
20
V. Ruffo 1916, p. 21.