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CAPITOLO PRIMO
ORIGINE E SVILUPPO DEL FRANCHISING
1.1 LE ORIGINI DEL TERMINE
Il termine “franchising” è riconducibile alla parola francese “franchise” (franchigia).
La franchigia nel Medio Evo rappresentava la concessione di un privilegio concesso
dal Re o dal Signore, che rendeva autonomi sia gli Stati sia i cittadini.
Ancora oggi la parola franchigia significa "esenzione da un pagamento concessa dalla
legge".
Il termine deriva da "franco", ossia francese, sinonimo di uomo libero o cosa libera
1
.
La parola “franchising”, che deriva dal verbo inglese “to franchise”, in inglese classico
significa diritto al voto o, in generale, privilegio. Nel linguaggio anglofono il termine è
connesso al concetto di “concessione”, di “esclusiva” che viene perduto nella
traduzione in italiano, dove invece esso è connesso al concetto di “affiliazione
commerciale”
2
. Negli Stati Uniti, il termine "franchise" è molto generico; esso è usato
comunemente per indicare una società o un ente pubblico che concede a qualcuno la
licenza di operare un servizio in una particolare area, o vendere un prodotto, o svolgere
un'attività sotto il suo nome e il suo controllo.
L’istituto del franchising viene utilizzato da molti settori; perlopiù si parla di catene di
attività (non solo negozi) dove la caratteristica prevalente è quella di utilizzare il
nome ed il relativo marchio della società franchisor dietro il corrispettivo del
pagamento di royalties e/o di una partecipazione ai profitti.
NOTE:
(1) TANZARELLA, La nuova disciplina del franchising, in Rassegna di diritto civile, 2005, fasc. 2, pp. 559-
597.
(2) BRIGANTI, Il franchising: evoluzione dell’istituto e sua tipizzazione normativa, in Notariato, 2004,
n. 5, p. 561.
3
Oggi nell’uso comune il termine franchising indica un contratto per mezzo del quale
un imprenditore, denominato “franchisor”, concede ad un altro imprenditore
denominato “franchisee”, il diritto di esercitare un’attività di prestazione di servizi,
produzione di beni o rivendita di prodotti, utilizzando il marchio e l’insegna del
franchisor stesso
3
.
Il tentativo di dare una definizione chiara ed esaustiva di quella che si configura come
una strategia distributiva, non è estremamente semplice, proprio a causa della sua
formula flessibile e dinamica. In Italia si è adoperato e si adopera ancora oggi il
termine di “affiliazione”
4
per definire il franchising e, di conseguenza, “affiliante” ed
“affiliato” possono essere utilizzati rispettivamente per indicare il franchisor ed il
franchisee.
NOTE:
(3) ALEOTTI, Il franchising ed il diritto comunitario, in Il Diritto comunitario e degli scambi internazionali
1999, fasc. 1, pp. 7-31.
(4) Il termine di affiliazione è stato usato anche nella recente normativa, probabilmente con un’accezione più
specifica rispetto a quello proprio del termine franchising nell’esperienza americana.
4
1.2 CENNI STORICI
Precursori del contratto di franchising sono i primi contratti d’associazione. In
relazione all’origine di questi contratti esistono due teorie discordanti: secondo alcuni
tutto è cominciato negli U.S.A. con i “gerenti associati” organizzati da F. Woolworth;
per altri, invece, il franchising è nato contemporaneamente, intorno al 1929, sulle due
coste dell’Oceano Atlantico: in Francia e negli Stati Uniti
5
.
Si descrivono ora brevemente le due esperienze.
In Francia l’origine storica è da ritrovarsi nel lanificio di Roubaix. Il titolare Jean
Prouvost aveva affidato all’ingegnere del suo staff, Philippe Bourguignon, di dare vita
alla prima grande catena di magazzini specializzati nella vendita di lane da lavorare a
maglia: le “Laines du Pingouin”, il cui scopo era di assicurare allo stabilimento
appena costruito il rapido smaltimento della produzione. L’ingegnere stipulò un
contratto con dei dettaglianti indipendenti garantendo loro l’esclusività del marchio;
essi si legavano così al produttore mediante il medesimo contratto, che peraltro
indicava una zona territoriale ben definita e ben delimitata dove essi dovevano
operare. Tale contratto non si chiamava ancora contratto di franchising: tuttavia, nelle
sue linee generali, ne aveva già le caratteristiche e le intenzioni.
Negli U.S.A. il primo contratto di franchising nacque agli inizi degli anni Trenta, per
merito dell’industria automobilistica
6
. Essa si scontrava con l’applicazione delle leggi
antitrust che proibivano ai costruttori l’integrazione verticale con rivenditori.
Per aggirare tale normativa i dirigenti dell’azienda misero a punto, con i legali della
stessa, un contratto che associava in modo più liberale i rivenditori di auto con la casa
madre, lasciandoli soggetti giuridicamente indipendenti.
NOTE:
(5) Per alcuni l’origine negli Stati Uniti è precedente e risale ai primi anni del novecento.
(6) Il riferimento è alla General Motors.
5
Lo sviluppo vero e proprio del franchising si è però avuto dopo la seconda guerra
mondiale, tanto da poter parlare di un vero e proprio “franchise boom
7
”. Il franchising
ha giocato e gioca tuttora negli Stati Uniti un ruolo molto importante nell’economia
con numeri in costante e continua crescita. Questa doppia origine del franchising ha la
sua importanza nella storia del sistema. Individua già due vie di sviluppo, da una e
dall’altra parte dell’Atlantico. Seppure coevi, è stato comunque il franchising
americano la causa dello sviluppo rapido di quello europeo nel decennio ’70-80
8
.
Il franchising può considerarsi nato in Italia il 18 settembre 1970, quando un’azienda
della grande distribuzione, la Gamma d.i., poi assorbita dalla Standa, inaugurò a
Fiorenzuola il primo punto vendita gestito direttamente da un affiliato. Tra le clausole
del contratto si comprendeva l’offerta ai propri affiliati di una serie di servizi:
sopralluogo da parte dei propri funzionari; progettazione ed assistenza tecnica per
l’allestimento del magazzino, istruzioni per il personale direttivo e per quello di
vendita, allestimento commerciale dell’unità di vendita, assistenza per il lancio di
apertura e per l’inaugurazione dell’unità. Al potenziale affiliato si richiedeva una
superficie di vendita di almeno 350 mq, di una licenza di magazzino a Prezzo Unico e
di un capitale di 25/30 milioni
9
.
Questo contratto ha rappresentato una novità nello scenario della distribuzione in Italia,
anche se nello stesso non sono indicati, almeno esplicitamente, quelli che noi
consideriamo gli elementi essenziali dell’istituto come l’immagine di marca ed il
“know how”
10
. Proprio per questo rimane il dubbio che questo tipo di contratto si possa
considerare a tutti gli effetti un contratto di franchising, ma di sicuro non si può
sottovalutare la sua importanza.
NOTE:
(7) Le radici di una così rapida espansione si possono individuare nella cronica carenza di mezzi finanziari che
colpiva le piccole e medie imprese nell’immediato dopoguerra, pregiudicandone l’ampliamento.
(8) FRIGNANI, Factoring, Leasing, Franchising, Venture capital, Leveraged buy-out, Hardship
clause, Countertrade, Cash & Carry, Merchandising, Know-how, Securitization, 1996, 6^ ed. Torino.
(9) AMOROSO, BONANI, GRASSI, Il franchising. Valutare, organizzare e gestire un attività
in franchising, Milano 2001, pp. 10-16.
(10) Per la legge 129/2004, articolo 1 comma 3, il know-how è definito come “patrimonio di conoscenze
pratiche non brevettate derivanti da esperienze e da prove eseguite dall’affiliante, patrimonio che è
segreto sostanziale ed individuato…”.
6
Infine si devono analizzare le differenze di adozione del franchising negli Stati Uniti
ed in Italia: la prima differenza che si può notare tra i due Paesi, almeno all’origine del
fenomeno, è che in Italia, ma anche e soprattutto in Europa, furono le imprese della
grande distribuzione a tentare lo sviluppo di questa nuova formula, mentre oltreoceano
furono le grandi imprese industriali ad utilizzarlo.
Questo fenomeno può essere spiegato con i problemi relativi ad un’eccessiva
“polverizzazione”
11
dell’apparato distributivo al dettaglio che ha storicamente favorito
l’industria e le imprese industriali.
Questa caratteristica ha ostacolato lo sviluppo delle tipologie commerciali di grande
dimensione e anche di altre forme di commercio come quelle a base succursalistica e
quelle a base associativa; comunque la grande distribuzione si sta diffondendo un pò
ovunque
12
, finanche nelle aree dove fino a pochi anni fa dominava tradizionalmente il
piccolo commerciante.
NOTE:
(11) Per polverizzazione si intende un numero eccessivo di punti di vendita associato a volumi di fatturato
relativamente ridotti (47 punti di vendita per 10.000 abitanti, contro i 21 della Spagna, i 13 della Gran
Bretagna, i 19 della Germania e della Francia).
(12) La ragione dell’apprezzamento della grande distribuzione da parte dei consumatori è riconducibile ad una
serie di ragioni: il ruolo determinante svolto dal settore nel contenimento dell'inflazione, offerta di
prodotti e servizi di qualità, assortimenti ampi e profondi, orari di apertura prolungati, cortesia e
professionalità degli addetti alle vendite.
7
1.3 IL FRANCHISING NEL MUTATO SISTEMA
DISTRIBUTIVO
Se all’inizio degli anni settanta si poteva sicuramente affermare che il franchising fosse
una tipologia negoziale tutta statunitense, all’inizio di questo terzo millennio si può
constatare come la presenza di insegne, loghi, segni distintivi di numerosissime grandi
catene, sia elemento determinante ed inequivocabile di un livellamento non soltanto
dei consumi, ma anche culturale, riscontrabile in Paesi aventi caratteristiche
economiche, sociali e, appunto, culturali diversissime
13
.
In Italia la presenza del franchising è individuabile non solo nelle grandi e tradizionali
catene, ma anche e soprattutto in catene minori: il franchising permette quindi alle
aziende di acquisire la capacità di intervenire su un numero sempre maggiore di
segmenti di mercato e rappresenta uno strumento d’impresa adatto alla crescita
imprenditoriale sia dal punto di vista dimensionale che culturale e di mercato.
Questa è la caratteristica che qualifica il franchising come una politica d’impresa
particolarmente adatta a quei Paesi con una struttura imprenditoriale poco capitalizzata
com’è quella italiana, caratterizzata dalla difficoltà per le imprese di essere realmente
competitive e di avere successo nel mercato globale.
Il sistema del franchising consente, quindi, al franchisor di realizzare una rete diretta
di vendita di beni o servizi, o di entrambi, superando gli ostacoli e le difficoltà che
un’operazione di questo genere comporta in termini economici, finanziari, logistici e
organizzativi.
NOTE:
(13) VACCA’, Franchising: una disciplina in cerca di identità, in Contratto e impresa, 2000, fasc. 2, pp.
870-925.
8
Dal punto di vista della copertura, infatti, il franchising è una “strategia di
distribuzione esclusiva”
14
, in cui il franchisor può disporre in tempi relativamente
brevi di una rete di punti vendita caratterizzati con il proprio marchio e strettamente
controllati, senza sostenere gli investimenti iniziali necessari per operare direttamente.
Ciò avviene facendo leva sull’imprenditorialità dei franchisees e affidando ad essi il
rischio dell’avviamento dell’esercizio o del centro di servizi, compreso il rischio
finanziario: il peso degli investimenti necessari ad aprire il nuovo punto di vendita,
ricade sul franchisee, anche se il franchisor può andare incontro alle necessità del
franchisee con qualche forma di finanziamento.
Nella distribuzione internazionale, non solo di prodotti, ma anche di servizi, il
franchising ha rappresentato un punto di svolta, poiché permette ai franchisors
internazionali di ridurre i problemi legati sia ai rischi della lontananza dei mercati, sia
quelli legati agli impegni finanziari tradizionalmente correlati allo sviluppo delle reti.
D'altra parte i vantaggi sono evidenti: riconoscimento e affermazione del brand, più
rapido sviluppo degli affari in termini di fatturato, maggiori profitti, conquista di
maggiori quote di mercato, vantaggio concorrenziale, presidio di aree strategicamente
importanti.
L’impetuosa crescita dell’istituto fa comprendere, più delle altre figure contrattuali
presenti nel settore della distribuzione, quelle che sono le trasformazioni economico-
organizzative dell’impresa: si genera così un innovativo sistema di obiettivi volto
prevalentemente, in una ottica organizzativa, alla “riduzione” della catena di
intermediazione o alla sua sostanziale sostituzione con un rapporto diretto tra
produttori e dettaglianti che pur creando degli indubbi vantaggi per i primi, invero
produce conseguenze tali da restringere in maniera significativa i margini di autonomia
di questi ultimi
15
.
NOTE:
(14) COZZI, FERRERO, Marketing. Principi, metodi, tendenze evolutive, Torino, 2000.
(15) Per la casistica delle patologie relative ai rapporti di franchising, si veda PARDOLESI, Il controllo del
franchising, in Quadrimestre, 1987, p. 157 ss.
9
A causa di problematiche di questo tipo, derivanti appunto dalla riduzione dei margini
di autonomia dei dettaglianti, molteplici interventi legislativi internazionali furono
orientati sulla necessità di garantire l’autonomia degli affiliati. Sul punto rivestono
grande importanza la statunitense Federal Trade Regulation Rule del 21 ottobre 1979
16
e la francese L. n. 89-1008 del 31 dicembre 1989
17
.
Comunque, ciò che si comprende in maniera inequivocabile, è che i rapporti di
collaborazione tra produzione e distribuzione permettono alle imprese di evolversi in
funzione delle integrazioni che sono state in grado di realizzare
18
: tutto questo
rappresenta una vera e propria rivoluzione commerciale
19
, successiva alla prima fase
evolutiva degli anni cinquanta e sessanta nella quale si ebbe l’incremento dei volumi di
vendita nel settore commerciale attraverso la “standardizzazione” del servizio e
l’adozione di politiche di marca.
Si individua inoltre una graduale attenuazione della bipartizione tra quelli che sono
generi alimentari e quelli che non lo sono; in questo caso il nostro Legislatore ha
opportunamente provveduto attraverso il d. lgs. 31 marzo 1998 n. 114 che reca la
riforma della disciplina relativa al settore del commercio. Essa elimina i tradizionali
strumenti delle licenze e delle tabelle merceologiche e disciplina in toto la funzione
distributiva in qualsiasi forma essa appaia
20
.
NOTE:
(16) AXELRAD, RUDNICK, Franchising: a planning and sales compliance guide, Chicago, 1987.
(17) Commenti di HUGOT, THUILLIER, Actualites droit et gestion, J.C.P. ed E. 1990, n. 19454;
LE POUTRE, MICMACHER, La loi Doubin ivi Supplement n. 4/1990.
(18) CIAMBOTTI, Il franchising nell’economia delle imprese minori, Milano, 1989, p. 62.
(19) RULLANI, Reti e informazioni: la rivoluzione commerciale prossima, in I contratti di franchising.
Organizzazione e controllo di rete, a cura di PILOTTI e POZZANA, Milano, 1990 p. 29 e ss.
(20) Sulla evoluzione delle forme distributive diverse da quelle tradizionali, VACCA’, Le ascendenze del
commercio elettronico: dalle esperienze del passato indicazioni per il presente, A cura di
FRANCESCHELLI, Milano, 2001, p. 49 ss.
10
Tuttavia questa evoluzione dei rapporti di distribuzione, comportando la scomparsa
delle tradizionali relazioni tra produttori ed intermediari, se da un lato agevola la
contrazione della concorrenza, dall’altro gli affiliati e, più in generale i franchisees,
sono costretti ad una maggiore condivisione dei rischi di mercato dell’impresa
produttrice rispetto al passato; ma questi rischi dipendono anche e soprattutto da
variabili e parametri che i franchisees non possono in alcun modo controllare (si pensi
alle scelte produttive, di marketing etc.)
21
.
Infine la modalità più diffusa mediante cui si manifestano i rapporti di franchising è
connotata da tratti monomarca (la fattispecie del corner franchising
22
è molto poco
diffusa e rappresenta una quota marginale rispetto al franchising monomarca) che
accentua notevolmente i vincoli di soggezione nelle relazioni tra produzione e
distribuzione.
Da tutto ciò deriva una potenziale inadeguatezza delle categorie giuridiche di fronte
alle complesse relazioni tipiche dell’impresa a rete, inadeguatezza che a volte investe
gli stessi strumenti economici nel momento in cui debbano adattarsi a modalità
organizzative estremamente complesse
23
.
NOTE:
(21) RULLANI, op. cit., p. 36. L’autore evidenzia come di fronte a questa assunzione di rischi, i poteri degli
operatori periferici nei confronti delle decisioni strategiche ed organizzative sono assai limitati.
CIAMBOTTI, op. cit., p. 68 ss., individua gli indicatori utilizzabili per verificare il grado di autonomia
effettiva dei franchisees.
(22) Il corner franchising è rappresentato da “angoli” o “isole” che riproducono in scala i tradizionali punti
vendita, all’interno di un grande centro commerciale. Sul punto si veda infra p. 50.
(23) SPRANZI, Presentazione de I contratti di franchising. Organizzazione e controllo di rete, a cura di
PILOTTI e POZZANA, op. cit., p. XI.
11
1.4 GLI INTERVENTI LEGISLATIVI INTERNAZIONALI
Come già indicato, il contratto di franchising si sviluppò originariamente negli Stati
Uniti, assumendo però un significato più ampio di quello che poi il franchising stesso
rivestirà in ambito europeo. Lo stesso, in Europa, è affiancato dall’istituto della
concessione di vendita (più propriamente il termine franchising sarà utilizzato in
Europa per indicare forme di distribuzione più originali e nuove rispetto a quelle già
praticate sotto altri nomi) e per questo assumerà un significato più delimitato, che è
quello attualmente in uso nel Vecchio Continente
24
.
La nozione “ampia” di franchising adottata quindi negli Stati Uniti copre anche le
ipotesi più simili alla nostra concessione di vendita come i contratti di distribuzione di
autoveicoli o di carburanti.
L’obiettivo forse più importante nel disciplinare l’istituto è stato quello di proteggere il
franchisee da potenziali pratiche abusive del franchisor nei due momenti più critici del
rapporto: nella fase precontrattuale, dove la disciplina prevede l’imposizione di
obblighi di informazione che permettano all’aspirante franchisee di valutare
serenamente ed in modo approfondito le proposte del franchisor; e nella fase dello
scioglimento del rapporto
25
.
NOTE:
(24) ZANELLI, Il franchising, in Trattato di diritto privato, a cura di RESCIGNO. 11, Torino 1984. p. 143 ss.,
147.
(25) Le leggi qui citate sono reperibili sul sito dell’INTERNATIONAL DISTRIBUTION INSTITUTE,
(WWW.IDIPROJECT.COM).
12
1.4.1 INTEVENTI LEGISLATIVI NEGLI STATI UNITI
Negli Stati Uniti, la categoria concettuale del franchising ha assunto di volta in volta
oggetti e contenuti diversi, finendo per abbracciare indistintamente tutta la gamma
delle strutture negoziali, con la sola eccezione dei puri e semplici atti di scambio basati
sulla nuda compravendita, che realizzano i vari passaggi delle merci dal produttore al
consumatore.
Tra i primi Paesi che hanno introdotto degli obblighi d’informazione, ci sono gli
U.S.A. A livello federale opera la Rule 436 della FEDERAL TRADE COMMISSION
che impone a chi pubblicizzi, promuova, o negozi contratti di franchising dei precisi
obblighi di disclosure
26
che riguardano numerosi aspetti tra i quali: esperienza del
franchisor e dei suoi operatori, eventuali azioni penali o civili subite negli ultimi sette
anni, programmi di formazione, cespiti che il franchisee deve acquistare, pagamenti
che il franchisee deve effettuare prima dell’inizio dell’attività e nel corso del contratto,
eventuali limitazioni imposte all’esercizio della sua attività, durata del contratto,
condizioni di rinnovo e di recesso, etc. Tutte queste informazioni devono essere
inserite in un Disclosure Statement, che deve redigersi secondo i criteri imposti dalla
normativa.
Per quanto riguarda i singoli Stati, gli interventi legislativi a protezione dei franchisee
sono estremamente differenziati. Ad esempio nel Maryland e nel nord Dakota alcune
leggi prevedono la registrazione preventiva di eventuali offerte di franchising ed una
responsabilità sia civile che penale in caso di inosservanza.
NOTE:
(26) Il significato del termine disclusure indica quelle che sono le informazioni che un franchisor deve fornire
al futuro franchisee prima della firma de contratto o prima che il franchisee faccia dei versamenti al
franchisor o a suoi associati. PETERS, Franchising: le proposte di legge italiane e la legge modello
dell’UNIDROIT sul “disclosure” - un confronto, in Il diritto del commercio internazionale, 2002, fasc.
4, pp. 761-784.
13
Nel Michigan il Franchising Investment Act 269 del 1977 prevede, oltre alle norme sul
Disclosure Statement, anche una serie di disposizioni relative al contenuto del contratto
evidenziando chiaramente la nullità di pattuizioni che consentano la risoluzione del
contratto prima della scadenza, senza che vi sia una “good cause”, ed inoltre sancisce
la nullità di clausole che consentano al franchisor di rifiutare il rinnovo del contratto
senza riacquistare i prodotti, beni strumentali etc. Ancora, il Missouri revised statutes,
Charter 407 vieta al franchisor di risolvere o di rinnovare una franchise senza aver
notificato tale decisione con un preavviso di novanta giorni.
Attraverso questi esempi è possibile comprendere come la forte variabilità e
differenziazione delle discipline tra i vari Stati sia sintomo della notevole importanza
che ha assunto negli Stati Uniti il fenomeno del franchising
27
.
1.4.2 INTERVENTI LEGISLATIVI IN EUROPA
In Europa, viceversa, il franchising è sorto accanto ad una figura diffusa nella pratica
della distribuzione, la concessione di vendita, arricchendosi però, rispetto a questa, di
elementi diversi e ulteriori, e occupando quegli spazi (come il settore dei servizi), nei
quali il contratto di concessione non si era mai sviluppato.
In quest’ottica, il franchising viene identificato in un sistema di collaborazione tra un
produttore (o rivenditore) di beni, o fornitore di servizi (franchisor), ed un distributore
(franchisee), giuridicamente ed economicamente indipendenti l’uno dall’altro, ma
vincolati da un contratto, in virtù del quale il primo concede al secondo il diritto di
entrare a far parte della propria catena di distribuzione, e di sfruttare, a determinate
condizioni e dietro il pagamento di una somma di denaro, brevetti, marchi,
denominazione commerciale, insegna e/o una formula o segreto commerciale a lui
appartenente.
NOTE:
(27) BORTOLOTTI, op. cit., p. 60.