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scrivono che il pedofilo «è colui che non può avere rapporti sessuali se non con i
bambini» (1998, pag.33). Anche Faller (1988) usa il termine “pedofilia” per
descrivere soprattutto i casi in cui gli adulti sono sessualmente attratti principalmente
dai bambini e sono appagati esclusivamente dal rapporto sessuale con questi.
I Kempe specificano che la pedofilia è una categoria di abuso sessuale che implica
una «preferenza o inclinazione per relazioni sessuali con bambini da parte di un
adulto» (1980, tr. it., pag.69).
In questa tesi si parla di pedofilia facendo riferimento al maltrattamento all'infanzia,
all'abuso che bambini e bambine subiscono nel momento in cui l'attrazione che
l'adulto prova per il corpo infantile si esplicita nel coinvolgimento dei bambini stessi
in attività sessuali che, ovviamente, essi non sono in grado di comprendere
completamente e che compromettono un loro sereno percorso evolutivo.
C'è un largo consenso in letteratura, come sottolinea Pantano, nel ritenere «che
rappresenti maltrattamento ogni atto o inazione che possa interferire con i potenziali
di sviluppo del bambino, in tutti i campi della sua personalità, venendosi a
identificare così diverse forme di abuso sia attivo che passivo» (1990, pag.69).
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II - Purtroppo oggi quando si parla di pedofilia ci si riferisce anche allo sfruttamento
del corpo del minore a scopi di lucro. Si parla per esempio di “pedofilia in trasferta”,
di “pornografia infantile” ed inoltre da qualche anno si è molto diffusa la “pedofilia
telematica”. Queste sfaccettature del fenomeno rappresentano un aspetto culturale
nuovo, e sempre più vissuto in clandestinità, di una pedofilia che è dilagante.
La pedofilia in trasferta è quella fuori casa, all'estero, quella che si intreccia spesso
con il mondo della pornografia e della prostituzione infantile: agenzie di viaggi e
compagnie aeree hanno fatto di tutto ciò un business organizzando veri e propri tour
sessuali.
La pedofilia telematica è quella che usa la rete Internet come uno dei modi più
discreti e sicuri per scambiare materiale e bambini (a pagamento e non). É soprattutto
attraverso la posta elettronica che avviene lo scambio di informazioni riguardanti
feste, indirizzi, telefoni, club privé particolari, cataloghi di foto e video per pedofili.
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III - Parlare di strategie d'intervento, in tale contesto, implica innanzi tutto il
passaggio del fenomeno dell'abuso all'infanzia a problema sociale.
Il passaggio da fenomeno a problema avviene mediante tappe successive, come
sottolinea Gulotta (1991), e per quanto riguarda l'abuso ed il maltrattamento
all'infanzia, esso si è verificato solo recentemente, non tanto perché ci sia stato un
cambiamento degli eventi, ma per un cambiamento dell'interesse e delle prospettive
sociali nei confronti di quegli eventi.
Infatti, il passaggio di un fenomeno a problema vuol dire che il fenomeno è diventato
visibile, cioè è stato individuato e definito, è percepito dalla popolazione (sia dalla
gente comune che dai professionisti) e c'è un impegno per cercare di prevenirlo e
risolverlo.
Secondo Smelser (1988), tra gli aspetti che caratterizzano un problema sociale, c'è
anche quello di essere ritenuto risolvibile.
IV - La presa di coscienza, da parte dell'intera comunità, del fenomeno dell'abuso
sessuale perpetrato a danno dei minori, che è stato per molto tempo sommerso, è alla
base degli sforzi per affrontarlo con adeguati strumenti di conoscenza, ricerche e
strategie operative.
Henry Kempe (citato da AA.VV., 1986, tr. it., pag. 5-6), delineando le fasi che la
collettività dovrebbe percorrere per rendersi conto del problema dell'abuso
all'infanzia in tutte le sue forme, individua in una fase avanzata della società
l'attenzione alla grave realtà dell'abuso sessuale a danno dei bambini. Secondo questo
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percorso, in una prima fase c'è, da parte della collettività, la negazione dell'abuso
sessuale e fisico o il suo accostamento a situazioni particolari che non hanno niente a
che fare con la comunità nel suo complesso; successivamente viene prestata
attenzione alle forme più eclatanti di abuso all'infanzia, ed in una terza fase anche a
quelle più sottili; nella quarta fase la collettività presta attenzione ad altre forme di
abuso, fino ad una quinta fase in cui si rende conto, appunto, che esiste anche la
drammatica realtà dell'abuso sessuale. Successivamente la comunità si preoccupa
anche della qualità della vita dei bambini.
V - L'obiettivo di questo lavoro è quello di evidenziare alcune delle strategie
d'intervento che possono essere adottate per far fronte al problema della pedofilia.
Verranno approfonditi soprattutto gli interventi progettati, sviluppati ed implementati
secondo l'ottica della psicologia di comunità, pur ritenendo utili e validi altri possibili
approcci.
La tesi si apre, quindi, soffermandosi su alcuni studi teorici realizzati sulla pedofilia e
l'abuso sessuale. L'elaborazione di strategie d'intervento per fronteggiare un
fenomeno o prevenirlo richiede, infatti, la conoscenza e l'approfondimento del
fenomeno stesso a livello teorico.
Non si farà riferimento alle classificazioni medico-psichiatriche (il DSM IV inserisce
la pedofilia nei “Disturbi Sessuali e della Identità di Genere” nel capitolo delle
“Parafilie”, e l'ICD 10 la classifica tra i “disturbi della personalità e della preferenza
sessuale”), ma ci si dedicherà particolarmente a trattare i lavori che, studiando la
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pedofilia, hanno tenuto conto dei diversi elementi e delle diverse motivazioni che
inducono il fenomeno, sottolineando il ruolo giocato non solo dai fattori individuali
ma anche dagli aspetti sociali e culturali.
VI - Nel primo capitolo si passeranno in rassegna alcune riflessioni teoriche: il
contributo psicoanalitico, il contributo di un gruppo di analisti junghiani,
l'orientamento cognitivo-comportamentista (§ 1.1; §1.2; § 1.3; § 1.4; § 1.5).
Ci si soffermerà, in seguito (§ 1.6; § 1.7; § 1.8; § 1.9), su alcune riflessioni degli
ultimi vent'anni che prestano particolare attenzione al contesto socio-ambientale e
relazionale che fa da teatro al fenomeno della pedofilia e alla cultura odierna che in
maniera “inconsapevole” contribuisce al dilagare del fenomeno.
Si considereranno gli studi realizzati negli anni '80 da Finkelhor (§1.10), e infine (§
1.11), questa prima parte del capitolo si concluderà con il dibattito, che si svolge per
lo più attraverso i media ed i libri, e che ha al centro interrogativi quale: «La pedofilia
è sempre e comunque una forma di violenza sessuale nei confronti dei minori ?».
Nella seconda parte del primo capitolo verranno descritti alcuni modelli che aiutano a
comprendere perché l'adulto che è sessualmente attratto dal corpo infantile ne abusa
(§ 2.1; § 2.2): Wolf ipotizza che l'abuso si ripeti ciclicamente; Finkelhor ed Araji,
prendendo in considerazione il ruolo giocato da più fattori individuali e sociali,
propongono un modello multilivello della pedofilia.
Successivamente (§ 2.3) ci si soffermerà sul maltrattamento infantile intra-familiare,
descrivendo il modello ecologico elaborato da Garbarino, che prende in
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considerazione fattori predisponenti di tipo individuale, familiare, sociale, culturale, il
ruolo giocato da fattori quali le reti di supporto e d il sostegno sociale, i life events e
come essi sono percepiti dagli individui.
Infine (§ 2.4) verranno delineate alcune forme di pedofilia femminile che riguardano
donne che hanno subito abuso durante l'infanzia, donne che subiscono la coercizione
di qualcuno o donne che vivono un periodo particolarmente difficile della loro
esistenza.
VII - La prima parte del secondo capitolo (§ 1.1; § 1.2; § 1.3) verrà dedicata a
tracciare brevemente la cornice teorica di riferimento di questa tesi.
Successivamente (§ 2.1; § 2.2; § 2.3) verranno descritti alcuni programmi di
prevenzione primaria, fruibili dai bambini in età scolare o prescolare, che vengono
utilizzati in molte scuole americane con lo scopo di fornire ai bambini informazioni e
competenze necessarie cosicché essi possano svolgere un ruolo attivo nelle
“situazioni pericolose” in cui potrebbero imbattersi e siano in grado addirittura di
evitarle. Spesso lo svolgimento di questi programmi prevede la collaborazione tra
insegnanti e operatori esterni alla scuola.
Nella terza parte del capitolo verrà sottolineata l'importanza di coinvolgere, nella
progettazione delle strategie d'intervento, che siano efficaci per far fronte all'abuso
sessuale dei bambini, le diverse risorse presenti nella comunità: i genitori, per
esempio, possono essere una preziosa fonte d'informazione per i propri figli, ma essi
stessi hanno bisogno di assistenza, di interventi e training per saperne di più sui rischi
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che possono correre i loro bambini e su come fare per metterli in guardia (§ 3.1). La
solidarietà tra vicini di casa può rivelarsi un'importante risorsa per la prevenzione
dell'abuso perpetrato a danno dei bimbi (§3.2). I gruppi di self-help si sono rivelati
degli utili strumenti di prevenzione secondaria (§ 3.3). Negli Stati Uniti, inoltre,
alcuni studiosi (per esempio Elliott e i suoi collaboratori), si sono avvalsi della
collaborazione di alcuni abusanti di bambini per comprendere quali strategie è meglio
adottare per proteggere i bimbi dal rischio di essere abusati sessualmente dagli adulti
(§ 3.4).
Infine, l'ultima parte del secondo capitolo (§ 4.1; § 4.2; § 4.3; §4.4; § 4.5; § 4.6), sarà
dedicata a delineare il modo in cui, nel nostro paese, si affronta il problema dell'abuso
sessuale perpetrato a danno dei bambini: l'impegno del Telefono Arcobaleno, la lotta
alla pedofilia telematica e ai rischi che la rete Internet può comportare ai suoi piccoli
utenti, le attività e i progetti del Telefono Azzurro, il lavoro del CBM (Centro per il
bambino maltrattato e la cura della crisi familiare) e dell'UCRAS (Unità per la cura
e la ricerca sull'abuso sessuale), e infine le strategie di prevenzione proposte dal
Centro Studi Hansel e Gretel.